Staffan Nihlén – La prudenza del segno.

Staffan Nihlén

275 ISBN

Staffan Nihlén

La prudenza del segno

ISBN 978-88-7588-183-2, 2017, pp. 40, , Euro 5, Collana “Egeria [19]
Cura editoriale di Moreno Fabbri

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La prudenza del segno di Staffan Nihlén, edito in occasione della mostra omonima, tenutasi presso la Villa Castello Smilea di Montale (PT), nell’ambito delle manifestazioni di “Pistoia Capitale Italiana della Cultura 2017”, offre al lettore italiano la possibilità di stabilire un contatto con l’attività dell’artista scandinavo mediante la documentata e ben articolata presentazione di Moreno Fabbri, corredata da numerose foto delle opere recenti dell’autore: acquerelli, disegni, sculture e pitture di piccole e grandi dimensioni, una parte delle quali sono state presentate nella bella mostra di Villa Smilea.


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Villa Smilea

A Villa Smilea la mostra dedicata a Staffan Nihlén
A Villa Smilea con la musica si apre la mostra di Nihlén
MET – Una mostra a Villa Smilea di Staffan Nihlén
Staffan Nihlén, uno svedese a Montale – Report Pistoia
La prudenza del segno – Castello Villa Smilea

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Det bevingade ordet i Malmö

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Mänsklig åtbörds varsamhet i Lund

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Mediterraneo

 


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Massimo Mungai – Rendiamo la solitudine strumento per far germogliare le nostre emozioni e per dare nuovo valore al silenzio, atto preparatorio al comunicare con gli altri.

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«Il giorno in cui il potere dell’amore supererà l’amore per il potere
il mondo potrà scoprire la pace».
Gandhi

 

 

«Aspirando al superfluo si perde il necessario».
Proverbio persiano

 

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Massimo Mungai

Ombreggiature. Poesie. Racconti brevi

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Impronte di un uomo ordinario

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Spicchi dìAglio

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Le menzogne della verità

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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) – Il soffrire dell’uomo che non ha riflessione sul proprio destino è senza volontà, poiché egli onora il negativo, i limiti, solo nella forma della loro esistenza giuridica e autoritaria come insormontabili, e prende le proprie determinatezze e le loro contraddizioni come assolute.

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«La contraddizione sempre crescente tra l’ignoto che gli uomini inconsapevolmente cercano e la vita che ad essi è offerta e permessa e che essi hanno fatto propria, la nostalgia verso la vita di coloro che hanno elaborato in sé la natura in idea, contengono l’anelito a un reciproco avvicinamento. Il bisogno di quelli, di ricevere una consapevolezza sopra ciò che li tiene prigionieri e l’ignoto di cui sentono il desiderio, s’incontra col bisogno di questi, di trapassare dalla propria idea nella vita. Costoro non possono vivere soli, e l’uomo è sempre solo anche se si è posto dinanzi la propria natura e di questa rappresentazione ha fatto il suo compagno e in essa gode se stesso; egli deve trovare anche il rappresentato come un vivente. Lo stato dell’uomo che il tempo ha cacciato in un mondo interiore, può essere o soltanto una morte perpetua, se egli in esso si vuol mantenere, o, se la natura lo spinge alla vita, non può essere che un tendere a superare il negativo del mondo sussistente per potersi trovare e godere in esso, per poter vivere. La sua sofferenza è legata con la coscienza dei limiti, a causa dei quali egli disprezza la vita così come essa gli sarebbe permessa: egli vuole il proprio soffrire; mentre invece il soffrire dell’uomo che non ha riflessione sul proprio destino è senza volontà, poiché egli onora il negativo, i limiti, solo nella forma della loro esistenza giuridica e autoritaria come insormontabili, e prende le proprie determinatezze e le loro contraddizioni come assolute, e ad esse, anche se persino esse ledono i suoi impulsi, sacrifica se stesso e gli altri.

Il superamento di ciò che riguardo alla natura è negativo, riguardo alla volontà positivo, non viene operato mediante violenza, né una violenza che si faccia noi stessi al nostro destino, né una violenza che si sperimenti dal di fuori; in ambedue i casi il destino rimane ciò che è; la determinatezza, il limite non viene separato dalla vita con la violenza; violenza straniera è particolare contro particolare, la rapina di una proprietà, un nuovo dolore; l’entusiasmo di un legato è un momento pauroso per lui stesso nel quale egli si perde, ritrovando la propria coscienza solo nelle determinatezze dimenticate, non divenute morte.

Il sentimento della contraddizione della natura con la sussistente vita è il bisogno che la contraddizione venga tolta, ed essa lo viene, quando la sussistente vita ha perduto la propria potenza e ogni sua dignità, quando è divenuta un puro negativo.

Tutti i fenomeni di questo tempo mostrano che la soddisfazione nella vecchia vita non si trova più; essa era un limitarsi a una signoria ordinatissima sulla nostra proprietà, un considerare e un godere il proprio piccolo mondo nella sua piena sudditanza e poi anche un autoannientarsi che conciliava questa limitazione e un elevarsi nel pensiero verso il cielo. Da una parte la miseria dei tempi ha intaccato questa proprietà, dall’altra i suoi doni hanno tolto nel lusso la limitazione, ed in ambedue i casi l’uomo è stato fatto Signore e il suo potere sulla realtà effettuale elevato al sommo. Sotto questa arida vita d’intelletto, per un verso è cresciuta la cattiva coscienza, che consiste nel rendere assoluta la nostra proprietà, – cose – e con ciò, per un altro verso è cresciuto il soffrire degli uomini; e il soffio di una vita migliore ha toccato questo tempo. Il suo impulso si nutre dell’agire di grandi caratteri di singoli uomini, di movimenti di interi popoli, della rappresentazione della natura e del destino da parte dei poeti; dalla metafisica le limitazioni ricevono i propri confini e la loro necessità nella connessione dell’intero. La vita limitata può soltanto allora, come potenza, venire con potenza aggredita dalla vita migliore, quando anche quest’ultima è divenuta una potenza e abbia da temer violenza. Come particolare contro particolare la natura nella sua vita effettiva è l’unico assalto o confutazione della vita peggiore, e una tale confutazione non può essere oggetto di un’attività intenzionale. Ma il limitato può essere assalito dalla sua propria verità, che in esso risiede e condotto in contraddizione con essa: la sua signoria si fonda non sulla violenza di particolari contro particolari, bensì su universalità; questa verità, il diritto, la quale esso rivendica a sé gli deve essere tolta e attribuita a quella parte della vita che viene richiesta.

Questa dignità di una universalità, di un diritto, è quella che rende così timida, come quella che vada contro coscienza, la richiesta posta dalla sofferenza e dagli impulsi che vengono in contraddizione con la sussistente vita, vestita di quell’onore. Al positivo del sussistente, che è una negazione della natura, viene lasciata la sua verità, che un diritto deve esserci.

Nello Stato tedesco l’universalità che ha potere, come fonte di ogni diritto, è sparita perché si è isolata facendosi particolare. L’universalità è perciò presente soltanto come pensiero, non come realtà effettuale. Riguardo a quello su cui l’opinione pubblica più chiaramente o più oscuramente ha deciso con la perdita della fiducia, ci vuol poco a rendere più universale una più chiara coscienza. E tutti i diritti sussistenti hanno il loro fondamento tuttavia solo in questo nesso col tutto, il quale nesso, non essendoci più da lungo tempo, li ha fatti divenire tutti dei particolari.

Ora, o si può prendere le mosse da quella verità che anche il sussistente ammette; allora tutti i concetti parziali che sono contenuti in quello di tutto lo Stato vengono concepiti come universali nel pensiero, e la loro universalità o particolarità nella realtà effettuale posta accanto ad essi; mostrandosi una tale unità-parte come particolare, salta allora agli occhi la contraddizione fra ciò che essa vuol essere, e soltanto per essa vien richiesta, e ciò che essa è».

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi,1972, pp. 9-11.


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