Charles Wright Mills (1916-1962) – Una percezione vigile oggi implica la capacità di smascherare continuamente e infrangere gli stereotipi del giudizio e dell’intelligenza.

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L’artista e l’intellettuale indipendenti sono tra le poche personalità rimaste in grado di opporsi e di combattere la normalizzazione, e quindi la morte delle cose che vivono di vita autentica. Una percezione vigile oggi implica la capacità di smascherare continuamente e infrangere gli stereotipi del giudizio e dell’intelligenza, di cui le odierne comunicazioni [ossia gli odierni sistemi di rappresentazione; ed eravamo soltanto nel 1962; n.d.r.] ci sommergono. […] Per questa ragione la solidarietà e l’impegno intellettuale hanno il loro fulcro nella politica. Il pensatore che non assuma come riferimento il valore della verità nella lotta politica non può affrontare responsabilmente l’esperienza del vivere nella sua interezza.

 

Charles Wright Mills, Power, Politics, and People: The Collected Essays or C. Wright Mills, a cura di Irving Louis Horowitz, Ballantine, New York 1963, p. 299.


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Thomas Mann (1875-1955) – L’uomo era dunque il prodotto della curiosità di Dio di conoscere se stesso. Ma anche la Somma Saggezza poteva non bastare del tutto a prevenire errori.

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Giuseppe il nutritore

Giuseppe il nutritore

Nelle sfere e nelle gerarchie celesti regnava […] una soddisfazione lievemente ironica […]. E ciò a causa di una idea bizzarra […] di Colui che tale idea aveva concepito e attuato. E l’idea era questa: «Gli angeli sono creati a nostra immagine, ma non sono fecondi. Gli animali invece, guarda, sono fecondi, ma non sono a immagine nostra. Vogliamo creare l’uomo: a immagine degli angeli, ma fecondo».
Un’idea assurda. Più che superflua, aberrante, capricciosa, e gravida di pentimento e di amarezza. Noi non eravamo “fecondi”, certamente no. Camerlenghi della luce, taciti cortigiani eravamo noi […]
Questa onnipotenza, questa facoltà assoluta di immaginare e suscitar nuove forme, di dare esistenza con un semplice “fiat” aveva naturalmente i suoi pericoli … Anche la Somma Saggezza poteva non essere pienamente in grado di superarli, poteva non bastare del tutto a prevenire errori e passi inopportuni nell’esercizio di queste sue facoltà assolute. Per puro istinto di agire, puro bisogno di attuazione, ardente desiderio del “dopo questo anche quest’altro”, “dopo gli angeli e gli animali anche l’animale angelico”, la Somma Saggezza si avventurò in impresa non saggia, creò un essere palesemente precario e imbarazzante […].
Ma Iddio, era Egli stato tratto da sé, di propria iniziativa, a questa creazione spiacevole? Nelle gerarchie e negli ordini celesti correvano supposizioni che, confidenzialmente e segretamente, negavano questa indipendenza; supposizioni indimostrabili ma con un fondamento di verosimiglianza, secondo le quali tutto era dovuto a un suggerimento del grande Semael, che, prima della folgorante caduta, era stato molto vicino al Trono. Il suggerimento rispecchiava proprio la sua natura e le sue intenzioni […]. Affinché il Male venisse nel mondo era esattamente necessaria quella creatura che, secondo ogni supposizione, Semael aveva proposto di creare: un essere a somiglianza di Dio, eppur fecondo: l’uomo. […]
La malizia di Semael consisteva in questo: se gli animali, dotati di fecondità, non furono creati a somiglianza di Dio nemmeno noi, cortigiane immagini di Dio, a giudicar rigorosamente, lo fummo, perché noi, grazie, al cielo, venne pulitamente negata la fecondità. Le qualità ripartite tra gli animali e noi, divinità e fecondltà, originariamente erano unite nello stesso Creatore, e a immagine sua sarebbe stato creato soltanto l’essere proposto da Semael, e in cui appunto si effettuò questa unione. Ma con questo essere, con l’uomo, venne il Male nel mondo.
Non era un caso ironico da suscitare un risolino di scherno? Proprio la creatura che, se si vuole, era la più somigliante al Creatore, portò con sé il Male. Per consiglio di Semael, Iddio si creò in essa uno specchio, non certo lusinghevole, anzi tutto l’opposto, e che Egli in seguito era stato più volte sul punto di annientare per collera e per imbarazzo, senza tuttavia giungere mai all’estremo; o perché non gli bastasse l’animo di far ricadere nel nulla l’essere da lui stesso chiamato in vita; o che amasse di più quest’opera mancata che quelle ben riuscite; o che non volesse riconoscere come definitivamente sbagliata una creatura tanto simile a lui; o infine perché uno specchio è un mezzo per conoscer se stessi […].
L’uomo era dunque il prodotto della curiosità di Dio di conoscere se stesso: curiosità accortamente prevista da Semael e da lui sfruttata con l’astuto consiglio. […]
Il “peccato originale” consisté solo in questo: l’anima, mossa da una specie di malinconica sensualità, che in uno dei principi primi del mondo superiore ci turba e sorprende, si lasciò, per suscitar forme da cui trarre piaceri corporei, vincere dal desiderio di penetrare con amore la materia ancora informe e tenacemente risoluta a rimaner tale. E chi se non Dio stesso le venne in aiuto in quella sua lotta d’amore troppo superiore alle sue forze; chi creò per lei l’avventuroso mondo dell’accadere, il mondo delle forme e della morte? Egli lo fece per compassione delle angustie in cui si dibatteva la sua traviata compagna, per una comprensione che lascia arguire una certa affinità costituzionale e sentimentale tra i due. Ma là dove si può si deve anche trarre una conclusione, anche se paia ardita e perfino sacrilega, poiché nello stesso istante si parla di traviamento.
[…] Semael contava sull’errore universalmente diffuso per cui si crede che, se due persone hanno lo stesso pensiero, quel pensiero dev’essere buono.
È inutile far misteri e usar parole timidamente allusive. Quello che il grande Semael, una mano al mento, l’altra tesa perorante verso il Trono, propose, fu l’incarnazione del Sommo in una stirpe eletta ancora inesistente ma da crearsi, l’assumere corpo secondo il modello delle altre divinità etniche e razziali della terra, ricche di magica potenza e carnalmente piene di vita. Non a caso adopriamo l’espressione “piene di vita”, perché come una volta con la proposta di crear l’uomo anche ora, ma in un senso più drastico anzi carnale, l’argomento primo del Maligno era l’accrescimento di vitalità che, seguendo quel consiglio, il Dio spirituale, estraneo e superiore al mondo, avrebbe ottenuto.[…]
La sfera affettiva, a cui quegli argomenti si volgevano, era l’ambizione; un’ambizione necessariamente rivolta verso il basso perché nell’Essere Supremo ogni ambizione verso l’alto è impensabile, ambizione verso il basso, uguagliarsi agli altri, “volere-anche-essere-come-gli-altri”, rinunciare a ogni qualità eccezionale e straordinaria. Facile fu per il Maligno appellarsi al sentimento di sé troppo vergognosamente generico e astratto, troppo incolore e insapore, che Dio, confrontando la sua ultramondana spiritualità con la sensualità magica degli dèi etnici e razziali, doveva inevitabilmente provare. Da tali confronti nasceva appunto quell’ambizione di abbassarsi, di fortemente limitarsi, di dare alla propria forma di vita più sensuale sapore e colore.
Cedere la sublimità un po’ pallida di una spirituale universalità per la sanguigna e carnale esistenza di un Dio fattosi corpo vivo di una gente, essere come gli altri dèi: questa l’aspirazione più segreta, il pensiero ancora latente del Sommo. E a questo pensiero Semael venne incontro con il suo insidioso consiglio. […]

 

Thomas Mann, Giuseppe il nutritore, Mondadori, 1982, pp. 19-27.

 

Thomas Mann – La conoscenza umana e l’approfondimento della vita umana hanno un carattere di maggiore maturità che non la speculazione sulla Via Lattea. Il vero studio dell’umanità è l’uomo.
Thomas Mann (1875 – 1955) – L’arte è come se ricominciasse ogni volta da capo. Essa non minaccia la vita poiché è creata per dare alla vita la vita dello spirito. È alleata del bene, e nel suo fondo vi è la bontà. Nata dalla solitudine, il suo effetto è il ricongiungimento.

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