Valeria Biagi – La Valle Bianca. Appunti per una rilettura del romanzo di Sirio Giannini

281 ISBN

Valeria Biagi

La Valle Bianca

Appunti per una rilettura del romanzo di Sirio Giannini

indicepresentazioneautoresintesi

 

Questo saggio si concentra sul romanzo La Valle Bianca di Sirio Giannini (1925-1960), scrittore e regista originario di Corvaia, piccola frazione di Seravezza, in provincia di Lucca. L’opera, dopo aver vinto il Premio Hemingway nel 1956 ed essere stata pubblicata per la prima volta nel 1958 dalla casa milanese Mondadori, nella prestigiosa collana “La Medusa degli Italiani”, ha avuto una traduzione in tedesco, Das Weiße Tal, per la casa editrice Progress di Düsseldorf nel 1959 e una ristampa a cura dell’editore Boni di Bologna nel 1981.

Il romanzo è ambientato nella Versilia degli anni Cinquanta, in una cava fra le Alpi Apuane, dove quotidianamente i cavatori estraggono il marmo. Proprio in questo contesto di lavoro faticoso, i tre protagonisti, Stefano, Giulio e Alda, condividono la vita di ogni giorno. Nel romanzo, Giannini inserisce sia molti termini tecnici riferiti alle fasi di estrazione del blocco di marmo, alla sua lavorazione e al trasporto a valle, sia molte descrizioni paesaggistiche, che danno respiro alla narrazione. Il personaggio di Alda sarà determinante per il sorprendente e profondo finale del romanzo, che riporta il lettore alla dura realtà, fatta di sacrifici e aspro lavoro, ma anche alla speranza aperta dalle scelte morali più autentiche.

Giannini si è occupato anche di cinema, come si può vedere dal cortometraggio intitolato I cavatori, di cui fu il regista e lo sceneggiatore e con il quale vinse, post mortem, il Premio Fedic e Airone D’oro al Festival di Montecatini Terme nel 1961. Il film gli valse anche una segnalazione al Festival Internazionale di Moulhouse. In sedici minuti, il cortometraggio evidenzia, lasciando in audio i suoni originali, il pesante e pericoloso mestiere del cavatore, lavoro che oggi risulta quasi dimenticato e, per certi versi, sconosciuto alle giovani generazioni.

Sirio Giannini ha vissuto, seppur breve, una vita intensa e piena di soddisfazioni, di premi letterari, ma anche di delusioni e amarezze. Nel corso della sua esistenza, ha intessuto rapporti e legami con alcune importanti personalità della cultura italiana novecentesca come Cesare Zavattini, Elio Vittorini, Marcello Venturi, Arnoldo e Alberto Mondadori, Arrigo Benedetti, Giuseppe De Robertis e altri.

Completamente autodidatta, l’Autore mostrava un talento raro. Purtroppo una grave malformazione al cuore gli limitava gli spostamenti lunghi, ma non gli impediva di scrivere e di lavorare anche nel campo cinematografico, le due sue passioni. Una fatale operazione al cuore lo stroncò il 26 gennaio 1960.

È morto da quasi sessant’anni. Oggi Giannini è conosciuto da pochi studiosi, ma nella sua terra natia, la Versilia, in particolare a Seravezza, la memoria dell’Autore è salda fra gli amici e la gente che lo ha conosciuto. A tal proposito, a Giannini è intitolato un Circolo Culturale, che ha svolto nel tempo una serie di iniziative per ricordarne il lavoro. Da cinque anni è pure intitolato a Giannini un Centro Internazionale di Studi Europei (CISESG), di cui chi scrive qui è attualmente Vice Presidente. Il CISESG è un centro di ricerca, che ha l’intento di svolgere l’azione più opportuna per una sempre maggiore diffusione, in Italia e all’estero, delle opere dello scrittore, oltre a promuovere gli studi sulle letterature di tutto il mondo, con particolare attenzione alla favola ed alla fiaba per gli adulti.


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Daniele Orlandi – Lettera a una madre sul primo amore

Orlandi Daniele 07

286 ISBN

Daniele Orlandi

T. Lettera ad una madre sul primo amore

Disegni di Sara Prebottoni

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La decisione era stata presa. La richiesta fu talmente accorata che non mi parve responsabile rifiutare né indagare oltre con imbarazzanti domande, del tipo: “Perché proprio a me?”. Una ragione esiste, ovviamente, ma è bene che resti privata.

Ho conosciuto Daniele alle materne e insieme abbiamo frequentato anche le scuole elementari. Avevamo entrambi il nitido ricordo del primissimo giorno, quando, attendendo timorosi e spaesati l’appello per la suddivisione delle classi, ci incontrammo nel cortile lanciandoci in uno di quei goffi abbracci tipici dei bambini. Ora che eravamo capitati nella stessa sezione, avevamo meno paura di abbandonare le mani delle nostre protettive mamme. All’inizio fummo molto uniti (siamo stati due competitivi consumatori di One O One e Kinder Cioccolato davanti a una balia di televisione). Successivamente, com’è naturale, questo legame tese a diluirsi nelle maggiori combinazioni di amicizie di una classe numerosa ma non si annacquò mai del tutto. Se parto da così lontano è anche per testimoniare della grazia di quella bambina che è qui indicata solo con la sua iniziale: per quanto non la conoscessi che di vista, T. era davvero bellissima.

Tuttavia, sebbene io abbia di quel periodo un ricordo felice, le mie memorie degli anni ’80 non raggiungono la precisione quasi patologica dell’amico Ferri (il cognome è fittizio). Lo chiamo amico, in senso lato. Come si evince da queste pagine, la nostra frequentazione era divenuta insieme occasionale e continuativa. In sostanza, il tempo ci avrebbe resi più che conoscenti e un po’ meno che amici. Ma sapevo abbastanza della sua storia familiare. Ricordo che la Pastorella ci ammoniva spesso sulla necessità di non prendere in giro i rispettivi parenti: “Non scherzate con le famiglie altrui, è un comportamento odioso! Daniele, ad esempio, ha il fratellino morto”. Conoscevo la madre, molto meno il padre ed ero al corrente anche dei suoi attacchi di panico, per quanto non così in dettaglio. Inoltre, ci legavano i medesimi studi che rappresentavano la base delle nostre chiacchierate, improvvisando lungo la via, davanti a un caffè o ai “giardinetti” di Via Giovanni Maggi, recensioni di libri amati o odiati, letti o da leggere. Magari chissà, da scrivere…

È il motivo per cui nel testo compaiono molti nomi di autori e di opere: per Ferri non erano soltanto libri ma veri e propri personaggi, avversari, bussole che lo avevano accompagnato fin da piccolo. Per agevolare il lettore, se ne dà notizia in nota esclusivamente laddove mi è parso opportuno. Questo poiché, sebbene il mio nome campeggi in copertina, l’autore di questa storia è in realtà Daniele Ferri di cui raccolsi le confidenze e una moleskine rossa a quadretti durante un tardo pomeriggio autunnale. “Non voglio farlo diventare un romanzo per due ragioni:”, diceva, “perché non ne sarei in grado e perché, come puoi immaginare, non lo è. È una lettera. In un doppio senso, se vuoi… Resta il fatto che come a scuola c’insegnavano che per un punto passano infinte rette, attraverso queste mie righe passa una e una sola lettera. Oltretutto, non sopporterei di figurare quale autore di una storia così sfacciatamente personale. Sarebbe ridicolo. Se proprio ci tieni, fammi tu da prestanome!”. E giù una secca risata ma con gli occhi che non sorridevano, com’era abitudine di Daniele. Finì che la condizione del prezioso regalo appena ricevuto fosse che avrei dovuto distruggerlo. Prima o dopo averlo letto, per lui non faceva differenza. Voleva vivere senza più l’assillo di quelle parole esistenti da qualche parte. Eppure, proprio lui che le aveva scritte per impellenza memorialistica, per terapia, per disperazione o che so io (si scrive per una spessa nube di motivi), non ne sarebbe stato capace. Non lo biasimo. Per un autore consapevole, ogni libro è un figlio destinato al ripudio e un rimorso senza termine. Ferri sapeva bene chi riesce davvero a lasciare dietro sé terra bruciata di solito agisce immediatamente o solo in punto di morte. Per questo la storia della letteratura è ingombra di agende, quaderni, fogli ritrovati per caso in cassetti, bauli, scaffali che il tempo ha custodito a tradimento. “D’accordo, Daniele, così sia”, dissi.

Ma non più tardi di un mese dopo l’impensabile era già accaduto e l’impegno di conservare quel taccuino senza aprirlo sfociò immantinente in una lettura tutta d’un fiato. Se taccio della sorpresa, dei rammarichi e di ogni altro sentimentalismo è perché non aggiungerebbero nulla al progetto di una pubblicazione senza scopo di lucro ma unicamente quale dono ai pochi intimi che, sapevo, avrebbero apprezzato con triste gioia. “Le due donne per cui ho estratto queste pagine dalla cava di marmo della memoria non le leggeranno mai”, scrive Ferri sul finale del libro. Mi rimorde, Daniele, non aver potuto nulla in tal senso. L’editore si disse favorevole, del resto, non temevamo nulla. Daniele stesso ci era venuto in soccorso: se si escludono gli elementi storico-geografici che fanno da cornice ai fatti narrati, questa – come si usa dire – è un’opera di fantasia dove ogni riferimento a persone realmente esistite è da considerarsi puro frutto del caso.

Io, dunque, sono soltanto il curatore di un manoscritto che si presentava datato 16 luglio 2016 e non più aggiornato ma i punti di discontinuità fra i temi trattati, l’incostanza grafica e stilistica, e le alternanze di biro blu e nera denunciavano una stesura rapsodica, bisognosa di assemblaggi, raccordi e fusioni. Finché ho potuto, non ho modificato una virgola del testo originale. Quando con frecce rimandanti al margine, Ferri appunta multiple opzioni lessicali o grammaticali si è proceduto cercando di snellire il più possibile ridondanze e indigeste ripetizioni. Laddove è stato opportuno intervenire per collegare due parti o dirimere un nodo della narrazione, ho fatto del mio meglio per mimare lo stile non invitante dell’autore. Redazionale è anche il sottotitolo: Lettera a una madre sul primo amore. Comprendo che non brilli in originalità ma l’ho scelto in quanto mi sembrava che realizzasse le intenzioni dell’autore: una lettera nella sua doppia accezione di missiva e d’iniziale, oltretutto inserendo quella di Ferri nel novero delle epistole che affollano la letteratura di ogni tempo e paese. Nondimeno confesso che non mi sarebbe affatto dispiaciuto chiamare questo libro Controsaggio sugli attacchi di panico o qualcosa di simile. L’impasto di saggistica e narrativa dello stile usato da Ferri mi ha infatti spesso ricordato l’ibridismo di alcune pagine di Jean Améry, di Primo Levi o di José Saramago, tra gli autori preferiti di Daniele e miei.

Nella tasca interna della moleskine ho rinvenuto un foglio a quadretti contenente un’annotazione autografa di Ferri. Ho ritenuto di riprodurla a mo’ di appendice fotografica in quanto suppongo che Daniele non avesse intenzione di inserirla nell’ambito narrativo eppure è proprio avulsa dal contesto che acquista il suo peso. Questo è stato, dunque, il mio lavoro nell’ultimo anno e mezzo. Se il lettore pensasse ad un’appropriazione indebita, avrebbe in parte ragione. Tuttavia, con i dovuti distinguo, daremmo del ladro a Max Brod che, contrariamente alle ultime volontà dell’amico Franz Kafka, nel 1925 curò l’edizione postuma di Il processo, regalando all’umanità uno dei capolavori della letteratura mondiale?

Vorrei infine aggiungere che se questo volume non fosse stato pubblicato la promessa fatta a T. dal protagonista nelle ultime righe del racconto non potrebbe dirsi del tutto onorata.

Adesso sì.

Questo “taccuino di un vecchio” non fa sconti al lettore. Non si lascia avvicinare facilmente e presuppone una minima conoscenza pregressa dei problemi che affronta. Ferri lo sapeva molto bene e aveva ragione a definirla una “scrittura privata”, come del resto può esserlo una lettera indirizzata a un interlocutore che ci conosce e che quindi avrà gli strumenti per farsene interprete (A quelli che sanno, avrebbe potuto essere una terza dedica all’inizio del volume). Per questo, laddove mi è parso che il testo avesse bisogno di un po’ di respiro ho comunque preferito non intervenire.

Il lavoro è stato lento ma estremamente istruttivo. Durante l’intera trascrizione ho molto ragionato su questioni che conoscevo solo marginalmente. Come il tema dell’agorafobia, ad esempio, le sue molteplici sfumature e complicanze, e della paura contraria ma sorella: la claustrofobia. Più volte mi sono chiesto dove mai l’agorafobico Ferri avesse trovato la forza di resistere nella ressa dei personaggi da lui evocati e come sia potuto accadere che una persona in grado di salire sull’ermetico montacarichi del passato per scendere a -1, -2, -3 e via via fino ai più bui sotterranei del dolore, possa portarsi dietro per così tanto tempo il terrore di prendere un comune ascensore. Resta per me un insopportabile paradosso.

Carissimo Daniele, dolce omonimo compagno, se solo tu avessi avuto nel vivere la vita il dieci per cento della determinazione mostrata nel raccontarla, oggi saresti un uomo risolto ed io non dovrei fare a meno delle nostre casuali e stimolanti passeggiate. Con quest’amarezza insolubile congedo la tua storia e il mio rimpianto.

Questo libro esiste grazie a tutti coloro che ne hanno supportato e sopportato il pigro parto. Concludo quindi ringraziando in particolare Sara Prebottoni, Sante Notarnicola, Carmine Fiorillo, Andrea Grottini, Sara Bolletta, Simone Nebbia, Paola Randazzo, Katia Gibertini e Elio Feliciani. Grazie a Luigi Orlandi, mio padre, che ha accettato di verificare i suoi ricordi sulle mie pressanti domande.

 

DANIELE ORLANDI

Roma, 25 novembre 2017

 


Daniele Orlandi – Costanzo Preve sulla «zona grigia» di Primo Levi
Daniele Orlandi – Nostalgie semiserie di un medievista senza Eco
Daniele Orlandi – Quell’amore di Dino Buzzati
Daniele Orlandi – Attraverso il prisma dostoevskijano, Camilla Migliori ci invita a considerare l’espressione artistica come un mezzo d’elevazione dell’uomo al di sopra dei suoi limiti.
Daniele Orlandi – Il Medioevo di Camilla Migliori. Invito alla lettura di «Un mondo di cronisti, inquisitori, castrati, sante».

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Massimo Bontempelli (1946-2011) – Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero. Prefazione di Marco Vannini.

Massimo Bontempelli_Gesù

284 ISBN

Massimo Bontempelli

Gesù di Nazareth. Uomo nella storia. Dio nel pensiero

Prefazione di Marco Vannini. Postfazione di Giancarlo Paciello

indicepresentazioneautoresintesi

***

«La ricerca della verità, anche storica, non procede mai sui binari del potere, religioso o civile, e neppure dell’accademia ad essi legata. È cosa, questa, ben nota, per cui non meraviglia che un insegnante di liceo del nostro tempo, ingiustamente rimasto ai margini della ribalta culturale, offra un significativo contributo a quella ricerca cui, quasi tre secoli fa, dette inizio un altro insegnante liceale: l’amburghese Hermann Samuel Reimarus.

Il libro di Bontempelli si situa infatti legittimamente in quella linea di indagine scientifica sulla “vita di Gesù”, iniziata appunto con Reimarus […] che ha avuto nel corso del ventesimo secolo ulteriori importanti sviluppi e che non è affatto terminata.

Identica è, infatti, l’impostazione critica e la metodologia: esaminare le fonti con la maggiore imparzialità possibile, esercitando la ragione senza tesi preconcette. Il libro dichiara esplicitamente fin dall’inizio questo programma e ad esso si attiene scrupolosamente, restando così equidistante tanto dalla letteratura devozionale quanto dal positivismo più rozzo».

Marco Vannini

 

Indice

Prefazione di Marco Vannini

Dal Gesù della tradizione cristiana al Gesù della storia

L’incontro con Gesù dopo la sua morte

Gli inizi di Gesù con Giovanni Battista

Gli anni oscuri di Gesù

L’anno luminoso di Gesù

Gesù nell’orizzonte di Gerusalemme

La tragica sconfitta di Gesù a Gerusalemme

Gesù nella storia e oltre la storia

 

 

Postfazione di Giancarlo Paciello

 

 


Massimo Bontempelli – IL PREGIUDIZIO ANTIMETAFISICO DELLA SCIENZA CONTEMPORANEA
Massimo Bontempelli (1946-2011) – Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?
Massimo Bontempelli – La convergenza del centrosinistra e del centrodestra nella distruzione della scuola italiana.
Massimo Bontempelli – In cammino verso la realtà. La realtà non è la semplice esistenza, ma è l’esistenza che si inscrive nelle condizioni dell’azione reciproca tra gli esseri umani, diventando così sostanza possibile del loro mutuo riconoscimento.
Massimo Bontempelli – Il pensiero nichilista contemporaneo. Lettura critica del libro di Umberto Galimberti « Psiche e tecne».
Massimo Bontempelli (1946-2011) – L’EPILOGO DELLA RAZIONALIZZAZIONE IRRAZIONALE: demente rinuncia alla razionalità degli orizzonti di senso, e perdita della conoscenza del bene e del male. L’universalizzazione delle relazioni tecniche ha plasmato la razionalizzazione irrazionale, razionalità che non ha scopi, che è cioè irrazionale.

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Salvatore Bravo – Il cacciatore globalizzato nel capitalismo assoluto

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Coperta 292

Salvatore Bravo

Il cacciatore globalizzato nel capitalismo assoluto

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Il cacciatore globalizzato nel capitalismo assoluto è onnivoro, ha smarrito la strada del bene e del male, è solo interno al visibile, alla merce ed alle sue immagini che ne colonizzano la carne privandola della sensibilità della comunicazione. Vive nell’immediatezza, consuma ogni prodotto nell’irrilevanza critica ed etica: ha fatto dell’attimo consumante l’ontologia della consolazione. Il mercato è il fondamento ontologico che si rispecchia nel suo pensiero. È l’automa cartesiano realizzato, privo di anima ma pronto all’azione imitativa. Vive l’imperio del caos, insegue i flussi dell’economia diventandone parte fino ad esserne parte indifferenziata, non pensa il suo tempo, lo insegue, lo annusa in cerca di selvaggina: la merce.

La vita allora si disfa in una temporalità segnata dal tempo liturgico del consumo senza limiti, e la chiamata al consumo non conosce soste. Vive l’incontro solo come occasione per soddisfare i suoi biologici interessi, divora l’altro.

Con questo saggio l’autore vuole contribuire a pensare l’epoca presente, a porre delle domande sul dominio del nulla sull’essere, sempre più incombente, sull’avanzare del deserto spirituale, nel dolore silenzioso dei tanti senza voce, senza destino. E chiama in causa la necessità di elaborare una filosofia capace di progettualità sociale e comunitaria.

 

Indice

Il cacciatore onnivoro

Il soggetto debole, ovvero il cacciatore

Il tempo della quantificazione: la vita oltre la vita

Gli abitanti della società liquida

Nella mente del cacciatore

L’uomo modulare

L’irrilevantocrazia

L’io nuvola

L’angoscia autentica

Il bisogno ontologico

La caverna del cacciatore

Il trascendentale dei cacciatori

La domanda nel tempo del neorealismo

La trasparenza dell’indifferenziato

Che fare?

Conclusioni


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Antonio Vigilante – Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore

Vigilante Antonio 001

coperta 293

Antonio Vigilante

Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore

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Tra gli ultimi anni dell’Ottocento e i primi due decenni del Novecento si assiste al repentino passaggio dalla fiducia incondizionata nei mezzi della scienza e della tecnica all’inquieta consapevolezza delle crisi della civiltà. Lev Tolstoj, Albert Schweitzer e Rabindranath Tagore, pur osservando la crisi da punti di vista diversi, concordano nel denunciare la violenza, il fanatismo identitario, l’alienazione della macchina, l’eclissi dello spirito. Ma non si limitano alla denuncia, né si chiudono in un rifiuto sdegnoso del mondo moderno. In opere dimenticate come Della vita e Il Regno di Dio è dentro di voi, il grande scrittore russo indica la via di un amore radicale e rivoluzionario, che attacca l’ordine costituito con la forza della sola persuasione morale. In Africa Albert Schweitzer, filosofo, teologo e medico missionario, ha l’intuizione del rispetto per la vita, una nuova visione morale che supera i confini di specie ed afferma il valore e il diritto al rispetto di ogni essere vivente. In Bengala Tagore, pur rivendicando l’identità culturale del suo popolo aggredito dal colonialismo, cerca una nuova civiltà mondiale, nata dal dialogo e dalla sintesi tra il pensiero scientifico occidentale e la spiritualità indiana.

Tre pensatori che in forme diverse, ma anche con singolari convergenze, combattono le chiusure fanatiche ed i nazionalismi che tante tragedie causeranno nel Novecento. Alla base di questa apertura interculturale c’è un atto esistenziale radicale: l’attraversamento del proprio ego, dell’identità con le sue consolazioni ed i suoi attaccamenti, e la conquista di una visione transpersonale che porta nella società la luce di una razionalità etica alternativa alla ratio dell’economicismo capitalistico.

 

 

 


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Alberto Manguel – La mia biblioteca è una sorta di autobiografia. Nel proliferare degli scaffali vi è un libro per ogni istante della mia vita. Segnano i miei anni come le pietre bianche che indicano la strada di un pellegrino.

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Il libro degli elogi

Il libro degli elogi

 

 

La mia biblioteca è una sorta di autobiografia. Nel proliferare degli scaffali vi è un libro per ogni istante della mia vita, per ogni amicizia, per ogni delusione, per ogni cambiamento. Segnano i miei anni come le pietre bianche che indicano la strada di un pellegrino.
Un’annotazione sul margine, una macchia di caffè, un biglietto del tram dimenticato servono a segnalare antichi anniversari.

 Alberto Manguel, Elogio del piacere

Elogio del piacere

 

La mia biblioteca è una sorta di autobiografia. Nel proliferare degli scaffali vi è un libro per ogni istante della mia vita, per ogni amicizia, per ogni delusione, per ogni cambiamento. Segnano i miei anni come le pietre bianche che indicano la strada di un pellegrino. Un’annotazione sul margine, una macchia di caffè, un biglietto del tram dimenticato servono a segnalare antichi anniversari. La mia copia del Don Chisciotte (in due volumi, curato da Isaías Lerner e Celina S. de Cortàzar, con illustrazioni di Roberto Páez, pubblicato dall’amata e compianta Eudeba, vittima come tante buone cose della dittatura militare) mi riporta al mio Colegio Nacional di Buenos Aires, alle affascinanti lezioni di letteratura spagnola in cui lo stesso Lerner, brillante erudito, ci comunicava la sua passione per la lettura lenta, insegnandoci a indugiare su un testo fino a conoscere a memoria la sua accogliente geografia. Lerner ci ha insegnato a diventare amici dei classici, a sentirli intimi senza lasciarci intimidire. La cronaca di quegli anni è tracciata nel mio Garcilaso, nella mia Celestina, nel mio Gonzalo de Berceo, nel mio Arcipreste de Hita. La mia amicizia con loro data da quelle lezioni.
Il mio piacere della lettura è ancora più antico. Racconti, leggende, avventure, le vite ricche e rischiose del Capitano Nemo, di Sherlock Holmes, di Renart la volpe e del Gatto con gli stivali, di Robinson Crusoe, di Pinocchio, di Narizinho, e di tanti altri che ho conosciuto tra le pagine di un libro, sono stati miei fin da prestissimo. Due aspetti della lettura mi davano piacere soprattutto: conoscere la conclusione dei loro viaggi e poterla dimenticare quando riaprivo il libro ancora una volta. Una delle meraviglie della lettura, comune nei bambini e nei lettori di una certa età, è la ripetizione. I teologi hanno decretato che neppure Dio può ripercorrere il passato; tale potere negato a qualsiasi Autore appartiene tuttavia a ogni lettore disposto a ritornare alla prima pagina di un racconto.
Piacere del dialogo con antichi illuminati, piacere dell’avventura straordinaria. Ancora, e non minore, piacere dell’esperienza indiretta, vissuta da un altro soltanto per noi. Vivere nell’Inghilterra di Dickens, nella Madrid di Galdós, nella Sicilia di Pirandello; assistere alle scoperte di Fabre e di Plinio; sentire la passione di Medea, la desolazione di Törless, la ribellione di Montag, la tristezza di Pel di carota – essere, per un momento, quel che hanno sognato di essere quelle creature soavemente immortali. Vivere l’impossibile: perdermi nell’oscuro piacere degli incubi di Bioy Casares, di Stevenson, di Wells, di Silvina Ocampo, di Cortázar, di Tibor Déry, di Kobo Abe.
A volte, la funzione dei miei libri è rivelatrice. Leggere per la prima volta Benjamin, sir Thomas Browne, Chesterton, Calasso, Vila-Matas ed essere guidato attraverso un luminoso labirinto di idee che sembra costruito per aiutarmi a pensare, diventa per me un’esperienza equivalente all’illuminazione di cui parlano i sapienti. In quelle sere epifaniche il piacere è puramente e profondamente intellettuale, un atto di cui le nostre società oggi disprezzano il valore.

Alberto Manguel, Il libro degli elogi, Archinto, Milano 2009, p. 57.

 

 


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