Ivan Illich (1926-2002) – Lessico unidirezionale: «inclusione» contro «emancipazione». Un tempo il crescere non era un processo economico. Oggi gli stessi genitori sono diventati insegnanti ausiliari responsabili degli input di capitale umano, per usare il gergo degli economisti, grazie ai quali i loro rampolli otterranno la qualifica di “homo oeconomicus”.

Genere. Per una critica storica dell'uguaglianza

Genere. Per una critica storica dell’uguaglianza

Salvatore A. Bravo

Lessico unidirezionale

I sistemi di potere proliferano, divengono capillari, strutturano i pensieri diffondendo parole, escludendone altre: censura linguistica-lessicale. La contrapposizione, il polemos (Πόλεμος) linguistico, è la condizione della democrazia, della comunità viva che veicola con le parole il confronto concettuale. In assenza di polemos linguistico non vi è che lo scorrere delle parole lungo un asse unidirezionale. Le parole sono apprese, ripetute, formulano rappresentazioni finalizzate a puntellare la caverna dei nostri mondi. Il sole che illumina fuori della caverna, il bene, è la libertà di parlare – con cognizione di sé – dei modi di produzioni, la parresia (παρρησία, ciò che viene detto). Non vi è comunità se non con la parola plurale, dialettica, nella quale (e con la quale) ci si confronta per capire, nella quale (e con la quale) si studia la storia per evidenziare in modo contrastivo le differenze. Un mondo senza parole dialettiche è unidirezionale, convoglia verso uno spazio ed un tempo eguale per tutti. La forza del sistema è nel ridurre le differenze a simulacro. Il simulacro è l’immagine allo specchio svuotata di ogni suo contenuto formale, di ogni passaggio dalla potenza all’atto. È possibile per tutti dichiarare la propria differenza, ostentarla fino al ridicolo, purché non intacchi la struttura dell’economia. Le differenze-simulacro, ombre della forma, una volta devitalizzate della loro carica trasgressiva pensante, sono interne al sistema. Possono scorrere all’interno dell’invisibile recinto, la loro differenza è semplice apparenza: l’involucro, il simulacro non cela la verità, è diventato la sostanza seriale del capitale. È il regno del dicitur, della chiacchiera (Gerede) senza alcun fondamento (Grund). Le differenze in tal modo non impensieriscono, non ricevono l’ostilità di alcuno, anzi sono trofei ideologici che rafforzano il sistema, il quale si presenta come democratico, mostra a caratteri cubitali “la libertà seriale”, di cui non si deve avere paura.

La sussunzione linguistica
La sussunzione, la sottomissione linguistica, non è riconosciuta: opera attraverso un invisibile guinzaglio lessicale. L’ostilità verso la cultura classica, verso la filosofia teoretica, non riposa soltanto nella presunta sua inutilità al lavoro, ma essa ha un’eccedenza di ragioni non esplicite: le parole teoretiche, i grandi quesiti della cultura classica e filosofica, disorientano, lasciano intravedere la verità del pensiero unico, il fondamento nichilistico, l’integralismo della caverna. Sono eliminati dal curriculum scolastico, ridotte a discipline secondarie, su di esse scorre un giudizio economico: non producono a sufficienza, per cui si invita la popolazione scolastica e non a viverle che come esperienza breve e fugace dell’adolescenza, una breve malattia da cui si guarisce.

L’inclusione
Il disprezzo si struttura nella logica dell’inclusione, del “mettere dentro”, del recintare liberamente le vite di tutti. In ogni documento scolastico, in ogni trasmissione televisiva la parola che fortemente è ripetuta è “competizione”. Il trattato di Lisbona del 2007 è esplicito all’articolo 86: l’Europa dev’essere altamente competitiva. La competizione dev’essere inclusiva, la grande novità dell’Europa post 1989 è l’inclusione, l’eguaglianza dei soggetti in funzione del mercato: nessuno dev’essere lasciato fuori del mercato. Tutti – nelle loro differenze – devono essere accolti nel mercato, ed inclusi: lo scandalo è restarne fuori, per cui ogni resistenza all’inclusione è persino medicalizzata. Un esercito di psicologi e medici scrutano il disagio dei resistenti per normalizzarlo, per deprivarlo della capacità creativa-oppositiva e renderlo normale e felice, come gli altri, pronto ad entrare nel recinto dell’inclusione.

La formazione come esperienza economica
La formazione dev’essere oggi per il capitalismo mondializzato un’esperienza economica. Non si forma il cittadino, la persona, ma l’homo oeconomicus. Tutti devono essere inclusi nel processo di governo delle esistenze funzionali all’economia, sin dall’età più tenera. Ogni sistema totalitario è attento alla formazione dei più piccoli:

«Un buon esempio è l’istruzione. Un tempo il crescere non era un processo economico: ciò che un ragazzo o una ragazza imparavano a casa propria non era scarso. Ognuno apprendeva a parlare la sua lingua vernacolare nonché le conoscenze indispensabili per una vita vernacolare. Sarebbe stato impossibile, salvo rare eccezioni, definire la crescita un processo di capitalizzazione della popolazione attiva. Oggi tutto questo è cambiato. I genitori sono diventati insegnanti ausiliari all’interno del sistema didattico. Sono responsabili di quegli input fondamentali di capitale umano, per usare il gergo degli economisti, grazie ai quali i loro rampolli otterranno la qualifica di “homo oeconomicus”. È quindi del tutto ragionevole che l’economista attivo nel settore didattico si preoccupi di come convincere la madre a iniettare la maggior quantità possibile di input di capitale non rimunerato nel proprio bambino. […] Quando i bambini entrano in prima elementare, esistono già tra loro differenze rilevanti nelle capacità verbali e matematiche. Tali differenze rispecchiano anzitutto variazioni in termini di doti naturali e in secondo luogo la quantità di capitale umano che il bambino acquisisce prima dei sei anni. Lo stock di capitale umano acquisito rispecchia, a sua volta, differenti input di tempo e di altre risorse da parte di genitori, insegnanti, fratelli e del bambino stesso. Il processo d’acquisizione prescolare di capitale umano è analogo alla successiva acquisizione di capitale umano attraverso la scolarizzazione e la formazione sul luogo di lavoro. Gli input non rimunerati di tempo e di fatica investiti dalla madre nella capitalizzazione del figlio sono qui correttamente presentati come la prima fonte di formazione del capitale umano. E anche chi consideri ridicole queste espressioni, deve necessariamente ammettere la realtà dei loro contenuti in una società in cui le capacità sono ritenute scarse e devono essere prodotte economicamente».[1]

L’inclusione è nel segno della riduzione della persona e delle differenze ad inclusione per la competizione. Tutti devono essere messi al nastro di partenza pronti ad una lotta darwiniana. La sofferenza, il disagio dei resistenti, gli alunni che devono forzare la loro natura per riorientarla secondo i dettami dell’economia, è un problema mai affrontato. Nelle scuole si spendono risorse contro il bullismo, per proiettare la violenza su pochi adolescenti disagiati e non svelare che l’inclusione è l’istituzionalizzazione del bullismo. L’orientamento scolastico è fortemente indirizzato verso alcune facoltà, mentre l’orientamento verso le facoltà umanistiche è ridotto a presenza burocratica veloce.
L’inclusione deve formare all’economia, il neoliberismo esige e caldeggia le libertà delle merci, ma non delle persone che le devono servire: tutti servi, tutti uguali.

L’emancipazione
L’emancipazione è parola scomparsa. Essa è, invece, costitutiva della nostra costituzione rispettosa della volontà di ciascuno, è la libertà dai condizionamenti, dai recinti sociali e cognitivi in cui le persone sono costrette. In particolare gli articoli 46 e 47 della Costituzione, per emancipare il soggetto dall’economia, dal suo determinismo, prevedono la partecipazione alla gestione dell’azienda, in modo che vi sia democrazia integrale:

«Art. 46.
Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende».
«Art. 47.
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».

L’emancipazione è libertà implicante coscienza sociale collettiva, nella quale si concretizza la libertà. L’esperienza della libertà è attività, partecipazione, mentre l’inclusione è passività: il soggetto non discute il sistema, è immesso al suo interno senza la possibilità di scegliere. La terribilità della condizione attuale è che, malgrado le violenze delle controriforme, i lavoratori, le classi medie, non concepiscono minimamente la possibilità di discutere il sistema che li aliena, anzi talvolta sono il veicolo più immediato che puntella il sistema. Naturalmente una delle cause è l’istruzione per come oggi viene intesa e praticata: essa deve formare l’imprenditore, per cui quest’ultimo è giudicato intoccabile, figura semimetafisica ed astratta. L’istruzione, invece, nel dettato costituzionale, è libera dai condizionamenti del mercato, perché deve formare la persona: essa ha il compito di liberare dai condizionamenti. Il dettato costituzionale è nell’ottica dell’emancipazione e non dell’inclusione. Così recita l’articolo 3:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale [cfr. XIV] e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso [cfr. artt. 29 c. 2, 37 c. 1, 48 c. 1, 51 c. 1], di razza, di lingua [cfr. art. 6], di religione [cfr. artt. 8, 19], di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Gioverebbe dunque ripartire dalla lettera e dallo spirito antieconomicistico e umanistico del dettato costituzionale in merito, e dal concetto di emancipazione che sostanzia i suoi articoli, mentre i manutengoli del capitalismo mondializzato nel nostro Paese si fondano sul regime dell’inclusione che rendono le persone strumenti passivi di forze economiche ipostatizzate.

Salvatore A. Bravo

[1] Ivan Illich, Genere. Per una critica storica dell’uguaglianza, Gender, 1982, pp. 32-33; Neri Pozza, Vicenza 2013.


Ivan Illich (1926-2002) – Lo studio porti il lettore alla sapienza e non ad accumulare conoscenze al solo scopo di farne sfoggio. Il lettore è uno che si è volontariamente esiliato per concentrare tutta la propria attenzione e il proprio desiderio sulla sapienza.

Ivan Illich (1926-2002) – Eutrapelìa. Due sono le chiavi di questa virtù: il sorriso e la misura. L’austerità non significa isolamento o chiusura in se stessi. L’austerità fa parte di una virtù più fragile, che la supera e la include, ed è la gioia, l’eutrapelìa, l’amicizia.


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Plotino (203-270 d.C.) – Realizzando una vita più nobile siamo parte di una sorte più elevata.

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Enneadi

«Più di una volta mi è capitato di riavenni, uscendo dal sonno del corpo, e di estranianni da tutto, nel profondo del mio io. In quelle occasioni godevo della visione di una bellezza tanto grande quanto affascinante che mi convinceva, allora come non mai, di fare parte di una sorte più elevata, realizzando una vita più nobile: insomma di essere equiparato al divino, costituito sullo stesso fondamento di un dio».

Plotino, Enneadi, IV, 8, 1, tr. di Roberto Radice, Mondadori, Milano 20032, p. 1123.

 


Plotino (203-270 d.C.) – Cominciamo col fare del bello e del bene un solo e identico principio. Togli il superfluo, raddrizza ciò che è storto, lucida ciò che è opaco perché sia brillante, e non cessare mai di scolpire la tua statua, finché alla tua vista interiore appaia la temperanza.


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