Franco Marcoaldi – Torna alla luce il libro «Lo stolto» di Diego Lanza, grande classicista mosso da inesausta curiosità conoscitiva che varca ogni orto disciplinare. Ed ecco Bertoldo, Arlecchino, Pinocchio e il brutto anatroccolo, ma anche, e soprattutto, Socrate. In testa e in coda al libro due testi esemplari di Massimo Stella e Gherardo Ugolini.

Franco Marcoaldi 01
Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

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Dobbiamo esser grati alla casa editrice petit plaisance per aver riportato alla luce Lo stolto, specialissimo libro del grecista Diego Lanza, da tempo assente dalle nostre librerie, che ora rivive in una nuova veste, infiocchettato in testa e in coda da due testi esemplari di Massimo Stella e Gherardo Ugolini. Scomparso nel 2018, in questo saggio del 1997 Lanza mostra tutto il rigore del grande classicista, che con fare ardito e mosso da inesausta curiosità conoscitiva varca ogni orto disciplinare per inoltrarsi nell’inestricabile selva dei mille “stolti”, veri o fantastici, che nel corso dei secoli hanno messo a soqquadro il senso comune. Ecco così comparire Bertoldo, Arlecchino, Pinocchio e il brutto anatroccolo, ma anche, e direi soprattutto, Socrate. Proprio lui: il padre del pensiero filosofico occidentale. Non è però è il Socrate addomesticato di certe «riletture liberali» che lo presentano quale «prototipo di civile confronto». Al contrario, qui si rivela «sempre aggressivamente incalzante, non lascia spazio al dissenso: gli interlocutori o sono costretti a contraddire le loro stesse affermazioni oppure finiscono isolati nella loro ridicola presupponenza». Il «sapere di non sapere» di quest’uomo brutto e trascurato, che ama bere e ha i tratti del satiro, incarna la mina vagante di ogni ratio pacificata. La compenetrazione profonda di clownerie e pensiero abissale è per lui una costante, e il demoniaco che lo anima dimostra come il principium sapientiae abbia assoluto bisogno del principium stultitiae.

Ce lo rammenta con chiarezza l’ultima pagina del saggio: «La risata, che si accompagnava alla stultitia, la risata dello stolto e sullo stolto, poté apparire per molto tempo segno di pluralità pericolose per l’identità della ragione». E tuttavia «il conflitto di ragione e sragione era il segno della loro reciproca complementarietà, del perenne rigenerarsi della ragione da quel che essa avvertiva altro da sé». Il problema, semmai, subentrerà dopo, nel nostro più puerile presente: «Sotto la luccicante policromia del pluralismo postmodemo, sotto il futile moltiplicarsi delle sue ragionevoli irragionevolezze, pare invece consumarsi una più potente omologazione, segnata dall’irrevocabile scomparsa di ogni efficace stultitia». E lo stolto eversivo e drop-out lascerà spazio allo stupido di massa, «che sembra guidare il riso dei suoi simili», mentre ne è soltanto lo specchio fedele.

Franco Marcoaldi, Da Arlecchino a Bertoldo ode agli stolti, «Robinson Libri», la Repubblica, 11-07-2020, p. 12


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Franco Marcoaldi…

A mosca cieca, Einaudi 1992


Voci rubate, Einaudi, 1993


Celibi al limbo, Einaudi, 1995

Un poemetto che, in tono malinconico, ironico, apparentemente svagato e minimalista, intende toccare invece i grandi temi dell’uomo contemporaneo. Fra intimismo e riflessione filosofica.


Il vergine, Bompiani, 1998


L’isola celeste, Einaudi 2000

La raccolta poetica prosegue, da un lato, la congiunzione tra ordinario e straordinario, tra alto e basso, tra quotidianità e letteratura, già percorsa dall’autore; dall’altro, la visione poetica si fa sempre più ampia e profonda. Anche il linguaggio si pone come una ripresa e al contempo come un superamento di quello già sperimentato: rimangono la leggerezza melodica, la felicità narrativa, il folgorante lavoro su rime e ritmi, la convivenza tra lingua parlata e lingua poetica, ma qui il poeta ha compiuto un ulteriore lavoro in direzione della cantabilità, di un perfetto amalgama tra ironia ed emozioni.


Patanella dreams, con Giosetta Fioroni, Lubrina-Leb 2001


Teatro di pietra. Carlo Leidi e i calvaires bretoni, Lubrina-Leb 2002


Benjaminowo: padre e figlio, Bompiani, 2004

Ritrovandone i diari, un uomo inizia un dialogo con il passato del padre. Rileggendo il racconto della resa dell’8 settembre, della deportazione in un campo di concentramento, il figlio risponde, dal presente, alla memoria del padre, riscoprendone i ricordi e, con essi, la propria infanzia. Mentre i diari rievocano la paura e le privazioni del campo, fino alla liberazione da parte delle forze alleate e al ritorno a casa, il figlio ricostruisce i tasselli dell’identità del padre e, di conseguenza, della propria, in un percorso di formazione alla fine del quale potrà pronunciare, insieme al diario, “dalle rovine si nasce”, un verso corale che esprime la forza del rinnovato legame con il padre.


Gaetano Cipolla. Carte a proposito di Seneca, Lubrina-Leb, 2005


Animali in versi, Einaudi 2006

Franco Marcoaldi evoca la tradizione esopiana e dei bestiari medievali, che sapevano cogliere negli animali i segni di verità spirituali e insegnamenti morali, e le prove novecentesche di Apollinaire e Marianne Moore. Costruisce un bestiario in versi in cui compaiono cani e gatti, ma anche fringuelli, lucertole, cicale e tanti altri esseri viventi che, a differenza degli uomini, vivono un’esistenza piena e sapiente.


Il tempo ormai breve, Einaudi 2008

Al centro della nuova raccolta di Franco Marcoaldi non ci sono piú gli animali e il loro modo istintivo di capire l’universo. C’è il tempo, in tutte le sue sfaccettature: quello da vivere, sempre piú corto man mano che gli anni passano; quello delle discussioni dei filosofi, a partire da Agostino; quello frenetico dei commerci quotidiani, che non consente né pause di riflessione né quei vuoti, quelle assenze che permettono di cogliere il respiro pieno di ciò che sta intorno a noi e di cui facciamo parte.


Grazianio Gregori. Ecce Homo. Bassorilievi e sculture, con Daniele Abbado, Lubrina-Leb 2009


Sconcerto, Bompiani, 2010

La recita sociale, il consumismo compulsivo, le morti sul lavoro, la sete di potere della classe dirigente, gli oscuri meccanismi della finanza, l’immigrazione, una lingua sempre più astratta e irrelata… Com’è possibile orientarsi in un mondo così confuso? Dov’è il senso? Da queste domande è travolto un direttore d’orchestra, che quasi dimentica di dirigere i suoi strumentisti. Fra pause, dubbi, incertezze, interrogativi enormi e piccole verità, il musicista riscopre come proprio la musica possa essere il mezzo per passare dal caos al cosmo, per ritornare al cuore semplice della vita. Dall’incontro eccezionale di tre artisti, un libro che è anche uno spettacolo teatrale diretto e interpretato da Toni Servillo con l’Orchestra del Teatro San Carlo, musica di Giorgio Battistelli, testo di Marcoaldi.


Baldo. I cani ci guardano, Einaudi, 2011

Baldo è un cane tra gli altri, che attende il suo padrone. Ed ecco che in una frizzante mattina di settembre arrivano Uomo e Donna. E lo scelgono. E una scelta affidata al caso, frettolosa e superficiale, eppure in ballo c’è un’intera vita da trascorrere insieme. Così Baldo inizia a fare esperienza del mondo umano, pieno di ossessioni e di meccanismi astrusi e lambiccati. Poco alla volta comprende che gli uomini sono prigionieri di catene invisibili che li riportano sempre al punto di partenza. La dimensione da cui ci osserva, con occhio ironico e compassionevole, è quella di un presente assoluto, dei piccoli gesti che si ripetono, delle meravigliose scoperte legate alla semplicità dei sensi. Ma nella naturale accettazione del mondo per come è si nascondono considerazioni venate di profonda e involontaria saggezza che Baldo suggerisce al padrone, Uomo, invitandolo a disfarsi degli inutili fantasmi che accompagnano le sue giornate. Col passare degli anni, la speciale sintonia che li unisce produce un desiderio di sconfinamento l’uno nell’altro, un rapporto privilegiato, fatto di silenzi e dialoghi che si affidano all’ambiguo “gioco degli occhi”, e che si realizza in uno spazio nuovo, a mezza via: quello della “felice confusione tra specie diverse”.


La trappola, Einaudi, 2012

“Compattezza tematica, potenza e duttilità della metafora, ritmo e sonorità a scatti, con accelerazioni e rallentamenti, ribattute e controtempi. Le caratteristiche tipiche della poesia di Marcoaldi risultano potenziate al massimo in questa sua nuova raccolta in cui la tradizione poetica europea si sposa con l’influenza della sapienza orientale e delle sue forme. Le trappole della vita sono ovunque, nelle leggi della natura, nella politica e anche nell’economia, che oggi più che mai domina il mondo. Ma sono soprattutto dentro la mente degli uomini. Hanno la forma di regole, meccanismi, abitudini, falsi obiettivi che provocano angoscia e allontanano dalle gioie più autentiche. Quasi componendo una piccola guida dei perplessi, i versi di questo libro smontano l’insieme degli artifici sociali con interrogazioni continue, epigrammi sospesi nel silenzio a catturare frammenti di energia da cui ripartire.”


Il mondo sia lodato, Einaudi, 2015

Soltanto un poeta poteva compiere oggi l’azzardo di una lode del mondo, basata sull’immaginazione e sulla sensibilità. Tornando alla forma già sperimentata del poemetto, Franco Marcoaldi sviluppa un flusso verbale dal ritmo incalzante che orchestra i temi della vita quotidiana e dello spirito in un rimando continuo dall’universo naturale al mondo storico, dall’autobiografia alla letteratura in una libera e viva scorribanda nei territori del pensiero analogico. All’apparenza “II mondo sia lodato” è una preghiera laica di intonazione francescana sulla bellezza e la meraviglia del creato. In realtà Marcoaldi loda il mondo nonostante gli infiniti turbamenti in cui incorre chi lo abita, e proprio quel nonostante è l’anima nascosta del libro. Nel suo procedere, il poemetto attraversa l’amarezza delle cose umane nella loro vicissitudine di violenza, malattia, depressione, morte, ma incontra anche il demone erotico, e con esso il sogno, la fantasia, e i libri e le figure del passato che illuminano il presente. Se l’invocazione di lode resiste come un mantra è per lo sforzo generoso di una pietas consapevole e di un’attenzione costante alle pieghe infinite e alle corrispondenze sotterranee dell’esistenza. Così il poemetto che loda il mondo si fa mondo, e convoca in coro altre voci, altri poeti, altri pensatori, in una ridda di rimandi e citazioni che immancabilmente si accordano nell’antifona ricorrente: “Mondo, ti devo lodare”. Espressione di umiltà e gratitudine nei confronti della vita.

Vincitore Premio Internazionale Capalbio 2016 – Sezione Poesia


Di bestie e animali, con Ferdinandio Scianna, Contrasto, 2017


Tutto qui, Einaudi, 2017

Dopo l’importante punto di arrivo raggiunto col poemetto Il mondo sia lodato, la nuova raccolta di Franco Marcoaldi prosegue nel percorso interiore dell’autore tra ricerca sapienziale e piccoli gesti salvifici, mentre il mondo esterno sembra sempre piú dominato dalla brutalità.
Il libro si apre con una scena di “perdita di tempo”: l’imbucarsi in un cinema semivuoto per vedere un vecchio film, «due ore | rubate al lavoro, una sposa tradita». Il tema del perdere tempo, ripreso in altre poesie («Perdo il mio tempo guardando | il gatto che fissa l’infinito | come nessuno di noi saprebbe fare?»), è uno dei fili conduttori della raccolta: perdere tempo per trovare se stessi, lasciar cadere le maschere, far tacere i tamburi del narcisismo quotidiano, conquistare uno spazio di silenzio. Questo tipo di esercizi zen richiede prima di tutto professione di umiltà. Ai potenti, agli arroganti, ai troppo sicuri è preclusa qualsiasi via che porti a un momento di autenticità. Umiltà e arroganza però possono presentarsi fuse insieme, e dunque: «Come tenere a bada quella metà | avariata di me stesso che reclama | di continuo voce e combina | di continuo danni?» Quest’ultimo di Marcoaldi è un libro di “esercizi spirituali” per laici, un prezioso breviario per attraversare i dissidi interiori alla ricerca di una piú umana armonia con la natura.


Una certa idea di letteratura. Dieci scrittori per amici, Donzelli, 2018

Nella pericolosa confusione dei nostri giorni, non sarà proprio la letteratura a offrirci la lingua per una nuova, possibile amicizia tra gli uomini? Se oggi la vita interiore di ogni singola creatura è minacciata come mai prima nella sua potenzialità espressiva, la letteratura ne rivendica la costitutiva irriducibilità davanti a ogni imposizione, ogni norma preconfezionata. Il poeta Franco Marcoaldi elegge a numi tutelari di un letterario viaggio dell’anima dieci grandi figure del Novecento: Svevo, Zanzotto, Musil, Szymborska, Canetti, Caproni, Brodskij, Hrabal, Unamuno, Meneghello. Con ciascuno di loro intrattiene un dialogo stretto, serrato; a volte reale, concreto, diretto; altre volte fantastico, maturato soltanto attraverso la pagina scritta. In quegli amici e maestri ritrova le medesime questioni che angustiano la sua esistenza e ricerca: lo scarto incomponibile tra sentimento e ragione; l’inafferrabilità angosciosa del tempo; il mistero invadente della sessualità; il rovesciamento ironico come strategia di difesa; la dialettica potere-libertà; l’enigma del mondo animale; l’inesausta ricerca di un senso anche là dove non si riesca a rintracciarlo. I dieci autori prescelti sono quanto mai diversi tra loro, e tuttavia Marcoaldi riesce a raccoglierli idealmente nell’ascolto delle stesse, imprescindibili domande. Bene lo si intuisce nelle pagine finali del libro, dedicate a Luigi Meneghello. Se sbirciamo nella sua specialissima «bottega», lo troveremo intento a lavorare da solo al tornio delle parole, per compiere il suo piccolo «capolavoro». E lì che lo scrittore, ogni scrittore, incontra una fatica che a volte si converte in sconforto. Eppure non può smettere, perché ubbidisce all’urgenza di cogliere la vitrea sostanza che sta dietro alle cose del mondo. E per perseguire tale risultato ha bisogno tanto della propria caparbia convinzione, quanto di un costante e nutriente scambio con l’esterno. Nasce così quella «certa idea di letteratura» come amicizia, come condivisione di esperienze, che l’autore ci propone in queste pagine preziose.


Il padre, la madre, con Marilù Eustachio, Le farfalle, 2019

«In modo mirabile questo specialissimo libro rinverdisce l’antico detto “ut pictura, poesis” – che sta all’inizio dell'”affair” tra pittura e poesia. La nostra tradizione crede nella relazione tra le arti sorelle e seguendo tale fede nei secoli i pittori si sono ispirati a motivi letterari per le loro composizioni; mentre i poeti hanno cercato di evocare immagini a cui soltanto le arti plastiche potevano rendere giustizia. L'”affair” si ripete tra i versi di Franco Marcoaldi e i segni di Marilù Eustachio». (Dal risvolto di copertina di Nadia Fusini).


Amore con Amore. Cento poesie, La nave di Teseo, 2019

In cento poesie, per buona parte inedite, Franco Marcoaldi indaga questa fantasmatica e concretissima passione universale affidandosi a una tastiera dai toni e timbri i più diversi: tenerezza incantata e accensioni sanguigne, impeto romantico e un’ironia beffarda che a volte sconfina nel sarcasmo.
Una divinità capricciosa e imprevedibile governa le nostre esistenze. Si chiama Amore ed è capace di farci perdere la testa per un’altra creatura in un crescendo di febbrile erotismo e impagabili dolcezze. Ma quella stessa divinità, grazie alla sua multiforme e inafferrabile natura, può prendere anche direzioni diverse. Spingendoci a stravedere per un animale, a dialogare con i morti, a esprimere piena gratitudine verso il regno del vivente. Quando invece prevale il lato d’ombra dell’Amore, quell’incontenibile slancio si converte all’improvviso in chiusura, noia, insofferenza, feroce sete distruttiva. Franco Marcoaldi riprende qui il filo di un suo fortunato canzoniere di vent’anni fa. E in cento poesie, per buona parte inedite, indaga questa fantasmatica e concretissima passione universale affidandosi a una tastiera dai toni e timbri i più diversi: tenerezza incantata e accensioni sanguigne, impeto romantico e un’ironia beffarda che a volte sconfina nel sarcasmo. Perché Amore convive sempre con il suo contrario.

Diego Lanza, Lo stolto

Diego Lanza

Lo stolto

Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune.

Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

indicepresentazioneautoresintesi

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, , Euro 35 – Collana “Il giogo” [118].


Socrate, Till Eulenspiegel, Pinocchio, ma anche Solone, Bruto, i profeti di Israele, Bertoldo, Giufà, i «santi folli» di Bisanzio … Sono innumerevoli i personaggi che trasgrediscono il senso comune; figure spesso ridicole, ma portatrici tutte di verità inquietanti di cui la ragione dominante diffida, delle quali tuttavia non può fare a meno. Ciò che si mantiene nella fiaba, nel romanzo, nella letteratura filosofica e religiosa non è tanto la fisionomia dell’insensatezza quanto il suo rapporto conflittuale di esclusione/complementarietà con la ragione, con il sistema dei valori etici e affettivi accettati come fondamentale norma di convivenza. Lo stolto e la stoltezza non costituiscono un elemento chiaramente definibile e persistente della tradizione culturale europea, un topos, ma piuttosto un’incognita alla quale ogni volta si attribuisce ciò che disturba il senso comune. È il senso comune, cioè la razionalità riconosciuta da ciascun assetto sociale come sua propria, che stabilisce quel che deve apparire ripugnante, ridicolo, riprovevole. La figura dello stolto e l’immagine della stoltezza mutano perciò a misura dei cambiamenti del senso comune e della razionalità che le definiscono, serbando tuttavia, di mutamento in mutamento, importanti tratti del passato. Il viaggio intrapreso alla riscoperta delle molte e molto differenti raffigurazioni dello stolto conduce a interrogarci sul difficile ma tenace equilibrio che governa il gioco tra verità e riso, scherzo e ragione.


Diego Lanza, Lo stolto. Scheda editoriale

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Enrico Berti – Senza filologia non c’è buona filosofia, ma senza filosofia la filologia, almeno ai filosofi, non interessa.

Enrico Berti, filologia - filosofia

La scarna indicazione, che Giambattista Vico offre nella Scienza nuova, della differenza tra la filosofia, «scienza del vero», e la filologia, «coscienza del certo», ha sicuramente una portata universale, cioè sta a indicare due momenti della conoscenza in generale, quelli che già Aristotele aveva caratterizzato come conoscenza del «che» (hoti), ovvero esperienza, e conoscenza del «perché», ovvero scienza, presupponendo che la conoscenza del vero sia, appunto, conoscenza del perché, cioè della causa (Metaph., I 1.981a 28-30; II 1.993 b 23-24). Se però si applica tale distinzione allo studio storico di un filosofo, come intenderei fare nella presente occasione, la filologia assume il suo significato più circoscritto, e anche più proprio, di conoscenza dei testi, cioè di «che cosa» il filosofo ha esattamente detto, o meglio scritto, e la filosofia assume il significato di spiegazione di tali testi, cioè di conoscenza del «perché» l’ha detto («causa» infatti, nel senso aristotelico, indica qualunque tipo di spiegazione).

Ovviamente il momento filologico è tutt’altro che semplice, perché non si riduce alla comprensione del dettato linguistico, ma include anche l’accertamento della sua autenticità, cioè della sua effettiva appartenenza all’autore studiato; della sua affidabilità, cioè dell’attendibilità dei testi, per gli antichi in genere manoscritti, in cui esso è contenuto, e quindi dell’origine e della storia di questi; del suo esatto significato lessi cale e grammaticale, e quindi del lessico e della grammatica delle lingue antiche. Non meno importante dell’accertamento di che cosa un filosofo ha realmente detto è l’accertamento di che cosa egli non ha detto, cioè di che cosa non si trova affatto nei suoi testi, il che serve a evitargli attribuzioni troppo generose, o troppo rancorose, di dottrine da lui non mai effettivamente professate.

Il momento filosofico, a sua volta, ha tutta la complessità messa in luce dalle diverse forme di ermeneutica, e quindi comprende la conoscenza del contesto anzitutto testuale (l’intera opera e l’intero corpus delle opere del filosofo), ma poi anche culturale, sociale, insomma storico in generale, e la conoscenza delle interpretazioni che di un testo sono state date nella storia, delle controversie che esso ha suscitato, dell’influenza che esso ha esercitato, ma anche la valutazione del significato che esso ha per noi oggi, cioè del suo valore, sia pure relativo, di verità. È più onesto, infatti, che tale valutazione sia esplicita, piuttosto che taciuta e tuttavia tacitamente operante e influente sull’interpretazione. In tal modo il lettore sarà più libero di prendere, a sua volta, posizione, e di giudicare l’attendibilità dell’interprete. Va detto infatti che, almeno nello studio dei filosofi, la filologia è di per sé poco interessante, se non serve a una conoscenza approfondita del loro pensiero, la quale permetta eventualmente di farne tesoro per il proprio modo di pensare. La tesi che intendo proporre è che senza filologia non c’è buona filosofia, ma senza filosofia la filologia, almeno ai filosofi, non interessa.

Enrico Berti, Filosofia e filologia nello studio di Aristotele, in Id., Storicità e attualità di Aristotele, Edizioni Studium , Roma 2020, pp. 51-52.


Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.
Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.
Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.
Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno
Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.
Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].
Enrico Berti – «Scritti su Heidegger».
Enrico Berti – Recensione al libro di Maurizio Migliori, «Il “Sofista” di Platone. Valore e limiti dell’ontologia». Per migliori il “Sofista” mostra che in Platone l’amore del dialogo supera ogni desiderio di affermare tesi particolari.
Enrico Berti – La crematistica va contro la stessa natura dell’uomo, è ingiusta e immorale. Vorrei una città in cui l’uomo realizzi tutte le proprie capacità, non solo fisiche, ma anche spirituali, per mezzo dell’educazione, dell’arte, della scienza, della filosofia.
Enrico Berti – Aristotele non era un teologo.
Enrico Berti – La fortuna di Aristotele nella storia della cultura. Oggi le sue idee sono tornate in auge in tanti modi: come l’irreversibilità del tempo di I. Prigogine, l’unità mente-corpo o il continuo matematico in R. Thom. Fanno sorridere le accuse rivolte ad Aristotele da Heidegger e dai suoi inconsci epigoni.
Enrico Berti – Pensare con la propria testa? La filosofia deve essere insegnata a tutti per sviluppare in ciascuno la razionalità, lo spirito critico, la capacità di “pensare con la propria testa”. Filosofare significa fare filosofia insieme con i grandi filosofi, “confilosofare” con loro.
Enrico Berti – Il platonismo ha il grande merito di mostrare che c’è un’altra possibilità, che dunque la giustizia è possibile. Un messaggio che lascia indifferente chi se la spassa, ma non chi soffre, lotta e spera. Non si tratta, con buona pace di Nietzsche, di nichilismo, né passivo né attivo, né, con altrettanta pace di Heidegger, di oblìo dell’essere, ma di autentico impegno, filosofico, etico e politico.
Enrico Berti – Nuovi studi aristotelici. Volume V – Dialettica – Fisica – Antropologia – Metafisica
Enrico Berti – Il dio di Aristotele.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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