Petite Plaisance – Non delineando l’alternativa possibile al modo di produzione capitalistico, la si nega di fatto come alternativa possibile. Esattamente con il proprio “non pensarla”, o negando valore alla modellizzazione teorica della sua possibile realtà, proprio per questo non la si rende alternativa desiderabile e praticabile.

delineare

Se datiamo l’inizio consapevole del movimento comunista al 1848, ovvero al famoso Manifesto di Marx ed Engels (ma tale inizio potrebbe essere anche di molto retrodatato), è possibile verificare che in oltre 150 anni tale movimento non si è ancora messo d’accordo non solo sulle modalità sociali con cui dovrà strutturarsi il modo di produzione comunista, ma addirittura sul contenuto della stessa idea di “comunismo”.
È stata anche sostenuta,  erroneamente, la tesi che, essendo il comunismo il «movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti», non è corretto «scrivere ricette per le trattorie dell’avvenire».
Definire invece l’idea di “comunismo” è importante in quanto senza delinearla almeno nei suoi tratti generali, non si può nemmeno delineare il “modo di produzione comunista”, e senza delineare questa alternativa possibile al modo di produzione capitalistico non la si rende nemmeno una alternativa, ossia non la si rende nemmeno, con il proprio non pensarla, una alternativa praticabile e desiderabile. Infatti  non si può realizzare nella pratica ciò che non sta in piedi almeno nella teoria. In caso contrario, esso non sarà nulla, perché lo «stato di cose presenti» (capitalistico) è oggi molto più forte del «movimento reale» (comunista) che dovrebbe abolirle.
Per questo pensiamo che il comunismo debba innanzitutto essere una proposta filosofica umanistica, e dunque universalistica.
Solo partendo dall’Uomo per come è nella sua essenza, è possibile delineare il modo di produzione per come deve essere, ovvero il contesto ideale più in grado di realizzare la natura razionale e morale dell’uomo. L’Uomo infatti, inteso in senso trascendentale, è sempre il soggetto implicito di quel processo universale che è la storia. Tale storia, quando cerca di realizzare il fine della buona comunità sociale, si volge nella direzione del pieno umanesimo. Date le molte soglie che il modo di produzione capitalistico ha oltrepassato, occorre in maniera oramai urgente un processo educativo generale incentrato sulla necessaria cura dell’uomo e sul doveroso rispetto della natura.
Solo con una educazione umanistica l’uomo potrà realizzare la propria specifica “umanità”, e liberarsi da quella generica “animalità” che da secoli lo vincola ad una conflittuale sussistenza sociale.
A partire dalla Ideologia tedesca del 1845 compaiono sia il concetto generale di «modo di produzione sociale», sia il concetto di «comunismo», che Marx ed Engels in quella sede intesero, come il «movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti»; con Fulvio Papi, si può affermare che con l’Ideologia tedesca «il tema del comunismo subisce un radicale spostamento di asse teorico. Esso non viene più pensato come realizzazione della essenza dell’uomo nella sua forma sociale, ma viene considerato come un movimento oggettivo che deriva dai rapporti sociali che si sono instaurati con la diffusione del modo di produzione tipico del capitalismo». Nel Manifesto del partito comunista del 1848, il comunismo è definito come una società di uomini liberi, in cui la libertà di ognuno è la fonte della libertà di tutti. Nel Capitale (1867), che viene subito dopo i Grundrisse (in cui «il comunismo è sempre definito come un problema di liberazione dell’uomo), il comunismo viene più chiaramente pensato in opposizione contrastiva col capitalismo, ma viene sempre delineato come un modo di produzione comunitario caratterizzato dalla pianificazione e dalla trasparenza dei rapporti sociali, in opposizione alla privatezza capitalistica ed alla opacità mercificatrice che domina il modo di produzione capitalistico. Nella Critica al programma di Gotha (1875), in cui vi è l’ultimo esplicito riferimento al comunismo effettuato da Marx, egli ne descrive la fase più compiuta come quella che dovrà generalizzare la regola da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni.
Questo, in estrema sintesi, lo sviluppo concettuale del termine «comunismo» in Marx. Il tema della «pianificazione comunitaria», è ben presente nel Manifesto, nei Grundrisse, nel Capitale e nella Critica del programma di Gotha. Si tratta di un tema, non a caso, unito a doppio filo col tema dell’umanesimo marxiano, anch’esso ricorrente, in maniera più o meno esplicita, in tutte le principali opere di Marx.
L’umanesimo marxiano infatti  è un umanesimo radicale, volto cioè a realizzare i bisogni più essenziali dell’uomo, ovvero quelli connessi alla sua esistenza libera e comunitaria. Come Marx stesso scrisse in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, infatti, la realizzazione dei bisogni più importanti dell’uomo è ciò che soltanto può far realizzare una «rivoluzione radicale» che possa attuare il «completo recupero dell’uomo».
Tutto questo implica una gerarchia di bisogni più o meno “naturali” da soddisfare; una gerarchia che, per essere realizzata in modo armonico, necessita di una pianificazione, in cui tutta l’attività produttiva e distributiva sia finalizzata principalmente alla realizzazione della buona vita comunitaria. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx argomentò infatti che il primo bisogno realmente necessario dell’uomo è il recupero della propria essenza; questa tesi fu peraltro successivamente ripresa nei Grundrisse in cui, accanto ad una descrizione dei bisogni artificiali prodotti dalla società, Marx ribadì la priorità dei bisogni naturali, ossia di quei bisogni che l’uomo deve necessariamente soddisfare per realizzare la propria natura (tali bisogni non sono affatto unicamente quelli “materiali”, come tuttora ritiene certo marxismo, bensì soprattutto quelli spirituali, poiché l’uomo è «tanto più ricco di bisogni quanto più è ricco di qualità e relazioni»). I bisogni naturali  sono dunque non un “dato biologico”, ma un “contenuto culturale”; quando Marx, nel Capitale, fa più volte riferimento ai «bisogni sociali», egli in sostanza fa sempre riferimento ai «bisogni naturali».
All’attuale modo di produzione gli uomini, da alcuni secoli, hanno consegnato la propria dignità, la propria sussistenza, e più in generale la propria vita.
Il marxismo prevalente non concorda con la centralità dell’umanesimo e della pianificazione comunitaria come contenuti costitutivi del “comunismo marxiano”, e del comunismo in generale. Riteniamo erronea l’affermazione di Engels, condivisa anche da Marx, presente in un articolo pubblicato sulla Deutsche Brusseler Zeitung del 7/10/1847: «Il comunismo non è una dottrina, ma un movimento; non muove da princípi, ma da fatti. I comunisti non hanno come presupposto questa o quella filosofia, ma tutta la storia».
Se ben si riflette, anche un «movimento» non può essere tale se non è chiara la sua «dottrina», che sola permette di identificarlo unitariamente come «movimento». La “storia”, senza la “filosofia”, si riduce ad una mera serie di eventi; tuttavia la cosa più importante, in questi eventi, è proprio ricercarne il senso complessivo, ossia effettuarne una valutazione onto-assiologica. Il modo migliore per effettuare tale valutazione è sviluppare una filosofia che ponga, nel modo più esplicito possibile, come principio primo l’Uomo e la necessità della sua realizzazione comunitaria nelle modalità sociali.
Si tratta di una definizione sostanzialmente conforme a quella proposta da Marx, in quanto, come egli scrisse anche nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 (e tale posizione non fu mai completamente abbandonata), l’umanesimo è l’essenza del comunismo.
Riteniamo che una simile idea generale di «comunismo» possa essere accettata da molti, salvo appunto dai negatori della esistenza della natura umana (ad esempio alcuni “marxisti”), oppure dai sostenitori della tesi di una natura umana non razionale e non morale (ad esempio alcuni liberali). Poiché però la natura umana esiste ed è razionale e morale, allora deve esistere (ed è responsabilità di ciascuno di noi ricercarne la possibilità di inverarsi, acquisendo verità e concretezza) un modo di produzione ideale in cui essa possa realizzarsi, che deve essere armonico e comunitario, ossia non privatistico e non mercificato. L’unico modo di produzione funzionale che possieda queste caratteristiche deve necessariamente strutturarsi sulla base della proprietà comune dei mezzi della produzione sociale, e della pianificazione comunitaria della economia, poiché altrimenti conflitti ed antagonismi continuamente insorgenti non riuscirebbero mai a trovare soluzione condivisa.
Questo in sintesi il contenuto concreto dell’idea di «comunismo» che proponiamo, ben diverso da quello che è stato il “comunismo sovietico” e dei suoi “paesi satelliti” e di un certo “euro-comunismo” europeo nel Novecento (e agli antipodi dell’attuale mistificante falso “comunismo cinese” nella sua ideologia impregnata di totipotenza tecnologica) per la semplice considerazione che il fine del modello ideale cui aspiriamo è l’Uomo e la  pienezza della sua umanità, e non la massimizzazione della potenza del capitalismo tecnicizzato.


Carmine Fiorillo e Luca Grecchi,
Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”
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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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