Arianna Fermani, Giovanni Foresta – «Dalle sopracciglia folte al percorso inarcato dalla rotta superiore dello sguardo, il tempo esprime monumento del vissuto tingendolo di bianco». È un mirare avanti, un protendersi anima e corpo verso il futuro. Questo perché la vera vecchiaia, lungi dall’essere l’età anagrafica, è la mancanza di entusiasmo, è lo spegnersi dei sogni e dei desideri.

Arianna Fermani, Giovanni Foresta

Per provare ad entrare, in punta di piedi, in questo delicato pensiero di Giovanni Foresta, mi piace ricordare quando, alcuni mesi fa, mi raccontò di essere nato in una casa di fronte al mare, «di bianco vestita» (disse letteralmente). Collegai, istintivamente, questa bianchezza all’azzurro del mare (i due colori associati, per eccellenza, all’idea di Grecia), immergendomi idealmente in uno scenario mediterraneo, che profuma di brezza marina, di limoni e di eucalipti, il cui silenzio viene interrotto solo dal frinire ritmico e ipnotico delle cicale (animali prodigiosi che, ci racconta Platone in un bellissimo mito del Fedro, passano tutta la vita a cantare, senza aver bisogno di nutrirsi se non del proprio canto). Ma mentre il candore dell’estate mediterranea rimanda alla giovinezza, in quanto esplosione di luce, di energia vitale e di vigore, in questo pensiero dell’Autore il bianco viene associato, con una bellissima immagine, al tempo che passa inesorabilmente e che incornicia il volto come «monumento del vissuto».

In ogni caso, tale bianchezza, non solo viene letta nei toni malinconici della diminuzione di sé, dello spegnimento delle proprie energie, come rassegnata consapevolezza del venir meno del tempo a disposizione, ma anzi assume i toni della crescita, dell’ espansione e della pienezza.

In quella «rotta superiore dello sguardo» si legge, infatti, un mirare avanti, un protendersi anima e corpo verso il futuro.

Questo perché la vera vecchiaia, lungi dall’essere l’età anagrafica, è la mancanza di entusiasmo, è lo spegnersi dei sogni e dei desideri, è il non aver più sete:

 

«nessuno invecchia semplicemente perché gli anni passano.
Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali.
Gli anni possono far venire le rughe alla pelle,
ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima»
(Samuel Ullman).

Arianna Fermani, in Arianna Fermani, Giovanni Foresta, La filosofia del volto, Chiaredizioni, Chieri 2017, pp. 46-47.


In questo volume sul volto si incontrano due voci, due sguardi, due percorsi esistenziali e, più in generale, due modi di “stare al mondo” contemporaneamente molto diversi e molto simili, quali quelle di Giovanni Foresta ed Arianna Fermani. D’altronde è forse proprio l’incontro il fil rouge di questo scritto, che parte e torna al volto, a quel volto che già lo stesso filosofo Lévinas definì, non a caso, “il luogo dell’incontro”. Incontro tra due anime, quello custodito nelle pagine di un volume volutamente fuori dalle “rotte dell’ordinario” (sia nella forma sia nei contenuti), ma ancora prima, in senso più radicale e più profondo, incontro multidimensionale e policentrico tra esterno e interno, tra realtà e apparenza, tra corpo e anima, tra maschile e femminile, tra senso/i e ragione. Un incontro e, anzi, di più, un abbraccio, tra poesia e filosofia, tra “ragioni del cuore” e “ragioni della ragione” che trova nel volto il suo anello di congiunzione e il suo fondamento, anche etimologico (visto che volto deriverebbe sia dalla stessa radice del termine desiderio, voluptas, sia dalla radice del verbo “splendere”), offrendosi con ciò, come luogo di incontro, come luogo del desiderio e come condizione irrinunciabile di “illuminare” il mondo e di rendere “splendida” la nostra esistenza.



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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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