Salvatore Bravo – Il nuovo regime scolastico. Il fine delle riforme è la standardizzazione dell’essere umano: la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona.

Riforma della scuola

Salvatore Bravo

Il nuovo regime scolastico

Il fine delle riforme è la standardizzazione dell’essere umano:
la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona

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L’anno scolastico volge al termine, le circostanze pandemiche hanno favorito i processi che erano in atto da decenni, in primis la riduzione della scuola a semplice costola del mercato. Si è trattato di un anno di passaggio, già da più parti si proclama che la nuova normalità investirà la società tutta. Per la scuola si prevede un’accelerazione sulla digitalizzazione e la trasformazione dei docenti in quantificatori, in registratori delle competenze. Docenti anonimi per una scuola al servizio della crescita economica. La persona e la comunità scompaiono dietro la cortina di ferro dell’asservimento al mercato. È il mercato de facto a stabilire fini e contenuti dei programmi e l’azione didattica, ogni fine costituzionale è ridotto ad elemento di sottofondo secondario. L’articolo tre della Costituzione per il quale la Repubblica promuove il libero sviluppo delle personalità, ed a tal scopo rimuove le disuguaglianze iniziali, è superato dalle logiche acquisitive e competitive. La scuola (articolo 33 e 34) presidio e prassi della democrazia è sostituita dalla legge del mercato. Sempre meno scuola e sempre meno contenuti comportano la contrazione della democrazia, l’homo oeconomicus è il nuovo modello antropologico a cui ci si “deve adattare”. La svolta implica il definitivo abbandono della tradizione italiana per l’imitazione dei modelli anglosassoni. L’obiettivo è l’uniformità dei sistemi d’istruzione europei, ogni tradizione patria dev’essere trascesa in nome di un’unità europea che si svela essere strumento delle oligarchie. Il liceo dev’essere superato, al suo posto si impone “il regime degli istituti tecnici” per formare non più cittadini, ma ubbidienti lavoratori: si insegna la sussunzione e non la cittadinanza. Inquieta il silenzio dei docenti e della cittadinanza. La scuola pubblica è di tutti e per tutti, se ha la chiarezza del suo fondamento costituzionale e didattico. “Il falso progressismo” è entrato nella scuola e non solo, governa con i suoi automatismi e le parole ad effetto dietro cui si nasconde il nulla che avanza. Per comprendere la decadenza ammantata di progresso dei tempi attuali è sufficiente leggere qualche pagina della pedagogia di Giovanni Gentile che nel 1923 istituì il liceo:

“L’insegnante insegna, in quanto non misura, né ricorda neppure le ore che passa nella scuola; e chi guarda a ogni minuto l’orologio, non può riuscire a concentrare il proprio pensiero, a unire l’anima propria con quella dei suoi scolari nel lavoro fecondo che è proprio dell’insegnamento, in quella comunione degli animi in cui si adempie una delle forme più pure della vita religiosa dell’uomo […] Esso consiste, a dir vero, in un bene che, diviso, non diminuisce; comunicato non si perde da chi lo produce, anzi s’accresce con suo vantaggio sempre maggiore” [1].

Il docente non è un misuratore del tempo della lezione e delle prestazioni dell’alunno, oggi diremmo delle competenze, ma è “un maestro” che ha come scopo la formazione dell’alunno: docente ed alunno, pur nell’asimmetria dei ruoli si formano reciprocamente in una relazione che non può essere quantificata.

Incontro educativo
L‘incontro educativo è una relazione in cui i tempi della crescita conoscono regressioni, stasi ed improvvise svolte, se il docente assume il comportamento di uno scienziato che in laboratorio stimola “il fenomeno alunno”, lo descrive e lo quantifica, siamo di fronte ad un nuovo autoritarismo non riconosciuto. Lo studente che deve continuamente certificare le competenze non può che percepirsi come un produttore di competenze, “è chiamato” a mostrare il suo valore con la sola documentazione. La scuola selettiva di Giovanni Gentile era meno competitiva e classista della scuola che si profila, in quanto le certificazioni sono ad uso delle classi più abbienti. Sarà il denaro a fare le competenze, e specialmente la relazione docente-alunno sarà inquinata dal più bieco positivismo che si coniuga con l’economicismo.

La pedagogia di Giovanni Gentile ha la chiarezza che la didattica è relazione umana. L’essere umano è dinamico, la coscienza ed il vissuto impongono continuamente la capacità di ascoltare “l’invisibile”, se il docente si limita a raccogliere la documentazione, la relazione sarà sostituita dalla “transazione burocratica”. L’attività scolastica è vita che si rinnova nel quotidiano e nello scorrere dei giorni e non può essere irrigidita in prestazioni da quantificare in certificazioni, crediti, debiti, attività culturali a cui l’alunno ha partecipato. La valutazione diviene di censo, i contenuti senza i quali nessuna attività critica e creativa è possibile sono sostituiti da attestati che si comprano sul mercato della formazione:

“Non c’è un sapere che insegni l’arte di fare scuola: se per fare scuola s’intende farla davvero, a certi giorni, a certe ore, via via, a certi alunni, sempre nuovi, con animo sempre nuovo, in circostanze sempre diverse, su problemi che mai non si ripetono. […] E guai al maestro che non sappia procedere se non sulle dande dei precetti! La vita è creazione eterna[2]”.


Scuola della prassi o antipositivistica
L’antipositivismo di Giovanni Gentile è oggi più attuale che mai. Se il positivismo è il principio di ogni processo di sussunzione, in quanto l’essere umano deve fatalmente piegarsi al giogo fatale dell’empirico, l’Idealismo è prassi e Spirito, ovvero l’essere umano è la fonte della storia e del suo destino. La prassi gentiliana ha fecondato anche Antonio Gramsci, perché mette in atto processi di consapevolezza che dimostrano che l’umanità è “la radice” della storia. Se il fascismo non è riuscito ad omologare totalmente la nazione italiana, forse, lo si deve anche alla Riforma Gentile, al suo antipositivismo che non ha consentito la completa omologazione fascista, ma ha contribuito a consolidare in molti soggetti il pensiero divergente e riflessivo, malgrado le finalità totalitarie del regime:

“Noi siamo la radice da cui tutto germoglia, e da noi, come appunto da propria radice, tutto torna ad attingere il succo vitale che lo mantiene in essere. Noi, dunque, siamo il principio del mondo che è il nostro mondo, noi, non già in quanto siamo o ci facciamo uno tra gli oggetti della nostra coscienza, bensì proprio in quanto siamo il soggetto attivo del conoscere[3]”.

Il neopositivismo di cui è affetta la scuola italiana ed europea è l’espressione compiuta del nuovo autoritarismo in atto. La quantificazione degli esseri umani è il nuovo razzismo da smascherare che si cela tra le parole della propaganda: inclusione, debiti, crediti, eccellenze, competizione e competenze. Il fine delle nuove riforme è la standardizzazione dell’essere umano, la scuola deve formare “il tecnico” e non la persona. Il presente con il suo linguaggio ci descrive il futuro, spetterà a noi confermarlo o trasformarlo con la nostra indifferenza o con la nostra sana partecipazione capace di filtrare il meglio della tradizione e dell’esperienza storica non per trasmetterla pedissequamente, ma per ripensarla nelle mutate condizioni storiche. Si profila una società senza significato, in cui il logos sarà sostituito dalla propaganda, siamo tutti corresponsabili del presente e del nuovo che avanza nella forma della desertificazione dell’umano.

 

[1] G. Gentile, Lavoro e cultura. Discorso prefascista ai lavoratori di Roma. In G. Gentile, Opere, XLV, Politica e cultura, Le Lettere, 1990, pag. 247.

[2] G. Gentile, Sommario di pedagogia, cit., vol. I, pp. 123 124.

[3] Ibidem, pag. 15.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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