Amedeo Anelli – Occidente e oriente a confronto nella voce poetica di Maura Del Serra.

Amedeo Anelli 02

Testo già pubblicato sulle pagine de “Il Cittadino”, 10-06-2021.



Maura Del Serra

In voce

55 poesie lette dall’autrice

ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64,  Euro 12.

indicepresentazioneautoresintesi



Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.

Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.

 

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.

Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)


Amedeo Anelli – «Quartetti». Tempi sospesi e riflessioni filosofiche giocate con un linguaggio all’apparenza semplice, con i ritmi della filastrocca. Amedeo Anelli scrive di sogni sognati e il pennello di Guido Conti cerca un segno che diventi senso.

Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.
Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.
Maura Del Serra – «Lettera agli amici». Apocalissi di una civiltà ingiusta, predatoria, pervasa dalla ybris materialista ed ipertecnologica. Sarà insieme doloroso e salutare, quanto mi auguro inevitabile e consapevole, un mutamento di rotta. Ascoltiamo le voci di chi ci invita ad «aprire la porta che non abbiamo visto».
Maura Del Serra – Ma come ricambiare alla stella la sua luce danzante, all’albero il suo slancio fra due mondi, … alle stagioni i loro ritmici doni …? … Distruggiamo fuori o dentro di noi solamente per scrollare questo debito immenso da portare come Atlante il suo globo terrestre

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.


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Salvatore Bravo – La teoretica di E. Severino rimane in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico. Non resta che filtrare dal pensatore de «La Struttura originaria» gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente.

Emanuele Severino 02
Salvatore Bravo
La teoretica di E. Severino rimane in una condizione di indeterminatezza
che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico.
Non resta che filtrare dal pensatore de La Struttura originaria
gli elementi di inquietudine concettuale

che possono esserci di ausilio per decodificare il presente

 

Severino nel regno dell’impotenza
La metafisica di Emanuele Severino[1] è stata spesso tacciata di essere astratta ed avulsa dal contesto storico. La curvatura analitica della filosofia degli ultimi decenni impedisce, in realtà, di coglierne lo spessore critico implicito verso la fase avanzata del capitalismo. Emanuele Severino ha problematizzato la volontà di potenza del capitalismo assoluto, ne ha analizzato il fondamento che ne spiega gli automatismi sociali, psicologici ed economici. La hýbris è la verità tragica e terribile dell’onnipotenza della tecnica alleata del capitale. Il capitalismo assoluto è mosso dalla volontà di potenza e di annientamento della vita, in quanto ha assunto “il divenire” nelle sue forme polisemantiche quale dogma indiscutibile. Il divenire palesa la fragilità dell’essere umano esposto alla morte ed al pericolo della nullificazione. La paura di essere “niente”, di venire dal nulla e di ritornarne al nulla comporta il potenziamento della tecnica con la quale si cerca di neutralizzare il pericolo. In tale contesto il fine arretra fino a scomparire per lasciare il posto all’idolatria della tecnica e dei mezzi. Volontà, tecnica e capitalismo sono un corpo unico che si autoalimentano; la volontà di potenza è tecnica che diviene accumulo di capitale e vuole solo se stessa in un crescendo antisociale segnato dal tremendum. La società della paura partorisce mostri. Pertanto lo strumentalismo tecnico è la risposta all’ontologica paura che accompagna la vita umana. La paura in un crescendo senza limiti si trasforma in terrore. La tecnica con il suo potere è la risposta all’accelerazione della storia che liquida il passato senza prospettare il futuro. Si resta, in tal maniera, in un presente sospeso e, dunque, ci si consegna alla tecnica che assume una prospettiva soteriologica. Il regno dell’impotenza rafforza l’uso e l’abuso della tecnica in una spirale muscolare che cela l’impotenza dinanzi al divenire. La grande paura del divenire è da smascherare come “semplice apparenza destinale”, nel cui abbaglio si consolida la spirale di violenza, la filosofia ha il compito di liberare dalla paura, di rispecchiare il disvelamento destinale dell’essere negli essenti:

 

“Evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, cioè subordinare ad esso ciò che inizialmente ci si proponeva come scopo. Le grandi forze della tradizione occidentale si illudono dunque di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi: la potenza della tecnica è diventata in effetti, o ha già incominciato a diventare, il loro scopo fondamentale e primario. E tale potenza – che è lo scopo che la tecnica possiede per se stessa, indipendentemente da quelli che le si vorrebbero far assumere dall’esterno – non è qualcosa di statico, ma è indefinito potenziamento, incremento indefinito della capacita di realizzare scopi. Questo infinito incremento è ormai, o ha già incominciato ad essere, il supremo scopo planetario[2]”.

 

Divenire e principio di non contraddizione
La filosofia di Severino è, dunque, la risposta alla grande paura mediante la metafisica dell’essere. Per neutralizzare il “male” nei suoi fondamenti pone in discussione il principio su cui si fonda il divenire: il principio di contraddizione. Esso si nega nel suo porsi, poiché implica e giustifica l’assurda opposizione tra essere e nulla su cui si fonda il divenire. Il principio di non contraddizione, invece, deve indicare l’opposizione della parte con il tutto, o l’opposizione tra gli essenti nel loro apparire. Il divenire dev’essere sostituito con l’apparire e lo scomparire degli essenti, questi ultimi sono eterni: ogni attimo, ogni gesto è eterno, poiché ciò che c’è non può diventare nulla, in quanto è iscritto nell’essere degli essenti la loro eternità. L’iperparmenideo Severino dimostra che l’essente non può diventare nulla, perché è. Se ogni ente è già nell’essere, non può tornare nel nulla. L’essente appare e scompare dall’orizzonte di visibilità della coscienza, ma prima e dopo il suo apparire non era nulla, bensì semplicemente era in un altro apparire. Il concetto di essere ha nel suo grembo, quindi, la negazione del nulla: logicamente ed ontologicamente ciò che è non può che essere eterno (gli eterni):

 

“L’aporia dell’essere del nulla è risolta col rilevare che il principio di non contraddizione non afferma la non esistenza del significato autocontraddittorio [ossia la contraddizione in cui consiste il significato nulla] ma afferma che «nulla» non significa «essere» […]. Il non essere, che nella formulazione del principio di non contraddizione compare come negazione dell’essere, è appunto il non essere che vale come momento del non essere, inteso come significato autocontraddittorio. [Dunque], certamente il nulla è; ma non nel senso che «nulla» significhi «essere»: in questo senso, il nulla non è, e l’essere è – ed è questo non essere del nulla ed essere dell’essere, che viene affermato dal principio di non contraddizione[3]”.

 Il principio di non contraddizione in Aristotele è l’espressione più vera del destino dell’Occidente planetario: è il regno del “niente” e del “nichilismo”, poiché il divenire con il terrore che esso comporta ha colonizzato l’intero pianeta. La tecnica da salvezza utopica è diventata distopia distruttrice che annichilisce e nientifica. Ciò che avrebbe dovuto scongiurare è di conseguenza pienamente realizzato. La globalizzazione della tecnica alleata con l’economicismo ha moltiplicato il terrore con i suoi effetti, la sopravvivenza del pianeta è minacciata, per cui la cura si è mostrata peggiore del male che avrebbe dovuto curare:

 

“L’Occidente è la civiltà che cresce all’interno dell’orizzonte aperto dal senso che il pensiero greco assegna l’essere-cosa delle cose. Questo senso unifica progressivamente, e ormai interamente la molteplicità sterminata degli eventi che chiamiamo «storia dell’Occidente», e domina ormai su tutta la terra: l’intera storia dell’Oriente è così diventata anch’essa preistoria dell’Occidente. Da tempo i miei scritti indicano il senso occidentale – e ormai planetario – della cosa: la cosa (una cosa, ogni cosa) è, in quanto cosa, niente; il non-niente (un, ogni non-niente) è, in quanto non-niente, niente. La persuasione che l’ente sia niente è il nichilismo. In tal senso abissalmente diverso da quello d Nietzsche e Heidegger, il nichilismo è l’essenza dell’Occidente[4]”.

La paura è il sentimento analizzato da Heidegger in Essere e tempo, in Severino come in Heidegger la paura (Furcht) e l’angoscia (Angst) divengono condizione ontologica ed esistenziale, sono astratti dalla condizione materiale storica con l’effetto di non essere spiegati nella loro genealogia immanente legata ai processi produttivi.

 

Limiti della metafisica in Severino
Severino indica il problema, ma non lo traduce in conflittualità sociale. Addita nella tecnica, similmente ad Heidegger, un destino da trascendere mediante la ridefinizione ineluttabile dei fondamenti della civiltà. L’essere umano è il custode del destino della metafisica, ma si limita a rispecchiare l’apparire dell’essere, a costatare il destinale apparire degli essenti, anziché la propria e la loro nullificazione. Il fondamento veritativo (l’essere degli essenti) è sfuggente ed indefinibile, in quanto Severino esclude che sia Dio, ma non lo configura in senso positivo. Il presunto fondamento si presta ad un prospettivismo interpretativo che ripropone il nulla in modo altro. I grandi passaggi della storia sono segnati dallo svelarsi dell’essere, l’esser umano deve solo “rispecchiare” l’accadere

 

“Gli eventi improvvisi non hanno radici e quindi scompaiono altrettanto rapidamente di come sono venuti. Ma gli eventi improvvisi, proprio perché tali, sono i più percepibili. Di essi chiunque può dire, e a buon diritto, che “assiste” alla loro comparsa e alla loro scomparsa. I grandi eventi, preparati da lungo tempo e non improvvisi, sono quindi i meno percepibili. Gli spettatori che assistono al loro farsi avanti sono quindi molto pochi. Chi direbbe, guardando il sole nelle prime ore del pomeriggio, che il suo declino ver.so occidente e già incominciato? Ben pochi. ma senz’altro l’astronomo. Lui sì sta “assistendo” all’inizio del tramonto. L’astronomo parla così in relazione auna certa struttura concettuale notevolmente complessa. Anche nel mio libro, a sua volta, si parla di declino del capitalismo in relazione a una certa struttura concettuale notevolmente complessa (che però ed era prevedibile – nulla ha a che vedere con il pensiero di Marx)[5]”.

 

La metafora astronomica utilizzata da Emanuele Severino non è casuale, ma svela la passività con cui l’essere umano deve attendere ed adeguarsi alla manifestazione dell’essere. L’emancipazione è privata del fondamento umano e storico e proiettata nel destino dell’essere che diviene il vero protagonista della storia. L’essere coniuga essenza ed esistenza nella totalità degli essenti, è nella storia e ne determina gli eventi. La libertà è sostituita da una rassicurante necessità. Si opera una scissione tra teoria e prassi con esiti che favoriscono il consolidamento dell’economicismo scientista. Il pericolo dell’astratto è insito nel rifiuto di analizzare le responsabilità politiche, sociali e materiali della condizione attuale. La filosofia di Severino è per tutti e per nessuno, non vi è un soggetto materiale e concreto a cui si rivolge, pertanto la prassi è sostituita dal destino. Il capitalismo cadrà a causa del potenziamento automatico della potenza tecnica, la quale dissolverà la scarsità che spinge alla produzione. Le macchine, nel loro vorticoso affinamento tecnico, produrranno un’infinita quantità di merci che risolveranno la scarsità. Le responsabilità umane si obliano dietro le ferree leggi sovraumane, si proietta nell’alto dei cieli il positivismo tecnocratico che si critica in terra: il determinismo regna sovrano. Non sono indicati i soggetti che dovrebbero operare per trasformare il divenire in apparire. Pertanto ricade in una forma di impotenza teoretica senza prassi e progetto. Il logos in Severino deve appurare l’apparire e lo scomparire degli essenti. Cade la sua funzione principale, ovvero la capacità di misurare e di porre fini oggettivi. L’emancipazione consiste nel liberarsi del Dio tradizionale che stabilisce l’essere e il nulla degli essenti, mentre per Severino tutti gli esenti sono eterni, non vi è un essente privilegiato in cui essenza ed esistenza coincidono:

 

“Ogni ente è eterno. Quindi è eterno anche quell’ente che è lo stesso accadere dell’ente […]. L’ente che accade […] e il suo accadimento è un eterno; quindi è necessario che l’ente accada. Nemmeno la sintesi tra l’ente che accade e il suo accadere può non essere (ossia esser niente)[6]”.

Si potrebbe intravedere nell’eternità di tutti gli essenti un principio di uguaglianza da tradurre in equa distribuzione dei beni materiali ed immateriali e superamento delle logiche padronali con il ritrarsi del Dio signore e padrone, ma Severino non conduce il suo sistema metafisico verso la prassi. La filosofia e la politica, la teoria e la prassi sono rescisse, si ricade nella filosofia dell’impotenza, in un “nichilismo onto-metafisico”.

 

Filosofia e prassi
Riportare la Filosofia alla sua verità significa sottrarsi alla frammentazione specialistica per ridisporsi verso la verità:

 

“la filosofia da città è diventata radura, e le vie che la collegano alle circostanti regioni sono ormai autostrade[7]”.

La filosofia, prima che si disperdesse in innumerevoli specializzazioni, era attività politica. Non è un caso che nel testo riportato Severino la paragoni ad una città; essa ha avuto origine nella polis, dove la parola dialogante fondava la politica sull’universale condiviso, sulla verità che, in tal modo, fondava la politica comunitaria in un orizzonte di senso mediante il “katà métron”. Severino rifiuta la tradizione metafisica greca e cristiana, in quanto si fondano sul principio di non contraddizione e nel divenire, e di fatto recide il legame con la tradizione filosofica. La teoretica di Severino resta in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico e dunque rischia un asfittico isolamento intellettuale indebolendone, come rileva Luca Grecchi, il piano ontologico:

 

“L’assenza di una precisa statuizione del fondamento ha condotto anche il pensiero di Severino ad una certa indeterminatezza, nonché all’assenza di un conseguente piano assiologico. Il nostro autore ha infatti dichiarato false tutte le strutture morali derivate dalla grande metafisica greca e cristiana, poiché la stessa metafisica è da lui considerata falsa, «identificando l’essere al niente». Il piano assiologico – umanistico e pertanto non vero – è dunque escluso dall’analisi di Severino[8].

Non resta che filtrare dal pensatore de La Struttura originaria (1958) gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente. Severino ripone al centro la totalità e l’arte di porre domande profonde senza le quali non vi è futuro e non vi è passato, per cui le domande che si levano devono essere accolte. E, come avviene nella storia della filosofia, ci invitano ad altre risposte e soluzioni. Ma senza l’incipit della domanda nulla può iniziare. I percorsi per uscire dal “sentiero della notte” sono plurali. Per poter avviare l’esodo nessuna domanda e nessun ipotetico percorso dev’essere respinto, ma vagliato con il logos, ogni respingimento preconcetto ci riporta nel “sentiero della notte”.

Salvatore Bravo

[1] Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929 – Brescia, 17 gennaio 2020). 

[2] Emanuele Severino, Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano 2009, pp. 8-9.

[3] Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 215.

[4] Emanuele Severino, ἀλήθεια in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 415.

[5] Antonio Sabatucci, Emanuele Severino: la morte del capitalismo, p. 16

[6] Emanuele Severino, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 97.

[7] Emanuele Severino, La filosofia contemporanea, Milano 1986, p. 5.

[8] Luca Grecchi, Nel pensiero di Emanuele Severino, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 88


Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino.

ISBN 978-88-7588-092-7, 2005, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [4].
In copertina: Auguste Rodin, La Pensée. 1886, marmo, h. cm. 74. Musée d’Orsay.

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.


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Mario G. Losano – Kelsen vuole non spiegare, ma descrivere, poiché la sua teoria formale lascia ad altri lo studio dei contenuti. In questo periplo della dottrina pura del diritto ho additato più le secche che i porti. Per me, l’esprimere pensieri e ripensamenti legati al testo kelseniano che tradussi da studente è non tanto un’opera accademica, quanto un frammento di autobiografia culturale.

Losano Mario G. 01

[…] Dal punto di vista della lotta contro il giusnaturalismo, il relativismo kelseniano dà buoni frutti, spiegando nell’ambito d’una dottrina coerente come sia inammissibile ogni giudizio di valore assoluto. Un successivo esame rivela però che questo relativismo ha un limite: esso è completamente astorico, cioè appiattisce i vari contenuti del valore di giustizia in un’irreale sincronia, mentre, nella realtà storica, quei valori non coesistono, ma si succedono nel tempo, sia pur con inevitabili sovrapposizioni parziali. Soltanto così si può spiegare perché in tempi e luoghi diversi esistano norme di giustizia diverse fra loro, ma funzionali ciascuna al proprio ambiente.
Tuttavia Kelsen vuole non spiegare, ma descrivere, poiché la sua teoria formale lascia ad altri lo studio dei contenuti. Dal punto di vista metodologico è quindi indubbiamente scorretto attribuire contenuti ad una dottrina che non vuole averne; tuttavia è questo l’unico modo per superare la paralisi in cui si irrigidisce la dottrina pura del diritto. Fuor di metafora, bisogna a questo punto prendere posizione fra due giudizi di valore mutualmente escludentisi: la conoscenza è fine a se stessa o deve servire all’azione? Si ritorna così, ancora una volta, alle opposte concezioni della scienza – strumento conoscitivo chiuso in se stesso ovvero strumento del progresso umano – quali già si erano viste nel dibattito sull’avalutatività tra Schmoller e Weber. Nel primo caso, la dottrina pura del diritto va bene così com’è; nel secondo caso, non può più essere seguita.
Fu lo stesso Kelsen – quando, il 17 maggio 1952, ritirandosi dall’insegnamento, tenne l’ultima lezione a Berkeley – a mettere in luce tanto la mancanza di risposte propria della dottrina pura del diritto, quanto la necessità di ottenere una risposta a certi quesiti, che sono poi la condizione stessa per l’esistenza sociale d’una persona: «Ho aperto questo saggio con la domanda su che cosa è la giustizia. Ora, giunto alla fine, mi rendo perfettamente conto di non avervi risposto. La mia unica scusa è che, a questo riguardo, sono in ottima compagnia: sarebbe stato più che presuntuoso far credere al lettore che io sarei potuto riuscire là, dove erano falliti i pensatori pi6 illustri. Di conseguenza non so, né posso dire, che cosa è la giustizia, quella giustizia assoluta di cui l’umanità va in cerca. Devo accontentarmi di una giustizia relativa e posso soltanto dire che cosa è per me la giustizia. Poiché la scienza è la mia professione, e quindi la cosa più importante della mia vita, la giustizia è per me quell’ordinamento sociale sotto la cui protezione può prosperare la ricerca della verità. La “mia” giustizia, dunque, è la giustizia della libertà, la giustizia della democrazia: in breve, la giustizia della tolleranza».
Giudichi il lettore quanto quest’ultima affermazione sia compatibile con i postulati della purezza metodologica illustrati in precedenza. Tuttavia anche Hans Kelsen non ha altra soluzione per sottrarsi all’immobilismo elencatorio cui lo costringe la sua dottrina. Non v’è dunque da stupirsi se anche altri studiosi sentono l’esigenza di sottrarsi al frustrante precetto dell’avalutatività: la purezza è infatti una virtù commendevole, ed all’asceta che la pratica deve andare tutto il nostro rispetto; però una società di asceti sarebbe condannata all’estinzione.
In questo periplo della dottrina pura del diritto ho additato più le secche che i porti. Quando Kelsen separava il diritto dalla natura, ho ricordato i passi in cui egli afferma che una certa concreta efficacia è necessaria perché il diritto esista, cioè sia valido. Quando Kelsen separava il diritto dai valori, ho ricordato che la sua norma fondamentale non fa parte dell’ordinamento positivo, ma deve essere presupposta proprio in base a valori. Quando Kelsen limitava il compito del giurista all’accertamento della semplice validità formale delle norme, ho ricordato come egli fosse consapevole della Gorgone del potere che si cela dietro l’ordinamento giuridico. Quando Kelsen limitava l’attività del giurista a puri compiti elencativi, ho documentato come talora anche Kelsen sentisse il bisogno di infrangere l’elencazione pura di valori di giustizia o di possibili interpretazioni per scegliere un valore o un’interpretazione.
«Quandoque bonus dormitat Homerus», anche il buon Omero ogni tanto s’appisola, si potrebbe pensare con Orazio. Ma si sbaglierebbe: ho colto non i momenti di assopimento del teorico, ma anzi i suoi soprassalti di umanità. Quando il vincolo del sistema che egli va costruendo diviene così innaturale, da imporgli la scelta tra il rispetto della realtà e la coerenza della costruzione, talora Kelsen rinuncia a questa coerenza per rispetto della realtà. La dottrina pura del diritto è quindi una teoria che contiene gli elementi non della propria distruzione, bensì della propria evoluzione futura. Perciò, in queste pagine, ho cercato di distinguerne i punti fermi dalle costruzioni caduche, applicando alla teoria di Kelsen quel relativismo in cui egli vedeva l’unico fondamento della scientificità.
Spero che l’indispensabile precisione della critica non venga scambiata per astio di scuola. Per me, l’esprimere pensieri e ripensamenti legati al testo kelseniano che tradussi da studente è non tanto un’opera accademica, quanto un frammento di autobiografia culturale. Nella mia vita di scholar, le opere del grande giurista di Praga mi hanno costantemente accompagnato, stimolandomi sempre, anche se spesso per dissenso. Dissenso d’altronde inevitabile nell’avvicendarsi delle generazioni: più di mezzo secolo di polemiche, un molteplice esilio e due guerre mondiali non passano senza lasciar tracce su una dottrina; ma la dottrina che resiste a due guerre mondiali, ad un molteplice esilio ed a mezzo secolo di polemiche è una dottrina che, nella scienza del diritto, ha conquistato una posizione ben definita e, in certa misura, anche definitiva.

Mario G. Losano, Introduzione a Hans Kelsen, Il problema della giustizia, Einaudi, Torino 1975, pp. XXXII- XXXV.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Mario G. Losano…


Prima in Galleria,
poi, più sotto,
ogni singolo volume …

Galleria



Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi 1966.


Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Einaudi, Torino 1969


La teoria di Marx ed Engels sul diritto e sullo stato. Materiali per il seminario di filosofia del diritto, Università Statale di Milano. Anno Accademico 1968-69, Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino 1969



Libia 1970. Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia nel terzo mondo. Corso di filosofia politica, Università di Milano. Anno Accademico 1969-70, Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino 1970


Corso di informatica giuridica, Cuem 1971


Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto. A cura di Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1972


Liςões de informática jurídica, Editora Resenha Tributaria, São Paulo 1974


Hans Kelsen, Il problema della giustizia, a cura di Mario G. Losano, Einaudi 1975


Informática Jurídica, Saraiva, Edusp 1976


I grandi sistemi giuridici Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Einaudi 1978


Corso di informatica giuridica. Informatica per le scienze sociali, Einaudi 1985


Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi 1991


Storie di automi, Einaudi 1991


Corso di informatica giuridica. Diritto privato dell’Informatica, Einaudi 1997


I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Ed. Laterza 2000


Un giurista tropicale. Tobias Barreto fra Brasile reale e Germania ideale, Laterza 2000


La legge italiana sulla privacy. Un bilancio dei primi cinque anni, Laterza 2001


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 1. Dalle origini alla scuola storica, Giuffrè 2002


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 2. Il Novecento, Giuffrè 2002


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 3. Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè 2002


Automi d’Oriente. «Ingegnosi meccanismi» arabi del XIII secolo, Medusa edizioni 2003


Verso una costituzione federale per l’Europa. Una proposta inedita del 1943, Giuffrè 2003


Mario G. Losano – Francisco Muñoz Conde (org.), El derecho ante la globalización y el terrorismo. “Cedant arma togae”. Actas del Coloquio Internacional Humboldt, Montevideo abril 2003, Tirant lo Blanc, Valencia 2004


Un giudice e due leggi. Pluralismo normativo e conflitti agrari in sud America, Giuffrè 2004


Función social de la propiedad y latifundios ocupados. Los sin tierra de Brasil, Dykinson 2006


 Il diritto economico giapponese, Unicopli 2007


 Il Movimento Sem Terra del Brasile. Funzione sociale della proprietà e latifondi occupati, Diabasis 2007


Hans Kelsen, Scritti autobiografici. Traduzione e cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia 2008


Peronismo e giustizialismo, dal Sudamerica all’Italia, e ritorno. A cura di Marzia Rosti, Diabasis, Reggio Emilia 2008


L’ammodernamento giuridico della Turchia (1839-1926), Unicopli 2009


Umberto Campagnolo, Conversazioni con Hans Kelsen. Documenti dell’esilio ginevrino 1933-1940, a cura di Mario G. Losano, Giuffrè 2010


La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla decolonizzazione, Bruno Mondadori 2011


Solidaridad y derechos humanos en tiempos de crisis, Dykinson, Madrid 2011


Parlamentarismo, democrazia e corporativismo, Aragno 2012


La macchina da calcolo di Babbage a Torino, Olscki 2014


Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto. Introduzione e cura di Mario G. Losano, Nino Aragno Editore, Torino 2014


I carteggi di Pietro Luigi Albini con Federico Sclopis e Karl Mittermaier (1839-1857).
Alle origini della filosofia del diritto a Torino, Accademia delle Scienza 2015


Alle origini della filosofia del diritto in Giappone.
Il corso di Alessandro Paternostro a Tokyo nel 1889, Lexisi 2016


Il portoghese Wenceslau de Moraes e il Giappone ottocentesco.
Con venticinque sue corrispondenze nelle epoche Meiji e Taisho (1902-1913), Lexis 2016


Lo spagnolo Enrique Dupuy e il Giappone ottocentesco, Lexis 2016



El valenciano Enrique Dupuy y el Japón del siglo XIX. En apéndice. Enrique Dupuy, La transformación del Japón en la era Meiji, 1867-1894, Servei de Publicacions de la Universitat de València, Valencia 2017


La rete e lo stato islamico. Internet e i diritti delle donne nel fondamentalismo islamico, Mimesis 2017


Hans Kelsen, Due saggi sulla democrazia in difficoltà (1920-1925). A cura di Mario G. Losano, Aragno, Torino 2018


Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci 2019


INTRODUCCION A LA INFORMATICA JURIDICA, EDICIONES OLEJNIK 2019


La libertà d’insegnamento in Brasile e l’elezione del presidente Bolsonaro, Mimesis 2019


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.


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