Mario Liverani – Paradiso e dintorni. Il paesaggio rurale dell’antico Oriente. “Torre di Babele” come metafora per la città e “Giardino dell’Eden” come metafora per la campagna. città orientale caratterizzata dai “luoghi del potere”. Città ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) che dà spazio ai “luoghi della cittadinanza”.

Mario Liverani

La ‘Torre di Babele’ come metafora per la città e il ‘Giardino dell’Eden’ come metafora per la campagna. Entrambi erano caratterizzati da un elemento di crisi e di collasso: la torre di Babele era rimasta incompiuta e abbandonata, il giardino dell’Eden era stato chiuso all’uomo, costretto a migrare verso ambienti meno ospitali.

La città orientale era caratterizzata dai “luoghi del potere”, mentre quella ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) diede altrettanto spazio ai “luoghi della cittadinanza” – le caratteristiche urbanistiche riflettendo quelle socio-politiche. Per “luoghi del potere” s’intendono le strutture difensive (mura e porte urbiche), gli edifici palatini, i palazzi, ma anche gli arsenali, le stalle, gli opifici militari), gli edifici templari (moltiplicati dalla struttura politeistica, ma culminanti nel tempio del dio cittadino), mentre a certe esigenze già presenti (specie lo scambio sia locale sia a distanza) vengono dedicati dei “non-luoghi” di funzionalità secondaria o intermittente: la porta urbica, lo spazio antistante al tempio, la via regia che attraversa la città. I “luoghi della cittadinanza” sono quelli dedicati alle riunioni politico-amministrative, allo scambio, allo svago: il foro (o agorà), i porticati che spesso lo circondano, il mercato, il teatro, le terme (o più banalmente i bagni pubblici). Per riprendere una distinzione resa celebra dal Guicciardini, al Palazzo si aggiunge e si contrappone la Piazza.

 


Negli anni Trenta del secolo scorso, il grande Marc Bloch concepì un nuovo paradigma di ricerca storica, nel quale riservò un ruolo privilegiato alla ricostruzione del paesaggio agrario. Questa scelta strategica – indicativa delle concezioni storiche tipiche della scuola delle Anna/es – si rivelò saggia, ed ebbe successo: sia perché bilanciava il peso della città con quello delle campagne, sia perché ottimamente si adattava a sottolineare gli elementi della “lunga durata” contro le strettoie della “storia evenemenziale”. Al seguito di Bloch, lo studio del paesaggio agrario è diventato un ovvio ed importante punto di partenza per la comprensione di ogni ambito storico quale scenario degli avvenimenti politici e delle tendenze socio-economiche, ma anche quale esito fisico di quegli avvenimenti e di quelle tendenze (in Italia si segnalò l’opera di Emilio Sereni). Il paesaggio, modificato dall’uomo attraverso il tempo, costituisce di per sé una fonte e uno strumento per la corretta valutazione della struttura sociale. L’organizzazione dello spazio regionale (comprendente sia gli insediamenti sia le campagne) è una sorta di immagine, impressa nel terreno, del modo di produzione e della struttura sociale che l’hanno prodotta.
Questo approccio è stato efficace nella storia medievale e moderna, non solo per una maggiore consapevolezza e un avanzamento metodologico, ma anche per una maggiore disponibilità e diversificazione di dati: registri catastali e archivi notarili, immagini iconografiche e gli stessi resti fisici dell’ antico paesaggio ancora a vista. Per la storia antica (e segnatamente per quella antico-orientale) il compito si è rivelato più difficile. A parte un’evidente arretratezza metodologica, connessa alla priorità assegnata all’edizione dei testi e alla competenza filologica, problemi aggiuntivi derivano dalla scarsità documentaria: i testi catastali sono limitati a poche zone e periodi, e i paesaggi antichi giacciono sepolti sotto la continua sedimentazione delle piane alluvionali, oppure distrutti da successivi interventi umani.
In alcune zone, tuttavia, l’archeologia ha contribuito a ricostruire le linee generali dello sfruttamento agricolo. E questo vale non solo per la Grecia classica o per l’Italia romana o per l’Europa preistorica e protostorica, ma anche per alcune parti del Vicino Oriente antico (pp. 6-7).

L’attuale copertura vegetale del Vicino Oriente è ben diversa da quella originaria, che possiamo non solo postulare ma concretamente ricostruire sulla base dei dati paleobotanici. Per condizioni “originarie” intendiamo qui quelle presenti all’inizio del Neolitico, prescindendo sia da quelle più remote, i cui mutamenti dipendono da fattori extra-umani, sia anche da quelle del Paleolitico la cui economia di sussistenza poteva praticarsi senza interventi di modifica ambientale, tuttalpiù con qualche modesto intervento di disboscamento mediante fuoco. È il passaggio dall’economia di caccia e raccolta a quella di produzione di cibo (agricoltura e allevamento) che rende funzionali e anzi necessari interventi sull’ambiente: ampliamento delle radure coltivabili e dunque disboscamento più sistematico, regolarizzazione dei corsi d’acqua, definizione di unità produttive (campi) mediante delimitazione ed anche recinzione, delineamento (per effetto di utilizzo ripetitivo) di percorsi per la transumanza (tratturi), per arrivare, a partire dal Bronzo Antico, a più incisivi interventi come i terrazzamenti collinari e le reti di canali a bonificare le zone paludose (p. 13).

Come ho già avuto occasione di suggerire (Mario Liverani, Power and Citizenship, in Peter Clark (ed.), Cities in World History, Ubuversity Press, Oxford 2013), la città orientale era caratterizzata dai “luoghi del potere”, mentre quella ellenistica (con i suoi elementi di derivazione greca) diede altrettanto spazio ai “luoghi della cittadinanza” – le caratteristiche urbanistiche riflettendo quelle socio-politiche. Per “luoghi del potere” s’intendono le strutture difensive (mura e porte urbiche), gli edifici palatini Ci palazzi, ma anche gli arsenali, le stalle, gli opifici militari), gli edifici templari (moltiplicati dalla struttura politeistica, ma culminanti nel tempio del dio cittadino), mentre a certe esigenze già presenti (specie lo scambio sia locale sia a distanza) vengono dedicati dei “non-luoghi” di funzionalità secondaria o intermittente: la porta urbica, lo spazio antistante al tempio, la via regia che attraversa la città. I “luoghi della cittadinanza” sono quelli dedicati alle riunioni politico-amministrative, allo scambio, allo svago: il foro (o agorà), i porticati che spesso lo circondano, il mercato, il teatro, le terme (o più banalmente i bagni pubblici). Per riprendere una distinzione resa celebra dal Guicciardini, al Palazzo si aggiunge e si contrappone la Piazza. Non ci sono piazze nella città antico-orientale, solo vie di ogni ordine e grado, dalla grande “via regia” fino ai dedali di oscure viuzze; al sole risplendente ma accaldante si preferisce l’ombra. Magari il re preferisce il sole, per motivi simbolici, ma va in giro seduto sul baldacchino e protetto dal grande ombrello, mentre i portatori (se solo potessero) preferirebbero l’ombra (p. 124).

Mario Liverani, Paradiso e dintorni. Il paesaggio rurale dell’antico Oriente, Gius. Laterza & Figli Bari 2018.,


Quarta di copertina
La nostra civiltà comincia il suo viaggio in uno spazio mitico. Un ‘giardino dell’Eden’ in cui l’uomo trovava soddisfatte tutte le sue necessità. Per secoli studiosi e ricercatori si sono interrogati sulla realtà storica di questo paesaggio primigenio. Oggi finalmente è possibile rispondere alla domanda: ma com’era fatto questo paradiso?

Quando l’Europa iniziò la sua esplorazione del Vicino Oriente, le notizie riguardanti quest’area erano sommarie e spesso facevano riferimento a un passato leggendario e mitico. In particolare, due miti ne avevano simboleggiato il paesaggio: la ‘Torre di Babele’ come metafora per la città e il ‘Giardino dell’Eden’ come metafora per la campagna. Entrambi erano caratterizzati da un elemento di crisi e di collasso: la torre di Babele era rimasta incompiuta e abbandonata, il giardino dell’Eden era stato chiuso all’uomo, costretto a migrare verso ambienti meno ospitali. Invece di città, i primi viaggiatori nel Vicino Oriente trovarono rovine, e invece di giardini trovarono il deserto. Col progredire dell’indagine storica e archeologica, le informazioni sulle antiche città (da Ninive a Babilonia) crebbero, mentre le informazioni sulle campagne rimasero scarse e quasi nulle. La storia orientale antica divenne una questione di re e dinastie, di città e palazzi, di scribi e artigiani e mercanti. Si sapeva che la stragrande maggioranza della popolazione antica era costituita da contadini e pastori, ma la ricostruzione della loro vita e del loro ambiente venne a lungo esclusa dal quadro. Oggi le condizioni sono cambiate. Possiamo provare, per la prima volta, a dare un volto al ‘giardino dell’Eden’, a quel paesaggio in cui è germinata alcuni millenni fa la nostra civiltà.

Indice del volume



Mappa del mondo babilonese, ca 500 a.C.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Antonio Vigilante – Le dimore leggere. Saggio sull’etica buddhista.

Antonio Vigilante - Le dimore leggere

Antonio Vigilante

Le dimore leggere

Saggio sull’etica buddhista

ISBN 978–88–7588-291-4, 2021, pp. 336, Euro 28 – Collana “Il giogo” [137].

In copertina: The interior of a Buddhist temple, by John Thomson, 1869.

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Nell’immagine in evidenza, a sn.: Rilievo in scisto raffigurante il Buddha, il Vajrapani e alcuni monaci, proveniente da Butkara I (Pakistan) e conservato presso il Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma.


«Non fare ciò che è male / fare ciò che è bene / purificare la propria mente: / questo è l’insegnamento del Buddha», si legge nel Dhammapada, uno dei più influenti testi buddhisti. Stu­diando i testi del Canone del Buddhismo Theravāda, Antonio Vigilante offre in questo saggio una interpretazione dell’etica buddhista quale etica transpersonale, tesa al superamento del soggetto attraversi tre momenti. Il primo è il passaggio da un sé disperso nella molteplicità dei suoi desideri ad un sé solido e centrato, grazie alla meditazione e ad altre pratiche disciplinari che hanno molte affinità con le tecniche filosofiche greche, in particolare dello Stoicismo. Il secondo è l’apertura di questo sé grazie alle dimore divine, i quattro valori fondamentali del Buddhismo: la benevolenza, la compassione, la gioia partecipe e l’equanimità. Il terzo momento, quello del Risveglio, è l’abbandono del sé e, con esso, della stessa etica, con la sua distinzione tra bene e male. Solo quando il superamento del soggetto è completo l’etica si realizza pienamente e al tempo stesso si estingue, poiché trasceso l’io è spenta la possibilità stessa del male.
Centrata sulla negazione della sostanza, l’irrilevanza dell’esistenza del Divino e l’insussistenza del soggetto, la visione del mondo buddhista nega i fondamenti stessi della civiltà occidentale. Ma questi fondamenti, osserva Vigilante, sono venuti consumandosi nel pensiero contemporaneo, da Nietzsche a Sartre, per cui l’etica buddhista sembra indicare oggi una via percorribile da un Occidente in crisi.


Antonio Vigilante vive a Siena. Si occupa di teoria della nonviolenza, pedagogia, filosofia morale e interculturale. Tra i suoi libri: Il Dio di Gandhi (2009), La pedagogia di Gandhi (2010), Ecologia del potere. Studio su Danilo Dolci (2012), L’educazione è pace. Scritti per una pedagogia nonviolenta (2014), A scuola con la mindfulness (2017), La luna nell’acqua. Una mappa per perdersi nel Dharma del Buddha (2019). Con Petite Plaisance ha pubblicato: Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore (2018) e L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin (2019).


Indice

Introduzione
Nota
Abbreviazioni

Il Dhamma del Buddha
La via della conoscenza
Filosofia e religione
Un misticismo ateistico
La zattera
Il Buddha e la tradizione indiana
Śramaṇa
Nobili verità
La genesi interdipendente
L’azione
Il nibbāna
Razionale e irrazionale

 

Il sé disperso e il sé dimora
La psicologia buddhista
I pezzi del carro
La nausea
La possibilità della gioia
L’indicibile
Inquinanti

  

Tecnologie del non sé
La cura di sé
Enkrateia
Il Sāṃkhya
Lo Yoga
Una pratica di immersione
Samatha e vipassanā
Lo sforzo
Jhāna
Lo sguardo profondo
Sentieri che si intersecano

 

Una casa sicura
La felicità più alta
Dal quotidiano al sublime
Etica domestica
Non uccidere
Non rubare
La condotta sessuale
Etica della parola
Non assumere sostanze inebrianti
La via verso il riconoscimento
Pacificare le relazioni
Genitori e figli
Maestri e discepoli
Etica coniugale
L’amicizia
Servi ed operai
Asceti e brahmani
Essere inclusivi
Un’etica concreta
Etica e politica

  

La fortezza dei saggi
La via del bhikkhu
Lo sciocco e il saggio
Artigiani di sé
L’amicizia spirituale
Dimore stabili
Le colpe più gravi

Le colpe meno gravi

 

L’apertura

Il dimorare divino
La benevolenza
Controvento
Il dolore, la gioia, il distacco
Porte aperte sul Risveglio
Al di là dei segni
Il sé dono
Oltre il bene e il male
L’abbandono e l’insegnamento

 

Conclusione

Bibliografia


Antonio Vigilante – L’essere e il tu. Aldo Capitini in dialogo con Nishitani Keiji, Enrique Dussel e Murray Bookchin.
Antonio Vigilante – Dell’attraversamento. Tolstoj, Schweitzer, Tagore

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Maura Del Serra – In voce. 55 poesie lette dall’autrice, che in video presenta il suo libro.

Maura Del Serra, In voc blog

Maura del Serra presenta il suo libro in video

Maura Del Serra

In voce

55 poesie lette dall’autrice

ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64,  Euro 12.

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Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.

Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.

 

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.

Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)


Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.
Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.
Maura Del Serra – «Lettera agli amici». Apocalissi di una civiltà ingiusta, predatoria, pervasa dalla ybris materialista ed ipertecnologica. Sarà insieme doloroso e salutare, quanto mi auguro inevitabile e consapevole, un mutamento di rotta. Ascoltiamo le voci di chi ci invita ad «aprire la porta che non abbiamo visto».
Maura Del Serra – Ma come ricambiare alla stella la sua luce danzante, all’albero il suo slancio fra due mondi, … alle stagioni i loro ritmici doni …? … Distruggiamo fuori o dentro di noi solamente per scrollare questo debito immenso da portare come Atlante il suo globo terrestre

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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