Petite Plaisance Blog

Lucia Palpacelli – Il viaggio che Maurizio Migliori ci propone in questo libro è affascinante, ed offre un nuovo modo di leggere il pensiero antico attraverso il paradigma ermeneutico del “multifocal approach”.

Lucia Palpacelli 02

Maurizio Migliori, La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni. Introduzione di Luca Grecchi.

ISBN 978-88-7588-247-1, 2019, pp. 592, Euro 38 – Collana “Il giogo” [100].
In copertina: Vasilij Kandinskij, Verso l’alto (Empor), 1929, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia.

indicepresentazioneautoresintesi

«Giornale di metafisica», XLI, 1, 2019, pp. 345-347.
Lucia Palpacelli 01
Humanitas
Lucia Palpacelli

ZENONE E PLATONE: DUE DIALETTICHE A CONFRONTO
Da una realtà aporetica a una realtà unimolteplice

«L’uno è molti e infiniti e i molti sono uno».
Filebo 15E3-4

In questo contributo si intende delineare un quadro comparativo della dialettica così come intesa da Zenone di Elea e poi inverata e, allo stesso tempo, superata da Platone. A questo fine ci muoveremo su tre fronti:

  1. la delineazione dei tratti essenziali della dialettica di Zenone;
  2. il giudizio platonico sulla dialettica di Zenone, ricavabile dall’incipit del Parmenide;
  3. la presentazione della dialettica di Platone come superamento e inveramento di quella zenoniana.
  1. Una premessa terminogica

Prima di entrare nel vivo del confronto tra Zenone e Platone è necessaria però una breve premessa, perché il termine dialettica ha assunto, nel corso della storia della filosofia, una pluralità di sensi e di accezioni che è bene distinguere. Essenzialmente incontriamo tre figure di dialettica:

  1. intesa come filosofia, cioè come uno strumento che svela la natura di una realtà che è essa stessa dialettica, nella quale positivo e negativo convivono;
  2. come dialogica, cioè come tecnica della discussione;
  3. come tecnica di confutazione.

[…]

La concezione zenoniana della dialettica risulta conservata e innovata dalla dialettica platonica: risulta conservato infatti il processo di innalzamento, per cui dalla contraddizione delle conseguenze si traggono risultati che concernono le premesse (nel caso del paradosso della freccia abbiamo visto come la conclusione contraddittoria permette di invalidare la premessa), ma in un senso nuovo. L’analisi dialettica, svelando la complessità dei nessi che costituiscono il reale, ci costringe a cercare la chiave per capire la non contraddittorietà della struttura apparentemente aporetica e ci indica il cammino per superare la contraddizione tramite un trascendimento ontologico. Il fatto di risalire a una dimensione filosoficamente più alta, però, non dissolve l’aporia ma, lasciandola essere tale al suo livello, consente di inquadrarla in una visione coerente e vera del reale: un qualsiasi essere umano, in sé considerato, è realmente e irriducibilmente uno e molti.

Questo richiede una visione estremamente articolata del reale, una visione multifocale, e un metodo che sia, per sua natura, adeguato alla comprensione di una realtà uni-molteplice, ma implica anche la consapevolezza che è impossibile trovarsi di fronte a un modello unico di descrizione del reale: infatti nella dialettica platonica c’è la movenza dell’unificazione, della risalita ai principi (quindi della sintesi), ma c’è anche il senso dell’irriducibilità del reale: l’infinito è irriducibile e resta in perenne conflitto con il limite, come ci ricorda il Filebo:

«SOCRATE: Dunque, poiché le cose sono così ordinate, bisogna che cerchiamo di porre in ciascuna situazione sempre un ‘unica Idea per ogni cosa: infatti, noi ve la troveremo insita; se dunque l’abbiamo individuata, dobbiamo esaminare se dopo una ve ne siano due, se no tre o qualche altro numero, e, di nuovo, allo stesso modo per ciascuna di quelle, fino a che non si vede dell’uno posto all’inizio non solo che è uno, molti e infiniti, ma anche quanti è; l’Idea dell’ illimitato non bisogna attribuirla alla molteplicità, prima di averne individuato il numero totale, mediano tra l’infinito e l’uno, e solo allora lasciare che ciascuna unità di tutte le cose vada nell’illimitato» (16C7-E2).

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Sommario

Una premessa terminologica
La dialettica din Zenone
I molti simili e dissimili e il paradosso della freccia
Il confronto tra Zenone e Platone: il Parmenide
La dialettica platonica come superamento e invermento di quella di Zenone
Il nesso tutto-parte
I nessi tra le Idee: il Sofista
Considerazioni conclusive


 


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Lucia Palpacelli…

 

L’Eutidemo di Platone. Una commedia straordinariamente seria, Vita e Pensiero, 2009

L’analisi di Lucia Palpacelli affronta in modo nuovo il testo, rifiutando la tradizionale lettura ‘panironica’, che consente di aggirare le tante ‘stranezze’ del dialogo interpretandole come giochi ironici, in ultima istanza poco comprensibili. Al contrario, l’autrice mostra come il dialogo rifletta il pensiero platonico e si riveli un’opera molto significativa all’interno del corpus. L’Eutidemo diventa così un prototipo della ‘scrittura filosofica’ di Platone, che lancia una continua sfida al lettore, chiamato a intendere i problemi proposti e a sviluppare autonomamente le linee di soluzione offerte in forma allusiva.


Aristotele interprete di Platone. Anima e cosmo, Morcelliana, 2013

Il volume mette a confronto analiticamente le opere fisiche di Aristotele con i dialoghi platonici sulle stesse tematiche (in particolare con il Timeo), per ricostruire la complessa articolazione del concetto di physis, dal cosmo alla considerazione degli esseri viventi. La via critica seguita, e indicata dai testi stessi, permette di ricostruire un percorso che si configura sempre come bifronte: le innegabili e, in alcuni casi, fondamentali divergenze tra Aristotele e Platone si innestano su comuni tematiche e domande, per cui, lì dove si segna una distanza, si deve anche riconoscere un punto di accordo. Il rapporto tra Aristotele e Platone va delineandosi in queste pagine nella cifra distintiva di un movimento di vicinanza/lontananza, che rende possibile cogliere il senso e l’effettivo valore della critica aristotelica.


Aristotele, La generazione e la corruzione
Testo greco a fronte, a cura di M. Migliori e L. Palpacelli, Bompiani, 2013

Il “De generatione et corruptione”, opera poco conosciuta e sottovalutata, svolge un ruolo importante nelle riflessioni fisiche di Aristotele. Lo Stagirita affronta e risolve le questioni concernenti i quattro tipi di mutamento, distinti secondo la categoria di riferimento: la generazione e corruzione secondo la sostanza, l’aumento-diminuzione secondo la quantità, l’alterazione secondo la qualità, la traslazione secondo il luogo. L’articolazione di tali temi si sviluppa in un ricco confronto con i filosofi del tempo, con la ripresa della centrale tematica delle cause fisiche e con espliciti riferimenti al Motore immobile trattato nella Metafisica. L’ampia introduzione di Maurizio Migliori, che affronta le questioni di fondo proposte in questo testo, è completata da un saggio bibliografico di Lucia Palpacelli che espone criticamente tutti gli studi apparsi nell’ultimo trentennio. La traduzione e il commentario di Migliori sono stati rivisti e arricchiti sulla base di un analogo aggiornamento bibliografico. Il lettore ha così a disposizione un testo completo, presentato in un’ottica unitaria e sorretto da una lettura critica aggiornata.


La natura intermedia di Eros. Pausania e Aristofane a confronto con Socrate,
in: «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 3 – 2016, Vita e Pensiero, 2016

In this paper, speeches of Socrates, Pausanias and Aristophanes are analysed combining them together. This analysis is performed starting from the concept of intermediate (metaxuv) which allows us to construe Pausians’ speech as preparatory with respect to Socrates’ speech, and Aristophanes’ speech as its denial. Indeed, the concept of intermediate is applied to Eros 1) in embryo in Pausianas’ speech (which finally distinguishes two kinds of Eros) and 2) openly in Socrates’ speech. In this regard, the two speeches are connected and they show a progression 1) from a strictly practical and ethical-behavioural level (Pausanias’ speech) 2) to a theorical-metaphysical level based on Eros’ nature (Socrates’ speech). Aristophanes, on the other hand, defines Eros as a desire of total fusion, his view is corrected and downscaled by Socrates enforcing the concept of intermediate.


Claudia Baracchi, Enrico Berti, Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Alberto Jori,
Giulio A. Lucchetta, Lucia Palpacelli, Luigi Ruggiu, Mario Vegetti, Carmelo Vigna, Marcello Zanatta

Teoria e prassi in Aristotele

indicepresentazioneautoresintesi

 

Il presente volume è il terzo di una serie di collettanei aristotelici, cominciata nel 2016 con Sistema e sistematicità in Aristotele, e proseguita nel 2017 con Immanenza e trascendenza in Aristotele, tutti editi a mia cura presso questa casa editrice. A questi volumi hanno partecipato alcuni fra i maggiori studiosi italiani dello Stagirita, che desidero nuovamente ringraziare per la loro disponibilità e gentilezza, ma soprattutto per l’ennesimo dono che hanno voluto fare agli studi aristotelici.
Il volume di quest’anno, Teoria e prassi in Aristotele, nasce con l’intento di esaminare alcune distanze, spesso rilevate dagli studiosi, fra la teoria e la prassi nel pensiero aristotelico. Il tema è stato analizzato, come di consueto, secondo una pluralità di punti di vista ed approcci.
L’apertura del volume, come da tradizione, è stata anche stavolta un dialogo generale tra lo scrivente e Carmelo Vigna. A questo dialogo, sempre come da tradizione, ha fatto seguito un commento di Enrico Berti, caratterizzato da notazioni profonde ed essenziali. Di seguito, vi sono stati interventi assai puntuali inerenti soprattutto il piano etico (Marcello Zanatta), politico (Arianna Fermani, Silvia Gastaldi, Alberto Jori), teoretico (Claudia Baracchi, Mario Vegetti), economico (Silvia Gullino, Luigi Ruggiu), sociale (Giulio Lucchetta) e scientifico (Lucia Palpacelli).
Il volume è già sufficientemente ampio, per cui mi posso limitare, in questa occasione, ad un ricordo speciale, quello dell’amico Mario Vegetti, che ci teneva molto ad essere presente con un saggio. Rammento con affetto la sua ironia sui «dialogoni metafisici» fra me e Vigna che aprono questi volumi.
Per il 2019, l’intenzione è di iniziare una trilogia sul pensiero platonico, cominciando con un collettaneo sulle Leggi, un dialogo relativamente poco indagato, rispetto almeno alla Repubblica. Tutto questo, come sempre, si potrà attuare – oltre che mediante la collaborazione di ottimi studiosi, negli anni divenuti amici – grazie alla passione culturale di Carmine Fiorillo, fondatore e “reggitore” di Petite Plaisance, al quale anche stavolta esprimo la mia vicinanza e gratitudine.

Luca Grecchi

Lucia Palpacelli
La pluralità metodologica nel pensiero aristotelico: tra teoria e prassi

Le diverse prospettive possibili per conoscere la realtà
Ogni scienza considera lo stesso oggetto da punti di vista diversi
Ogni scienza ha i suoi principi
La relazione tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto: in sé e per noi
La coscienza del limite umano nella conoscenza
Il rapporto tra lo statuto ontologico dell’oggetto e il livello epistemologico
L’estrema varietà della prassi metodologica
L’approccio dialettico
Un problema terminologico
Alcuni esempi della movenza dialettica
La diversa articolazione della movenza “dal generale al particolare”
Da ciò che è più chiaro per noi a ciò che è più chiaro per natura
Il valore dell’esperienza e dei fatti
L’acqua più fredda che umida: la necessità teorica vince sul dato empirico
La scienza non sbaglia, ma lo scienziato sì
Considerazioni conclusive

 
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

 

Pascal Quignard – Che cosa cercate nella musica? La musica esiste semplicemente per parlare di ciò che la parola non può esprimere. In questo senso essa non è del tutto umana. Posso chiedervi un’ultima lezione? Signore, posso tentare una prima lezione?

Quignard Pascal, Tutte le mattine del mondo

Monsieur de Saint Colombe pronunciò a voce bassissima questi lamenti:
«Ah! Mi ricolgo unicamente a ombre divenute ormai troppo antiche! […] Ah! se … ci fosse al mondo un essere vivente che apprezzasse la musica! Potremmo parlare! […]
Allora Monsieur Marais […] grattò la porta del capanno.
«Chi c’è che sospira nel silenzio della notte».
«Un uomo che fugge i palazzi e che cerca la musica».
[…]
«Che cosa cercate, signore, nella musica?».
«Cerco i rimpianti e le lacrime».
[…]
«Signore, posso chiedervi un’ultima lezione?», domandò Monsieur Marais …
«Signore, posso tentare una prima lezione?», rispose Monsieur de Saint Colombe […] e disse che desiderava parlare:
«È difficile, signore. La musica esiste semplicemente per parlare di ciò che la parola non può esprimere. In questo senso essa non è del tutto umana. Allora voi avete scoperto che non è fatta per il re?».
[…]
«È per una cialda donata all’invisibile?».
«Neppure. Che cos’è una cialda? La si vede. Ha un sapore. La si mangia, non è niente».
«Non so più cosa dire, signore. Credo che bisogna lasciare un bicchiere per i morti …».
«Ci siete quasi».
«Una piccola fonte per coloro ai quali il linguaggio è venuto meno. Per l’ombra dei fanciulli. […] Per gli stati che precedono l’infanzia. Quando si era senza respiro. Quando si era senza luce».

Dopo qualche istante sl volto vecchio e rigido del musicista comparve un sorriso ….

Pascal Quignard, Tous le matins du monde [1991], trad. it. di Graziella Cillario: Tutte le mattine del mondo, Analogon Edizioni, Astii2017, pp. 1214-118.

Monsieur de Sainte-Colombe (Jean-Pierre Marielle)
Marin Marais (Gérard Depardieu)
Madeleine (Anne Brochet)
Toinette (Carole Richert)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Sotera Fornaro – Lo stolto e l’intelligenza artificiale. Note a margine alla riedizione di un libro di Diego Lanza

Sotera Fornaro 01

Diego Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune. Prefazione di M. Stella: La storia incantata. Diego Lanza narratore e antropologo dello ‘stolto’. Postfazione di G. Ugolini: Del ridere e del conoscere: la stultitia secondo Diego Lanza.

ISBN 978-88-7588-255-6, 2020, pp. 448, formato 140×210 mm., Euro 35 – Collana “Il giogo” [118]. In copertina: Anonimo, Il mondo sotto il berretto del matto, 1600 ca. Norimberga, Germanisches Nationalmuseum.

indicepresentazioneautoresintesi

Il saggio di Sotera Fornaro è già pubblicato in:

Materiali di Estetica – N. 8.1– 2021, pp. 141-157.

Sentiti ringraziamenti alla Professoressa Sotera Fornaro,
alla redazione di «Materiali di Estetica», e a Gabriele Scaramuzza.

Sotera Fornaro cura il blog culturale e di ricerca
«Visioni del tragico. La tragedia scena sulla scena del XXI secolo»
(https://www.visionideltragico.it/blog/index.php)
e il relativo OJS.

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Sotera Fornaro


Prima in Galleria,
poi, più sotto,
ogni singolo volume …

Galleria



Glauco e Diomede, Osanna Edizioni 1992


Sotto il segno di Mercurio. Vita di Orazio, Osanna Edizioni 1992.


Johann Wolfgang Goethe, Nausicaa, a cura di Sotera Fornaro, Osanna Edizioni 1994.


ohann Wolfgang Goethe, Achilleide, a cura di Sotera Fornaro, Salerno editore 1998


Percorsi epici. Agli inizi della letteratura greca, Carocci 2003.

L’origine dell’epica va cercata nel bisogno umano di raccontare. Una città, una donna, una guerra, il viaggio: questi i nuclei tematici dei poemi di Omero, che si sviluppano attorno a racconti dalle radici antiche, a lungo tramandati oralmente prima di cristallizzarsi nella scrittura. La poesia omerica, agli inizi della letteratura greca, fu sempre nell’antichità considerata «divina», ed ancora suscita stupore per le sue infinite possibilità di lettura. Questo libro ripercorre alcune questioni e temi epici. Destinato a chi si voglia accostare all’epica greca arcaica, pur non conoscendo necessariamente il greco antico, il suo scopo è fornire un’introduzione alle opere che hanno condizionato l’immaginario letterario occidentale, recuperando perciò il gusto e la necessità della loro lettura, anche solo in traduzione. Nella prima parte sono contenute le premesse indispensabili per avvicinarsi all’epica con consapevolezza storica e letteraria; la seconda, invece, è un itinerario attraverso le immagini della poesia, esplicite e implicite, dei poemi di Omero e di Esiodo, per verificare come l’epica descriva se stessa. Le figure ed i concetti principali della storia degli studi omerici compaiono in forma di lemmi nel repertorio finale.


Introduzione alla filologia greca, a cura di Heinz-Günther Nesselrath e Sotera Fornaro, Salerno editore 2004.

L’Introduzione alla filologia greca fornisce un panorama della scienza dell’antichità greca e dei suoi attuali metodi e compiti. Il curatore si è avvalso della collaborazione di 25 specialisti tedeschi, austriaci, svizzeri, inglesi e italiani, concependo la struttura dell’opera in modo da offrire introduzioni dettagliate, affidabili e aggiornate alle singole discipline che insieme costituiscono un quadro completo della scienza dell’antichità. Questa nuova esposizione complessiva si rivolge agli studiosi di letteratura greca e di discipline affini (filologia classica, storia antica, archeologia): essa costituisce uno strumento per lo studio individuale, un sussidio didattico e una prima introduzione alle singole discipline. Edizione in brossura.


Introduzione alla filologia greca, a cura di Heinz-Günther Nesselrath, Sotera Fornaro, Salerno 2004

L’Introduzione alla filologia greca fornisce un panorama della scienza dell’antichità greca e dei suoi attuali metodi e compiti. Il curatore si è avvalso della collaborazione di 25 specialisti tedeschi, austriaci, svizzeri, inglesi e italiani, concependo la struttura dell’opera in modo da offrire introduzioni dettagliate, affidabili e aggiornate alle singole discipline che insieme costituiscono un quadro completo della scienza dell’antichità. Questa nuova esposizione complessiva si rivolge agli studiosi di letteratura greca e di discipline affini (filologia classica, storia antica, archeologia): essa costituisce uno strumento per lo studio individuale, un sussidio didattico e una prima introduzione alle singole discipline. Edizione rilegata.


Antigone. Storia di un mito, Carocci 2012.

Dalla messa in scena della tragedia di Sofocle ad Atene, nel V secolo a.C, la figura di Antigone non ha più conosciuto momenti di eclissi nella storia della letteratura, del teatro, del pensiero. Il suo mito ha posto e pone domande inderogabili: qual è il rapporto tra potere e giustizia? Quali sono i limiti della legge? Ci si deve opporre all’ingiustizia perpetrata dallo Stato? Il martirio è una forma utile di resistenza? Può il potere disporre del corpo del nemico? In che cosa consiste la diversità politica e di genere di Antigone? Ogni epoca ha risposto diversamente a tali questioni e ha prodotto un’Antigone sua propria: l’amante, la santa, la terrorista, l’ebrea torturata nei campi di concentramento, la ribelle di una gioventù bruciata. “Antigone” è diventato dunque un nome-simbolo, capace di rappresentare situazioni anche lontanissime dalla cultura occidentale e senza più alcun legame con il contesto in cui Sofocle scrisse e rappresentò la sua tragedia. Le ricezioni dell’Antigone sono perciò infinite: il libro offre una guida alle più significative di esse in ambito europeo, dal teatro greco antico sino ad oggi.


Walter Hasenclever, Antigone, a cura di Sotera Fornaro, Mimesis 2013

Scritta in trincea durante la prima guerra mondiale, l’Antigone di Walter Hasenclever denuncia l’insensatezza di tutte le guerre ed è un grido pacifista nel mezzo dell’orrore. L’Antigone greca, che paga con la vita la sua ribellione alle leggi dello Stato in nome di una legge divina non scritta ma inderogabile, diventa in questo dramma espressionista una profetica e rassegnata martire della violenza politica di ogni genere. È la vittima non solo di un sanguinario potere tirannico, ma anche di un proletariato sbandato e assetato di vendetta. Questa tragedia giovanile esprime l’oscuro presagio di una schiera di ‘demoni’ che avrebbero saputo conquistare le masse e portare alla catastrofe il mondo già provato da una prima, terribile guerra. Quella di Hasenclever è dunque la prima Antigone politica del XX secolo, stranamente sfuggita alla censura: va accostata all’Antigone del romanzo Novembre 1918 di Alfred Döblin e alla più celebre Antigone di Bertolt Brecht (1948). L’Antigone di Hasenclever da una parte, quella di Brecht dall’altra, sono infatti erme poste a confine di due momenti decisivi nella storia della cultura tedesca e, pur in una visione pessimistica della storia, esprimono attraverso il riuso di un mito antico la possibilità di ripartire dall’arte dopo essere giunti al punto zero della ‘civiltà’ europea.


Che cos’è un classico? Il classico in J. M. Coetzee, Edizioni di Pagina 2013

Che cos’è un classico? I classici svolgono un ruolo concreto nella vita? Per quale mistero hanno la capacità di infondere coraggio e forza alle vittime di poteri politici aberranti? Perché attraverso i classici accettiamo meglio la malattia e l’avvicinarsi della morte? Sono questi alcuni degli interrogativi a cui lo scrittore di origine sudafricana J.M. Coetzee risponde nei suoi romanzi e nei suoi saggi. Attraverso la scrittura di Coetzee, premio Nobel per la letteratura nel 2003 e oggi uno degli scrittori più famosi al mondo, questo libro riflette sul concetto di classico dal punto di vista di una classicista di mestiere e approda ad alcune seppur provvisorie conclusioni. Classico è ciò che è umano e si oppone alla barbarie; ciò che resiste e aiuta a resistere all’orrore e alla violenza. Classico è sempre un atto d’amore, per la vita, per l’umanità, per l’idea stessa dell’amore. Classico è quel che perdura, passando al vaglio del tempo e di giudici competenti. Classico è il cuore che cerchiamo in un mondo spesso senza cuore.

Antigone ai tempi del terrorismo. Letteratura, teatro, cinema, Pensa Multimedia 2016


Eidolon. Saggi sulla tradizione classica, a cura di Sotera Fornaro e Daniela Summa, Edizioni di Pagina 2013

Il riflesso, l’immagine, l’eidolon dei testi e delle opere ‘classiche’ ha continuato ininterrottamente a riverberarsi nella letteratura e nell’arte occidentale moderna e contemporanea; lo studio dei Greci ha condizionato la nascita e lo sviluppo delle istituzioni universitarie e museali; il confronto con la vita politica e sociale dell’antichità ha plasmato riflessioni filosofiche e storiografiche. I saggi qui raccolti offrono esempi di storia della tradizione classica dal XVIII secolo ad oggi. Marco Castellari scrive dell’Antigone di Bertolt Brecht rivista nel 2006 da George Tabori; Sotera Fornaro affronta il frammento drammatico Prometeo di Goethe; Mario Marino esamina un manoscritto inedito di Johann Gottfried Herder con annotazioni sul De rerum natura; Corinne Bonnet ricostruisce il ruolo attribuito a Cartagine nella Storia romana di Theodor Mommsen; Daniela Summa disegna un panorama delle vicende storiche e individuali che hanno accompagnato dagli inizi dell’Ottocento l’elaborazione del corpus epigrafico di Cipro; Carlotta Santini delinea il confronto sul mito tra Thomas Mann, Karoly Kerényi e Furio Jesi; Eleonora Cavallini tratta dei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese e del giudizio che ne dette Italo Calvino.


Bernhard Zimmermann, La commedia greca. Dalle origini all’età ellenistica, a cura di Sotera Fornaro, Carocci 2016

Il libro è una storia della commedia greca, dei suoi autori, delle sue occasioni rappresentative e dei suoi contesti politici e sociali, dalle origini sino al III secolo a.C. Questa traduzione è condotta sulla nuova edizione del 2006 ed è arricchita da un’appendice originale sulle testimonianze epigrafiche della commedia greca, a cura di Daniela Summa, ricercatrice all’Accademia delle Scienze di Berlino. Zimmermann affronta la questione dell’origine della commedia greca, delinea le tappe del suo assurgere a genere letterario, ne esamina la struttura, la metrica, la musica, dà indispensabili notizie sull’architettura teatrale, la messa in scena, le maschere e i costumi; passa quindi in rassegna, con numerosi riferimenti antologici, i drammi traditi di Aristofane e quelli di Menandro, ma anche i frammenti degli autori della commedia “di mezzo” e “nuova”. Il volume si conclude con un panorama, in parte inedito, di storia della ricezione.


Agosto, Edizioni di Pagina 2017

Un ragazzo, Ahmed, dorme per strada; una donna lo scorge dalla sua finestra e decide di aiutarlo. Ha inizio così, in una notte d’estate, un legame difficile, che va avanti tra la comprensione e l’ostilità. Intanto, tra i vicoli stretti di una piccola città vicino al mare, accadono violenze inspiegabili e circolano misteri: forse si sta preparando un attentato. E chi è davvero l’enigmatica Bintou, la sorella silenziosa e discreta, che prega nella moschea e sembra animata da una irremovibile fede? In un crescendo d’ansia e di solitudine, trascorre un feroce agosto assolato. Dopo quel mese vissuto in sospeso tra desideri d’amore ed acute nostalgie del passato, nessuno sarà più lo stesso di prima.


Un uomo senza volto. Introduzione alla lettura di Luciano di Samosata, Pàtron 2019.

«Non conosco classico più classico di questo classico seriore, minore e manierista», scriveva nel 1974 Pier Paolo Pasolini recensendo i Dialoghi di Luciano, apparsi per i ‘Millenni’ di Einaudi con la prefazione di Leonardo Sciascia. Con la definizione di ‘classico’, il poeta di Casarsa intendeva descrivere la capacità di Luciano di vedere i «dettagli reali in modo tanto economico quanto incantevole», e di vederli con «occhio acuto e metallico», teso a incidere nella realtà a lui contemporanea, senza compassione, con l’attenzione alle piccole cose e alle meno appariscenti delle creature. Pasolini si identificava con lo scrittore antico, perché come lui soffriva della consapevolezza di trovarsi in un «vicolo cieco della storia, e della storia letteraria», e guardava all’ormai irrecuperabile passato con nostalgia: in tale buio della storia, presagio anche della fine imminente della propria vicenda individuale, Pasolini rileggeva Luciano, ritrovando e condividendo quel riso satirico impietoso della cultura del proprio tempo, con l’amara coscienza che, come lui stesso, Luciano «anziché corrodere, minare, demistificare – da filosofo ‘cane’ come il suo mitico Menippo – la propria cultura, corrode, mina e demistifica la vita stessa». Oggi, in un periodo che forse può definirsi da ‘fine del mondo’, nell’era della realtà virtuale e della post-verità, si vuole con questa introduzione invitare ancora alla lettura di quest’autore, di cui pure non sappiamo quasi nulla, tranne che veniva da Samosata, lontana città sull’Eufrate e che visse nel pieno II sec.d.C.. Un autore su cui l’antichità stese il silenzio, e che nei secoli è stato oggetto di giudizi antitetici, dall’ammirazione allo spregio. Un autore, dunque, destinato a restare un «uomo senza volto», come scriveva Alberto Savinio: ma i cui discorsi e dialoghi offrono ancora infinito materiale di riflessione, con il loro caleidoscopio di tipi umani e di caratteri, la derisione delle manie intellettuali e delle mode culturali, l’intelligenza nel comprendere il libro della vita per trarne mondi di fantasia, l’accuratezza con cui rappresentano la fenomenologia delle emozioni, l’uso delle immagini e della loro evocazione, il confronto originale con temi e generi tradizionali, l’esperienza delle arti non verbali e per-formative, la profonda umanità e la disincantata filosofia morale.


Berlino. Tra passato e futuro, Cue Press 2019

Il genere testuale della ‘guida turistica’ viene applicato alla materia del teatro. Un percorso attraverso i luoghi dove si consuma il rapporto con la cultura materiale, nello spazio vivo della comunità. Ma i teatri sono anche spazi e architetture capaci di svelare tracce di civiltà passate, luoghi meravigliosi per passare una serata e lasciarci raccontare, attraverso la loro storia e i loro spettacoli, la vita stessa della città. Poi lo spettacolo finisce, e la vita continua, allora saremo pronti a consigliarvi locali e ottimi ristoranti. Ancora, quindi, il teatro e la città: un luogo continuo e dinamico, energicamente legato all’epoca e al tessuto urbano in cui si inserisce, ecco quello che si respira nei teatri del mondo. Quante volte, visitando una capitale europea, vi siete chiesti: «Ma dove saranno i teatri?», «Quali saranno gli spettacoli più vicini al mio gusto?», «Quali artisti?». Allora, o restate in albergo, oppure leggete la nostra guida teatrale. Una serie progettata e realizzata insieme ad Andrea Porcheddu, che ci porterà in giro per il mondo: New York, Berlino, Londra, Tunisi, Hong Kong, Buenos Aires, Milano, Praga… Benvenuti a Berlino! Una città che è cambiata molto nel corso degli anni e in particolar modo nel secolo scorso, in cui si è trovata divisa in due sfere d’influenza; caotica ma meravigliosa, ricca d’arte e soprattutto di teatro, dal Berliner Ensemble di Brecht alla Volksbühne [teatro del popolo], nati nella DDR e tuttora teatri per antonomasia della capitale tedesca. Un tuffo nella peculiarità di questa città, di questa cultura che ha conosciuto artisti tra i più grandi di tutti i tempi.


Saffo, Ode all’amata, a cura di Sotera Fornaro, Mucchi 2020

Dei nove libri della poetessa greca Saffo ci sono rimasti solo sparuti frammenti, e solo una poesia per intero. Tuttavia quei versi attraversano i secoli, segnando la lirica amorosa e imponendo persino una nuova misura del sentimento d’amore; la figura evanescente di Saffo, amante disperata e donna teneramente innamorata, ha segnato l’immaginario occidentale ed è diventata l’archetipo del dissidio tra arte e vita, tra letteratura e sentimento. Anche i più celebri dei frammenti di Saffo, però, restano enigmi: così il fr. 31 Voigt, che è stato interpretato sia come l’ode della follia erotica e dei suoi sintomi fisici, sia come il canto più addolorato della gelosia. Innumerevoli sono le traduzioni di quest’ode, che ci è giunta mutila proprio alla fine, a partire da quella latina di Catullo. La prima traduzione italiana a noi nota data 1572, ed è di uno sconosciuto letterato dal nome Francesco Anguilla. In questa storia infinita, gli interpreti e i traduttori sono per lo più gli uomini: eppure l’ode di Saffo canta delle sensazioni, forti sino alla morte, provocate dall’amore di una donna verso un’altra donna. Così in questo libro si propongono 10 versioni, più o meno libere, talora riscritture, di dieci donne, dalla ‘Saffo del Cinquecento’, Gaspara Stampa, sino alle più vicine Iolanda Insana e Alda Merini.

Antigone. Usi e abusi di un mito dal V secolo a. C. alla contemporaneità,
a cura di Sotera Fornaro e Raffaella Viccei, Edizioni di Pagina 2021

La figura di Antigone si aggira da secoli nelle culture e nei contesti più lontani e diversi: ripercorrere tutte le metamorfosi della figlia di Edipo appare perciò impresa impossibile. Molte zone d’ombra restano nella storia delle Antigoni e molte domande irrisolte. Ad esempio, poco note sono le rappresentazioni iconografiche del mito; quasi sconosciuta è l’Antigone sororale e politica del teatro italiano del Cinquecento. Cosa significano nel pensiero giuridico le ‘leggi non scritte’ di Antigone? Perché Antigone oggi può perdere la statura eroica e diventare personaggio da melodramma? Si può parlare di un ‘modello Antigone’ nella critica letteraria e nella scrittura delle donne? Altri interrogativi insoluti ci pone il testo stesso della tragedia di Sofocle, un classico globale quant’altri mai. Con alcuni di tali argomenti e questioni si misurano i saggi che abbiamo qui raccolto, conclusi dalle considerazioni di Massimiliano Civica per la ‘sua’ “Antigone” in scena.


Revue germanique internationale, 2011
 
 
 
https://www.hcsjournal.org/ojs/index.php/hcs/issue/view/HCS_vol_03, 2021
This paper engages with some key arguments of Constanze Güthenke’s recent book Feeling and Classi… more
 
 
 
 
http://archivi-emozioni.it/index.php/rivista/announcement/view/2, 2021
From the next issue, Archives of emotions will be divided into two sections. For the first, cont… more
 
 
 
 
http://archivi-emozioni.it/index.php/rivista/announcement/view/2, 2021
Dal prossimo fascicolo, la rivista Archivi delle emozioni sarà divisa in due sezioni. Per la pri… more
 
 
 
 
http://www.visionideltragico.it/blog/agora/pompei-prima-di-pompei-un-appello-da-goettingen-al-re-di-napoli-1747, 2020
La scoperta delle rovine di Ercolano e Pompei a metà del XVIII secolo costituisce una cesura nell… more
 
 
 
 
http://www.visionideltragico.it/blog/covid-19/le-tragiche-epidemie-della-ragione-la-mancanza-di-sovranita-nella-pandemia, 2020
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http://www.visionideltragico.it/blog/contributi/ebru-timtik-come-antigone-antigone-come-ebru-timtik, 2020
Ebru Timtik as Antigone, Antigone as Ebru Timtik http://www.visionideltragico.it/blog/contribut… more
 
 
 
 
https://www.visionideltragico.it/contributi/visioni-del-tragico-covid-19, 2020
Per condividere questo momento di smarrimento, paura e anche obbligata anacoresi, si invitano tut… more
 
 
Archivi delle emozioni, 2020
We are pleased to announce the launch of a new, open access double-blind peer-reviewed journal, “… more
 
 
 
https://www.visionideltragico.it/contributi/persiani-sul-tagliamento-i-turcs-tal-friul-di-pasolini-tra-eschilo-e-tespi, 2020
Nel tardo pomeriggio di sabato 21 settembre 2019, lungo il greto del fiume Tagliamento, all’altez… more
 

Diego Lanza : LO STOLTO Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune

Sotera Fornaro, Agosto.

Sotera Fornaro, Consigli.

Sotera Fornaro, Contagio ed epidemia nella letteratura greca antica.

Sotera Fornaro, Hochhuth, Rose Schlösinger, Sophokles

Sotera Fornaro, “Il fango di Bitti e l’arroganza di Achille”

Sotera Fornaro, “Sembri dipingere di rosso le parole…”


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Amedeo Anelli – Occidente e oriente a confronto nella voce poetica di Maura Del Serra.

Amedeo Anelli 02

Testo già pubblicato sulle pagine de “Il Cittadino”, 10-06-2021.



Maura Del Serra

In voce

55 poesie lette dall’autrice

ISBN 978-88-7588-302-7, 2020, pp. 64,  Euro 12.

indicepresentazioneautoresintesi



Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.

Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.

 

Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.

Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)


Amedeo Anelli – «Quartetti». Tempi sospesi e riflessioni filosofiche giocate con un linguaggio all’apparenza semplice, con i ritmi della filastrocca. Amedeo Anelli scrive di sogni sognati e il pennello di Guido Conti cerca un segno che diventi senso.

Maura Del Serra – Adattamento teatrale de “La vita accanto” di Mariapia Veladiano
Maura Del Serra, Franca Nuti – Voce di Voci. Franca Nuti legge Maura Del Serra.
Intervista a Maura Del Serra. A cura di Nuria Kanzian. «Mantenersi fedeli alla propria vocazione e all’onestà intellettuale, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico»
Maura Del Serra – Il lavoro impossibile dell’artigiano di parole
Maura Del Serra – La parola della poesia: un “coro a bocca chiusa”
Maura Del Serra, «Teatro», 2015, pp. 864
Maura Del Serra – Quadrifoglio in onore di Dino Campana
Maura Del Serra – I LIBRI ed altro
Maura Del Serra – Miklós Szentkuthy, il manierista enciclopedico della Weltliteratur: verso l’unica e sola metafora
Maura Del Serra – Al popolo della pace.
Maura Del Serra – «L’albero delle parole». La mia vita è stata un ponte per centinaia di vite, che mi hanno consumato e rinnovato, per loro libera necessità.
Maura Del Serra – «Altro Teatro», rimanendo fedele alla mia vocazione, senza cedere alle lusinghe di un facile successo massmediatico o alla rassicurante ma snaturante appartenenza a consorterie di potere.
Maura Del Serra – «Lettera agli amici». Apocalissi di una civiltà ingiusta, predatoria, pervasa dalla ybris materialista ed ipertecnologica. Sarà insieme doloroso e salutare, quanto mi auguro inevitabile e consapevole, un mutamento di rotta. Ascoltiamo le voci di chi ci invita ad «aprire la porta che non abbiamo visto».
Maura Del Serra – Ma come ricambiare alla stella la sua luce danzante, all’albero il suo slancio fra due mondi, … alle stagioni i loro ritmici doni …? … Distruggiamo fuori o dentro di noi solamente per scrollare questo debito immenso da portare come Atlante il suo globo terrestre

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – La teoretica di E. Severino rimane in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico. Non resta che filtrare dal pensatore de «La Struttura originaria» gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente.

Emanuele Severino 02
Salvatore Bravo
La teoretica di E. Severino rimane in una condizione di indeterminatezza
che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico.
Non resta che filtrare dal pensatore de La Struttura originaria
gli elementi di inquietudine concettuale

che possono esserci di ausilio per decodificare il presente

 

Severino nel regno dell’impotenza
La metafisica di Emanuele Severino[1] è stata spesso tacciata di essere astratta ed avulsa dal contesto storico. La curvatura analitica della filosofia degli ultimi decenni impedisce, in realtà, di coglierne lo spessore critico implicito verso la fase avanzata del capitalismo. Emanuele Severino ha problematizzato la volontà di potenza del capitalismo assoluto, ne ha analizzato il fondamento che ne spiega gli automatismi sociali, psicologici ed economici. La hýbris è la verità tragica e terribile dell’onnipotenza della tecnica alleata del capitale. Il capitalismo assoluto è mosso dalla volontà di potenza e di annientamento della vita, in quanto ha assunto “il divenire” nelle sue forme polisemantiche quale dogma indiscutibile. Il divenire palesa la fragilità dell’essere umano esposto alla morte ed al pericolo della nullificazione. La paura di essere “niente”, di venire dal nulla e di ritornarne al nulla comporta il potenziamento della tecnica con la quale si cerca di neutralizzare il pericolo. In tale contesto il fine arretra fino a scomparire per lasciare il posto all’idolatria della tecnica e dei mezzi. Volontà, tecnica e capitalismo sono un corpo unico che si autoalimentano; la volontà di potenza è tecnica che diviene accumulo di capitale e vuole solo se stessa in un crescendo antisociale segnato dal tremendum. La società della paura partorisce mostri. Pertanto lo strumentalismo tecnico è la risposta all’ontologica paura che accompagna la vita umana. La paura in un crescendo senza limiti si trasforma in terrore. La tecnica con il suo potere è la risposta all’accelerazione della storia che liquida il passato senza prospettare il futuro. Si resta, in tal maniera, in un presente sospeso e, dunque, ci si consegna alla tecnica che assume una prospettiva soteriologica. Il regno dell’impotenza rafforza l’uso e l’abuso della tecnica in una spirale muscolare che cela l’impotenza dinanzi al divenire. La grande paura del divenire è da smascherare come “semplice apparenza destinale”, nel cui abbaglio si consolida la spirale di violenza, la filosofia ha il compito di liberare dalla paura, di rispecchiare il disvelamento destinale dell’essere negli essenti:

 

“Evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, cioè subordinare ad esso ciò che inizialmente ci si proponeva come scopo. Le grandi forze della tradizione occidentale si illudono dunque di servirsi della tecnica per realizzare i loro scopi: la potenza della tecnica è diventata in effetti, o ha già incominciato a diventare, il loro scopo fondamentale e primario. E tale potenza – che è lo scopo che la tecnica possiede per se stessa, indipendentemente da quelli che le si vorrebbero far assumere dall’esterno – non è qualcosa di statico, ma è indefinito potenziamento, incremento indefinito della capacita di realizzare scopi. Questo infinito incremento è ormai, o ha già incominciato ad essere, il supremo scopo planetario[2]”.

 

Divenire e principio di non contraddizione
La filosofia di Severino è, dunque, la risposta alla grande paura mediante la metafisica dell’essere. Per neutralizzare il “male” nei suoi fondamenti pone in discussione il principio su cui si fonda il divenire: il principio di contraddizione. Esso si nega nel suo porsi, poiché implica e giustifica l’assurda opposizione tra essere e nulla su cui si fonda il divenire. Il principio di non contraddizione, invece, deve indicare l’opposizione della parte con il tutto, o l’opposizione tra gli essenti nel loro apparire. Il divenire dev’essere sostituito con l’apparire e lo scomparire degli essenti, questi ultimi sono eterni: ogni attimo, ogni gesto è eterno, poiché ciò che c’è non può diventare nulla, in quanto è iscritto nell’essere degli essenti la loro eternità. L’iperparmenideo Severino dimostra che l’essente non può diventare nulla, perché è. Se ogni ente è già nell’essere, non può tornare nel nulla. L’essente appare e scompare dall’orizzonte di visibilità della coscienza, ma prima e dopo il suo apparire non era nulla, bensì semplicemente era in un altro apparire. Il concetto di essere ha nel suo grembo, quindi, la negazione del nulla: logicamente ed ontologicamente ciò che è non può che essere eterno (gli eterni):

 

“L’aporia dell’essere del nulla è risolta col rilevare che il principio di non contraddizione non afferma la non esistenza del significato autocontraddittorio [ossia la contraddizione in cui consiste il significato nulla] ma afferma che «nulla» non significa «essere» […]. Il non essere, che nella formulazione del principio di non contraddizione compare come negazione dell’essere, è appunto il non essere che vale come momento del non essere, inteso come significato autocontraddittorio. [Dunque], certamente il nulla è; ma non nel senso che «nulla» significhi «essere»: in questo senso, il nulla non è, e l’essere è – ed è questo non essere del nulla ed essere dell’essere, che viene affermato dal principio di non contraddizione[3]”.

 Il principio di non contraddizione in Aristotele è l’espressione più vera del destino dell’Occidente planetario: è il regno del “niente” e del “nichilismo”, poiché il divenire con il terrore che esso comporta ha colonizzato l’intero pianeta. La tecnica da salvezza utopica è diventata distopia distruttrice che annichilisce e nientifica. Ciò che avrebbe dovuto scongiurare è di conseguenza pienamente realizzato. La globalizzazione della tecnica alleata con l’economicismo ha moltiplicato il terrore con i suoi effetti, la sopravvivenza del pianeta è minacciata, per cui la cura si è mostrata peggiore del male che avrebbe dovuto curare:

 

“L’Occidente è la civiltà che cresce all’interno dell’orizzonte aperto dal senso che il pensiero greco assegna l’essere-cosa delle cose. Questo senso unifica progressivamente, e ormai interamente la molteplicità sterminata degli eventi che chiamiamo «storia dell’Occidente», e domina ormai su tutta la terra: l’intera storia dell’Oriente è così diventata anch’essa preistoria dell’Occidente. Da tempo i miei scritti indicano il senso occidentale – e ormai planetario – della cosa: la cosa (una cosa, ogni cosa) è, in quanto cosa, niente; il non-niente (un, ogni non-niente) è, in quanto non-niente, niente. La persuasione che l’ente sia niente è il nichilismo. In tal senso abissalmente diverso da quello d Nietzsche e Heidegger, il nichilismo è l’essenza dell’Occidente[4]”.

La paura è il sentimento analizzato da Heidegger in Essere e tempo, in Severino come in Heidegger la paura (Furcht) e l’angoscia (Angst) divengono condizione ontologica ed esistenziale, sono astratti dalla condizione materiale storica con l’effetto di non essere spiegati nella loro genealogia immanente legata ai processi produttivi.

 

Limiti della metafisica in Severino
Severino indica il problema, ma non lo traduce in conflittualità sociale. Addita nella tecnica, similmente ad Heidegger, un destino da trascendere mediante la ridefinizione ineluttabile dei fondamenti della civiltà. L’essere umano è il custode del destino della metafisica, ma si limita a rispecchiare l’apparire dell’essere, a costatare il destinale apparire degli essenti, anziché la propria e la loro nullificazione. Il fondamento veritativo (l’essere degli essenti) è sfuggente ed indefinibile, in quanto Severino esclude che sia Dio, ma non lo configura in senso positivo. Il presunto fondamento si presta ad un prospettivismo interpretativo che ripropone il nulla in modo altro. I grandi passaggi della storia sono segnati dallo svelarsi dell’essere, l’esser umano deve solo “rispecchiare” l’accadere

 

“Gli eventi improvvisi non hanno radici e quindi scompaiono altrettanto rapidamente di come sono venuti. Ma gli eventi improvvisi, proprio perché tali, sono i più percepibili. Di essi chiunque può dire, e a buon diritto, che “assiste” alla loro comparsa e alla loro scomparsa. I grandi eventi, preparati da lungo tempo e non improvvisi, sono quindi i meno percepibili. Gli spettatori che assistono al loro farsi avanti sono quindi molto pochi. Chi direbbe, guardando il sole nelle prime ore del pomeriggio, che il suo declino ver.so occidente e già incominciato? Ben pochi. ma senz’altro l’astronomo. Lui sì sta “assistendo” all’inizio del tramonto. L’astronomo parla così in relazione auna certa struttura concettuale notevolmente complessa. Anche nel mio libro, a sua volta, si parla di declino del capitalismo in relazione a una certa struttura concettuale notevolmente complessa (che però ed era prevedibile – nulla ha a che vedere con il pensiero di Marx)[5]”.

 

La metafora astronomica utilizzata da Emanuele Severino non è casuale, ma svela la passività con cui l’essere umano deve attendere ed adeguarsi alla manifestazione dell’essere. L’emancipazione è privata del fondamento umano e storico e proiettata nel destino dell’essere che diviene il vero protagonista della storia. L’essere coniuga essenza ed esistenza nella totalità degli essenti, è nella storia e ne determina gli eventi. La libertà è sostituita da una rassicurante necessità. Si opera una scissione tra teoria e prassi con esiti che favoriscono il consolidamento dell’economicismo scientista. Il pericolo dell’astratto è insito nel rifiuto di analizzare le responsabilità politiche, sociali e materiali della condizione attuale. La filosofia di Severino è per tutti e per nessuno, non vi è un soggetto materiale e concreto a cui si rivolge, pertanto la prassi è sostituita dal destino. Il capitalismo cadrà a causa del potenziamento automatico della potenza tecnica, la quale dissolverà la scarsità che spinge alla produzione. Le macchine, nel loro vorticoso affinamento tecnico, produrranno un’infinita quantità di merci che risolveranno la scarsità. Le responsabilità umane si obliano dietro le ferree leggi sovraumane, si proietta nell’alto dei cieli il positivismo tecnocratico che si critica in terra: il determinismo regna sovrano. Non sono indicati i soggetti che dovrebbero operare per trasformare il divenire in apparire. Pertanto ricade in una forma di impotenza teoretica senza prassi e progetto. Il logos in Severino deve appurare l’apparire e lo scomparire degli essenti. Cade la sua funzione principale, ovvero la capacità di misurare e di porre fini oggettivi. L’emancipazione consiste nel liberarsi del Dio tradizionale che stabilisce l’essere e il nulla degli essenti, mentre per Severino tutti gli esenti sono eterni, non vi è un essente privilegiato in cui essenza ed esistenza coincidono:

 

“Ogni ente è eterno. Quindi è eterno anche quell’ente che è lo stesso accadere dell’ente […]. L’ente che accade […] e il suo accadimento è un eterno; quindi è necessario che l’ente accada. Nemmeno la sintesi tra l’ente che accade e il suo accadere può non essere (ossia esser niente)[6]”.

Si potrebbe intravedere nell’eternità di tutti gli essenti un principio di uguaglianza da tradurre in equa distribuzione dei beni materiali ed immateriali e superamento delle logiche padronali con il ritrarsi del Dio signore e padrone, ma Severino non conduce il suo sistema metafisico verso la prassi. La filosofia e la politica, la teoria e la prassi sono rescisse, si ricade nella filosofia dell’impotenza, in un “nichilismo onto-metafisico”.

 

Filosofia e prassi
Riportare la Filosofia alla sua verità significa sottrarsi alla frammentazione specialistica per ridisporsi verso la verità:

 

“la filosofia da città è diventata radura, e le vie che la collegano alle circostanti regioni sono ormai autostrade[7]”.

La filosofia, prima che si disperdesse in innumerevoli specializzazioni, era attività politica. Non è un caso che nel testo riportato Severino la paragoni ad una città; essa ha avuto origine nella polis, dove la parola dialogante fondava la politica sull’universale condiviso, sulla verità che, in tal modo, fondava la politica comunitaria in un orizzonte di senso mediante il “katà métron”. Severino rifiuta la tradizione metafisica greca e cristiana, in quanto si fondano sul principio di non contraddizione e nel divenire, e di fatto recide il legame con la tradizione filosofica. La teoretica di Severino resta in una condizione di indeterminatezza che rende la sua metafisica avulsa da ogni dinamico radicamento storico e dunque rischia un asfittico isolamento intellettuale indebolendone, come rileva Luca Grecchi, il piano ontologico:

 

“L’assenza di una precisa statuizione del fondamento ha condotto anche il pensiero di Severino ad una certa indeterminatezza, nonché all’assenza di un conseguente piano assiologico. Il nostro autore ha infatti dichiarato false tutte le strutture morali derivate dalla grande metafisica greca e cristiana, poiché la stessa metafisica è da lui considerata falsa, «identificando l’essere al niente». Il piano assiologico – umanistico e pertanto non vero – è dunque escluso dall’analisi di Severino[8].

Non resta che filtrare dal pensatore de La Struttura originaria (1958) gli elementi di inquietudine concettuale che possono esserci di ausilio per decodificare il presente. Severino ripone al centro la totalità e l’arte di porre domande profonde senza le quali non vi è futuro e non vi è passato, per cui le domande che si levano devono essere accolte. E, come avviene nella storia della filosofia, ci invitano ad altre risposte e soluzioni. Ma senza l’incipit della domanda nulla può iniziare. I percorsi per uscire dal “sentiero della notte” sono plurali. Per poter avviare l’esodo nessuna domanda e nessun ipotetico percorso dev’essere respinto, ma vagliato con il logos, ogni respingimento preconcetto ci riporta nel “sentiero della notte”.

Salvatore Bravo

[1] Emanuele Severino (Brescia, 26 febbraio 1929 – Brescia, 17 gennaio 2020). 

[2] Emanuele Severino, Il destino della tecnica, Rizzoli, Milano 2009, pp. 8-9.

[3] Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 215.

[4] Emanuele Severino, ἀλήθεια in Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1982, p. 415.

[5] Antonio Sabatucci, Emanuele Severino: la morte del capitalismo, p. 16

[6] Emanuele Severino, Destino della necessità, Adelphi, Milano 1980, p. 97.

[7] Emanuele Severino, La filosofia contemporanea, Milano 1986, p. 5.

[8] Luca Grecchi, Nel pensiero di Emanuele Severino, Petite Plaisance, Pistoia 2005, p. 88


Luca Grecchi, Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino.

ISBN 978-88-7588-092-7, 2005, pp. 176, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [4].
In copertina: Auguste Rodin, La Pensée. 1886, marmo, h. cm. 74. Musée d’Orsay.

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mario G. Losano – Kelsen vuole non spiegare, ma descrivere, poiché la sua teoria formale lascia ad altri lo studio dei contenuti. In questo periplo della dottrina pura del diritto ho additato più le secche che i porti. Per me, l’esprimere pensieri e ripensamenti legati al testo kelseniano che tradussi da studente è non tanto un’opera accademica, quanto un frammento di autobiografia culturale.

Losano Mario G. 01

[…] Dal punto di vista della lotta contro il giusnaturalismo, il relativismo kelseniano dà buoni frutti, spiegando nell’ambito d’una dottrina coerente come sia inammissibile ogni giudizio di valore assoluto. Un successivo esame rivela però che questo relativismo ha un limite: esso è completamente astorico, cioè appiattisce i vari contenuti del valore di giustizia in un’irreale sincronia, mentre, nella realtà storica, quei valori non coesistono, ma si succedono nel tempo, sia pur con inevitabili sovrapposizioni parziali. Soltanto così si può spiegare perché in tempi e luoghi diversi esistano norme di giustizia diverse fra loro, ma funzionali ciascuna al proprio ambiente.
Tuttavia Kelsen vuole non spiegare, ma descrivere, poiché la sua teoria formale lascia ad altri lo studio dei contenuti. Dal punto di vista metodologico è quindi indubbiamente scorretto attribuire contenuti ad una dottrina che non vuole averne; tuttavia è questo l’unico modo per superare la paralisi in cui si irrigidisce la dottrina pura del diritto. Fuor di metafora, bisogna a questo punto prendere posizione fra due giudizi di valore mutualmente escludentisi: la conoscenza è fine a se stessa o deve servire all’azione? Si ritorna così, ancora una volta, alle opposte concezioni della scienza – strumento conoscitivo chiuso in se stesso ovvero strumento del progresso umano – quali già si erano viste nel dibattito sull’avalutatività tra Schmoller e Weber. Nel primo caso, la dottrina pura del diritto va bene così com’è; nel secondo caso, non può più essere seguita.
Fu lo stesso Kelsen – quando, il 17 maggio 1952, ritirandosi dall’insegnamento, tenne l’ultima lezione a Berkeley – a mettere in luce tanto la mancanza di risposte propria della dottrina pura del diritto, quanto la necessità di ottenere una risposta a certi quesiti, che sono poi la condizione stessa per l’esistenza sociale d’una persona: «Ho aperto questo saggio con la domanda su che cosa è la giustizia. Ora, giunto alla fine, mi rendo perfettamente conto di non avervi risposto. La mia unica scusa è che, a questo riguardo, sono in ottima compagnia: sarebbe stato più che presuntuoso far credere al lettore che io sarei potuto riuscire là, dove erano falliti i pensatori pi6 illustri. Di conseguenza non so, né posso dire, che cosa è la giustizia, quella giustizia assoluta di cui l’umanità va in cerca. Devo accontentarmi di una giustizia relativa e posso soltanto dire che cosa è per me la giustizia. Poiché la scienza è la mia professione, e quindi la cosa più importante della mia vita, la giustizia è per me quell’ordinamento sociale sotto la cui protezione può prosperare la ricerca della verità. La “mia” giustizia, dunque, è la giustizia della libertà, la giustizia della democrazia: in breve, la giustizia della tolleranza».
Giudichi il lettore quanto quest’ultima affermazione sia compatibile con i postulati della purezza metodologica illustrati in precedenza. Tuttavia anche Hans Kelsen non ha altra soluzione per sottrarsi all’immobilismo elencatorio cui lo costringe la sua dottrina. Non v’è dunque da stupirsi se anche altri studiosi sentono l’esigenza di sottrarsi al frustrante precetto dell’avalutatività: la purezza è infatti una virtù commendevole, ed all’asceta che la pratica deve andare tutto il nostro rispetto; però una società di asceti sarebbe condannata all’estinzione.
In questo periplo della dottrina pura del diritto ho additato più le secche che i porti. Quando Kelsen separava il diritto dalla natura, ho ricordato i passi in cui egli afferma che una certa concreta efficacia è necessaria perché il diritto esista, cioè sia valido. Quando Kelsen separava il diritto dai valori, ho ricordato che la sua norma fondamentale non fa parte dell’ordinamento positivo, ma deve essere presupposta proprio in base a valori. Quando Kelsen limitava il compito del giurista all’accertamento della semplice validità formale delle norme, ho ricordato come egli fosse consapevole della Gorgone del potere che si cela dietro l’ordinamento giuridico. Quando Kelsen limitava l’attività del giurista a puri compiti elencativi, ho documentato come talora anche Kelsen sentisse il bisogno di infrangere l’elencazione pura di valori di giustizia o di possibili interpretazioni per scegliere un valore o un’interpretazione.
«Quandoque bonus dormitat Homerus», anche il buon Omero ogni tanto s’appisola, si potrebbe pensare con Orazio. Ma si sbaglierebbe: ho colto non i momenti di assopimento del teorico, ma anzi i suoi soprassalti di umanità. Quando il vincolo del sistema che egli va costruendo diviene così innaturale, da imporgli la scelta tra il rispetto della realtà e la coerenza della costruzione, talora Kelsen rinuncia a questa coerenza per rispetto della realtà. La dottrina pura del diritto è quindi una teoria che contiene gli elementi non della propria distruzione, bensì della propria evoluzione futura. Perciò, in queste pagine, ho cercato di distinguerne i punti fermi dalle costruzioni caduche, applicando alla teoria di Kelsen quel relativismo in cui egli vedeva l’unico fondamento della scientificità.
Spero che l’indispensabile precisione della critica non venga scambiata per astio di scuola. Per me, l’esprimere pensieri e ripensamenti legati al testo kelseniano che tradussi da studente è non tanto un’opera accademica, quanto un frammento di autobiografia culturale. Nella mia vita di scholar, le opere del grande giurista di Praga mi hanno costantemente accompagnato, stimolandomi sempre, anche se spesso per dissenso. Dissenso d’altronde inevitabile nell’avvicendarsi delle generazioni: più di mezzo secolo di polemiche, un molteplice esilio e due guerre mondiali non passano senza lasciar tracce su una dottrina; ma la dottrina che resiste a due guerre mondiali, ad un molteplice esilio ed a mezzo secolo di polemiche è una dottrina che, nella scienza del diritto, ha conquistato una posizione ben definita e, in certa misura, anche definitiva.

Mario G. Losano, Introduzione a Hans Kelsen, Il problema della giustizia, Einaudi, Torino 1975, pp. XXXII- XXXV.


Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Mario G. Losano…


Prima in Galleria,
poi, più sotto,
ogni singolo volume …

Galleria



Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi 1966.


Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Einaudi, Torino 1969


La teoria di Marx ed Engels sul diritto e sullo stato. Materiali per il seminario di filosofia del diritto, Università Statale di Milano. Anno Accademico 1968-69, Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino 1969



Libia 1970. Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia nel terzo mondo. Corso di filosofia politica, Università di Milano. Anno Accademico 1969-70, Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino 1970


Corso di informatica giuridica, Cuem 1971


Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto. A cura di Mario G. Losano, Einaudi, Torino 1972


Liςões de informática jurídica, Editora Resenha Tributaria, São Paulo 1974


Hans Kelsen, Il problema della giustizia, a cura di Mario G. Losano, Einaudi 1975


Informática Jurídica, Saraiva, Edusp 1976


I grandi sistemi giuridici Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Einaudi 1978


Corso di informatica giuridica. Informatica per le scienze sociali, Einaudi 1985


Hans Kelsen, La dottrina pura del diritto. Saggio introduttivo e traduzione di Mario G. Losano, Einaudi 1991


Storie di automi, Einaudi 1991


Corso di informatica giuridica. Diritto privato dell’Informatica, Einaudi 1997


I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Ed. Laterza 2000


Un giurista tropicale. Tobias Barreto fra Brasile reale e Germania ideale, Laterza 2000


La legge italiana sulla privacy. Un bilancio dei primi cinque anni, Laterza 2001


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 1. Dalle origini alla scuola storica, Giuffrè 2002


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 2. Il Novecento, Giuffrè 2002


Sistema e struttura nel diritto. Vol. 3. Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè 2002


Automi d’Oriente. «Ingegnosi meccanismi» arabi del XIII secolo, Medusa edizioni 2003


Verso una costituzione federale per l’Europa. Una proposta inedita del 1943, Giuffrè 2003


Mario G. Losano – Francisco Muñoz Conde (org.), El derecho ante la globalización y el terrorismo. “Cedant arma togae”. Actas del Coloquio Internacional Humboldt, Montevideo abril 2003, Tirant lo Blanc, Valencia 2004


Un giudice e due leggi. Pluralismo normativo e conflitti agrari in sud America, Giuffrè 2004


Función social de la propiedad y latifundios ocupados. Los sin tierra de Brasil, Dykinson 2006


 Il diritto economico giapponese, Unicopli 2007


 Il Movimento Sem Terra del Brasile. Funzione sociale della proprietà e latifondi occupati, Diabasis 2007


Hans Kelsen, Scritti autobiografici. Traduzione e cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia 2008


Peronismo e giustizialismo, dal Sudamerica all’Italia, e ritorno. A cura di Marzia Rosti, Diabasis, Reggio Emilia 2008


L’ammodernamento giuridico della Turchia (1839-1926), Unicopli 2009


Umberto Campagnolo, Conversazioni con Hans Kelsen. Documenti dell’esilio ginevrino 1933-1940, a cura di Mario G. Losano, Giuffrè 2010


La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla decolonizzazione, Bruno Mondadori 2011


Solidaridad y derechos humanos en tiempos de crisis, Dykinson, Madrid 2011


Parlamentarismo, democrazia e corporativismo, Aragno 2012


La macchina da calcolo di Babbage a Torino, Olscki 2014


Rudolf von Jhering, Lo scopo nel diritto. Introduzione e cura di Mario G. Losano, Nino Aragno Editore, Torino 2014


I carteggi di Pietro Luigi Albini con Federico Sclopis e Karl Mittermaier (1839-1857).
Alle origini della filosofia del diritto a Torino, Accademia delle Scienza 2015


Alle origini della filosofia del diritto in Giappone.
Il corso di Alessandro Paternostro a Tokyo nel 1889, Lexisi 2016


Il portoghese Wenceslau de Moraes e il Giappone ottocentesco.
Con venticinque sue corrispondenze nelle epoche Meiji e Taisho (1902-1913), Lexis 2016


Lo spagnolo Enrique Dupuy e il Giappone ottocentesco, Lexis 2016



El valenciano Enrique Dupuy y el Japón del siglo XIX. En apéndice. Enrique Dupuy, La transformación del Japón en la era Meiji, 1867-1894, Servei de Publicacions de la Universitat de València, Valencia 2017


La rete e lo stato islamico. Internet e i diritti delle donne nel fondamentalismo islamico, Mimesis 2017


Hans Kelsen, Due saggi sulla democrazia in difficoltà (1920-1925). A cura di Mario G. Losano, Aragno, Torino 2018


Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci 2019


INTRODUCCION A LA INFORMATICA JURIDICA, EDICIONES OLEJNIK 2019


La libertà d’insegnamento in Brasile e l’elezione del presidente Bolsonaro, Mimesis 2019


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – «Forsan et haec olim meminisse iuvabit». Illuminismo meridionale, plebe ed emancipazione, limite e democrazia nella Costituzione del 1799. Eleonora Pimental de Fonseca, Francesco Mario Pagano, Gaetano Filangeri.

Eleonora de Fonseca Pimental - Francesco Mario Pagano-Gaetano Filangeri

Salvatore Bravo

«Forsan et haec olim meminisse iuvabit»

Illuminismo meridionale, plebe ed emancipazione, limite e democrazia nella Costituzione del 1799

*****

Illuminismo meridionale
L’Illuminismo meridionale non è presente nei manuali di storia della filosofia, nelle accademie le ricerche sull’Illuminismo si limitano, in genere, gli studi agli autori noti. Gli autori meridionali compaiono solo in casi eccezionali ed all’interno di circoli accademici di nicchia. Il loro oblio ci racconta della sconfitta della la Repubblica del 1799 e della vittoria piemontese sull’Italia meridionale. Per dominare un popolo è necessario privarlo della sua memoria storica e della sua identità, non è necessario eliminarlo biologicamente.
Ma la modernità e la contemporaneità hanno sviluppato innumerevoli dispositivi di sterminio. La scomparsa di una tradizione culturale trasforma i popoli in plebe, in massa informe che attende dal dominatore una nuova anima che funge da falsa identità. Il dominatore “trasmette”, in modo unidirezionale, la sua storia, rade al suolo la storia degli sconfitti e si assicura la loro perpetua sudditanza. Le parole del popolo divengono le parole dei vincitori, gli autori con cui si “pensa e progetta” la storia sono le parole dei colonizzatori. Per i popoli meridionali così è stato. Ai piemontesi ora si sostituisce il dominio anglosassone. Pertanto la lingua ed i valori appartengono ad altri, sono imitate le parole come i comportamenti, mentre i luoghi della memoria divengono mercati per i nuovi potentati. I domini si stratificano ed affondano la memoria. I popoli divengono plebe sviluppando una percezione distorta ed aggressiva di sé. Il vuoto intuito e la violenza perenne dei dominatori si trasformano in identità posticce ed esteriori: il nulla identitario è sostituito con l’eccesso e l’aspirazione collettiva alla privatizzazione di ogni gesto ed allo smantellamento del senso pubblico, fino a sottrarsi ad ogni vincolo etico e comunitario. Nel caos dell’illimitatezza i popoli divengono masse tracotanti che compensano l’incapacità di tracciare il proprio destino con la disarmonia etica ed estetica: dal tessuto urbano all’abbigliamento vi è una struttura comune, ovvero l’occupazione aggressiva di ogni spazio al fine di marcare una presenza per occultare la sconfitta politica con l’esteriorità aggressiva. Le parole sono dette con l’angloitaliano che annichilisce non solo i dialetti, ma anche la lingua italiana. Il dispositivo di dominio ha lo scopo palese di trasformare i popoli in plebi precarie, e tale azione diviene più semplice con i popoli che hanno già subito violenze e mutilazioni identitarie.

Plebe ed emancipazione
La plebe non solo non è un soggetto politico, ma specialmente non ha valori linguistici e religiosi di cui si sente parte. È una massa esposta alle tragedie della storia, e si adatta. Ma, mentre si abbandona al nuovo dominatore a cui chiede identità e storia, diviene servile come i “lazzari napoletani”. La plebe non ha concetto, ma spera nell’obolo del nuovo vincitore. L’Italia meridionale è oggi l’espressione compiuta della condizione plebea, è l’archetipo dei popoli privati della loro anima collettiva e sostituita con i miti e gli incanti anglosassoni: i dialetti arretrano, la religione è in abbandono, la politica è sfregiata del suo senso dai nuovi sceriffi della legge, dall’invocazione impotente agli uomini forti che devono guidare il gregge verso un futuro che non c’è, ma si connota come l’ennesimo saccheggio delle risorse materiali e spirituali.
Ricordare l’Illuminismo meridionale significa riannodare i fili di una memoria spezzata da altri, perché il dominio si configura con la violenza della frantumazione dello spazio e del tempo. Nell’Illuminismo meridionale la differenza tra popolo e plebe non è soltanto delineata, ma specialmente si pone il problema di come trasformare le plebi in popoli. Eleonora Pimental de Fonseca[1] si impegnò nel coinvolgere la popolazione nella politica con il Monitore, il cui motto era “Far diventare la plebe popolo”. Francesco Mario Pagano[2] scrive i Saggi politici (1783 1785) e stese la Costituzione del 1799, mentre Gaetano Filangieri[3] delinea il concetto di felicità individuale mai scisso dal destino della comunità. Il popolo diventa plebe nella passività e specialmente nella rinuncia alla ricerca della felicità personale la quale è servizio alla comunità: la felicità di ordine acquisitivo è plebea, perché la soggettività è consegnata al disincanto delle merci. La Costituzione americana (17 settembre 1787) riporta il diritto alla felicità attraverso l’opera giuridico-filosofica di Gaetano Filangieri.

Limite e democrazia nella Costituzione del 1799
L’ostentazione della ricchezza è oggetto di censura nella Costituzione del 1799, coloro che usano il potere del denaro per offendere l’altrui condizione, e dunque si affermano sull’infelicità altrui, sono oggetto di una censura politica ed educativa. L’illimitatezza è il privato che assimila il pubblico, pertanto è nemico della cittadinanza. Nella Costituzione del 1799 vi è una parte che ha titolo Censura e, nell’articolo 314, si condannano con la censura gli eccessi: non si può essere cittadini senza il senso della misura. Per Pagano l’essere umano ha una sua natura etica, pertanto i diritti devono essere controbilanciati dai doveri. Il senso del limite restituisce dignità all’essere umano, il quale ha una natura etica che gli consente di razionalizzare i comportamenti. Pagano censura l’individualismo che rompe la comunità ed innesca processi di competizione che la disintegra dal suo interno. La costituzione del 1799 condanna l’individualismo in modo da favorire la coesione comunitaria nella quale si consolida la comunicazione e la maieutica. Non a caso gli articoli 398-399, nel Titolo XV, affermano la libertà di espressione come fondamentale per la Repubblica. La libertà di espressione dev’essere supportata da un contesto educato all’ascolto ed al contraddittorio, pertanto l’educazione al limite è la condizione per la comunicazione e la partecipazione politica. La cultura del diritto e del dialogo sono il centro della ricerca giuridica e filosofica di Pagano, il quale risponde al pericolo dei corsi e ricorsi storici vichiani con la cultura del diritto. Per Pagano il ritorno alla barbarie è scongiurato se i popoli non subiscono il diritto, ma partecipano vivamente alla sua elaborazione. L’Illuminismo meridionale dinanzi all’imbarbarimento dei costumi e del linguaggio ci indica un percorso per uscire dalla violenza della passività: il diritto alla cittadinanza partecipata e consapevole. L’alternativa non può che condurre all’anarchia della sregolatezza e all’infelicità generale. In un momento storico in cui si vaccinano i giovani inducendoli a tale operazione non con l’informazione, ma mediante “rave” organizzati nei “centri di vaccinazioni”, si può affermare che la barbarie è tra di noi. I giovani sono trattati come plebi, panem et circenses, in questo caso il panem è sostituito dal vaccino. Il paese dei balocchi si fonde con il biopotere producendo una barbarie unica nella storia: l’informazione ed il contraddittorio sono sostituiti con la musica assordante. La parola maieutica è sostituita con la propaganda, si trattano le nuove generazioni come sudditi da portare nel paese dei balocchi. Si celano gli interessi economici e si accompagnano le nuove generazioni al pascolo della barbarie: la scelta consapevole è sostituita con la musica e ciò rammenta altri periodi storici.

L’Illuminismo meridionale ha posto per primo, e fortemente, la differenza tra plebe e popolo. Ora che i popoli sono indotti dai nuovi piffererai verso l’abisso della plebe, dimostra la sua attualità e la necessità di ripensare il presente con il passato. Senza la tensione concettuale tra il presente ed il passato non vi è futuro, ma solo la sussunzione distruttiva. Forsan et haec olim meminisse iuvabit [“Forse un giorno ci farà piacere ricordare anche queste cose”] (Virgilio, Eneide, I, 203), il verso virgiliano con cui la Pimental si avviò al patibolo risuona ancora, ma ancora non è ascoltato. Gli illuministi meridionali restano testimoni eroici che attendono di essere ripensati. Le parole di Mario Francesco Pagano, il Platone napoletano, nella Costituzione del 1799 risuonano, oggi: sono vere e lontane:

«La libertà è la facoltà dell’Uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche, come gli piace, colla sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso. Contro l’oppressione ogni Uomo ha il dritto d’insorgere, il Popolo ha diritto di insorgere, ma quando diciamo Popolo, intendiamo parlare di quel Popolo che sia rischiarato ne’ suoi veri interessi, e non già d’una plebe assopita nell’ignoranza, e degradata nella schiavitù, non già della cancrenosa parte aristocratica. L’uno e l’altro estremo sono de’ morbosi tumori del corpo sociale, che ne corrompono la sanità».

Salvatore Bravo

[1] Eleonora Pimental de Fonseca (Roma, 13 gennaio 1752– Napoli, 20 agosto 1799).

[2] Francesco Mario Pagano (Brienza, 8 dicembre 1748 – Napoli, 29 ottobre 1799). 

[3] Gaetano Filangieri (San Sebastiano al Vesuvio, 22 agosto 1753 – Vico Equense, 21 luglio 1788).

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Max Horkheimer, Theodor W. Adorno – Kant ha anticipato intuitivamente ciò che è stato realizzato consapevolmente solo da Hollywood: le immagini sono censurate in anticipo, nell’atto stesso della loro produzione. Lo spettatore non deve lavorare di testa propria. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale, viene scrupolosamente evitata.

Max Horkheimer, Theodor W. Adorno

 «[…] l’istanza del pensiero calcolante […] organizza il mondo ai fini dell’autoconservazione e non conosce altra funzione che non sia quella della preparazione dell’oggetto, da mero contenuto sensibile, a materiale di sfruttamento. La vera ragione […] si rivela da ultimo, nella scienza odierna, come l’interesse della società industriale. L’essere è visto sotto l’aspetto della manipolazione e dell’amministrazione. Tutto diventa processo ripetibile e sostituibile, semplice esempio di moduli concettuali del sistema: anche il singolo uomo […].
Kant ha anticipato intuitivamente ciò che è stato realizzato consapevolmente solo da Hollywood: le immagini sono censurate in anticipo, nell’atto stesso della loro produzione, secondo i moduli dell’intelletto conforme al quale dovranno essere contemplate» (pp. 92-93).

«L’industria culturale assolutizza l’imitazione. Ridotta a puro stile, ne tradisce il segreto, l’obbedienza alla gerarchia sociale. […] Parlare di cultura è sempre stato contro la cultura. Il denominatore comune “cultura“ contiene già virtualmente la presa di possesso, l’incasellamento, la classificazione, che assume la cultura nel regno dell’amministrazione. Solo la sussunzione industrializzata, radicale e conseguente, è pienamente adeguata a questo concetto di cultura» (p. 141).

«L’arte seria si è negata a coloro cui il bisogno e la pressione dell’esistenza rendono la serietà una beffa, e che sono, di necessità, contenti quando possono trascorrere passivamente il tempo […]. Ma il nuovo è che gli elementi inconciliabili della cultura, arte e svago, vengano ridotti, attraverso la loro sottomissione allo scopo, a un solo falso denominatore: la totalità dell’industria culturale. Essa consiste nella ripetizione» (p. 146).

«Il preteso contenuto è solo una pallida facciata; ciò che si imprime è la successione automatica di operazioni regolate. […] lo spettatore non deve lavorare di testa propria: il prodotto prescrive ogni reazione: non per il suo contesto oggettivo – che si squaglia appena si rivolge alla facoltà pensante –, ma attraverso segnali. Ogni connessione logica, che richieda fiato intellettuale, viene scrupolosamente evitata. […] L’idea stessa viene, come gli oggetti del comico e dell’orribile, lacerata e fatta a pezzi» (p. 148).

«L’odierna fusione di cultura e svago non si compie solo come depravazione della cultura, ma anche come spiritualizzazione forzata dello svago» (p. 155).

«L’industria culturale è interessata agli uomini solo come ai propri clienti e impiegati, e ha effettivamente ridotto l’umanità nel suo insieme, come ognuno dei suoi elementi, a questa formula esauriente» (p. 158).

«Nell’industria culturale l’individuo è illusorio non solo per la standardizzazione delle sue tecniche produttive. Esso è tollerato solo in quanto la sua identità senza riserve con l’universale è fuori di ogni dubbio […]. La pseudoindividualità è la premessa del controllo e della neutralizzazione del tragico […] L’industria culturale può fare quello che vuole dell’individualità solo perché in essa, da sempre, si è riprodotta l’intima frattura della società» (pp. 166-167).

«Il modo in cui una ragazza accetta e assolve il suo date obbligatorio, il tono della voce al telefono e nella situazione più familiare, la scelta delle parole nella conversazione, e l’intera vita intima, ordinata secondo i concetti della psicoanalisi volgarizzata, documenta il tentativo di fare di sé l’apparecchio adatto al successo, conforme, fin nei moti istintivi, al modello offerto dall’industria culturale. Le reazioni più intime degli uomini sono così perfettamente reificate ai loro stessi occhi che l’idea di ciò che è loro specifico e peculiare sopravvive solo nella forma più astratta: personality non significa – per loro – praticamente più altro che denti bianchi e libertà dal sudore e dalle emozioni. È il trionfo della réclame nell’industria culturale, l’imitazione coatta, da parte dei consumatori, delle merci culturali pur scrutate nel loro significato» (p. 180).

Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 1971.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Tito Perlini (1933-2013) – Il pensiero di Marcuse ha una lucidità impareggiabile nel denunciare gli aspetti letali della totalità integrata e nel prospettare la vitale necessità di spezzarne il cerchio fatato, ma arranca quando cerca di indicare in positivo le modalità da adottare per conferire al movimento teso verso la liberazione la forza capace di incidere efficacemente sulla realtà al fine di una trasformazione di fondo.

Tito Perlini 02

Marcuse ribadisce, in questo testo, alcuni punti caratteristici del suo pensiero che egli tiene ben fermi. Essi sono:

1) Nel capitalismo persiste la tendenza al crollo anche se essa è impedita ad attuarsi dalla contro-tendenza che spinge il capitalismo stesso a configurarsi come totalità integrata ed integrante.

2) Qualsiasi attesa del crollo basata sull’idea della sua inevitabilità è da scartare per il fatto che la teoria, facendola propria, degenera in falsa coscienza rinunciando a porsi, insieme alla pratica, come elemento della trasformazione senza la quale il crollo stesso è impensabile come premessa al socialismo, potendo rivelarsi, se non scongiurato, come qualcosa di catastrofico, tale da provocare una ricaduta nella barbarie.

3) La battaglia decisiva per il rovesciamento del modo di produzione capitalistico deve aver luogo al livello più alto e dimostrare di saper spezzare l’« anello più forte della catena» poiché senza l’intensificarsi di tendenze di segno anti-capitalistico, rivolte ad una rottura di tipo rivoluzionario, nei paesi «avanzati» dell’occidente, il «socialismo realizzato» (per la complementarietà stessa dei due blocchi facenti capo a USA e URSS che, pur restando in contrasto, sono soggetti ad un’unica logica e si integrano e sorreggono a vicenda all’interno di una situazione che favorisce il capitalismo) resterà invischiato nelle sue deformazioni e le tendenze centrifughe producentisi nell’ambito del cosiddetto Terzo Mondo continueranno a venir riportate, con la violenza o mediante forme di subordinazione o integrazione economica, entro l’alveo degli interessi capitalistici capaci di strutturarsi su scala mondiale.

4) È presente nella pratica radicale, che, sola, oggi può nella metropoli del capitale porre le premesse per la rivoluzione, un aspetto libertario e anti-autoritario, che è l’espressione spontanea, soggettiva della rivolta stessa, la quale critica, giudicandole inadeguate all’ampiezza della trasformazione, le forme tradizionali della pratica che si qualificava come rivoluzionaria (il che implica il rifiuto di ogni forma di marxismo reificato e la rinuncia ad ogni tentazione centralistico-burocratica).

Quest’ultimo punto, riaffermato con decisione, lascia comunque drammaticamente aperto il problema del rapporto tra spontaneità ed organizzazione. Marcuse si rende conto che l’appassionata affermazione dei diritti che spettano alla prima non annulla il nodo intricatissimo di problemi posti dal prospettarsi della seconda alla stregua di una necessità ineludibile. Circa una possibile soluzione di questo che è da sempre il punctum dolens del marxismo Marcuse non riesce che a fornire indicazioni vaghe. La parte «positiva» del suo discorso, che insiste sulla necessità per la nuova sinistra di forme di organizzazione decentrate e del ricorso ad un’autogestione cui vengono dedicati solo fugaci accenni, appare francamente come la più debole. Marcuse, del resto, ne è conscio. Di una lucidità impareggiabile nel denunciare gli aspetti letali della totalità integrata e nel prospettare la vitale necessità di spezzarne il cerchio fatato, il pensiero di Marcuse arranca quando cerca di indicare in positivo le modalità da adottare per conferire al movimento teso verso la liberazione la forza capace di incidere efficacemente sulla realtà al fine di una trasformazione di fondo. Una siffatta insufficienza, del resto, non è senza rapporto con la condizione oggettiva entro la quale la teoria critica si dibatte. Il problema dell’organizzazione è il più delicato anche perché, una volta rifiutati sia l’esaltazione tecnocratica dell’organizzazione elevata come tale a valore sia il mito di una spontaneità rivoluzionaria allo stato puro, resta l’obbligo di fare i conti con quella razionalità puramente formale e strumentale con cui il sistema di dominio fa tutt’uno, la quale, anche se negata alle radici, continua pur sempre a riprodursi all’interno di qualsiasi forma organizzativa per «alternativa» questa possa valersi e per vigile possa essere l’impegno di coloro che vi aderiscono a mantenersi immuni dagli effetti esercitati dalla ratio del dominio. E questa una contraddizione che resta irrisolta. Qui il discorso di Marcuse appalesa limiti ben precisi, che non sono certamente solo suoi. Ciò che continua, però, a suscitare simpatia e ammirazione è l’energia davvero indomabile con cui questo grande vecchio, ultimo esponente ormai di una schiera di intellettuali formatisi nel clima saturo di attese messianiche del periodo seguente alla prima guerra mondiale fedeli al retaggio della filosofia classica tedesca e decisi a far propria la causa degli oppressi, a porsi dalla parte di coloro cui viene negata la speranza, continua a ribadire con tenacia, ad onta di ogni smentita apparentemente definitiva da parte dell’accadere storico, la sua non fideistica fiducia, sorretta dal lucido pessimismo della ragione critica, nella capacità degli uomini di giungere a far proprie le possibilità concrete atte a permettere la trasformazione del mondo.

Tito Perlini, Introduzione a Herbert Marcuse, Teoria e pratica, Shakespeare and Company di Guseppe Recchia, Brescia 1979, pp. 35-37.


Tito Perlini (1931-2013) – «ATTRAVERSO IL NICHILISMO Saggi di teoria critica, estetica e critica letteraria», Aragno editore, 2015
Tito Perlini (1933-2013) – La rivoluzione non è Negazione del passato, ma ciò cui essa s’oppone: Il capitalismo, che è antitetico allo sviluppo della civiltà e che mira solo a conservare sé stesso. Vero conservatore non è chi difende un cattivo presente, ma chi insorge contro tale falsa conservazione.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Romano Guardini (1885-1968) – L’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. È nostalgia di evadere dalla dissipazione, divertere dal superficiale, ricoverarsi nel mistero delle cose ultime, è ricerca della semplicità ricca di contenuto. Malinconia è desiderio d’amore, desiderio di unità vivente.

Romano Guardini 02

[…] La spinta verso il nascondimento e verso il silenzio non significa già timore di scontrarsi con la realtà che facilmente ferisce, quanto significa, in ultima analisi, l’interiore gravitare dell’anima verso il grande centro; significa spinta violenta verso l’interiorità e l’approfondimento, verso quella regione, dove la uscita che sia dal caos di ciò che è pura casualità, entra in sicuro porto; dove la vita, sganciata dalla molteplicità delle singole manifestazioni, dimora nella semplicità del fondo delle cose: semplicità ricca di contenuto. È la nostalgia di evadere dalla dissipazione, per ricuperarsi nel raccoglimento del tutto; di sfuggire all’abbandono di chi si sente in preda all’esistenza esteriore, e vuol stare invece nel riserbo e nella protezione del santuario; di divertire da ciò che è superficiale, e ricoverarsi nel mistero delle cause ultime: la nostalgia dei grandi malinconici verso la notte e le Madri.

Albrecht Dürer – Melencolia I, La Malinconìa, 1514.

Malinconia vuol dire connessione con l’oscuro fondo dell’essere – e «oscuro», in questa accezione, non comporta senso peggiorativo. Non significa contrasto con la luce, la quale è bella ed è buona. Non significa «tenebra», significa il vivo controvalore della luce. […]
Proprio l’uomo malinconico è più profondamente in rapporto con la pienezza dell’esistenza. Splendono chiari, a lui, i colori del mondo; a lui risuona con dolcezza più intima, la musica interiore. […] Dall’essere del malinconico sbocca e trabocca a fiotti la vita; a lui come a nessuno, dato di esperimentare la sfrenatezza dell’intera esistenza. Sempre, credo io, connessa con la bontà. Connessa col desiderio che la vita si svolga secondo la bontà e la gentilezza, e sia benefica per gli altri. […]
Qui proprio siamo al cuore della malinconia, la quale, in ultima analisi, non è altro se non desiderio d’amore. Amore, in tutte le sue forme, in tutti i suoi gradi; dalla sensibilità più elementare, sino al più alto amore dello spirito. Lo slancio vitale, il cuore della malinconia è l’Eros: desiderio d’amore e di bellezza. […] Poiché una natura amante sta aperta. È disposta a passare dall’altra parte, è disposta ad accogliere, a dare e a ricevere. È fiduciosa. Non sta in guardia. Prova dolore della transitorietà delle cose, soffre perché le viene tolto ciò che ama. La bellezza vivente è sempre passeggera. E al fianco della bellezza sta la morte. Nondimeno, quasi a difesa estrema contro tutto ciò, ecco la nostalgia di ciò che è eterno e infinito, di ciò che è assoluto; nostalgia di ciò che semplicemente è perfetto; di ciò che è inaccessibile e riposto, profondo al massimo, e interiore; di ciò che è intangibile e aristocratico, nobile e prezioso.
È desiderio di ciò che Platone affermò essere il vero fine dell’Eros: del bene supremo, il quale a un tempo è la vera e propria realtà, ed è la bellezza in sé e per sé, imperitura, sconfinata; è desiderio d’impadronirsi di tale realtà, che sola può compierci, di assumerla e assorbirla, di riunirci a lei. Cosa davvero singolare, e che può essere seguita e constatata attraverso tutta la storia della umana ricerca e dell’umano pensare: noi sentiamo una insoddisfazione particolarmente violenta per ciò che è finito; una volontà di distinguerci, in maniera particolare e con particolare intensità, nell’atto stesso di impadronirci di tale assoluto. Non basta a noi di riconoscerlo, e assumerlo nelle nostre azioni con una volontà eticamente cosciente; c’è in noi un desiderio di unione, di contatto da essere a essere; un desiderio di immergerci, bere ed essere dissetati. Un desiderio di unità vivente.
[…] L’anima disposta da natura alla malinconia è sensibile ai valori, li desidera. Desidera ciò che è prezioso al massimo grado, desidera il sommo bene. Con tutto ciò, par quasi che proprio questo desiderio dei supremi valori le si rivolti contro, poiché vi si accompagna, di regola, come un senso dell’impossibilità di ottenerli. Senso, che può associarsi a determinate esperienze: qui, di aver fallito in tali e tali cose; lì, di aver mancato al dovere; altrove, ancora, di aver perduto tempo, d’essersi giocato non so che d’irrecuperabile … Non sono se non appigli a qualcosa di più profondo: al senso dell’impossibilità, che in certo qual modo accompagna e quasi previene quella nostalgia. […]

Romano Guardini, Ritratto della malinconia, Morcelliana, Brescia 2006, pp. 57-67.


Romano Guardini (1885-1968) – Chi non ama la vita non ha pazienza con essa: la pazienza è l’uomo in divenire che comprende giustamente se stesso, è una forza tranquilla e profonda
Romano Guardini (1885-1968) – Non basta fare il bene, ma occorre anche farlo nel modo giusto. Si deve scegliere e si può ottenere qualcosa di più alto solo se si rinuncia a ciò che è più basso. L’esistenza dell’uomo che vive in modo degno implica questa trasposizione ad un piano più alto.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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