Salvatore Bravo – Con il viaggio interiore di Pinocchio, e attraverso i simboli che attorniano il burattino, l’autrice osa sfidare l’immaginario pietrificato del nostro presente.

In copertina: Marc Chagall, Self-portrait with muse (dream), 1918 [Autoritratto con musa (sogno)].

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 In viaggio con Pinocchio
di Fernanda Mazzoli

Con il viaggio interiore di Pinocchio, e attraverso i simboli che attorniano il burattino,
l’autrice osa sfidare l’immaginario pietrificato del nostro presente.

Il Pinocchio di Fernanda Mazzoli è un viaggio tra letteratura di formazione, archetipi e critica sociale, è un processo cairologico come il titolo del saggio ci indica: In viaggio con Pinocchio. Nessun viaggio è mono-tono, ma comporta una serie di aspetti che l’autrice magistralmente tiene assieme in una sintesi armonica ed organica. Il viaggio con Pinocchio non termina mai con la subitanea lettura del libro di Collodi, ma continua più in profondità proprio dopo la comprensione del testo. Se il lettore ha vissuto le metamorfosi di Pinocchio, nelle trasformazioni ritrova se stesso e, specialmente, dinanzi a lui si apre un campo aperto di possibilità: deve scegliere il percorso migliore che lo riporta a se stesso, dopo i processi di reificazione in cui ha rischiato di perdersi. Il saggio di Fernanda Mazzoli osa sfidare l’immaginario pietrificato del nostro presente con Pinocchio ed i suoi simboli. Senza attività di simbolizzazione non vi è significato, per cui il nostro presente riposa nel “niente”. Rinunciando al viaggio interiore la politica è solo un far carriera e la comunità una giustapposizione di individui senza profondità e prassi. Non a caso dopo l’interessante prologo si sofferma sulla rilevanza della figura della fata Turchina, la quale è il logos, perché è la personificazione del fatum, da fari, ovvero di ciò che è stato annunziato. La fata preordina il percorso, è il concetto che prepara la prassi, fino a far coincidere teoria e prassi. Il logos è la fata Turchina, e senza logos non vi è formazione, non vi è crescita qualitativa, ma solo tempo cronologico senza speranza. Il tempo del viaggio è processo che deve maturare al contatto consapevole con il negativo. Pertanto la strada che il burattino deve svolgere per passare dallo stadio legnoso al corpo vissuto è segnato dalla fioritura del legno. Il legno non è materiale inerte, in esso scorre la vita in potenza che deve portare in atto i suoi germogli interiori fino alla completa trasformazione. Nulla è banale in un processo di crescita, ma tutto è meravigliosamente eccezionale:

«La banalità qui non è di casa: è storia, piuttosto, di una contrastata acquisizione della coscienza di sé e del mondo che si fa strada attraverso mille peripezie di carattere iniziatico».[1]

Il viaggio di Fernanda Mazzoli non si limita a cogliere i rapporti tra il testo di Collodi e la letteratura di formazione, rintraccia nel percorso interno al saggio elementi di divergenza e convergenza con il genere picaresco, ma è presente, anche, una lettura critica e sociale del romanzo. Nell’Italia che si avvia verso la sua prima rivoluzione industriale riemerge l’utopia dell’arricchimento facile con il Gatto e la Volpe e il desiderio utopico ed antico di un’abbondanza che  si autoproduce senza l’intermediazione del  lavoro:

«È il vagheggiamento di un’abbondanza che nasce direttamente da se stessa, senza l’intermediazione del lavoro, ad animare le strabilianti narrazioni, ora divertite, ora ingenuamente partecipi, messe in scena dalla letteratura dotta  e da quella popolare».[2]

Il romanzo ci induce a guardare al presente, da esso si dipanano piani di temporalità: vi è l’eternità dei simboli, il tempo coevo di Collodi e il nostro tempo. Il paese della Cocaigne è accostato al mondo debordante di merci dei nostri ipermercati, ma in essi la Cocaigne non è sogno, ma disincanto, perché senza il denaro nulla è possibile; si può solo guardare, ma si è respinti nel grigiore dell’impotenza e della frustrazione:

«Un grande centro commerciale che esibisce sui propri scaffali, accuratamente disposte, merci di ogni tipo e per tutti i gusti e che basta allungare per cogliere, fare proprie e soddisfare tutte le brame, potrebbe essere la versione moderna di Cocaigne».[3]

Pinocchio alla fine della sua iniziazione comprende che la crescita non è l’accumulo dell’individuo proprietario, ma è la luce interiore dei legami di significato senza i quali nulla ha senso. Il burattino ci insegna a non cadere nella trappola degli ipermercati e delle miserie dell’abbondanza. Solo la crescita qualitativa e la chiarezza del bene liberano dai processi di alienazione. Il bene è discreto e silenzioso, ed è Geppetto nel romanzo che testimonia la profondità del bene con la sua vita al limite della miseria, ma incentrata nel dono di sé, nella cura e nella misura:

«Se non modello, Geppetto identifica però un ideale di vita, fondato sulla misura, l’onestà, la sobrietà e il senso del dovere, che Pinocchio farà suo».[4]

In questo tempo bellicoso, il saggio di Fernanda Mazzoli non è fuga dalla realtà, ma ci è di ausilio per riscoprire ciò che è fondamentale per ogni comunità umana degna di essere definita tale: i processi di formazione e germinazione della vita, i quali non terminano con l’adolescenza, ma sono i tempi veri ed autentici di tutta l’esistenza. Il prezzo da pagare è la separazione dall’inautentico per una superiore qualità di vita. Ciò può avvenire in ogni periodo della vita, per cui Pinocchio è l’eterno nella condizione umana:

«È il prezzo da pagare per diventare se stessi, separazione dopo separazione, per raggiungere un’unità più alta, una forma che emerge dal caos dell’indistinto e conquista una sua faticosa libertà».[5]

[1] Fernanda Mazzoli, In viaggio con Pinocchio, Petite Plaisance, Pistoia 2022, pag. 76.

[2] Ibidem, pag. 57.

[3] Ibidem, pag. 66.

[4] Ibidem, pag. 42.

[5] Ibidem, pag. 86.


Pieter Bruegel the Elder, Luilekkerland (“The Land of Cockaigne “), oil on panel (1567; Alte Pinakothek, Munich).jpg
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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