Sante Notarnicola (1938-2021) – Sante il 22 marzo 2021 è volato via come una farfalla … Ne ricordiamo la vita con i manifesti che a sua memoria sono affissi in varie città. Lui diceva che: «La libertà ha bisogno di attenzioni, di cure continue e soprattutto ha bisogno di memoria».

Sante Notarnicola

A Sante,
alla sua capacità di esser stato,
e di essere ancora,
per sempre,
ad un tempo,
fragile e misteriosa
cristalide,
come gioventù
ricca di speranze,
di possibili metamorfosi,
matrice di trasformazioni
– condizione della realizzazione –
e farfalla
che col suo diafano
e lieve battito d’ali
punteggia
la trama
di Iride.

Carmine Fiorillo

La farfalla
Tentai di gettare l’anima al di là del muro … cercando di seguire la farfalla.

Chiara è una bimba felice.
Nata attrezzata
per i giochi infiniti.

Chiara lo sa, con lei
giocheremo tutta la vita.

Sante Notarnicola


Non c’è vita
che almeno per u n attimo
non sia stata immortale.
 
La morte
è sempre in ritardo di quell’attimo.
 
Invano scuote la maniglia
d’una porta invisibile.
A nessuno può sottrarre
il tempo raggiunto.

Wislawa Szymborska


I manifesti affissi in questo marzo 2022
per ricordare la vita di Sante Notarnicola


I manifesti affissi in questo marzo 2022
per ricordare la vita di Sante Notarnicola


[…] ci ho messo 50 anni a diventare comunista. E 20 anni 8 mesi e 1 giorno di prigione. E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E 5 anni di celle punitive. E la posta censurata. E i vetri divisori ai colloqui […] E le cariche dei carabinieri nei corridoi delle prigioni. E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a cala d’Oliva. E i racconti dei torturati. E i colpi contro la porta per non farti dormire. E i colloqui respinti senza un motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del vicino di cella. E il vivere col cuore in gola. E la pressione che sale. E il cuore che senti ingrossare. E il compagno che se ne va con la testa. E le divisioni a 5 nei cortili. E le rotture politiche. E le divisioni che teoricamente dovevano rafforzarci. E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui. E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica. E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti. E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra compagni. E le demolizioni personali. E la disgregazione umana. E le perquisizioni anali. E le sei diotrie perse. E l’assalto coi cani nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa di dissociati. E l’isolamento politico. E la piorrea che avanza. E gli anni che passano e i giorni che conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi.[1]

Poesia per comunicare in condizioni difficili. Poesia per rompere l’isolamento a cui vorrebbero costringere corpo e cervello. Poesia come difesa dall’abbrutimento della prigione. Poesia per amare ancora, per vivere ugualmente una vita complessiva.[2]

 

«Caro Sante,
Le tue poesie (alcune, come sai, le conoscevo già) sono belle, quasi tutte; alcune bellissime, altre strazianti. Mi sembra che, nel loro insieme, costituiscano una specie di teorema, e ne siano anzi la dimostrazione: cioè, che è poeta solo chi ha sofferto o soffre, e che perciò la poesia costa cara. L’altra, quella non sofferta, di cui ho piene le tasche, è gratis.

Primo Levi».[3]

***

[1] S. Notarnicola, Materiale interessante. Liberi dal silenzio, Edizioni della Battaglia, Palermo,1997, p. 10.

[2] Ibidem, p. 35.

[3] Lettera di Primo Levi a Sante Notarnicola, in S. Notarnicola, L’anima e il muro, a cura di D. Orlandi, disegni di Marco Perroni, Odradek, Roma 2013, pp. 19-20.






Sante Notarnicola – Tentai di gettare l’anima al di là del muro … cercando di seguire la farfalla.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Fernanda Mazzoli – Gli indifferenti, sempre loro! Il combinato disposto di analfabetismo politico ed atrofia etica corrode in profondità la linfa vitale dell’esistenza collettiva

Gli indifferenti, sempre loro!

Il combinato disposto di analfabetismo politico ed atrofia etica
corrode in profondità la linfa vitale dell’esistenza collettiva

di Fernanda Mazzoli

In uno degli ultimi giorni della Comune, un insorto replicò ad un tale il quale, arrestato come sospetta spia dei Versagliesi, rivendicava la propria innocenza e totale estraneità ai fatti, ricorrendo all’argomento che mai si era interessato di politica, che proprio per questo lo uccideva. Ed aggiungeva, dopo che il presunto traditore gli era stato tolto dalle mani per essere ascoltato dal Comitato di salute Pubblica:

«La gente che non si occupa di politica!…: Ma sono i più vigliacchi e i più furfanti! Aspettano, ‘sti tipi, per sapere su chi sbaveranno o chi leccheranno dopo il massacro!».[1]

Le parole dell’ignoto combattente delle barricate di Montmartre, che odiava gli indifferenti mezzo secolo prima di Gramsci, accompagnano da qualche tempo le mie giornate come un ritornello sconsolato o un commento tanto risolutivo quanto laconico all’attuale stato delle cose. E non perché io abbia intenzione di ammazzare qualcuno, ma per la loro capacità di individuare e considerare con lucidità quella zona grigia che rende possibile, con la sua indifferenza più o meno compiaciuta ed il ripiegamento sul particulare, il perpetrarsi di violenze ed ingiustizie, sino al massacro che, ai giorni nostri, per il momento prende il volto della messa al bando dalla società.

Quello che sta avvenendo da mesi nel nostro Paese ai danni di una considerevole minoranza di cittadini vittime di provvedimenti punitivi centrati sull’espulsione dal lavoro e misure di apartheid, preceduti e sostenuti da una criminalizzazione morale senza precedenti, non avrebbe potuto realizzarsi se milioni di altri cittadini non avessero voltato lo sguardo dall’altra parte, se non avessero nascosto la testa sotto le tonnellate di paura sparse a piene mani dal potere politico e dai suoi cani da guardia mediatici.

La strumentale divisione delle persone tra sì vax e no vax, funzionale ad uno dei principi cardine delle strategie di dominio, il divide et impera, spostando artatamente il baricentro della questione sui vaccini, ha efficacemente contribuito ad occultare la natura politica delle decisioni prese: una grande rimozione, resa possibile da decenni di abulia civile, a vantaggio dell’adesione, ora entusiastica, ora rassegnata, alla grande abbuffata consumistica in cui ciascuno, ivi compresi i detrattori, si è ingegnato a ritagliarsi un posto, a seconda delle possibilità e delle inclinazioni.

Una volta rimosso, del binomio politiche sanitarie, il primo termine, ciò che resta si presta al riduzionismo più facile e di maggior effetto, ad una nuova declinazione del paradigma salutista – la difesa della nuda vita dai molteplici attacchi che possono minacciarla – particolarmente sensibile a tutte le torsioni securitarie, da sempre fertile humus per le svolte autoritarie.

L’indifferenza, che già forniva la necessaria protezione nella lotta darwiniana per la sopravvivenza o, nei casi più riusciti, per il successo nella società del neoliberismo rampante ha generato altra indifferenza per tutto ciò che non fosse la salvaguardia dal virus che la perdita di qualsiasi senso storico, di qualsiasi concreta contestualizzazione nel più vasto quadro in cui la pandemia si è dispiegata ha promosso a male assoluto, per difendersi dal quale non resta che l’obbedienza alle superiori disposizioni dei governanti e degli esperti a loro allineati.

E così, chi non si è arruolato in questa guerra, chi ha mostrato qualche esitazione o palesato qualche dubbio è incorso in un’esclusione brutale, in un ostracismo sociale impensabile in un Paese che vanta crediti di democrazia e modernità. Molti nostri connazionali, al riparo della loro indifferenza per la politica e tutti assorbiti dalla preoccupazione di saltare fuori il prima possibile e con il minor danno possibile da una situazione che la propaganda di regime ha costruito come apocalittica, con il loro silenzio, quando non approvazione, hanno aperto la strada alla carneficina sociale e psicologica che si sta consumando oggi. Il limbo degli ignavi è l’anticamera dell’inferno dove vengono spediti coloro che i primi hanno ignorato o dimenticato.

Se i presidi si fossero rifiutati di sospendere dal lavoro e dallo stipendio migliaia di lavoratori della scuola, se gli insegnanti avessero inondato i Collegi docenti, la stampa, il Ministero di mozioni di protesta contro l’allontanamento dei loro colleghi, se i negozianti e i ristoratori, o gli impiegati di servizi essenziali si rifiutassero di chiedere il greenpass, se i conducenti dei mezzi pubblici ricusassero di controllare il lasciapassare, se, in breve, si sviluppasse una diffusa campagna di disobbedienza civile, capace di coinvolgere ampi strati di popolazione, le misure coercitive del governo inciamperebbero nello scoglio della loro realizzazione e finirebbero per diventare lettera morta e/o per essere messe in discussione fino al loro ritiro.

Questo non è avvenuto: la maggioranza ha accettato senza fiatare l’emarginazione di milioni di concittadini, i quali, prima ancora di rifiutare un siero sperimentale, rifiutano di accettare l’inedito ricatto che si avvale della sola terapia anti Covid ammessa per introdurre una nuova e pericolosa forma di cittadinanza condizionata e limitata.

Ed è sempre la dimensione politica ad essere in gioco e sono sempre l’indifferenza o l’ignoranza nei suoi confronti a regolare la partita: non si tratta, infatti, di condividere nel merito le ragioni di chi non si è vaccinato, ma di allargare la propria visione delle cose al di là del meschino recinto eretto dalle veline di regime sul terreno delle paure irrazionali per collocare le decisioni governative nell’ambito più vasto di una società che, sull’onda della pandemia, sembra pronta a rinunciare alle libertà costituzionali e al diritto al lavoro, a quanto, cioè, era stato conquistato in due secoli di lotte sul terreno e di battaglie culturali.

Essere vaccinati non significa necessariamente approvare il greenpass e negare a chi ha fatto una scelta sanitaria diversa l’esercizio di diritti civili e sociali primari, come hanno sottolineato a più riprese i portuali triestini, incapaci di accettare che i loro colleghi non vaccinati, e con i quali avevano costruito insieme una trama significativa di relazioni interpersonali, subissero discriminazioni. E non solo per elementare, ma basilare solidarietà umana, ma anche perché i diritti negati oggi agli uni, potrebbero essere domani rifiutati, per ragioni diverse, agli altri.

Invece, apatia ed insensibilità si trincerano nell’orticello del presente, cercando di strapparne qualche frutto avvizzito che, in epoche tribolate come la nostra, può dare l’illusione di avercela comunque fatta. E peggio per chi è restato fuori, avrebbe potuto obbedire invece di opporre sfida o diniego laddove i più hanno seguito la corrente, con minore o maggiore convinzione, ma con la comune voglia di lasciarsi trasportare e chiudere gli occhi per non vedere chi veniva travolto, fosse anche un familiare, o un amico di vecchia data, o un collega di lavoro.

I vincoli comunitari si sono terribilmente allentati e l’intera società è divenuta più fragile, più disperata e più smarrita, banco di prova perfetto per esperimenti di ingegneria sociale atti a traghettare i popoli verso nuove forme di vita, di lavoro, di produzione, di consumo, di cittadinanza, maggiormente funzionali alla distruzione creatrice con la quale il capitale rinnova se stesso.

Analfabetismo politico ed atrofia etica vanno di pari passo, mentre il loro combinato disposto corrode in profondità la linfa vitale dell’esistenza collettiva; se a ciò si aggiunge il ben noto conformismo italico, maturato, collaudato ed assimilato nel corso di secoli di storia, il nostro presente assomiglia sempre di più ad un incubo che proietta la sua ombra nera anche sul nostro futuro. C’è da temere che lo sfregio operato sul corpo di un intero Paese (perché è la totalità ad essere lacerata, quando una delle sue parti è così duramente colpita) sia una ferita che continuerà a sanguinare a lungo, dalla cui suppurazione prolifereranno altre cancrene. E l’incubo, tanto per non farci mancare nulla, esibisce i caratteri della distopia, in quanto la bacchetta magica dell’ideologia generosamente dispensata dal governo e distillata giornalmente dai media ha provato a rivestire la vecchia, opportunistica, timorosa, interessata indifferenza delle vesti pulite e ammodo della responsabilità, della subordinazione all’interesse generale, del sacrificio per il Bene comune.

Ma questa è un’altra storia, ancora più inquietante ed ancora più densa di moniti e di riflessioni.

 

Fernanda Mazzoli

 

 

[1]L’episodio è riportato da Jules Vallès nel suo testo largamente autobiografico, Linsurgé. La citazione è presa dalla traduzione italiana, Linsorto, Petite Plaisance, Pistoia, 2019, p. 281.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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