Giovanni Casertano – La conoscenza, che è il fine più alto che un uomo possa proporsi, non è fine a se stessa, e non è limitata a pochi: ha e deve affermare una valenza etica, ed anche politica, per il concreto miglioramento della vita umana.

Tra Orfeo e Pitagora

Tra Orfeo e Pitagora

«La conoscenza, che è il fine più alto che un uomo possa proporsi, non è fine a se stessa, e non è limitata a pochi: ha e deve affermare una valenza etica, ed anche politica, per il concreto miglioramento della vita umana»

 

Giovanni Casertano, Orfismo e pitagorismo in Empedocle?, in: Tortorelli Ghidini M. – Storchi Marino A. – Visconti A., a cura di, Tra Orfeo e Pitagora. Tra origini e incontri di culture nella antichità, Bibliopolis, Napoli 2000, p. 234.

 

 

 


318 ISBN

Giovanni Casertano

Venticinque studi sui Preplatonici

Introduzione di Luca Grecchi

ISBN 978-88-7588-251-8, 2019, pp. 488, formato 170×240 mm., Euro 35

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Descrizione
Dalla matematica all’astronomia, dalla cosmologia alla botanica, dalla biologia alla psicologia, allo studio delle passioni, dell’anima, dell’amore e della morte, dell’amicizia, della logica, del metodo di ricerca: tutti questi campi costituiscono il nucleo ricco e variegato sul quale indagarono i Presocratici (o, se si vuole, i Preplatonici), i veri iniziatori del nostro pensiero scientifico e filosofico, tra VI e IV sec. a.C. Del loro enorme e ricchissimo patrimonio culturale si servì poi, inquadrandolo in nuovi orizzonti, e con nuove prospettive, il genio di Platone e di Aristotele. I saggi raccolti in questo volume, scritti in un arco di tempo di circa quarant’anni, vogliono essere una testimonianza del girovagare e del cercare, in quel vastissimo campo, consonanze e divergenze non solo tra alcuni dei grandi protagonisti di quelle avventure intellettuali, ma anche tra di loro e noi uomini dell’oggi: una testimonianza di quanto ancora oggi quelle indagini e quelle intuizioni ci servano a pensare e a riflettere su di noi e sul nostro mondo.

 

***

Sommario

Introduzione di Luca Grecchi

Generalia
Ricomposizione o rilettura del passato?
L’infanzia di Eros (da Omero a Parmenide)
La regina, l’anello e la necessità
L’immagine nei Presocratici

Epimenide
Che cosa ha “veramente” detto Epimenide

Ionici
Può ancora Talete essere considerato il “primo filosofo”?
Tempo, movimento e morte nella filosofia degli Ionici

Pitagorici
I Pitagorici e il potere: i molti sensi di un rapporto
Il numero-corpo, l’anima pulviscolo ed il respiro del tempo
Quel che Pitagora non ha detto
I primi Pitagorici nella testimonianza aristotelica

Parmenide
ΠIΣΤOΣ ΛΟΓΟΣ ed ΑΠΑΤΗΛΟΣ ΚΟΣΜΟΣ ΕΠΕΩΝ in Parmenide di Elea
Astrazione ed esperienza: Parmenide (e Protagora)
Noterelle parmenidee
Aristotele critico di Parmenide

Eraclito
Piacere e morte in Eraclito (Una “filosofia” dell’ambiguità)
Eraclito in Sesto Empirico

Empedocle
Amore e morte in Empedocle
Orfismo e pitagorismo in Empedocle?
Una volta fui arbusto e muto pesce del mare

Democrito
Logos e nous in Democrito
L’amicizia, un sentimento complesso: Democrito

Gorgia
L’ambigua realtà del discorso nel perì tou me ontos di Gorgia
Verità, errore e inganno in Gorgia

Hegel sui sofisti
Hegel e i sofisti

 

Anassimandro copia

Anassimandro


Alcuni libri di

Giovanni Casertano

Casertano 01

1974 Un discorso sui sofisti

Un discorso sui sofisti, Edizioni Il Tripode, 1974


1983 Deemocrito. Dall'atomo alla città

Democrito. Dall’atomo alla città, Loffredo Editore, 1983.


1983 Il piacere, l'amore ee la morte nelle dottrine dei presocratici

Il piacere, l’amore e la morte nelle dottrine dei presocratici, Loffredo Editore, 1983.


1987 Forme del sapere nei Presocratici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987.

Forme del sapere nei Presocratici, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1987.


1991 L'eterna malattia del discorso

L’eterna malattia del discorso, Liguori, 1991.


1994 Le filosofie antiche

Le filosofie antiche, Loffredo Editore, 1994.


1996 Il nome della cosa. Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone

Il nome della cosa.
Linguaggio e realtà negli ultimi dialoghi di Platone, Loffredo Editore, 1996.


2000 La struttura del dialogo platonico

La struttura del dialogo platonico, Loffredo Editore, 2000.


 

2002 Il Teeteto

Il Teeteto, Loffredo Editore, 2002.


2003 Morte

Morte, Guida. 2003.

“Sapevo di averlo generato mortale”: questa fu la risposta che Anassagora, nel V secolo a.C., dette a colui che lo informava della morte del figlio. Risposta a prima vista agghiacciante, quasi disumana. Eppure, da quella risposta, non traspariva soltanto un astratto razionalismo: dai Presocratici a Platone, troviamo sia la trama delle riflessioni teoriche, sia lo scavo dei sentimenti che hanno sempre accompagnato quell’atto alla fine sempre coraggioso con il quale l’uomo guarda non soltanto alla morte, ma anche alla propria morte: la considerazione razionale come quella mitologica, quella drammatica come quella rasserenante, quella di un’etica ‘eroica’ come quella di un’etica comune, ‘quotidiana’. Questo saggio ripercorre e ricostruisce non le tappe di una riflessione che si svolgerebbe ordinatamente e diacronicamente, ma le complesse e sfaccettate sfumature del concetto di ‘morte’ quale fu pensato, all’interno di prospettive diverse e con accentuazioni diverse, dai primi filosofi greci, da Talete a Platone.


2004 Il Protagora di Platone. Struttura e problematiche

Il Protagora di Platone. Struttura e problematiche, Loffredo editore, 2004.

Un dialogo in apparenza “facile” (ma quale dialogo di Platone è veramente “facile”?) come il Protagora può essere affrontato da prospettive diverse e con proposte ermeneutiche diverse. È quanto hanno fatto 32 studiosi, italiani e non, di filosofia antica, in un Convegno Internazionale tenutosi a Napoli nel settembre 2002: non leggendo relazioni o comunicazioni, ma fornendo in anticipo i propri interventi scritti a tutti i partecipanti, e costruendo così un ampio e reale spazio di confronto e di discussione che ha coinvolto tutto il pubblico dei presenti. Ne è scaturita una lettura del dialogo ricca, articolata, problematica e complessa, che certamente incontrerà l’interesse di tutti i lettori di Platone e di filosofia. Perché la diversità, a volte sostanziale, tra i diversi punti di vista critici non ha impedito di mettere in luce e di sottolineare alcuni nuclei fondamentali di questo dialogo, e, in prospettiva, della filosofia platonica. Che conservano intatti ancora oggi tutto il loro valore teoretico ed etico: il gioco delle parti tra i personaggi che si affrontano, in una discussione o nella vita concreta d’ogni giorno; l’indagine sulla virtù – o sulle virtù – in relazione al piacere e al bene dell’uomo; il ruolo che ha la poesia, anche nella sua relazione con la filosofia, nell’influenzare e nel determinare le anime degli uomini in vista delle proprie scelte di vita; l’eterno dilemma che accompagna la distinzione tra volere e sapere, tra viltà e coraggio, tra ignoranza e male. Nello stile, tipicamente platonico, dello sconvolgimento, del capovolgimento, della messa in crisi di ogni opinione precostituita e acriticamente accettata: perché infine, ma non per ultimo, quella che va (che andrebbe) sempre salvata e curata nelle discussioni e nei contrasti tra gli uomini, ieri come oggi, è la vita di un discorso razionale che possa armonizzare le diversità.

 


2004 Sofista

Sofista, Guida, 2004.

Scopo di questo saggio è tracciare le coordinate della “irruzione” dei sofisti sulla scena culturale e politica della Grecia antica, nonché della difficoltà che lo stesso maggior responsabile della loro cattiva fama, cioè Platone, incontrò quando decise di tracciare seriamente una netta distinzione tra il sofista e il filosofo. Inoltre si è cercato di dare un’idea dell’importanza delle riflessioni dei sofisti, perlomeno di quelli maggiori, nel campo della filosofia, dell’etica, della politica: riflessioni che ancora oggi, a 2500 anni dalla loro comparsa, nulla hanno perso della loro vivacità e della loro attualità.


2005 Il Cratilo di Platone, struttura e problematiche

Il Cratilo di Platone, struttura e problematiche, Loffredo editore, 2005.


2006 Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone

Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, 2006


2007 Empedocle tra poesia, medicina, filosofia e politica, Loffredo

Empedocle tra poesia, medicina, filosofia e politica, Loffredo editore, 2007.


2007 La nascita della filosofia vista dai Greci

La nascita della filosofia vista dai Greci, Petite Plaisance, 2007.

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Che cosa hanno pensato i Greci della loro filosofia? e che cosa hanno pensato del loro debito culturale con l’Oriente? Queste due domande in effetti rispecchiano due importanti problemi storiografici, ma, per così dire, in un’ottica capovolta. Il problema della “nascita” della filosofia in Grecia (quando, come, con chi, e perché) ed il problema dei rapporti della nuova cultura filosofica e scientifica greca con le culture che la avevano preceduto (specialmente con quella egiziana), hanno sollevato, e continuano a sollevare, l’interesse degli studiosi, e non solo di filosofia. Importanti studi hanno visto la luce su questi problemi, e hanno aperto molte e nuove prospettive, con approcci diversi, e naturalmente risultati diversi, che hanno contribuito ad arricchire e ad ampliare gli orizzonti ermeneutici entro i quali essi potevano venir colti ed esaminati. Questo studio si pone gli stessi problemi, ma cerca di esaminarli da un altro punto di vista, quello dei Greci. Che cosa pensavano i Greci, dal V secolo a.C. al II d.C., della loro filosofia, e in che cosa pensavano di dipendere (se pensavano di dipendere) da altre e più antiche culture? Naturalmente, questo saggio non vuole dare risposte definitive a queste domande, ma solo aprire un’altra via di indagine, non secondaria certamente, per poterle affrontare in un orizzonte più ampio.


2007 Paradigmi della verità in Platone

Paradigmi della verità in Platone, Editori Riuniti Univ. Press, 2007.

C’è una immagine di Platone che viaggia dall’antichità ad oggi, l’immagine cioè di una filosofia che stabilisce nettamente i confini e l’opposizione tra corpo e anima, tra sensi e ragione, tra cose e idee, tra opinione e conoscenza. Tra vero e falso. Ma una lettura diretta e senza preconcetti della pagina platonica, inserita volta a volta nel singolo contesto di ogni singolo dialogo, non conferma quasi mai quell’immagine. Questo studio si propone di inseguire l’idea della verità in tutti i dialoghi di Platone. Per scoprire che anche la “verità platonica” non è quella che vive in un ipotetico mondo delle idee, separato da ogni possibile contatto col mondo concreto e reale, così come l’ “amore platonico”, il “proposito platonico”, e tutto ciò che, ancora oggi, qualifichiamo con quell’aggettivo, con l’esplicito proposito di individuarlo in termini di pura astrattezza. La verità platonica ha a che fare esattamente col nostro mondo di incertezze, inquietudini, errori, fallimenti; ma anche col nostro mondo di relative certezze, di aspettative, di volontà di cambiamento, di ricerca di un orizzonte più ampio di espressione e di comunicazione: in una parola, col nostro concreto vivere in un mondo reale, col nostro concreto atteggiarci nelle molteplici prospettive, private e pubbliche, entro le quali lo viviamo. Per scoprire, alla fine, che essa è una questione, più che di logica o di metafisica, di vita e di scelte di vita.


2009 I presocratici

I presocratici, Carocci editore, 2009.

Con i Presocratici, nella Grecia del VI secolo a. C., inizia la riflessione filosofica nella cultura occidentale. Inizia anche quella che oggi viene chiamata la “storia della filosofia”. Il volume affronta i seguenti argomenti: chi sono i presocratici. Modalità e problematicità della ricostruzione del loro pensiero; Creta e Mileto; i pitagorici; la poesia filosofica del VI e V secolo, Eraclito; Empedocle; medicina e matematica tra V e IV secolo; la filosofia giunge ad Atene; filosofia e scienza ad Abdera.


2011 Il Fedro di Platone, struttura e problematiche

Il Fedro di Platone, struttura e problematiche, Loffredo editore, 2011.


2015 Giustizia, filosofia e felicità

Giustizia, filosofia e felicità, Aracne, 2015.


L. Palumbo, a cura di, Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, Loffredo, Napoli 2011

L. Palumbo, a cura di, Logon didonai. La filosofia come esercizio del rendere ragione. Studi in onore di Giovanni Casertano, Loffredo, Napoli 2011.


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Salvatore A. Bravo – I barbari e l’Occidente. La comunità è il luogo del dono. La barbarie è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. La bellezza germina nel pensiero che medita sull’esperienza. L’edonismo struttura un mondo senza intelligenza.

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Salvatore A. Bravo

I barbari e l’Occidente

I barbari non sono alle porte, sono nell’Occidente, fino ad essere l’Occidente. La barbarie è la cifra di un vivere civile senza dono, società senza comunità: è la condizione del capitalismo assoluto, niente è gratuito, ma tutto è usato, strumentalizzato per ottenere risultati immediati.
La comunità è il luogo del dono, è nella parola stessa il significato etico. Il bene che tale parola veicola è espresso nel suo significato etimologico: comunità, dal latino communitas (composto di cum e munus): il cumfa riferimento alla dualità nella quale è possibile e si materializza il dono. Quest’ultimo è gratuito, ed è nella forma del tempo solidale. Offrire il proprio tempo, donarlo, significa donare la vita.
La barbarie è l’incapacità, non tanto di donare, ma – più in profondità – è l’incapacità di pensare la possibilità del dono. Il capitalismo assoluto ha eroso e corroso ogni idea di bene sostituendola con la violenza acquisitiva delle merci. In tal modo il bene ed il male – quali categorieassiologiche – sono scomparse, per lasciare il posto ad una società in-civile nella quale l’atomistica delle solitudini è segnata dalla volontà acquisitiva.

Società senza dono è dunque la barbarie
Non si è giunti allo stato presente in modo improvviso. A tutto ciò ha contribuito anche l’adattamento della filosofia, e di coloro che si autoproclamano filosofi, al modo di produzione capitalistico nelle sue forme integraliste ed assolute. Tale responsabilità della filosofia è da rintracciare nella fuga dall’universale, nell’indicare quale vera ricerca del bene solo ed unicamente l’adattarsi al trionfo delle scienze. Il positivismo con la sua filosofia adialettica, ancora vigente nel mondo accademico, ha rinunciato all’autonomia epistemica della filosofia per inseguire un modello di assimilazione che l’ha ridotta a presenza dipendente dalle scienze ed in una posizione subordinata. La filosofia, nel migliore dei casi, come in Herbert Spencer, astrae dai risultati delle scienze principi generalissimi, ha abdicato ad ogni ricerca del trascendentale nell’immanenza, come svolta dall’Idealismo, perdisperdersi nell’empirico, e rinunciare ad ogni catabasipolitica e sociale. La rinuncia all’universale significa declinare da ogni impegno politico e sociale per divenire lo sgabello silenzioso e servile del sistema capitale-azienda. Nel migliore dei casi la filosofia assume il ruolo di controllo ed esplicitazione per generalizzazione dei risultati scientifici:

«Le verità della filosofia, quindi, hanno lo stesso rapporto rispetto alle verità scientifiche superiori che queste ultime hanno rispetto alle verità scientifiche inferiori. Così come ogni più ampia generalizzazione della scienza ricomprende e consolida le generalizzazioni più ristrette di una certa branca, le generalizzazioni della filosofia ricomprendono e consolidano le generalizzazioni più ampie della scienza. Si tratta dunque di una conoscenza che si trova all’estremo opposto, per genere, a quella che l’esperienza accumula. È il prodotto finale del processo che muove da un mero collegamento di osservazioni non elaborate, istituisce proposizioni via via sempre più ampie e disgiunte da casi particolari, ed esita nella formulazione di proposizioni universali. Per semplificare al massimo questa definizione, diciamo che la conoscenza di genere più basso è una conoscenza non unificata, la conoscenza della scienza è parzialmente unificata, e la conoscenza della filosofia è completamente unificata».[1]

 

Attività senza metafisica: medicina e ginnastica
La rinuncia ad ogni metafisica ha favorito il prevalere della razionalità strumentale sulla razionalità oggettiva. Con il rifiuto preconcetto della metafisica, vero ossimoro filosofico, la filosofia servile dell’oggi ha ricusato la problematizzazione.
La Filosofia, invece, è dove il logos – attraverso processi di indagine mediati dall’argomentare logico e dialettico – trascende l’immediato per orientare la visuale verso l’universale, verso il bene: ogni attività scissa dall’universale e consegnata al particolare non può che mostrare gli effetti dell’assenza di senso e di fine.
Nel Gorgia Platone dimostra come la ginnastica senza l’oggettività razionale del suo agire, perde il suo senso, si svilisce in pura attività volta allo scopo di agghindarsi perdendo così la sua ragion d’essere oggettiva, ovvero la cura e la disciplina delle pulsioni al fine di ordinare la vita psichica. L’armonia è un processo di controllo delle pulsioni per sublimarle nell’universale comunitario. L’anima necessità del controllo del corpo, per poter fiorire, mentre la pratica della ginnastica funzionale all’estetica non può che far precipitare l’anima nel corpo, fino a far trascinare l’anima dal corpo. Anche la medicina, il cui fine è la cura, può essere sostituita dalla culinaria che offre i suoi alimenti per il piacere immediato, senza conoscere i significati profondi e gli effetti dei cibi-farmaci somministrati. La culinaria e l’agghindarsi sono una forma di positivismo, di risultato empirico scisso dall’universale. Si insegue l’edonismo per soddisfare le pulsioni, celando dietro il velo di Maya del piacere immediato il male. L’empiria fine a se stessa, in realtà è solo corpo (Körper), in quanto ha rinunciato ad ogni fine universale per essere corpo e parola del nichilismo (nihil, nulla). Il male è nella rinuncia al sommo bene, alla razionalità che fonda il senso dell’essere sociale in ogni attività quotidiana:

«Nell’arte politica, poi, l’arte della legiferazione è l’equivalente della ginnastica, mentre alla medicina corrisponde la giustizia. L’una e l’altra arte di ogni singola coppia sono fra loro in stretta relazione, dal momento che hanno a che fare col medesimo oggetto: la medicina con la ginnastica e la giustizia con l’arte della legiferazione; tuttavia in qualcosa si distinguono l’una dall’altra. Ebbene, che queste arti sono quattro e che curano, mirando sempre al meglio, le une il corpo, le altre l’anima, se n’è accorta la lusinga, non per via di conoscenza ma per averlo indovinato, e, divisasi in quattro, si è insinuata sotto ciascuna di queste parti, e finge di essere quell’arte sotto cui si è insinuata; di ciò che sia meglio non si dà alcun pensiero e con quello che di volta in volta è la cosa più piacevole tende trappole agli stolti e li inganna, al punto dì far credere loro di essere cosa di grandissimo valore. Dunque, sotto la medicina si è insinuata la culinaria, e finge di sapere quali siano i cibi migliori per il corpo così abilmente che, se un cuoco e un medico dovessero competere davanti ad una giuria di fanciulli, o di uomini tanto stolti quanto lo sono i fanciulli, per decidere chi dei due si intenda dei cibi buoni e dei cibi dannosi, se il medico o il cuoco, il medico morirebbe di fame. Ebbene, questo io lo chiamo lusinga, e dico che è una brutta cosa, o Polo, e con questo rispondo alla tua domanda, perché mira al piacere senza tener conto del sommo bene. E non la definisco arte ma attività empirica, perché offre le cose che offre senza avere alcuna intelligenza di quale sia mai la loro natura, sicché non può spiegare la ragione di ciascuna di esse. Ed io non chiamo arte un’opera che non si possa razionalmente giustificare. Ma se non sei d’accordo su queste mie affermazioni, sono disposto a renderne conto. Sotto la medicina, dunque, sta, come dicevo, la lusinga culinaria; sotto la ginnastica, parimenti, la lusinga dell’agghindarsi, malefica, ingannevole, ignobile e servile, che inganna con figure esteriori, colori, leziosità e vesti, al punto da far sì che gli uomini preoccupati di attirare su di sé una bellezza estranea, trascurino la propria, quella cioè che si ottiene grazie alla ginnastica. Ma per non farla troppo lunga, voglio spiegarmi usando il gergo dei geometri, perché così , forse, riuscirai a seguirmi, e voglio dirti che, come l’arte di agghindarsi sta alla ginnastica, così la sofistica sta all’arte della legiferazione, e che, come la culinaria sta alla medicina, così la retorica sta alla giustizia. Ebbene, quello che intendo dire è che, pur essendo le due arti per natura distinte, dal momento, però, che sono fra loro vicine, sofisti e retori si confondono in uno, e così le cose di cui si occupano, e non sanno che funzione attribuire né loro a se stessi né gli altri a loro. Se, infatti, l’anima non governasse il corpo, ma questo si governasse da sé, e se non fosse l’anima a riconoscere e a distinguere la culinaria e la medicina, ma fosse il corpo a giudicarle stimandole in base ai piaceri che gliene vengono, allora, o Polo, varrebbe quanto dice Anassagora visto che tu di queste cose sei pratico, e tutte le cose si confonderebbero in una, senza che si potessero più distinguere le cose della medicina, della salute e della culinaria. Hai sentito, dunque, quello che io sostengo che la retorica sia: essa è per l’anima l’equivalente di quello che la culinaria è per il corpo. Ma ecco che, forse, ho fatto una cosa assurda: pur non permettendo a te di fare lunghi discorsi, proprio io ho tirato il mio discorso per le lunghe. Ma merito il perdono: quando parlavo in modo conciso, non capivi, e non sapevi cavare nulla dalla risposta che ti avevo dato, ma avevi bisogno che ti venisse spiegata per esteso. Ebbene, se anch’io, a una tua risposta, non saprò cavarne nulla, allora anche tu potrai sviluppare il tuo discorso; se, invece, io saprò che utilità cavarne, lascia che ne faccia buon uso, come è giusto che sia. E ora, fa’ pure quello che vuoi di questa mia risposta». [2]

 

Immediatezza e diniego
Le arti, i saperi dispersi nel gioco del subitaneo, divengono oggetto delle peggiori passioni, si danno allo spettacolo, alla competizione, scambiano il piacere per il bene, fanno di sé un mezzo per gratificazioni impossibili, e dunque sono degli orci bucati, metafora che Platone espone nel dialogo con Callicle nel Gorgia: dove l’universale pone il limite consapevole, si ritrovano gli orci che vivono la pienezza di sé in essi sedimentata. L’orcio bucato è l’edonismo (dal greco antico ἡδονή, edoné, piacere) nichilistico, mentre l’orcio che pensa e dà ordine alle esperienze crea un ordine, un cosmo ed è dunque disposto all’eudemonia (dal gr. εὐδαιμονία, der. di εὐδαίμων «felice», comp. di εὖ «bene» e δαίμων, «demone, sorte»).
La bellezza germina nel pensiero che media e medita sull’esperienza per trarne la vita, l’agere, un nuovo inizio radicato nell’identità e nella consapevolezza di sé. Il buon demone conduce l’essere umano dal particolare all’universale, lo umanizza, ne scolpisce la potenzialità, la rende atto.
L’edonismo, l’empiria, strutturano un mondo senza intelligenza, senza armonia e benessere. Il pratico inerte, secondo la definizione di Sartre, è la condizione della passività. E l’edonismo addestra: è la caduta del soggetto nella mobilitazione edonistica di massa, il suo evaporare nella plebe. Si ha così l’individualismo senza soggetto, l’individuo è interscambiabile, sostituibile, rilevante solo per la quantità dei consumi.
L’immediatezza è il trionfo della scomparsa del soggetto, la cui libertà è nell’assenza di forma e di contenuti.
Il diniego è l’altro volto del consumismo totale. L’abitudine all’automatismo acquisitivo struttura il diniego del malessere che, pur sentito, non è ascoltato e accolto: il diniego è la rimozione del male che puntualmente ritorna. La barbarie è il diniego dello stato presente obnubilato dai miti che la sovrastruttura del capitalismo assoluto offre quali oppiacei per sopportare la notte del mondo.

Subitaneo e trascendentale
Nella filosofia antica il problema è stato posto: la condizione umana si dibatte nel tentativo di superare la scissione tra il subitaneo e il trascendentale. Non si è umani se non si ascolta e si vive il problema. Con il trionfo della adialettica positivistica, la filosofia, in particolare la filosofia accademica, ha rinunciato ad ogni fondazione metafisica, consegnandosi all’empiria con l’effetto che ha sostenuto i processi di scissione e frammentazione, per cui l’insegnamento scisso dal senso profondo è divenuto didattica, la politica propaganda narcisistica, la medicina arte della cura di organi e non arte sistemica della persona e così via.
Dalla scissione si può uscire, ancora una volta il potenziale è conservato nel grembo della filosofia. Platone, nel Parmenide, teorizza l’essere, il fondamento come unità nel molteplice. In tale maniera il fondamento non nega la molteplicità, ma le parti si ricompongono in un’unità più grande. Il fondamento comunitario è nella consapevolezza di appartenere ad una comune natura, e ciò dispone al dono, al limite (katéchon), al fine di accogliere la parola dell’altro. In tal maniera le parti si ritrovano nel tutto, senza la violenza della parte che confligge con le altre parti, perché non ne riconosce il comune fondamento:

«è necessario che il tutto e la parte prendano parte dell’uno. Il tutto sarà un uno di cui parti sono le parti; mentre ciascuna parte del tutto, quale che sia, sarà una parte del tutto». «è così ». «Ciò che partecipa dell’uno non vi prenderà parte essendo diverso dall’uno?» «Come no?» «Molte saranno le cose diverse dall’uno: se infatti le cose diverse dall’uno non fossero né uno, né più di uno, nulla sarebbero». «No, certo». «Dal momento che sono più di uno quelle cose che partecipano dell’uno come parte e dell’uno come tutto, non è necessario siano molteplici e infinite queste cose che prendono parte dell’uno?» «Come?» «Osserva. Esse, allorquando partecipano dell’uno, vi prendono parte non essendo uno e non partecipandovi?» «è chiaro». «Non è dunque molteplicità in cui l’uno non è?» «Sì , lo è». «E allora? Se volessimo con il pensiero sottrarre da tale molteplicità la parte più piccola che riusciamo a sottrarre, non sarebbe necessario che anche la parte che abbiamo separato, se è vero che non prende parte dell’uno, sia molteplicità e non uno?» «Per forza». «Dunque analizzando sempre in questo modo quella natura, presa di per sé, diversa dalla specie dell’uno, quale che sia la parte di essa che noi sempre osserviamo, non sarà infinita e molteplice?» «Assolutamente». «Non appena ciascuna parte diviene parte, esse saranno già fornite di un limite le une verso le altre e verso il tutto, e il tutto verso esse».[3]

 L’uscita dalle barbarie trova nella filosofia una delle vie privilegiate, perché la filosofia è metafisica. Solo riportando il bene nella centralità della discussione culturale ed umana si avrà la possibilità, non la certezza, di uscire dalla caverna al cui buio ci si è abituati.

La normalità della caverna è la barbarie dell’Occidente, ma non è un destino.

 

Salvatore A. Bravo

 

*
***
*

[1] Herbert Spencer, I princìpi primi, Williams and Norgate, Londra 1867, traduzione di Angelo Magliocco, pag. 87.

[2] Platone, Gorgia, ww.ousia.it, pag. 17.

[3] Platone, Parmenide, ww.ousia.it, pag. 20.

 

 

 

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Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile.

Massime

«Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile».

Democrito, B261.


Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Si deve essere veraci, non loquaci. Chi si compiace nel contraddire e chiacchiera molto non ha attitudine ad apprendere ciò che è necessario. Né arte né scienza si può conseguire da chi non apprende.


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – Niente nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia.

Leopardi Giacomo 036
Zibaldone 01

Zibaldone

 «Niente nella natura annunzia l’infinito, l’esistenza di alcuna cosa infinita. L’infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia. […] Pare che solamente quello che non esiste, la negazione dell’essere, il nulla, possa essere senza limiti, e che l’infinito venga in sostanza a esser lo stesso che il nulla».

 

Giacomo Leopardi, Zibaldone, a cura di Rolando Damiani, Mondadori, Milano 2015, 4178,  vol. Il, pp. 2738-2739 (annotazione del 2 maggio 1826).


Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze ella è senza dubbio l’Astronomia. L’uomo s’innalza per mezzo di essa come al di sopra di se medesimo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – «Dialogo della Moda e della Morte». La moda appartiene perciò a quel tipo di fenomeni che tendono a un’estensione illimitata. Cara Morte, mostri di non conoscere la potenza della Moda, perché ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo, è più morta che viva.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Parlerò della miseria umana, degli assurdi della politica, dei vizi e delle infamie non degli uomini ma dell’uomo.

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Come l’uomo dimostra la grandezza e la potenza dell’umano intelletto, l’altezza e nobiltà sua, l’immensa capacità della sua mente.


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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.

Platone 014a
Simposio
«È questo il momento nella vita
che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano:
quando contempla il bello in sé».

Platone, Simposio 211 d.


***

FIlebo

«La misura e la proporzione
risultano essere dappertutto
bellezza e virtù».

Platone, Filebo, 64 e.


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.

 


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Jean Baudrillard (1929-2007) – L’uomo non smette di espellere quello che egli è, quello che prova, quello che significa ai propri occhi con tutti gli artefatti tecnici che egli ha inventato, e all’orizzonte dei quali sta scomparendo.

Jean Baudrillard 03
Il delitto perfetto

Il delitto perfetto

 

«Abbiamo rinunciato a considerare noi stessi […] come i soggetti della storia;
ci siamo detronizzati e al nostro posto abbiamo collocato altri soggetti della storia,
anzi un solo soggetto: la tecnica».

G. Anders, L’uomo è antiquato, volume II, Bollati Boringhieri, Milano, p. 258.

 

 

«L’uomo non smette di espellere quello che egli è, quello che prova, quello che significa ai propri occhi: sia che questo accada con il linguaggio, il quale ha una funzione di esorcismo; sia che ciò capiti con tutti gli artefatti tecnici che egli ha inventato, e all’orizzonte dei quali sta scomparendo, in un processo irreversibile di transfert e di sostituzione. McLuhan considerava le tecnologie moderne delle ‘‘estensioni dell’uomo’’; bisognerebbe piuttosto considerarle delle “espulsioni dell’uomo”».

 

Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina, Milano 1996, p. 41.

 


Jean Baudrillard (1929-2007) – La morte è immanente all’economia politica. È per questo che essa si vuole immortale.
Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.

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Paul Ricoeur (1913-2005) – L’immaginazione, dando consistenza al desiderio di un’assenza, apre all’orizzonte del volontario, nel cuore stesso dell’involontario.

Paul Ricoeur 001

finitude

«L’immaginazione,
dando consistenza al desiderio di un’assenza,
apre all’orizzonte del volontario,
nel cuore stesso dell’involontario».

 

 

Paul Ricoeur, Philosophie de la volonté. Finitude et culpabilité, Aubier Montaigne, Paris 1960, p. 46.


Paul Ricoeur (1913-2005) – Il carattere singolare della situazione di cura è un principio fandamentale. La diversità delle persone umane fa sì che non sia la specie a essere curata, ma ogni volta un essere unico del genere umano


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Karl Marx (1818-1883) – IO STO CON I PASTORI SARDI. Ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista equivale a un progresso non solo nell’arte di DERUBARE L’OPERAIO, ma anche in quella di SPOGLIARE LA TERRA, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle fonti durevoli di tale fertilità

Marx e l'agricoltura capitalistica

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IO STO CON I PASTORI SARDI

«Ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista equivale a un progresso non solo nell’arte di DERUBARE L’OPERAIO, ma anche in quella di SPOGLIARE LA TERRA, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle fonti durevoli di tale fertilità».

Karl Marx, Il Capitale, I, sez. 4, cap. 13, §10, Grande industria e agricoltura; trad. a cura di Eugenio Sbardella, I.2, Newton Compton, 1974, p. 661.

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Karl Marx – Cristalli di denaro: “auri sacra fames”

Karl Marx – Il denaro è stato fatto signore del mondo

Karl Marx – Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore

Karl Marx – La natura non produce denaro

Karl Marx (1818-1883) – A 17 anni, nel 1835, già ben sapeva quale sarebbe stata la carriera prescelta: agire a favore dell’umanità.

Karl Marx (1818-1883) – Il capitale, per sua natura, nega il tempo per una educazione da uomini, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali, per le relazioni con gli altri, per il libero gioco delle forze del corpo e della mente.

Karl Marx (1818-1883) – La patologia industriale. La suddivisione del lavoro è l’assassinio di un popolo

Karl Marx (1818-1883) – Sviluppo storico del senso artistico e umanesimo comunista. La soppressione della proprietà privata è la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane. Il comunismo è effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, è reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo

Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.

Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.

Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.

Karl Marx (1818-1883) – Noi non siamo dei comunisti che vogliono abolire la libertà personale. In nessuna società la libertà personale può essere più grande che in quella fondata sulla comunità.

Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.

Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.

Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Karl Marx (1818-1883) – L’arcano della forma di merce. A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Ecco il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.

 


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Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.

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Fedone

Μὴ γενώμεθα, ἦ δ’ ὅς, μισόλογοι, ὥσπερ οἱ μισάνθρωποι γιγνόμενοι· ὡς οὐκ ἔστιν, ἔφη, ὅτι ἄν τις μεῖζον τούτου κακὸν πάθοι ἢ λόγους μισήσας. γίγνεται δὲ ἐκ τοῦ αὐτοῦ τρόπου μισολογία τε καὶ μισανθρωπία.

«Non esiste male maggiore che un uomo possa
patire che prendere in odio i ragionamenti.
L’odio contro i ragionamenti,
e quello contro gli uomini,
nascono nella stessa maniera».

Platone, Fedone, 89 D.

 


Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici


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Walter Benjamin (1892-1940) – L’esperienza è in ribasso. Un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini, la nostra povertà di esperienza. È povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere, è una nuova barbarie.

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«Nelle nostre antologie c’era la favola del vecchio che sul letto di morte dava a intendere ai figli che nella sua vigna era nascosto un tesoro. Dovevano solo scavare. Scavarono, ma del tesoro nessuna traccia. Ma poi, quando arriva l’autunno, ecco che la vigna produce come nessun’altra in tutto il paese. A quel punto si accorgono che il padre aveva lasciato loro un’esperienza: la messe non sta nell’oro ma nella sollecitudine. […] Dove è andato a finire tutto questo? Chi incontra oggi gente che possa narrare qualcosa per filo e per segno? Da quali moribondi, oggi, giungono parole così durevoli da poter passare, come un anello, di generazione in generazione? A chi, oggi, viene in soccorso un proverbio? Chi, oggi, vorrà anche solo tentare di aver a che fare con la gioventù rimandando alla sua esperienza?
No, una cosa è chiara: l’esperienza è in ribasso […].
Con questo impetuoso dispiegamento della tecnica, un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini. E di quest’indigenza il rovescio della medaglia è la soffocante ricchezza d’idee, che è venuta tra, o meglio, si è abbattuta sulla gente, col revival di astrologia e sapienza Yoga, Christian Science e chiromanzia, vegetarianismo e gnosi, scolastica e spiritismo. […] Ma qui si mostra nel modo più chiaro che la nostra povertà di esperienza è solo una parte della grande povertà che ha ottenuto di nuovo un volto […]. Sì, ammettiamolo: questa povertà di esperienza è povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere. E con ciò una nuova forma di barbarie.
Barbarie? Come no. Diciamo così per introdurre un nuovo, positivo concetto di barbarie. Perché, dove è condotto il barbaro dalla povertà di esperienza? Questa lo induce a cominciare daccapo; a cominciare dal nuovo; a cavarsela con poco; a costruire dal poco e con ciò a non guardare né a destra né a sinistra. […].
Da qualche parte, da tempo, le migliori menti hanno cominciato a fare il verso a questo dato. Il loro segno distintivo è la totale mancanza di illusioni sull’epoca […].
Povertà di esperienza: non bisogna intenderla come se gli uomini anelassero a una nuova esperienza. No, anelano a liberarsi delle esperienze, anelano a un ambiente in cui possano far risaltare la loro povertà, quella esteriore e alla fine anche quella interiore, con tanta purezza e nitore che ne esca fuori qualcosa di decente. Non sono sempre ignoranti o inesperti. Spesso si può dire il contrario: si sono “divorati” tutto, “la cultura” e l’”uomo”, se ne sono saziati e stancati. […] Alla stanchezza segue il sonno […]. Quest’esistenza trabocca di meraviglie che non soltanto oltrepassano quelle della tecnica, ma se ne prendono gioco. […] Natura e tecnica, primitività e comfort sono qui diventati compiutamente una cosa sola, e davanti agli occhi della gente che si è stancata delle infinite complicazioni del quotidiano e per cui lo scopo della vita sembra un mero, remotissimo punto di fuga in una prospettiva infinita di mezzi, appare redentrice un’esistenza che in ogni piega basta a se stessa nella maniera più semplice e al contempo confortevole, in cui un’automobile non pesa più di un cappello di paglia e la frutta sull’albero si fa rotonda con la stessa rapidità della navicella di un aerostato. […]
Siamo diventati poveri.
Abbiamo ceduto una fetta dopo l’altra dell’eredità dell’umanità, spesso per doverla depositare al monte di pietà a un centesimo del valore, per ricavarne, in anticipo, la monetina dell’”attuale”».

Walter Benjamin, Esperianza e povertà, traduzione e cura di Massimo Palma, Castelvecchi, 2018, pp. 52-58.

Nota al testo

Erfahrung und Armut (GS II, 1, pp. 213-219). Scritto nell’arco del 1933, pubblicato nella rivista diretta da Willy Haas, «Die Welt im Wort», anno 1, n. 10, Praga, 7 dicembre 1933.


Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.

Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera

Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.


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