Pëtr Alekseevič Kropotkin – «Libertà e bene in P.A. Kropotkin, di S. Bravo: «Ogni volta che vedrai una ingiustizia o l’avrai commessa – una iniquità nella vita, una menzogna nella scienza, o una sofferenza imposta dall’altro – rivoltati contro l’iniquità, la menzogna e l’ingiustizia. Lotta! Più sarà intensa la lotta e più sarà intensa la vita».


Salvatore Bravo

Libertà e bene in Pëtr Kropotkin

Pëtr Kropotkin nei suoi scritti ricerca il fondamento del comunismo anarchico e libertario. La politica di qualità e progettuale necessita di fondamenti, senza i quali la progettualità non può che liquefarsi in tatticismi condizionati da contingenze storiche e da “confronti armati” tra oligarchie. Il servaggio materiale e intellettuale è la “banalità del male” del tempo appiattito nella sola prospettiva finanziaria. Il profitto è la divinità malvagia e atea che tutto aliena e tutto annichilisce, ciò malgrado è oggi realtà noumenica, la si serve tacitamente senza pensarla. Il tempo del nichilismo compiuto con le sue violenze ordinarie e straordinarie è “il segno” del vuoto progettuale e della contrazione di ogni dibattito sulla definizione di “bene”.

In tale contesto – che pare non lasciare spazio alla speranza politica –, la rilettura delle opere di quegli uomini che hanno impegnato la loro vita nella prassi della ricerca della verità è una delle modalità con cui uscire dall’asfissia della gabbia d’acciaio.

Pëtr Kropotkin ha mostrato, con le sue considerazioni critiche, che il fare capitalistico è la negazione assoluta della natura umana e della natura di tutti gli esseri viventi.

Gli esseri umani e le altre specie vivono diversamente la dimensione del “bene” (proprio e comune), ma per sopravvivere alle ostilità e ai cambiamenti ambientali tutti i viventi sono poratati a mettere in atto una pratica “solidale”. Non sono certo divinità a determinare una differenza umana rispetto agli altri viventi. È la natura umana che orienta verso la consapevolezza del bene. Quest’ultimo si estrinseca nella solidarietà che coniuga individui e gruppi sociali. L’intelligenza delle specie è nel bene comune. Il vincolo solidale prevale sull’individualismo, poiché il soggettivismo non può che porre in pericolo l’esistenza dell’intera specie, che può trovarsi a subire i cambiamenti ambientali fino al pericolo dell’estinzione. L’individualismo è negato in natura, poiché non consente la vita del e del gruppo e dell’individuo. La natura ha dotato ogni vivente del vincolo solidale all’interno delle specie per proteggere l’esistenza sia di gruppo sia individuale. Tale vincolo solidale può estendersi anche oltre le singole specie.

Il dominio ha distorto il carattere naturale del “bene” per utilizzarlo allo scopo di determinare gerarchie sociali fondate sul diritto e sulla religione. Giudici e uomini di Chiesa hanno trasformato il bene in giurispudenza e spiritualità codificata al servizio dei potentati economici e sociali. Il bene trasformato in senso di colpa e in terrore punitivo nella forma dell’Inferno e delle pene carcerarie non può che essere indebolito nella sua verità fino ad essere misconosciuto. Il bene non vuole autorità né Stato. Il filosofo russo fu avverso anche alla “dittatura del proletariato” del comunismo novecentesco; l’autoritarismo non porta al bene e prassi, ma alle oligarchie che inficiano il processo di libera espressione del bene. Alla fine del processo di negazione del bene naturale mediante gli strumenti istituzionali del dominio-vassallaggio non resta che il «bene svuotato di ogni funzione libertaria e spontanea». L’immaginazione solidale, vero strumento applicativo del bene, è così fortemente ridimensionata; il soggetto gradualmente scioglie i vincoli che lo legano alle alterità per rinchiudersi in una infelice solitudine. La paura e il terrore prevalgono sulla spontanea tendenza alla realizzazione dell’individualità nella solidarietà. L’infelicità è nel carcere interiore che isola, tormenta e tortura, in quanto la natura umana è negata:

 

«Lo spirito dei bambini è debole, è facile sottometterlo attraverso il terrore, ed è ciò che essi fanno. Lo rendono timoroso, parlandogli dei tormenti dell’inferno; fanno balenare davanti ai suoi occhi le sofferenza dell’anima dannata, la vendetta d’un dio implacabile. Un momento dopo, gli parleranno degli orrori della Rivoluzione, sfrutteranno qualche eccesso dei rivoluzionari per fare di lui “un amico dell’ordine”. Il religioso l’abituerà all’idea di legge per farlo meglio obbedire a ciò che chiamerà la legge divina, e l’avvocato gli parlerà della legge divina per farlo obbedire meglio alla legge del codice[1]».

 

Il terrore organizzato mediante l’uso strumentale dello “spirito“ e della “legge” si evolve nella storia e si laicizza: il Diavolo è sostituito dalla passione carnale, l’Angelo con la coscienza. Ogni obbligo non può che mortificare e reificare la naturale e spontanea disposizione al bene. Dove vi è obbligo, il bene si trasforma in mezzo per la colpevolizzazione che conduce alla sudditanza, pertanto del bene non resta che l’ombra perversa.

Il bene non vuole la rinuncia del soggetto a se stesso, non chiede l’automutilazione sacrificale e olocaustica. Il bene è spontaneità dell’interalità dell’essere umano, che in tale prassi vive il tripudio e la gioia della sua natura. Il dominio lavora per rendere la naturale predisposizione al bene solidale una vuota parola, la quale è solo l’eco dell’autentica natura umana traviata dai sistemi sociali. Per riportare l’essere umano e la natura dei viventi al loro fondamento è necessario smascherare i camuffamenti del “Diavolo e dell’Angelo”:

«La gente colta non crede più al diavolo; ma, poiché le loro idee non sono più razionali di quelle delle nostre bambinaie, camuffano l’angelo e il diavolo sotto una terminologia scolastica, onorata con il nome di filosofia. Al posto di “diavolo”, si dice oggi “la carne, le passioni”. “L’angelo” sarà rimpiazzato dalle parole “coscienza, anima”, “riflesso del pensiero di un Dio creatore”o del “grande architetto”, come dicono i massoni. Ma le azioni degli uomini sono sempre rappresentate come l’esito della lotta tra due elementi ostili[2]».

Pëtr Kropotkin non nega i principi morali, anzi prende le distanze dai nichilisti, i quali scambiano l’uso che ne è stato fatto con la verità degli stessi. La perversione effettuata dal potere non cancella la verità universale e oggettiva del bene. Il lavoro dello spirito deve disincrostare il bene dalle sovrastrutture che ne hano inquinato e contaminato il senso. Il dominio è guerra contro il bene, poiché i vincoli solidali inficiano e ribaltano le logiche di sussunzione:

«Ma negare il principio morale perché l’hanno sfruttato la Chiesa e la Legge sarebbe tanto ragionevole quanto affermare che non ci si laverà mai, che si mangerà carne di maiale infestata dalla trichina e che non si vorrà il possesso comunale del suolo, perché il Corano prescrive di lavarsi ogni giorno, perché l’igienista Mosè vietava agli ebrei di mangiare carne di maiale, o perché la sharia (il supplemento del Corano) dice che ogni terra rimasta incolta per tre anni deve tornare alla comunità[3]».

Idola e il bene in natura

L’ispirazione divina del bene a cui hanno fatto ricorso i religiosi per individuarne la genesi ha nel suo fondo anche una sostanziale ignoranza: non riuscendo a razionalizzare il fondamento autentico del “bene” le religioni si sono rivolte al trascendente. L’osservazione scientifica delle abitudini dei viventi dimostra, invece, che il vincolo solidale ha la sua causa immanente nel bene funzionale alla sopravvivenza delle specie viventi.

Pëtr Kropotkin fu zoologo, oltre che pensatore anarchico-comunista. La documentazione raccolta sulle abitudini degli animali lo convinse del fondamento biologico del bene. La scienza – con il suo metodo di studio e di osservazione –  libera dai pregiudizi che si sono sclerotizzati nel tempo. In natura non sopravvive il più scaltro o il più forte, ogni scelta individualista conduce alla rovina la specie. Solo i vincoli di solidarietà costruiscono la «social catena biologicamente sperimentata e vincente per i suoi risultati» che consente la pienezza dell’espressione del bene. Pëtr Kropotkin fu ostile alla cultura darwiniana in campo sociale e naturale e ne dimostrò le fragilità intrinseche. Prese le diastanze anche da Rousseau, il quale identificava la causa della solidarietà in un vago sentimento universale:

“Per distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, i teologi mosaici, buddhisti, cristiani e musulmani hanno fatto ricorso all’ispirazione divina. Secondo loro l’uomo, sia selvaggio o civile, illetterato o sapiente, perverso o buono ed onesto, sa sempre se agisce bene o male, e lo sa soprattutto quando agisce male; ma, non trovando una spiegazione per questo fatto generale, vi hanno visto una ispirazione divina. I filosofi metafisici ci hanno parlato a loro volta di coscienza, di imperativo mistico, ciò che del resto vuol dire solo cambiare le parole. Né gli uni né gli altri, tuttavia, hanno saputo constatare il fatto così semplice e così sorprendente che anche gli animali che vivono in società sanno distinguere il bene dal male, proprio come gli uomini e, soprattutto, che le loro concezioni del bene e del male sono assolutamente dello stesso genere di quelle degli uomini[4]”.

 

Pëtr Kropotkin riporta tra gli innumerevoli casi accertati direttamente il caso delle formiche, esse hanno un intestino individuale e sociale nel contempo, al fine di cedere una parte del cibo alle formiche che ne sono sprovviste; con tale “modalità d’azione” ogni formica partecipa alla sopravvivenza del formicaio. Individualità e altruismo non sono in antitesi, ma sono complementari: l’individualità può affermare e attuare la sua natura solo in un contesto di altruismo e di reciprocità:

 

«Forel, questo osservatore inimitabile delle formiche, ha dimostrato con una massa di informazioni e di fatti che quando una formica che ha riempito il gozzo di miele ne incontra altre formiche che hanno il ventre vuoto, queste ultime le chiedono subito da mangiare. Presso questi piccoli insetti è un dovere per la formica sazia rigurgitare il miele, affinché le amiche che hanno fame possano saziarsi a loro volta[5]».

Materialisti

Materialisti e utilitaristi hanno riportato il fondamento dell’etica nell’immanenza: il piacere è il fondamento dell’agire morale. Le azioni generose procurano un utile all’agente, in quanto l’altruismo gli procura piacere personale. Negli utilitaristi il centro dell’agire resta la soggettività. Il grande errore di materialisti e utilitaristi è l’incentrarsi esclusivamente sull’individuo, poiché il fondamento dell’agire morale non è solo il piacere individuale, ma ciò che è utile alla sopravvivenza della specie. La gioia individuale è il piacere nell’aver contribuito alla sopravvivenza e al miglioramento qualitativo e quantitativo della sopravvivenza dell’intero. La parte (individuo) e il tutto (specie) non sono separabili, ma in tensione produttiva:

 

“La formica, l’uccello, la marmotta e il tchouktcha non hanno letto Kant né i santi Padri, e nemmeno Mosè, e tuttavia hanno tutti la stessa idea del bene e del male. E se riflettete un momento su ciò che è al fondo di questa idea, vedrete sul campo che ciò che viene reputato buono presso le formiche, le marmotte ed i moralisti cristiani o atei è ciò che è utile per preservare la razza – e ciò che è considerato cattivo è ciò che è nocivo per essa. Non per l’individuo, come dissero Bentham e Mill, ma per la razza intera[6]”.

 

Adam Smith e Guyau

Pëtr Kropotkin sintetizza e riordina le osservazioni effettuate direttamente nei suoi numerosissimi viaggi correggendo il pensiero di Adam Smith. Il filosofo inglese focalizza l’attenzione sull’empatia quale fondamento della morale umana. L’errore di Adam Smith è di aver limitato l’empatia alla specie umana, mentre le osservazioni effettuate dal pensatore russo in Siberia e in Manciuria dimostrano ben altro. L’antropocentrismo di Adam Smith fa dell’essere umano “un impero nell’impero” come direbbe Spinoza, invece non è un’eccezione, ma è parte dell’impero del bene:

«Il solo errore di Adam Smith è quello di non aver capito che questo stesso sentimento di simpatia, passato allo stato di abitudine, esiste negli animali tanto quanto negli uomini. Per quanto possa dispiacere ai volgarizzatori di Darwin, che ignorano in lui tutto ciò che non ha preso in prestito da Malthus, il sentimento di solidarietà è il tratto predominante della vita di tutti gli animali che stanno in società. L’aquila divora il passero, il lupo divora le marmotte, ma l’aquila ed il lupo si aiutano tra loro nella caccia, e i passeri e le marmotte solidarizzano così bene contro gli animali da preda, che sono quelli più goffi si lasciano beccare. In tutte le società animali, la solidarietà è una legge (un fatto generale) della natura, infinitamente più importante di quella lotta per l’esistenza di cui i borghesi ci cantano le virtù con ogni ritornello, per meglio abbrutirci [7]».

Altro autore fondamentale è stato Guyau, il poeta e filosofo francese si sofferma sulla sovrabbondanza energetica insita in ciascun individuo che deve orientarsi necessariamente verso l’esterno e con tale attività si disegnano ponti solidali, i quali non implicano il depauperamento dell’individualità ma la sua positiva affermazione. La solidarietà potenzia le soggettività, è il segno dell’abbondanza energetica insita in ogni soggettività che consente di formare la rete sociale, in cui le individualità sono poste in positiva tensione:

«La loro origine, ha detto Guyau, è il sentimento della propria forza. È la vita che deborda, che cerca di diffondersi. “Sentire interiormente ciò che si è capaci di fare è al tempo stesso acquisire una prima coscienza di ciò che si ha il dovere di fare.” Il sentimento morale del dovere, che ogni uomo ha avvertito nella propria vita e che si è cercato di spiegare con ogni misticismo, “il dovere non è altro che una sovrabbondanza di vita che chiede di esercitarsi, di donarsi; è al tempo stesso il sentimento di una potenza».[8]

Essere anarchici e comunisti significa realizzare l’uguaglianza. Se il vincolo solidale è iscritto nella natura, la conseguenza è l’uguaglianza. La solidarietà è possibile, in quanto ciascun individuo riconosce l’altro come suo pari, pertanto l’anarchia ha l’obiettivo politico di ristabilire l’ordine naturale traviato dal capitalismo e dai suoi sgherri: preti e giudici. Solidarietà, uguaglianza e solidarietà sono valori iscritti nella biologia in relazione con l’ambiente, per cui l’anarchia sarà la piena attualizzazione di ciò che la natura ha stabilito con la mediazione della coscienza umana:

«Dichiarandoci anarchici, proclamiamo di rinunciare a trattare gli altri come non vorremmo essere trattati noi; che non tollereremo più l’ineguaglianza che ha permesso ad alcuni di noi di esercitare la loro forza o la loro astuzia o la loro abilità in un modo ripugnante. Ma l’uguaglianza in tutto – sinonimo di equità – è l’anarchia stessa. Al diavolo l’osso bianco che si arroga il diritto di ingannare la semplicità del prossimo! Noi non ne vogliamo, e all’occorrenza lo sopprimeremo. Non è solo a quella trinità astratta di Legge, Religione e Autorità che dichiariamo guerra[9]».

 

 

Verità e bene

La parità onto-naturale degli esseri umani non può che fondare un sistema sociale che ha nella verità uno dei suoi capisaldi. La menzogna nega l’uguaglianza naturale; vi è menzogna nei sistemi che si basano sulla strumentalizzazione dell’altro, in cui la cecità sulla natura umana ha distorto le relazioni umane e ha introdotto la violenza dell’intercosalità, ovvero delle relazioni caratterizzate dal valore di scambio. La crematistica non riconosce l’alterità come pari, per cui all’alterità si può mentire per estorcergli plusvalore, ma anche l’estortore è infelice, in quanto vive la desolazione della solitudine reificata. La brutalità si dispiega in mille forme, ma produce sempre lo stesso effetto: l’infelicità generalizzata:

 

«La menzogna, la brutalità e così via, abbiamo detto, sono ripugnanti non perché sono disapprovati dai codici morali – noi ignoriamo questi codici – ma perché la menzogna, la brutalità eccetera indignano il sentimento di uguaglianza di colui per il quale l’uguaglianza non è una parola vana; indignano soprattutto chi è anarchico nel suo modo di pensare e di agire[10]».

 

Nella storia umana, malgrado regressioni e violenze inaudite la speranza è sorgente sempre viva. I sistemi e le organizzazioni sociali con le loro innaturali perversioni non possono obliterare la natura umana, la quale è etica e volta al bene solidale. Da tale presupposto l’anarchico russo deduce l’inevitabile e non meccanica realizzazione nella storia dell’anarco-comunismo:

«Ecco perché questo sentimento, questa pratica della solidarietà, non cessano mai, nemmeno nelle epoche storiche peggiori. Anche quando delle circostanze contemporanee di dominio, di servitù, di sfruttamento fanno misconoscere questo principio, esso resta sempre nel pensiero del grande numero, al punto da portare ad una spinta contro le cattive istituzioni, a una rivoluzione[11]».

La storia non è mai conclusa, in quanto nell’essere umano vi è la spinta a trascendere gli egoismi e le ingiustizie, poiché il bene solidale è nella natura umana. Lo scandalo dinanzi alla menzogna e alla strumentalizzazione degli “eguali e non sono” è sempre possibile. I cantori della fine della storia e i numerosi discepoli di Hobbes che, in questo momento regnano e imperano, non possono che trovare in Pëtr Kropotkin uno strenuo e razionale oppositore. Il filosofo russo nel nostro tempo hobbesiano ci dona dati osservativi da cui dedurre l’innaturalità perversa del nostro tempo. Il capitalismo nella sua fase totalitaria e assoluta è sideralmente distante dal bene. Da ciò non può che derivare un giudizio radicale sul capitalismo e sui sistemi sociali fondati sull’egoismo e sulla competizione. Il darwinismo sociale dimostra che il potere seleziona e trasmette le ideologie e le teorie scientifiche che sono funzionali alla conservazione del potere. Le teorie che ribaltano visioni naturalizzate sono marginalizzate o rimosse dal pubblico dibattito. Pëtr Kropotkin è uno dei grandi assenti nel dibattito europeo, perché non giunge a conclusioni funzionali ai bisogni politici e ideologici delle oligarchie. La solidarietà – frutto di selezione di esperienze e, dunque, strumento vincente per la sopravvivenza delle specie –, dimostra la creatività della molteplicità degli individui che raffinano naturalmente le esperienze del bene, fino a determinare la sua necessità, perché la vita possa realizzare pienamente se stessa. La vita è gruppo-popolo che conserva vincoli solidali senza sopprimere le individualità e questo il dominio non può tollerarlo.

 

 

[1] Pëtr Kropotkin, La morale anarchica, edizioni dsmgtlfpqxz pekin, 2008, pag. 20.

[2] Ibidem, pag. 27.

[3] Ibidem, pag. 58.

[4] Ibidem, pag. 41.

[5] Ibidem, pag. 42.

[6] Ibidem, pag. 44.

[7] Ibidem, pag. 52.

[8] Ibidem, pag. 78.

[9] Ibidem, pag. 59.

[10] Ibidem, pp. 71 72.

[11] Ibidem, pag. 76.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lewis Munford – Per comprendere la vera natura umana dobbiamo ricercarla nella sfera del suo potenziale e del suo possibile, nella sfera della reale creatività trasformativa. La più alta opera d’arte dell’uomo è l’uomo stesso. Quando l’uomo desiste dagli sforzi volti a quest’arte, rinuncia all’opera più importante della sua vita.

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Rileggendo il libro di Luisa Muraro, «L’anima del corpo. Contro l’utero in affitto». Il desiderio ispirato dal mercato è inautentico e regressivo. La maternità surrogata appartiene a un tempo, il nostro, dove la legge la fanno sempre più i soldi. Non si vede quanto sia grave solo perché al momento non si vedono gli sviluppi possibili. È andata così con l’idea dell’eugenetica. Il vuoto metafisico di una realtà sociale organizzata intorno al «cavallo nero del mercato».

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Ludwig Binswanger – Il riconoscimento dell’eguaglianza della natura umana lo troviamo espresso in tutta chiarezza e fermezza già in Platone


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Mauro Armannino – «Lettera ad un Paese senza qualità». Senza qualità proprio in conseguenza di una duplice dimissione, quella dello spirito e quella della sovranità. Abbiamo accettato di rimuovere la bellezza, la verità e il bene dal nostro quotidiano “abitare” il mondo.



Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

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Il testo che segue è una lunga lettera aperta scritta da un missionario che opera da anni in Niger. Prende spunto dall’improvvida decisione vaticana di coniare una moneta celebrativa del vaccino e da un intervento di Civiltà cattolica entusiasticamente schierato a favore della vaccinazione per sviluppare una serie di considerazioni sulle politiche pandemiche, le quali toccano temi cruciali che, partendo dalla contingenza sanitaria, gettano una luce significativa su una temperie culturale ed antropologica che dovrebbe suscitare la massima attenzione e vigilanza.
I temi toccati, con lucido e acuto giudizio illuminato da profonda sensibilità umana, sono tanti, ma arrivano a fondersi in una riflessione coerente ed unitaria, capace di offrire a chi legge spunti preziosi da riprendere ed approfondire ed un filo conduttore per orientarsi in uno scenario dove da due anni la manipolazione, dell’informazione innanzitutto, dirige il coro, delegittimando pesantemente chi rifiuta di recitare la parte assegnata o di applaudire i recitanti.
L’orizzonte in cui si inserisce questo coraggioso intervento è racchiuso fra due parole, non a caso poste in apertura, già nel titolo, e in conclusione: Dissociazioni e r-esistere.
Quanto alla prima, l’autore intende sottolineare la propria abissale distanza dalle posizioni assunte dall’istituzione di cui fa parte: se dissentire, non uniformarsi al pensiero dominante ha sempre garantito al refrattario una certa emarginazione, almeno dai circuiti del successo professionale e sociale, oggi è diventato (con buona pace dei valori della democrazia liberale che, paradossalmente ma non troppo, siamo chiamati a difendere lontano dalle nostre frontiere) un esercizio decisamente pericoloso che inscrive tout court chi lo pratica nella lista abietta dei nemici del bene pubblico e del genere umano. Oggetto di pesante scomunica morale, essi sono suscettibili anche di provvedimenti molto pratici, tesi ad espellerli dalla vita collettiva e a privarli della possibilità stessa di sostenersi, con allontanamento dal lavoro, o, come è successo nel democratico e progressista Canada qualche mese fa per stroncare la protesta dei camionisti, con il blocco dei conti correnti.
Insomma, ai nostri tempi dissociarsi e rivendicare la propria libertà di coscienza non è più una posa da intellettuali frondeurs, con un piede nell’Accademia e l’altro nella barricata. La partita si è fatta molto dura, perché è in gioco una profonda riconfigurazione complessiva della società, funzionale al riassestamento del capitale in un contesto geopolitico molto diverso da quello del Novecento.
Inoltre, dissociarsi richiede una certa capacità di leggere la realtà, un certo legame con la sua superficie impervia e scabra, con il suo cuore pungente e stratificato, al fine di evitare di scivolare sul terreno di cera della nuova Babele, dove il demone della menzogna linguistica asservito al potere inverte il significato delle parole e coltiva spericolati ossimori come il capitalismo inclusivo benedetto dal Vaticano e denunciato da Mauro Armanino con l’indignazione del cristiano consapevole che non si possono servire due padroni.[1]
Dall’atto intellettuale del dissentire alla scelta morale di resistere: non solo per non rendersi complici di chi ha strumentalizzato l’epidemia da Covid 19 per ridisegnare il mondo (le élites economico-politiche e i loro cani da guardia incaricati di affinare i dispositivi ideologici), ma per custodire e valorizzare l’esistenza che è stata umiliata e negata proprio quando si è voluto farla coincidere con la nuda vita da salvaguardare ad ogni costo. E il costo è stato il sacrificio di libertà e diritti che si ritenevano consolidati e delle relazioni interpersonali su cui si è da sempre fondata la socialità umana. L’egoismo della sopravvivenza, alimentato a suon di campagne mediatiche di stampo terroristico, è stato contrabbandato per rispetto degli altri, mentre rappresentava l’estrema torsione dell’istinto individualistico a preservare il benessere personale, nel disinteresse per il dissolvimento di quanto restava di vincoli comunitari e di spazi democratici. E intanto i malati morivano soli negli ospedali, o si ritrovavano abbandonati in casa sospesi tra tachipirina e beckettiana attesa, ai morti era negato l’estremo omaggio della sepoltura (pratica nata con l’umanità stessa), i vivi non vaccinati venivano sottoposti a misure di apartheid, i vaccinati erano aizzati contro i cattivi renitenti al siero, tutti passavano sotto le forche caudine di una paralizzante operazione di infantilizzazione di massa all’insegna della paura, mentre i bimbi imparavano a (dis)conoscere il mondo tramite lo schermo di un computer o di una mascherina.
Giustamente, Armanino evoca da un lato missionari e santi che, in passato, non esitarono a correre il rischio di ammalarsi per portare conforto ai sofferenti e dall’altro il transumanesimo che si affaccia asettico e performante dietro le porte ben protette di Davos. Aggiungo agli esempi di autentica solidarietà citati, tutti coloro che hanno affrontato la morte, battendosi per una causa per la quale erano convinti valesse la pena rinunciare alla vita biologica. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà:[2] è questa una verità capace di sovvertire i calcoli meschini, di scardinare la forza di ricatto di chi comanda, di vincere la paura – e l’oscuramento della mente e del cuore che ne nasce – e di fondare la libertà ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.[3]
È per scongiurare un salto antropologico radicale – con la sua pretesa di annullare millenni di cultura e di civiltà umane ormai inutili e persino d’inciampo sulla via della servitù volontaria e collaborativa che è il nuovo modello sociale messo a punto dal personale di servizio ideologico – che l’autore di questa lettera aperta chiama alla r-esistenza: resistere significa ormai difendere le condizioni stesse per continuare ad esistere, in dignità, libertà e umanità.

Fernanda Mazzoli

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Mauro Armanino

Dissociazioni vaticane

Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini
ma c’è ‘resistenza’
nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid

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  1. La moneta vaticana

La serie è composta da 8 monete, sul rovescio ci sono le caratteristiche tecniche uguali per tutti i paesi aderenti alla moneta unica europea. Sul dritto è raffigurato lo stemma di Papa Francesco, Sovrano dello Stato del Vaticano, la scritta “Città del Vaticano” e dodici stelle. La serie è disponibile in due versioni: la prima con la moneta da 20 euro in argento e la seconda con la moneta in oro da 50 euro. La moneta in argento da 20 euro, opera di Chiara Principe, è dedicata ad un argomento attuale che sta molto a cuore a papa Francesco: le cure per contrastare la pandemia e la necessità di vaccinarsi. Sulla moneta sono raffigurati un medico, un infermiere e un ragazzo che è pronto a farsi iniettare il vaccino. Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”… [4]

Ecco come è introdotta la moneta vaticana. L’immagine mi era stata segnalata da Martin Steffens, giovane filosofo francese, critico dell’attitudine ufficiale della gerarchia ecclesiastica sulle politiche riguardanti la gestione dell’epidemia Covid.[5]

Se ancora esistevano dubbi a riguardo, la moneta in questione è una rivelazione, uno smascheramento che insinua più o meno apertamente almeno tre messaggi:

Adesione: mentre ancora ferve il dibattito, almeno contradditorio, tra chi vuole includere i bambini nella vaccinazione e chi ritiene che essa sia non solo inutile ma dannosa, il ‘Vaticano’ prende posizione. In virtù di un mandato che appartiene al ‘Capo dello Stato vaticano’, lo stesso che molto democraticamente obbliga i propri dipendenti a vaccinarsi pena l’esclusione dal lavoro, diritto e dovere di ogni cittadino. Nello stesso stato vaticano le organizzazioni sindacali sono vietate, malgrado l’esistenza di una ‘Dottrina Sociale’ della Chiesa che ne auspica l’esistenza e l’azione. Tramite l’immagine citata si opera un’adesione incondizionata e evidente alle politiche sanitarie ‘imposte’ da scelte la cui validità scientifica è stata messa in discussione da persone competenti e preparate.[6]

Il fatto di presentare in modo iconico il medico (la scienza), l’infermiere (la cura), il ragazzo e la siringa è inequivocabile: la salvezza è a portata di … siringa.

Arroganza. Detta conclusione ‘monetaria’ appare nel contempo arrogante perché esclude ogni possibile scelta alternativa, per quanto fondata essa sia. La stessa accomodante arroganza, d’altra parte, che ha accompagnato l’adesione alle scelte dei decreti legge durante la ‘crisi’, creata o presunta essa sia stata. Vi sono state decine di dichiarazioni ufficiali, da parte di migliaia di scientifici che hanno messo in serio dubbio le politiche di gestione della pandemia. Dal confinamento, alla distanziazione sociale per passare all’uso intimidatorio delle mascherine. Tutto falsamente omogeneo e in consonanza con la scienza che invece è apparsa come la grande perdente di tutte queste operazioni. Lo ricorda l’antropologo della salute Jean Michel Dominique: la medicina non è una scienza ma un’arte che si avvale della scienza …!

Manipolazione. Quasi per caso appare, nell’immagine citata, una piccola croce appena sopra il capo del ragazzo rappresentato, mascherato come gli altri due personaggi che lo attorniano. La croce che, in tutto il periodo citato, è stata usata e abusata per giustificare o proteggere le scelte governative di controllo sociale col pretesto della gestione della malattia. Una profanazione che, vista dal lontano/vicino Sahel dove ben altri sono stati i problemi di questo tempo, ha posto la ‘nuda vita’ , per dirla con l’amico Giorgio Agamben, come la nuova religione assoluta. Dov’era dunque la croce quando morivano, sole e abbandonate le persone anziane nelle case di riposo (eterno), nelle chiese sostanzialmente chiuse (neppure in guerra era accaduto) e nella ‘distanziazione sociale’ (con che coraggio leggere il vangelo nel quale il Cristo ‘tocca’ i lebbrosi?). Si tolga almeno la croce dalla moneta … già i venditori nel tempio era stati avvisati a suo tempo … Dovremmo altresì espungere, come ‘sovversivi’, i santi che si mettevano sulle spalle i malati, gli appestati o qualcuno come San Damiane de Veuster, diventato a suo volta lebbroso per non rispetto delle distanze sanitarie. Lo stesso accadde coi primi missionari che, sapendo di vivere per pochi mesi, partivano nelle zone dove la malaria o la febbre gialla li falcidiavano. Ora si muore, tristemente, di vecchiaia … con la croce del cimitero a fare compagnia.

  1. La civiltà cattolica

Organo semi ufficiale del vaticano perché diretto dai gesuiti sotto immediata obbedienza papale. È con un notevole senso di sconcerto che, scorrendo un articolo sulla ‘vaccinazione’ si leggeva quanto segue…

papa Francesco manifesta un approccio accogliente e costruttivo nei riguardi della scienza … mostra che il contributo della ricerca scientifica in campo sanitario, che ha consentito di mettere a punto vaccini sicuri, efficaci, con effetti indesiderati minimi e identificabili, testati cilinicamente in modo esteso e rigoroso, può essere al servizio della salute quale bene comune e globale [7]

Le sottolineature sono mie…

Una tale leggerezza, cosciente o meno, è da considerare a-scientifica e, in fondo a-morale, al di là del numero limitato di lettori di questa rivista: è il principio, lo stesso, che viene così riconfermato. Alcune considerazione veloci:

♦ La palese falsità dell’affermazione. Si sapeva o comunque si poteva supporre che i ‘vaccini’, vista la l’origine sospetta di alcune della case farmaceutiche, la manipolazione riconosciuta dei test vaccinali, l’opacità dei contratti con gli Stati, avrebbe comportato problemi per i vaccinati. Così è stato, com’è ampiamente documentato e riconosciuto dalle statistiche ufficiali. Com’è stato riconosciuto dalle stesse ditte farmaceutiche, i test sono stati scelti, ridotti e manipolati ed i risultati più sconcertanti espunti, con cognizione di causa. La ‘civiltà cattolica’ ha così tolto la propria maschera perché quanto scritto, indebitamente, su questo tema potrebbe essere riferito anche ad altri: con quale credibilità’.

(Il database delle reazioni avverse ai farmaci dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) sta ora segnalando 45.752 decessi e 4.522.307 reazioni avverse a seguito dei vaccini COVID-19, mentre il sistema di registrazione degli eventi avversi del vaccino degli Stati Uniti (VAERS) sta ora segnalando 29.031 decessi e 1.307.928 reazioni avverse a seguito della vaccinazione COVID- 19.8 … Dal sito Data base Italia).

La mancanza di discernimento e dunque l’imprudenza in un ambito nel quale vale il famoso motto della medicina: primo non nuocere … Un farmaco in sperimentazione che arriva di botto ad inondare il mercato farmaceutico, uno dei grandi business dell’epoca in chiave di ‘religione sanitaria’, con buona parte di politici e di comitati di gestione della crisi con conflitti di interesse). Sottacendo che fin dall’inizio sono stato trovate e proposte soluzioni alternative alla vaccinazione genica. L’uso tempestivo della idroclorochina, ivermectina … avrebbero permesso di salvare molte vite. Si è preferito, come da copione sceso (divinamente?) dall’alto di impedire ai medici di operare e si è preferito l’isolamento, l’attendismo e il paracetamol … Aberrazioni a dir poco criminali dal punto di vista etico e scientifico.[8]

Connivenza dunque con la ‘doxa’ accettata, trasmessa, propagandata dai media nazionali e internazionali. Questo dovrebbe destare stupore per l’istituzione ecclesiale che si è sempre vantata di ‘essere nel mondo ma non del sistema’ … E invece, con inusuale fretta, le ‘istituzioni vaticane’, tramite il capo supremo e le conferenze episcopali, hanno facilitato il lavoro degli organi statali, come se questi ultimi cercassero davvero il bene personale e comune dei cittadini. Detta attitudine, esplicita o implicita, non ha fatto che favorire lo scivolamento verso un totalitarismo medico le cui conseguenze sull’assetto democratico sono estremamente deleterie. Una divisone tra buoni cittadini e cittadini ‘ricalcitranti’ è potuta accadere con maggiore facilità perché prima c’è stata la classificazione papale tra buoni e fedeli cristiani (vaccinati o vaccinandi) e gli altri, egoisti, superficiali o perlomeno insubordinati all’ordine pubblico ecclesiale ( i non vaccinati). L’idea, a questo proposito, di ‘religione civile’ che puntella la religione sanitaria dello stato, non è anodina ma consustanziale al ruolo che è stato affidato, ormai da tempo, alla religione. Si è contribuito a creare cittadini ‘sottomessi’ all’autorità contro i diritti umani più elementari ( di riunione, di lavoro, di culto, di movimento … di aria libera e di un volto umano).

  1. L’Alleanza vaticano-capitalismo inclusivo

«È necessario e urgente un sistema economico giusto, affidabile e in grado di rispondere alle sfide più radicali che l’umanità e il Pianeta si trovano ad affrontare. Vi incoraggio a perseverare lungo il cammino della generosa solidarietà e a lavorare per il ritorno dell’economia e della finanza a un approccio etico…cercando modi per rendere il capitalismo uno strumento più inclusivo…». All’inizio di dicembre del 2019, papa Francesco si era rivolto con queste parole ai membri del nuovo “Consiglio per un capitalismo inclusivo con il Vaticano”… Tra i manager che fanno parte del Consiglio figurano i dirigenti di colossi come Mastercard, Allianz, Merck, CalPERS, Johnson & Johnson, State Street Corporation, Bank of America, Fondazione Rockefeller. Ma è presente anche il presidente di un colosso delle fonti fossili come British Petroleum. E perfino un membro del consiglio d’amministrazione della compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco.

«La vostra presenza qui – ha affermato Bergoglio – è un segno di speranza, perché avete riconosciuto le questioni che il nostro mondo è chiamato ad affrontare e l’imperativo di agire con decisione per costruire un mondo migliore. Vi esprimo la mia gratitudine per il vostro impegno nel promuovere un’economia più giusta e umana». Inoltre, secondo il Financial Times, il Vaticano avrebbe anche «concesso l’uso del proprio nome».[9]

Sconfessione della teologia popolare o della liberazione. Sappiamo che non si possono seguire o affidarsi a due padroni, camminare due strade differenti. Da un lato si promuovono alleanze coi movimenti popolari, coi poveri, non oggetti ma protagonisti di trasformazione, come si afferma da sempre nella teologia della liberazione e in quella popolare seguita e promessa finora, almeno nei discorsi, da Roma. E nel contempo ci si allea col ‘capitalismo inclusivo’, ossimoro, contraddizione in termini come ben si sa da sempre. Il capitalismo è nato senza cuore e non sarà certamente un innesto chirurgico, sia pure col vaticano, tutto meno che innocente in ambito finanziario, a cambiarne i connotati. Ciò è semplicemente scandaloso e malgrado le tresche passate con potere del momento, i concordati con le dittature e gli arrangiamenti coi detentori della ricchezza, non si era mai giunti a tanto. Com’è possibile andare dai poveri in pellegrinaggio, ad esempio tra i campi per profughi o migranti e nel contempo allearsi con coloro che direttamente o meno creano quanto sta accadendo in termini di esclusione sociale e di sfruttamento globale?

Adeguamento al ‘sistema Davos’, nel senso che, in fondo, le politiche vaticane ‘Covid’ sono state finora sostanzialmente funzionali al piano di ‘global reset’ promosso dalla cricca che organizza i famosi vertici dell’élite economico-politica del mondo nella cittadine elvetica. Un piano che tendenzialmente azzera lo spirito umano, l’anima, i desideri più grandi del cuore umano, per appiattirsi su una rivoluzione transumanista che punta al controllo totale del mistero della vita, una sorta di reinvenzione della creatura, fatta a immagine e somiglianze delle intelligenze artificiali. Le scelte vaticane del periodo della pandemia e il post, sono funzionali a questo sistema, senza una parola di critica per favorire le lusinghiere sirene del consenso per attrarre investimeni (in vaticano?). La profezia di un mondo nuovo si identifica con le politiche vaccinali, ideologiche ed economiche che permettono finalmente la luce promessa dopo il buio dei mesi del confinamento. Nulla sarà più come prima si ripete a menadito. Si attende il mondo secondo il vangelo di ‘Davos’, fondamentalmente idolatra (Mammona, in termini profetici), perché pone al centro se stesso come unica salvezza.

La svendita di un patrimonio unico antropologico al miglior acquirente è appunto ciò che sembra accadere. La persona, il volto, la relazione, la com-unione di intenti e di destino, tutto ciò è stato, in questo periodo, svenduto. Distanze, isolamento, disinfezioni, conteggio di morti … il processo si è rivelato fin dall’inizio, per i più attenti osservatori, come l’uso egemonico-patologico della paura che ha di fatto mutilato la civilizzazione e le più elementari nozioni di convivialità. La morte di persone sole e abbandonate ne è stata la metafora forse più emblematica. Com’è stato possibile rinunciare, in poche settimane e con così poca resistenza, ad un patrimonio così ricco e articolato come quello che ha contraddistinto la visione della persona come mistero di comunione e relazione con un proprio destino, legato a quello degli altri. Si è poi contrabbandato il concetto di ‘bene comune’ per l’obbligo vaccinale mentre tutto, nella società, da anni spinge all’individualismo esacerbato e consumista. Appare perlomeno sospetto che dei perfetti egoisti in economia, politica ed etica diventino, senza colpo ferire, paladini del bene comune e dell’abnegazione.

  1. Obbligo morale?

Dal momento in cui è stato disponibile il primo dei vaccini contro l’epidemia Covid-19 un coro pressoché unanime si è levato per sostenere l’obbligatorietà della vaccinazione stessa, chi non volesse sottoporsi al trattamento verrebbe emarginato. Le stesse persone che chiedono questo in nome di un bene collettivo però devono sapere che la somministrazione di un farmaco sperimentale contro la volontà del soggetto è inequivocabilmente in contrasto con le norme del Codice di Norimberga redatto per definire la base giuridica della medicina nazista che si andava a condannare nel tribunale. (Enzo Pennetta, gennaio 2021)

La libertà di coscienza. La stessa Unione europea si è affrettata ad adottare, nel giugno scorso, un regolamento (il n. 953/2021, relativo all’EU Digital Covid Certificate), il cui preambolo afferma la necessità di evitare la discriminazione diretta o indiretta dei soggetti che “hanno scelto di non vaccinarsi”. I principi e le norme in parola sono volti a salvaguardare i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo nei confronti delle applicazioni della biomedicina … Rilevano, in modo specifico, il principio del primato dell’essere umano sugli interessi della scienza e della società, nonché i principi di precauzione, di beneficenza, di non maleficenza e di equo accesso alle cure mediche.

Nella prospettiva indicata assume speciale rilevanza il dovere del medico/sperimentatore di rispettare gli obblighi professionali ispirati al rigore, alla prudenza, alla professionalità, all’onestà intellettuale e all’integrità morale non solo nella trasparenza delle decisioni adottate e nell’utilizzo delle migliori conoscenze disponibili, ma anche nella presentazione dei risultati scientifici conseguiti (art. 4 della Convenzione di Oviedo, art. 13 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 1997, art. 18 della Dichiarazione universale dell’UNESCO del 2005).[10]

La citazione del papa, riportata all’inizio di questa lettera aperta, facente allusione all’obbligo vaccinale

Il Santo Padre ha più volte sottolineato l’importanza della vaccinazione, ricordando che la cura della salute è “un obbligo morale” ed è importante “proseguire lo sforzo per immunizzare anche i popoli più poveri”…

invita ad alcune considerazioni.

La più facile è quella di rilevare che i Paesi più poveri, tra questi il più povero in assoluto nel quale si trova chi scrive, il Niger, è stato solo lievemente sfiorato dalla pandemia. I tentativi di ‘facilitare’ o imporre il vaccino sono sistematicamente caduti nel vuoto. In tutta l’Africa, a parte forse il Sudafrica, il Marocco e l’Algeria colpiti in relativa misura, l’epidemia è stata ben gestita, verrebbe da dire, grazie alla non-vaccinazione! Ma il punto principale è legato, appunto, alla coscienza. Da un lato, quando conviene, si vogliono persone, cittadini, cristiani, consapevoli e responsabili e dall’altra si ‘obbliga’ pena l’esclusione virtuale e reale dal lavoro, dalla comunità una parte di coloro che cercano di prendere sul serio la libertà di coscienza. Sembra perlomeno contradditorio appellarsi al senso critico e alla maturità dei cristiani nei confronti delle ideologie dominanti della società e al contempo ‘imporre’ sotto pena di minaccia una visone unica, accomodante e funzionale al potere del momento in ambito sanitario. Come non rilevare la contraddittorietà del modo di trattare chi, per legittima scelta, ha rifiutato la vaccinazione e si trovato ai margini della Chiesa. La misericordia e l’attenzione dovuta a chi ha perso il lavoro e, spesso, la reputazione avrebbe dovuto trovare accoglienza e ascolto nelle comunità cristiane.

La censura precoce di altre possibilità terapeutiche si è sviluppata fin dall’inizio e la sola prospettiva vaccinale presa come una garante di uscita dalla crisi dell’epidemia. Come già sottolineato si sono esclusi tutti i tipi di trattamento di una malattia che in sé non era sconosciuta e di cui esistevano dei protocolli di intervento. Fortunatamente, anche nel momento più forte del totalitarismo del pensiero unico sulla malattia, non sono mai mancate voci ‘furi dal coro’, come ad esempio il dottor Jean Michel Dominique, antropologo della salute che sul suo blog, ha continuato a pubblicare notizie diverse dalla doxa …

Riprende, tra l’altro, un articolo che contesta la narrazione ufficiale. Sulla gravità, meno del previsto e che tocca prevalentemente una fascia della popolazione, spesso con altre comorbidità…

… ‘La médecine c’est soigner les gens, quant à la science elle consiste principalement en l’observation… Et dans ce domaine, l’observation faite par les praticiens de terrain à travers le monde a mis en évidence plusieurs associations qui donnent de bons résultats : l’association Hydroxychloroquine/Azithromycine/Zinc ou l’association Macrolide/Céphalosporine/Zinc semblent éviter les formes graves à condition d’être prises tôt dans l’infection. Utilisée en Afrique, l’Artemisia annua semble aussi avoir une efficacité contre le covid . Aux stades plus avancés, l’on peut recourir aux corticoïdes comme la dexaméthasone, les anticoagulants pour éviter les phénomènes de thromboses, ou encore l’oxygénothérapie.[11]

Correi dunque di uno stato di cose che ha contribuito a trasformare una relativa semplice malattia in una pandemia ‘incontrollabile’ con lo scopo, appena larvato, di arrivare ad un certificato vaccinale europeo che permetta di ‘controllare’ ogni cittadino. Le ricadute, non è difficle, immaginarlo, potrebbero andare verso una distopia che solo la fantasia degli scrittori di scienza-fiction, potrebbero lasciar indovinare. Una pesante responsabilità nei confronti di ciò che, attraverso azioni o omissioni, mette le basi per un mondo (occidentale per ora), sostanzialmente dominato dagli interesi delle grandi ditte farmaceutiche e dei cosiddetti GAFA …

Conclusione. Che tempo fa dall’altra parte del mondo?

Chi scrive ha passato buona parte lontano dai centri di potere, come missionario apprendista in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia e, da oltre 11 anni, nel Niger della sabbia. Chi scrive, nel mese di luglio del 1982 è stato salvato da operazioni e cure mediche nell’ospedale pubblico San Martino di Genova e non ha mai disdegnato le vaccinazioni. Chi scrive, oltre quelle dell’infanzia, ha assunto il vaccino contro la febbre gialla e, prima di partire la prima volta nel Niger nel 2011, è stato volontariamente vaccinato contro una delle forme più diffuse della meningite. Non c’è traccia, in chi scrive, di preclusioni nei confronti dei vaccini ma c’è ‘resistenza’ nei confronti di una visione totalitaria della risposta politica alla ‘pandemia’ Covid.

Infatti una cosa è la malattia e l’altra le politiche di uso della malattia per controllare, modificare e preparare un mondo diverso e funzionale all’egemonia di una élite che, per usare una metafora evangelica, sotto l’apparenza di ‘agnelli’ benefattori illuminati dell’umanità, non sono che lupi feroci. Peccato che alcune istituzioni vaticane, e non delle minori, abbiano accettato di collaborare con loro. Molti altri, pagando di persona e discriminati all’interno della stessa Chiesa e nella società come cittadini, hanno scelto di r-esistere.

Niamey, primo luglio 2022

P.S.– In tutti questi anni lo stato italiano mi ha ignorato. Per rinnovare il passaporto scaduto e con un’ambasciata a Niamey, con tanto di militari, di controllo di frontiere e migranti, sono dovuto andare fino ad Abidjan, in Costa d’Avorio…

Da casa mi si comunica che c’è in atto un procedimento amministrativo che comporterebbe una penalità di 100 euro per non compimento vaccinale. Mi è stata chiesta copia della carta d’identità e del codice fiscale. … Ecco il benvenuto in patria dopo tre anni di assenza…

https://www.lepoint.fr/societe/vatican-le-plus-petit-etat-au-monde-dirige-par-le-dernier-monarque-absolu-13-03-2013-1639682_23.php

Il testo di Mauro Armanino è già stato pubblicato anche sul sito di «Sinistrainrete», il 12 luglio 2022.


Note

[1] «In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”» (Mt. 6, 24).

[2] Lc. 17, 26-37.

[3] D. Alighieri, Purgatorio, I, vv. 71-72.

[4] https://www.ilsussidiario.net/news/nuova-moneta-da-20-euro-del-vaticano-medico-e-infermiere-iniettano-vaccino-covid/2361854/

[5] https://www.republicain-lorrain.fr/culture-loisirs/2021/07/06/martin-steffens-philosophe-alerte-sur-les-risques-d-une-societe-masquee

[6]https://globalcovidsummit.org/news/declaration-iv-restore-scientific-integrity?utm_campaign=ICYMI%3A%20Please%20review%20our%20latest%20Declaration&utm_medium=email&utm_source=Mail

[7] Andrea Vicini s.j., «La civiltà cattolica», 4115, 2021, 433.

[8] https://nouveau-monde.ca/balance-avantages-risques-des-injections-anti-covid19-au-28-juin-2022/

[9] https://valori.it/consiglio-capitalismo-inclusivo/

[10] Il testo originale del Parere è pubblicato sul sito: www.ecsel.org/cieb, fondato dall’amico Luca Marini, giurista.

[11] M. Annès Bouria, un des signataires du remarquable Appel adressé par des soignants belges à leur gouvernement. Dal testo originale in francese sul sito Anthropo-logique, di J.M. Dominique.


Alcuni libri di Mauro Armanino


Cercando il volto. L’umanità nel missionario, Ed insieme 2000

Cercare il verbo che esprime meglio la dimensione missionaria della Chiesa di oggi: essere in cammino, cercatori d’infinito, alla ricerca di un Dio che si nasconde fra le pieghe della debolezza dell’uomo. Delle piccole contraddizioni quotidiane di un’umanità spesso stanca e delusa, Egli si serve per mostrare e comunicare la ricchezza del suo amore che libera e rende felici”. (Dalla premessa di don Giovanni D’Ercole).


La storia si fa con i piedi. Diario di missione a Genova, EMI 2011

Clandestino non è l’unica parola che avrei incontrato innumerevoli volte nel lessico quotidiano. Certo è stata quella che mi ha ferito di più. Ho vissuto per vent’anni fuori dall’Italia. Al massimo mi hanno chiamato comunista, mai clandestino”. In attesa di ripartire per l’Africa, padre Mauro continua ad essere missionario anche in Italia. Negli anni trascorsi a Genova, incontra immigrati, detenuti, prostitute. Con loro spezza il pane, piange o ride, s’indigna. I suoi passi si confondono con i loro piedi.


Un dio qualunque. Sguardi e attraversamenti dal Niger, Museodei by Hermatena, 2013

Rifugiati, sopravvissuti, sfollati e dimenticati… a loro sono dedicate le lettere da Niamey, scritte da padre Mauro, che vive là, insieme a loro. Li vede ogni giorno, condividendone le sorti… Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger.


La nave di sabbia, Museodei by Hermatena, 2015

La vista, i poveri, l’esodo forzato degli ultimi, il commercio umano, gli angeli di carne, la maternità obbligata, le tappe al contrario del cammino natalizio che Armanino ci propone, con quel suo tocco sapiente di disincantato pittore della sua gente di “frontiera”, quotidianamente ascoltata e accolta, mai giudicata o esclusa. Forte rimane il movimento di questo cammino condiviso, anche nelle grandi solitudini sensoriali (cecità), affettive (prostituzione), economiche (guerre, carestie), dove tutti i protagonisti vengono abbracciati dallo sguardo d’amore dell’autore, consapevole che dalla periferia nasce la speranza.


La città sommersa. Il mondo altro dei migranti del mare, Museodei by Hermatena, 2017


Mare muro. Il Mediterraneo sguardato dalla parte di chi parte e non sempre arriva, Pendagora 2017

53 sguardi e altrettante riflessioni sul mondo dei migranti, inviate da Niamey (Niger) tra il 2012 e il 2017 da Mauro Armanino, prete, missionario e testimone. Armanino non parla di numeri, non si ferma agli aggettivi (profughi, sfollati, richiedenti asilo, e ancora dieci altre targhette di gran moda), ma li chiama ciascuna e ciascuno per nome, ci racconta che hanno un volto e nel bagaglio una storia, che non vengono dall’Absurdistan, ma da un luogo che anch’esso ha un nome, dove hanno lavorato o studiato, dove hanno lasciato una famiglia, una comunità di persone che hanno un nome, e poi – nome dopo nome – ci racconta di chi nel viaggio ha assaggiato l’antipasto dell’inferno e di chi non è arrivato né tornato, e ancora racconta di governi collusi, di organizzazioni compiacenti, di potenze della finanza e della politica che prosciugano le ricchezze del centro del mondo e le convogliano nella nostra periferia. Con lingua schietta, nello stesso tempo poetica e viscerale, senza sconti alla verità né alle responsabilità, questo libro parla di noi


L’ arca perduta nel Mediterraneo. Prove di naufragio di una civiltà, Museodei by Hermatena, 2019



L’ isola delle speranze rubate. Diario di bordo dal Sahel, Museodei by Hermatena, 2022

Storie di speranze perdute, navi che salpano verso isole inesistenti. Storie di ordinaria sofferenza lungo le strade che attraversano il Niger, accompagnate dal vento, dalla sabbia e dal dolore. Un diario di bordo, in un affresco unico, che narra le “avventure” di un’altra Africa. L’altra faccia di un’umanità che non conta. Testimonianze disperate di violenza e follia. Storie di corruzione e manipolazione. Storie di oggi. Nascoste tra le onde di un naufragio, nel cui sciabordio si ode la voce forte e coraggiosa di chi è indotto a lasciare una terra che sembra non appartenergli più.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Associazione Palomar, Pistoia – «Leggere la cura» a partire dal libro «La tragedia di essere fragili», 3 dicembre 2022, ore 18, Sala Soci Unicoopfi. Ne parleranno: Alessandra Flannino Indelicato, ricercatrice di filosofia dell’Università di Milano-Bicocca e curatrice del libro. Lorena Mariani, Direttrice Area infermieristica-assistenziale Rsa Convento di San Francesco, Misericordia di Borgo a Mozzano. Francesco Branchetti, Infermiere e docente del Corso di laurea di infermieristica dell’Università di Firenze. Monica Chiti, Dirigente delle professioni infermieristiche, Ospedale San Jacopo – Pistoia. Marco Leporatti, Associazione Palomar.


Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

indicepresentazioneautoresintesi





Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni





Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it, e saranno immediatamente rimossi.

Johan Jacob Bachofen – Il sapere diviene comprendere solo se coglie simultaneamente l’origine, il progresso e la fine. Senza la conoscenza delle origini il sapere storico non giungerà mai a un’interna conclusione.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Fernanda Mazzoli – Non di solo Covid sono morti i degenti delle RSA, ma del virus più temibile, della solitudine e della sottrazione di personalità.

Egon Schiele, “La morte e la fanciulla”, dipinto nel 1915.

E. Munch, Das kranke Kind, 1907.


Familiari dei “condannati a morte nelle Rsa italiane”

e contributi di

Laura Campanello, Alessandra Filannino Indelicato, Fabio Galimberti,
Franca Maino, Lorena Mariani, Linda M. Napolitano Valditara,
Gianni
Tognoni, Silvia Vegetti Finzi

La tragedia di essere fragili

Filosofia biografica per una nuova cultura della vecchiaia

a cura di Alessandra Filannino Indelicato

ISBN 978-88-7588-367-6, 2022, pp. 208, Euro 15.

In copertina: Alfredo Pirri, Facce di gomma, latice in gomma, cotone, tempera, 1992.

indicepresentazioneautoresintesi





Mamma,

ho sognato che non avevi perso la memoria e ti ricordavi chi ero.

Oggi lo sai cosa è successo e speravo di sentirti ma ti sogno solo.

In questi giorni sognavo te nell’ospedale nella RSA che non stavi bene e mi svegliavo male la mattina. Non volevo scriverti perché mi viene da piangere. Oggi ho ritirato la notifica dal tribunale, c’è scritto che l’Rsa non ti ha ucciso e io sto male e sono sola. […]

Una pubblicazione che prende una netta posizione rispetto alle ingiustizie subite dai familiari di molti ricoverati durante la pandemia, condannati a morte in alcune, moltissime, Rsa italiane. Incapacità di affrontare una crisi che ci ha coinvolti tutti, per ragioni storico-culturali molto complesse, ragioni a cui si tenta di dare voce in chiave filosofico-biografica, per spiegare (senza esaurire o ridurre) la più grande tragedia della nostra società contemporanea: quella di essere fragili, e anche quella di essere vecchi. Dando voce a chi ha subito ingiustizia e si trova ancora costretto all’anonimato, ancora costretto in una posizione di estrema impotenza, questa pub­blicazione è anche una raccolta di lettere-testimonianze dei familiari e vuole essere un monito. Un monito di speranza e di luminosa instancabile indomabile presenza e anelito alla lotta per la verità di chi la sua verità non può ancora dirla, nel compito della memoria di chi è morto nel silenzio generale. Un monito verso la non indifferenza individuale e collettiva che scuota le coscienze affinché si costruisca un sistema migliore di quello di cui tutti siamo stati inermi e terribili testimoni


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Le lettere

Sono quasi due anni che te ne sei andata

La prima cosa che vorrei sapere

Eri tu quella farfalla arancione

“Mammina” – come ti chiamavo …

Ho sognato che non avevi perso la memoria

Sono due anni che siamo lontane

Come stai? Non è facile scriverti una lettera

Ti ricordi mamma?

Anche febbraio sta volgendo al termine

Proprio l’altro giorno, per Natale

Sei sempre stato un uomo forte

Così sei stata accolta

Scrivo a ruota libera

Quanto mi sei mancato

Quando finalmente

Tra te e me si è imposta la malattia

Una eccezione. L. se n’è andata



Gli autori dei contributi

Gianni Tognoni, vecchio (1941) ricercatore, con un retroterra di teologia e filosofia, e laurea in medicina, pensionato sempre attivo, dopo più di 40 anni di attività nell’Istituto Mario Negri (di Milano, e per 12 anni nella sede ora chiusa in Abruzzo), con contributi anche internazionalmente riconosciuti come innovativi nel campo della metodologia e dell’etica della sperimentazione clinica e della epidemiologia comunitaria. Ha pubblicato fin troppo , in campo strettamente scientifico e non, in inglese, spagnolo, italiano, con tracce facilmente ritrovabili anche recentemente su siti come Volere la Luna ed Altreconomia.
Dal 1979, nella sua vita parallela e assolutamente di riferimento, è Segretario Generale del Tribunale Permanente dei Popoli.

Fabio Galimberti, laureato in Scienze Pedagogiche, è analista filosofo. Prima falegname, da vent’anni lavora come operatore di base in una Rsa. Si interessa di lingua locale, cultura tradizionale e botanica popolare della Brianza e della Lombardia alpina, con la pubblicazione di articoli, saggi e organizzando corsi, cammini e visite guidate.

Silvia Vegetti Finzi è psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia, della famiglia e della scuola. Ha condiviso per molti anni il lavoro intellettuale e l’impegno sociale con il marito Mario Vegetti, storico della filosofia antica. Dal 1968 al 1971 ha partecipato alla vasta ricerca sulle cause del disadattamento scolastico, promossa dall’Istituto IARD (F. Brambilla) e dalla Fondazione Bernard Van Leer di Milano. I suoi maggiori contributi hanno riguardato la storia della psicoanalisi, nonché lo studio delle problematiche pedagogiche da un punto di vista interdisciplinare, facendo rife­rimento soprattutto alla psicologia dell’infanzia e dell’adolescenza ed alla psicoanalisi. I suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, spagnolo, greco e albanese. Dal 1975 al 2005 è stata docente di Psicologia Dinamica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Pavia. Nel 1990 è stata tra le fondatrici della Consulta di bioetica. Ha fatto parte del Comitato Nazio­nale di Bioetica, dell’Osservatorio Permanente sull’Infanzia e l’adolescenza di Firenze, della Consulta Nazionale per la Sanità. È membro onorario della Casa delle donne di Milano e vice-presidente della Casa della Cultura di Milano. Nel 1998 ha ricevuto, per le sue opere sulla psicoanalisi, il premio nazionale “Cesare Musatti” e per quelle di bioetica il premio nazionale “Giuseppina Teodori”.

Linda M. Napolitano Valditara è professoressa ordinaria di Storia della filosofia antica (in pensione dal 2021). Ha insegnato negli Atenei di Padova, Trieste e Verona. Studia soprattutto Platone, la letteratura greca, i modi del formarsi del sapere-comunicare nel mondo antico e la loro ripresa odierna (filosofia della cura, dialogo socratico). A Verona, quale responsabile, tuttora, del Centro Dipartimentale di Ricerca “Asklepios. Filosofia della salute”, studia le forme di teoria e pratica della cura (Medicina Narrativa e Terapia della Dignità), interagendo con strutture e figure sanitarie del territorio. Studi: Il sé, l’altro, l’intero. Rileggendo i Dialoghi di Platone, 2010; Pietra filosofale della salute. Filosofia antica e formazione in medicina, 2012; Prospettive del gioire e del soffrire nell’etica di Platone, 20132; Virtù, felicità e piacere nell’etica dei Greci, 2014; Il dialogo socratico. Fra tradizione storica e pratica filosofica per la cura di sé, 2018; Filosofi sempre. Immagini dalla filosofia antica, 2021; con C. Chiurco: Senza corona. A più voci sulla pandemia (2020). Ha curato il volume collettaneo Curare le emozioni, curare con le emozioni (2020).

Lorena Mariani, Direttrice dell’Area Infermieristico – Assistenziale della Rsa Convento di S. Francesco della Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano. Esperta della cura della persona in età senile e appassionata di socio sanitario, crede nella potenzialità dei sistemi di cura integrati e nei risultati che tali atteggiamenti virtuosi producono. Si occupa di formazione, collaborando con le principali agenzie formative del territorio della Provincia di Lucca e della Toscana, svolgendo docenze nell’area sanitaria, tecnico assistenziale e sociale, come esperto di settore. Sovrintende a tutte le questioni socio sanitarie e di prevenzione che riguardano i servizi sanitari e sociali svolti dalla Confraternita di Misericordia di Borgo a Mozzano ed è il punto di riferimento della stessa Misericordia per tutte le problematiche igienico sanitarie e di sicurezza riguardanti la pandemia Covid-19. Ha pubblicato il libro Il manuale: buone pratiche in Rsa, ed. Spazio Spadoni, 2021.

Laura Campanello, laureata in filosofia e specializzata in pratiche filosofiche e consulenza pedagogica. Collabora con la Scuola superiore di pratiche filosofiche di Milano “Philo” ed è consulente etica nelle cure palliative e nell’ambito della malattia e del lutto. Nel corso della sua carriera ha studiato e approfondito il tema della felicità attraverso la pratica filosofica e la psicologia analitica e scrive di questi temi per il “Corriere della Sera”. È inoltre Presidente dell’Associazione di Analisi Biografica a Orientamento Filosofico (Sabof). Tra le varie pubblicazioni, si ricorda: Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita, Mondadori, 2020; Leggerezza. Esercizi filosofici per togliere peso e vivere in pace, Bur Rizzoli, 2021; Sono vivo, ed è solo l’inizio. Riflessioni filosofiche sulla vita e sulla morte, Mursia, 2013.

Franca Maino dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare ed è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna “Politiche Sociali e del Lavoro”, “Politiche Sanitarie e Socio-sanitarie”, “Welfare State and Social Innovation”.

Alessandra Filannino Indelicato è una ricercatrice in generale, nella vita, attualmente impiegata presso l’Università di Milano-Bicocca. Esperta di Pratiche Filosofiche e Gestalt counselor, lavora per vocazione nel campo dell’ermeneutica delle tragedie greche e della filosofia del tragico, offrendo corsi, seminari e consulenze individuali e di gruppo. Nel 2022 ha contribuito con “Pace gattesca” alla raccolta Verrà la pace e avrà i tuoi occhi. Piccolo Vademecum per la pace, Anima Mundi Edizioni. Per l’Editrice Petite Plaisance è anche Direttrice della collana “Coralli di vita”. Nel 2019, per Mimesis, ha pubblicato Per una filosofia del tragico. Tragedie greche, vita filosofica e altre vocazioni al dionisiaco, e nel 2022, per Petite Plaisance, Apologia per Scamandrio o dell’abbandono. Contributi di Iliade VI a una filosofia del tragico.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
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Silvia Vegetti Finzi – Pace al femminile: donne, in quanto portatrici di un programma di vita che rappresenta, nella sua idealizzazione, un paradigma etico


Silvia Vegetti Finzi

Pace al femminile

(testo tratto dal dialogo sulla Pace con Marco Tarquinio,

avvenuto alla Casa della Cultura di Milano il 16 ottobre 2022)

Il termine Pace è tra i più inclusivi in quanto non vi è nessuno, che si reputi umano, che non consideri la Pace un valore, che non la desideri, non la invochi, anche quando la ritiene impossibile.

Credo che in questa aspirazione ognuno porti la propria singolarità, il proprio specifico essere nel mondo. In particolare le donne che, raggiunti molti, seppure non tutti, gli obiettivi di parità con gli uomini, sono ora impegnate a definire la loro identità.

L’identità femminile è, come tutte, multipla e sfaccettata in quanto abitiamo vari contesti e in ognuno ci presentiamo in modi diversi.

Ma il comune denominatore dell’essere donne risiede, a mio avviso, nella maternità.

Non intendo soltanto la maternità realizzata ma quella potenziale, rappresentata dal corpo e dall’immaginario femminile, dalla possibilità del nostro genere di contenere, nutrire e dare la vita.

Una predisposizione che esiste in tutte e che può essere realizzata nella filiazione oppure sublimata in opere simboliche come la cura, l’educazione, l’arte, iniziative sociali e culturali che, pur prescindendo dalla procreazione corporea, ne conservano i valori di creatività e generosità.

Riconoscere e condividere la potenzialità materna ci permette di affermare che la Pace è possibile, pensabile e realizzabile. Quando una donna entra in contatto con le sue risorse interiori trova, già predisposto, un modello di Pace.

Un modello latente nel corpo e nella mente ma che, una volta riconosciuto, diventa una proposta valida per tutti, soprattutto in un momento storico che, in ordine alla Pace, non permette separazioni e contrapposizioni.

Vediamo di che cosa si tratta.

Il rapporto sessuale, complementare e reciproco, è geneticamente finalizzato a generare un figlio, ma per le donne comporta un impegno in più perché dovranno contenerlo, nutrirlo e infine lasciarlo andare perché viva la propria esistenza e la prolunghi nella specie. Un progetto che può essere trasposto in ogni ambito, in ogni relazione.

Nulla di più lontano dalla guerra e dai suoi fantasmi di occupazione, distruzione e morte.

Poiché le donne non hanno mai fatto la guerra, anche se ne sono state vittime, né finora si sono attribuite, come gli uomini, il diritto di uccidere (per secoli l’esercito è stato esclusivamente maschile), ritengo che la loro parola in ordine alla Pace meriti di essere ascoltata.

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Con pensiero di donna

Al compimento del suo 103° anno, il filosofo francese Edgard Morin, preso atto che quella che stiamo vivendo non è soltanto una crisi economica, sociale ed ecologica, nel suo ultimo libro Svegliamoci ci invita a pensare senza precipitarci a fare, ad agire. Il pensiero, anche quando rimane muto, è sempre un’esperienza attiva, comunicativa, performativa.

Come non esiste musica senza intervalli, così non esiste linguaggio senza silenzio. Tutto ciò che è stato pensato intenzionalmente è vivo e può modificare il mondo.

L’invito di Morin è particolarmente attuale oggi, nel momento in cui tutto sta cambiando. La natura si ribella all’abuso delle sue risorse; la scienza mostra l’irrazionalità dei fini celata dall’apparente neutralità dei mezzi e la società si confronta con l’incapacità di governare un mondo globalizzato.

Come avverte Papa Francesco, non siamo di fronte a un’epoca di crisi ma alla crisi di un’epoca, a un crollo repentino, che coinvolge tutti. Di qui l’invito a restare umani.

Per secoli il genere femminile si è pensato e modellato dal punto di vista maschile, interiorizzando i valori degli uomini. Vi sono state, storicamente, vistose eccezioni ma, in generale, la comunità delle donne ha intrapreso da poco a pensare partendo da sé, dalla propria specificità: mezzo secolo contro millenni di pensiero maschile.

Il femminile materno non ha potere ma potenza, non chiede autorità (che può essere imposta con la forza) ma autorevolezza (che solo gli altri possono attribuire).

La presenza delle donne – che sono tali non per anagrafe ma per coerenza con la loro identità femminile e materna – avviene in un momento particolarmente difficile, quando il pensiero umano si sta rivelando inadeguato a se stesso.

Si ha l’impressione che conseguenze del progresso tecnico e scientifico, come gli algoritmi, il multiverso, l’intelligenza artificiale o la robotica più avanzata, eccedano le nostre possibilità di controllo.

Inoltre, anche quando riusciamo a capire razionalmente, ci sfugge il comprendere, il sentirci emotivamente coinvolti nella realtà, che non è solo circostante, ma fuori e dentro di noi.

Alla contrapposizione tra dentro e fuori, micro e macrocosmo, si sottrae in particolare l’organismo femminile, retto da cicli cosmici, collegato con le fasi lunari, in sintonia con le maree, sensibile all’alternarsi delle stagioni, prossimo a quello che gli antichi chiamavano anima mundi. È al tempo stesso partecipe della società, coinvolto nelle sue contraddizioni.

Tutto quello che abbiamo pensato come separato si è rivelato interconnesso, tutto quello che abbiamo pensato come rassicurante si è rivelato perturbante.

Persino il concetto di “natura” ha perso la funzione convalidante e normativa svolta da Aristotele in poi.

Da quando la Madre Terra è stata dissacrata da una concezione meccanicistica del mondo, ci sentiamo autorizzati a sfruttarla irresponsabilmente. Benché gli scienziati si affannino a spiegare che il disastro ecologico è la conseguenza del nostro comportamento, il coinvolgimento collettivo non scatta e la responsabilità non si mobilita.

Eppure la fecondità umana, entrata in una crisi che si teme irreversibile, ci pone di fronte, non solo al rischio di perdere la più radicata e potente delle relazioni tra i sessi, quella tra padre e madre, ma anche alla possibile sparizione della nostra specie. Tuttavia questa minacciosa previsione ci lascia indifferenti perché rivolta a uomini e donne sempre più vecchi, egoisti e soli.

Nelle giovani donne la prospettiva della maternità, rinviata a data da destinarsi, sopraffatta da altre istanze – la carriera, il successo, la popolarità –, rischia di diventare l’impensato della nostra epoca.

La denatalità e ultimamente la catastrofe annunciata dalla minaccia atomica rivelano l’eterna competizione tra Eros e Thanatos, Amore e Odio, Principio di vita e Principio di morte, una concezione antagonista del mondo che inizia con Empedocle e procede, attraverso Platone e Aristotele, sino e oltre Freud.

È indubbio che la guerra d’aggressione si collochi dalla parte dell’odio, del male, del Principio di morte, soprattutto quando lo scopo diviene la guerra stessa, quando non se ne prevede la fine, né si contemplano limiti e misura al suo inesorabile procedere.

In questo conflitto eterno, l’intervento della riflessione femminile si pone dalla parte del Principio di vita, di Eros, non in modo astratto e impersonale ma dando voce a un “pensiero incarnato”, secondo una concezione centrale nel verbo cristiano, anche se inteso qui in un’accezione meramente terrena.

Come premesso, quando dico “pensiero materno” non mi riferisco esclusivamente alle donne che hanno messo o metteranno al mondo bambini, ma lo considero una potenzialità di tutte le donne in quanto tali.

Una potenzialità comprensibile e condivisibile con gli uomini in quanto tutti si nasce figli.

Nella convinzione che il pensiero è corporeo e il corpo è pensante, come testimoniano le esperienze mistiche, invito a considerare il corpo e la mente femminili contraddistinti, non dalla necessità, ma da un’autonoma, libera disposizione a pensare e agire maternamente.

La maternità trova il suo modello nella procreazione reale, nel senso creativo di mettere al mondo un individuo unico, irripetibile, inconfrontabile, uguale solo a se stesso, un “capolavoro”, nel senso artistico del termine.

Come scrive Adrienne Rich: «Tutta la vita umana nel nostro pianeta nasce da donna. L’unica esperienza unificatrice, incontrovertibile, condivisa da tutti, uomini e donne, è il periodo trascorso a formarci nel grembo di una donna. […] Per tutta la vita e persino nella morte, conserviamo l’impronta di questa esperienza».

Con questa osservazione, sinora incontrovertibile, siamo approdati, dalla singolarità di ogni nato, a una dimensione universale, quella dell’umanità partorita tutta da corpi femminili e materni.

Se la condizione di figlio costituisce un universale, lo stesso accade per la condizione di madre, estesa a tutte le donne in quanto portatrici di un programma di vita che rappresenta, nella sua idealizzazione, un paradigma etico. Cerniera tra corpo e mente, dentro e fuori, conscio e inconscio, natura e cultura, identità e alterità, immanenza e trascendenza, la maternità è un laboratorio aperto di pensieri e immagini. «Come ogni archetipo», scrive Jung, «anche quello materno possiede una quantità pressoché infinita di aspetti».1

Aspetti luminosi ma anche ambigui e contradditori, come rivelano le figure della strega e della matrigna che si celano dietro la fata e la madre.

Ciò nonostante, il processo di “mettere al mondo”, “dare alla luce”, possiede elementi positivi che si oppongono a Thanatos, alla distruttività della guerra, al nichilismo del non senso, al prevalere del negativo che genera e perpetua i conflitti. Nascere apre sempre orizzonti di futuro e – poiché nessuno nasce solo – di relazione reciproca.

La dialettica del riconoscimento, che costituisce la precondizione per la Pace, si realizza facilmente tra donne in nome dell’identità materna che le unisce indipendentemente dalla lingua, dai confini, dalle differenze sociali, dalle ideologie, dai costumi.

La madre, in quanto principio di Vita, non rientra nelle logiche mortifere del conflitto bellico. Eppure la guerra, mandando i giovani a morire, colpisce innanzitutto le madri che, nel lutto, si uniscono e lottano insieme come nel caso delle Donne in nero e delle Madri della “Plaza de Majo”.

Ma perché non darci simbolicamente la mano e stringere silenziosi patti di alleanza prima, finché i figli sono vivi? Perché non ora?

Pensare, sentire, parlare e agire in conformità alla propria identità femminile e materna supera le barriere sociali, crea prossimità, rende intime e confidenti. Le donne si alleano più facilmente quando, sottraendosi alla logica maschile, che divide e contrappone, si riconoscono simili, fluide come acqua nell’acqua.

Pensieri ed emozioni si espandono anche senza pensatore, indipendentemente da chi li ha prodotti, finché una mente, sospendendo le difese immunitarie costituite da abitudini, stereotipi e pregiudizi, li accoglie e li fa propri. Ciò vale per tutti ma in particolare per la genealogia femminile. Mentre gli uomini si succedono, transitando nel corpo dell’altro sesso, le donne si contengono le une nelle altre, come le matrioske russe.

Pensare la Pace, Pregare per la Pace, testimoniare la Pace in nome di un’identità femminile e materna produce un’eco che può valicare i confini tra nazioni sino a raggiungere donne che vivono isolate nelle immense pianure della steppa russa, sui monti del Caucaso o in Siberia, così come nelle città e nei paesi ucraini colpiti, talora distrutti, dalle bombe. I loro gesti sono i nostri, le loro passioni ci appartengono.

Probabilmente non le conosceremo mai ma se le evochiamo dentro di noi, se proviamo per loro sentimenti di sorellanza, riusciremo a pronunciare insieme la parola Pace (MIR tanto in russo quanto in ucraino), un’aspirazione alla Vita che, condivisa, può cambiare il corso della storia.

Come scrive Gabriella Golzio, in “ la muta preghiera”:

mater materia misura forma

formula madre magra di dio

dedita lacera lamina fera

avida pavida ruvida giara

foemina trepida rapida piena

lacrima lumen: luce leggera.

1 Carl Gustav Jung, Aspetti psicologici dell’archetipo della madre”, in “OPERE”, Boringhieri, pag. 82.





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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