Henri Lefebvre (1901-1991) – Passeggiamo per la campagna senza saper decifrare il paesaggio umano che contempliamo, confondiamo fatti della natura e fatti umani, non vediamo i prodotti dell’azione umana – quel volto che cento secoli di lavoro hanno dato alla nostra terra

Lefebvre Henri 001

«Quante volte ciascuno di noi ha “passeggiato” per la campagna senza saper decifrare il paesaggio umano che contemplava! Guardavamo e il nostro occhio era quello di un esteta goffo che confonde i fatti della natura e i fatti umani, che osserva i prodotti dell’azione umana – quel volto che cento secoli di lavoro hanno dato alla nostra terra – come si osserva il mare o il cielo, nei quali ogni traccia umana scompare».

Henri Lefebvre, “Introduzione”, in Id., Critica della vita quotidiana [1947], trad . il. di Vincenzo Bonazza, Dedalo Libri, Bari 1977, voI. l, p. 151.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Wim Wenders – Il senso della vista è cambiato con il passaggio al digitale, che ha reso l’atto stesso del vedere meno prezioso, e non un atto misterioso, sacro.

Wim Wenders 01

«Il senso della vista è cambiato con il passaggio al digitale. Prendiamo la storia della fotografia: è finita con la scomparsa dei negativi. Poi è cominciato qualcos’altro: quella rivoluzione digitale che è tutt’ora in atto. Ci siamo ancora troppo dentro per comprenderne realmente la portata. La disponibilità del mezzo fotografico sempre e in ogni luogo ha reso l’atto stesso del vedere meno prezioso. La fotografia è diventata un’attività casuale. Non importa più l’azione del vedere, ma il suo risultato digitale. E il risultato non è mai stato interessante per uno che di immagini se ne intendeva come Cartier-Bresson. Per lui guardare era un atto misterioso, sacro. Lo sviluppo di una fotografia arrivava molto tempo dopo».

Wim Wenders, I pixel di Cézanne e altri sguardi su artisti, Contrasto, 2017.


Quarta di copertina

Alcuni incontri sono stati fatali per Wim Wenders. Affinità artistiche, rapporti personali o professionali lo hanno legato a grandi pittori come Edward Hopper, Andrew Wyeth e, naturalmente, Cézanne; fotografi come Peter Lindbergh, James Nachtwey e Barbara Klemm e registi come Ingmar Bergman, Michelangelo Antonioni, Anthony Mann, Douglas Sirk, Samuel Fuller, Manoel de Oliveira e Yasujiro Ozu, o personalità come Pina Bausch e lo stilista giapponese Yohij Yamamoto. “I pixel di Cézanne” raccoglie i testi, in parte ancora inediti, scritti da Wenders negli ultimi 25 anni su questi personaggi. Ma il filo rosso che unisce le riflessioni del regista tedesco è il suo sguardo e l’inesauribile interesse per “l’atto del vedere”, in un rapporto indissolubile fra pensiero, scrittura, arte visiva e cinema.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Victor Klemperer (1881-1960) – Il potere conosce perfettamente la psicologia della massa che non pensa e va mantenuta incapace di pensare. La sua lingua vuol dirigere il mio sentire, e indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. Le sue parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere più effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico.

Victor Klemperer 01

Salvatore Bravo

Il veleno del nuovo campo semantico concentrazionario

Il potere conosce perfettamente (e ne tiene conto costantemente) la psicologia della massa che non pensa e va mantenuta incapace di pensare.
La lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere più effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico.

V. Klemperer

Potere e linguaggio
Il potere possiede, dei popoli, prima le parole e quindi la vita. Per attuarsi il biopotere necessità di una precondizione: possedere le parole, operare sul linguaggio, introdurre nuovi significati, ridurre le prospettive di senso e di significato mediante il progressivo restringimento, l’esemplificazione, del linguaggio e ridurlo ad organo attivo della trasmissione del potere.
I totalitarismi della contemporaneità si infiltrano nel pensiero, orientano la direzione dello sguardo ed il sentire con il tamburellare ossessivo delle parole. Le parole del capitale orientano verso la dimensione della quantità, neutralizzano ogni valutazione etica per favorire la sola componente legata al plusvalore.
Il capitalismo fonda una nuova lingua per ri-orientare la natura dell’essere umano. Nel linguaggio quotidiano e mediatico le parole hanno un nucleo catalizzante: il plusvalore, dal quale a raggera si strutturano le altre parole e ne diventano la logica conseguenza. Le parole entrano nel corpo vivo, e ridispongono pensieri e sentimenti secondo l’ordine linguistico totalitario. Le parole straniere-anglofone – che i media esaltano come una forma di meticciato linguistico – sono tipiche di ogni totalitarismo. Attraverso di esse si indicano provvedimenti che normalmente non sarebbero popolari, ma la fascinazione magica della parola straniera consente il passaggio e l’accoglimento di provvedimenti che altrimenti potrebbero essere messi in discussione e, forse, razionalmente rifiutati. I popoli sono ridotti a plebi prima ancora che dalla sussunzione digitale, dalla sussunzione linguistica che riduce gli spazi temporali e progettanti per inchiodarli ad un presente senza futuro.
Victor Klemperer, attraverso l’analisi filologica da lui compiuta sul linguaggio nazista (con i suoi acronimi, con la sua perversione dei significati, con il suo semplicismo aggressivo), ci è di ausilio per comprendere il presente, per cogliere nelle modificazioni introdotte oggi nella lingua che usiamo quotidianamente la diffusione del potere, e dunque, per capire che il potere non alberga in un “fuori”, ma vive nel soggetto parlante. Il soggetto è parlato dal potere, è de-soggettivizzato:

«Si farebbe però torto al Fürher se si attribuisse la sua preferenza per le parole straniere solo alla vanità e alla coscienza delle proprie deficienze. Hitler conosce perfettamente (e ne tiene conto costantemente) la psicologia della massa che non pensa e va mantenuta incapace di pensare. La parola straniera fa impressione, tanto più quanto meno viene compresa; proprio perché non viene compresa fuorvia, stordisce, soverchia il pensiero».[1]

 

La lingua del potere come arsenico
La lingua del potere pensa per noi, le parole pensate dal potere determinano visuali ed azioni. La perenne attività del potere è un’operazione che si delinea mediante la selezione delle parole che devono circolare. Il veleno del condizionamento è nell’etere, nello scambio linguistico che diviene consolidamento del potere.
L’automatismo linguistico è anti-dialettico. Le parole si comunicano senza mediazione concettuale, senza autocoscienza. La ripetizione del gesto come della parola diviene la nuova disciplina che orienta la vita. La nuova lingua deve formare l’homo œconomicus. Pertanto ogni “sospiro” deve essere sostenuto da parole di ordine economico, spesso anglofone, che marcano la vita dei soggetti sussunti.
Le parole possono essere logos che emancipa o dosi di arsenico quotidiano, di cui ci si nutre e che riducono la vita dei popoli nella strettoia della gabbia d’acciaio di cui non si vedono le sbarre, perché sono le parole ad essere le sbarre d’acciaio invisibili entro cui si è confinati. Il campo di concentramento è stato allocato nella mente di ognuno:

«Ma la lingua non si limita a creare e pensare per me, dirige anche il mio sentire, indirizza tutto il mio essere spirituale quanto più naturalmente, più inconsciamente mi abbandono a lei. E se la lingua colta è formata di elementi tossici o è stata resa portatrice di tali elementi? Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere più effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico».[2]

 

Nuovi eroismi
Kemplerer analizza le parole. Un esempio di manipolazione è la trasformazione che il regime nazista ha fatto della parola eroe. L’eroismo per suo significato originario è il coraggio di mettere in pericolo la propria via per l’umanità. Il nazismo trasforma il significato della parola, la svuota del suo intrinseco umanesimo, per fare dell’eroe un assassino in nome del sangue e del suolo:

«Eroismo non è soltanto il coraggio e il mettere a repentaglio la propria vita, perché di questo è capace anche qualsiasi attaccabrighe o qualsiasi criminale. Originariamente è eroe chi compie delle azioni che promuovono l’umanità. Una guerra di conquista, tanto più una caratterizzata da tante atrocità come quella hitleriana, non ha nulla a che vedere l’eroismo». [3]

L’esaltazione dell’imprenditore come eroe dei nostri giorni, come datore generoso di vita, perché assume e permette la sopravvivenza di impiegati ed operai è un esempio della nuova manipolazione in atto. Il grande imprenditore è rappresentato dal circo orante asservito come il nuovo corpo divino che vivifica la nazione, come la mente da cui dipende il futuro dei popoli incapaci e “naturalmente inferiori”. Si cela del nuovo eroe la concretezza della sua ricchezza, che va dall’evasione fiscale, all’occupazione di ogni spazio mediatico, alla incultura dell’illimitato che attraverso di lui penetra nelle menti e diventa la religione laica del consumo e dell’individualismo violento. Il nuovo eroe è trattato come il santo della nuova religione che pratica la distruzione delle menti e dell’ambiente, ma specialmente è il feticcio con cui si insegna ai popoli a dipendere, ad essere comparse nel turbinio della storia.

 

Nichilismo e lingua in Tucidide
Nel clima conflittuale vissuto quotidianamente, nel nichilismo violento quale nuova pratica del potere, le parole perdono il loro autentico significato. Le parole, per loro cornice naturale, sono collanti sociali e solidali, ma se la diffidenza si impossessa di un popolo, si instaura un clima di sfiducia, in cui le parole non sono altro che emissione fonatoria di nessun valore. Tucidide (in Storie, III, 83) ben descrive l’effetto della guerra e della violenza sul linguaggio vivo: le parole perdono significato, si svuotano del loro senso, non resta che il regno della forza a determinare vincitori e perdenti. Senza il logos non resta che la violenza a determinare la vittoria; gli esseri umani agiscono come creature in una giungla:

«Dunque, al seguito delle sommosse civili, l’immoralità imperava nel mondo greco, rivestendo le forme più disparate. La semplicità limpida della vita che è il terreno più fertile per uno spirito nobile, schernita, s’estinse. Dilagò e s’impose nei personali rapporti, in profondo, un’abitudine circospetta al tradimento. Non valeva il sincero impegno verbale a distendere i cuori, né il terrore di violare un giuramento. Ognuno, quando aveva dalla sua la forza, vagliando volta per volta il proprio stato, certo che nessuna garanzia di sicurezza era degna di fiducia, con fredda meticolosità si disponeva piuttosto a munirsi in tempo d’adeguata difesa che concepire, sereno, d’aprir l’animo suo agli altri. Ed erano gli intelletti più rudi a conquistare, di norma, il successo. Attanagliati dalla paura che il loro breve ingegno soccombesse all’acume dei propri antagonisti, alla loro destrezza di parola, nell’ansia d’esser trafitti prima d’avvedersene, dalla loro insidiosa mobilità inventiva, si slanciavano all’azione, con disperato fervore. I loro avversari invece, colmi di sdegnoso sprezzo, certi di prevenire ogni mossa nemica con una percezione istintiva, ritenevano superflua ogni concreta tutela fondata sulla forza fisica, e così scoperti perivano, fitti di numero».

 

Il potere vuole ridurre la formazione a semplice formazione professionale negando la formazione integrale degli esseri umani. In questo modo la lingua è ulteriormente ristretta nei suoi significati: il nuovo campo semantico concentrazionario diviene lo spazio-prigione entro cui, soltanto, ci si può muovere. Complementare alla sola formazione professionale è l’esaltazione dell’irrobustimento fisico, della bellezza fisica. Si predilige una dis-educazione che oscilla solo tra “lavoro” e “fisicità aggressiva”. L’educazione umanistica, la paideia, è secondaria, anzi pericolosa, e dunque tacitamente evitata.
Si favorisce il movimento di uniformità linguistica globale, cosicché ovunque le parole abbiano a significare il mondo nella stessa spiritualmente povera maniera.
La crisi dell’Occidente globalizzato è crisi linguistica, la cui causa profonda è il possesso delle parole e dei concetti da parte di taluni poteri che schiacciano i popoli solo sull’empirico della merce visibile e sulla quantificazione.
Un nuovo umanesimo è possibile, poiché l’Occidente ha nella sua storia le lingue e le parole della liberazione, a partire dalla tradizione classica.
Il potere è oggetto di frequenti crisi. Proprio perché globale, la sua forza imperiale è anche la sua debolezza. Sulle sue crisi bisogna agire anche con il logos della cultura classica. Il valore di una formazione comunitaria integrale è oggi più vero che mai. La barbarie della violenza che avanza anche nella neo-lingua imperiale non è un destino ineluttabile.

 

Salvatore Bravo

[1] Victor Klemperer, LTI. La lingua del terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze 2011, p. 302.
[2] Ibidem, pp. 111-112.
[3] Ibidem, p. 20.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Martha Nussbaum – La paura può essere opportunamente indotta e sfruttata dal potere, perché fiacca nelle persone la capacità di giudizio togliendo l’orgoglio di essere libere e indipendenti nel loro pensiero.

Nussbaum Martha 02


Martha C. Nussbaum,
La monarchia della paura. Considerazioni sulla crisi politica attuale,
il Mulino, Bologna 2020.

 

Risvolto di copertina

La paura, un’emozione primordiale, può essere opportunamente indotta e sfruttata dal potere. È ciò che Martha Nussbaum osserva descrivendo metaforicamente come “monarchia della paura” la tendenza di taluni assetti politici ad allarmare proditoriamente i propri “sudditi”, fiaccando la loro capacità di giudizio. Il convulso susseguirsi di accadimenti inquietanti (non solo l’elezione di Trump e il distacco di Brexit ma soprattutto il ritorno di atti xenofobi e razzisti) l’ha indotta a riflettere sullo scadimento della vita politica occidentale e sul malessere degli individui, che vede sprofondati nel risentimento, nella rabbia e nella faziosità. La paura è un veleno per la democrazia, perché toglie alle persone l’orgoglio di essere libere e indipendenti nel loro pensiero. Per sottrarsi alla pressione di un conformismo emotivo tarato sull’angoscia e aprirsi alla speranza, giova ricorrere ancora una volta all’insegnamento degli antichi, l’antidoto a ogni chiusura mentale.


Indice

Prefazione

Introduzione

Capitolo primo
La paura, primigenia e potente
Capitolo secondo
L’ira, figlia della paura
Capitolo terzo
Il disgusto indotto dalla paura: la politica dell’esclusione
Capitolo quarto
L’impero dell’invidia
Capitolo quinto
Una miscela tossica: sessismo e misoginia
Capitolo sesto
Speranza, amore, prospettive


Martha Nussbaum – La scuola insegna cose utili per diventare uomini d’affari piuttosto che cittadini responsabili. Sfoltiamo proprio quelle parti dello sforzo formativo che sono essenziali per una società sana, producendo un’ottusa grettezza e una docilità in tecnici obbedienti e ammaestrati che minacciano la vita stessa della democrazia.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Fritjof Capra – Questo sappiamo. Che tutte le cose sono legate come il sangue che unisce una famiglia. Tutto ciò che accade alla Terra accade ai figli e alle figlie della Terra. L’uomo non tesse la trama della vita. In essa egli è soltanto un filo. Qualsiasi cosa fa alla trama, l’uomo lo fa a se stesso.

Fritjof Capra 02
Questo sappiamo.
Che tutte le cose sono legate
come il sangue che unisce una famiglia.
Tutto ciò che accade alla Terra
accade ai figli e alle figlie della Terra.
L’uomo non tesse la trama della vita;
in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama,
l’uomo lo fa a se stesso.

Fritjof Capra, The web of life [1996], trad. it. La rete della vita, Rizzoli, Milano 1997, p. 6.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Ronald D. Laing (1927-1989) – Se uno dice che gli uomini sono macchine può essere considerato un grande scienziato. Ma se dice di essere lui stesso una macchina …? L’esperienza che si ha di se stessi e degli altri come persone è primaria. Essa si valida da sé.

Ronald Laing 02

«Se uno dice che gli uomini sono macchine può essere considerato un grande scienziato; ma se uno dice di essere lui stesso una macchina di solito viene considerato un pazzo. [ … ] Come giustamente consideriamo pazzi quegli individui che si sentono automi, macchine o parti di meccanismi, o animali, perché non considerare ugualmente pazzesca una teoria, come quella medica, che considera le persone come automi o come macchine, dove il loro corpo è visualizzato come un semplice meccanismo in grado di rispondere solo a uno sguardo fisico o chimico. L’esperienza che si ha di se stessi e degli altri come persone è primaria; essa si valida da sé; la sua esistenza è precedente a tutti i problemi di ordine scientifico o filosofico sulla sua origine o sulle sue possibili spiegazioni.

Ronald D. Laing, The divided Self [1959], tr. it. L’lo diviso, Einaudi, Torino 1969, pp. 16, 28


Ronald D. Laing (1927-1989) – Fuori formazione o … fuori rotta? Il criterio di “fuori formazione” è quello positivistico. Il criterio di “fuori rotta” è quello ontologico.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Salvatore Bravo – La trasformazione dell’essere umano in solo corpo pulsionale è, in assoluto, la violenza massima che si possa immaginare.

L'omicidio di Willy

Salvatore Bravo

La trasformazione dell’essere umano in solo corpo pulsionale è,
in assoluto, la violenza massima che si possa immaginare

 

 

Gewalt

La Gewalt (violenza) è la legge del capitalismo nella fase neoliberista. La violenza è infinita, al punto che la trasformazione dell’essere umano in solo corpo pulsionale è, in assoluto, la violenza massima che si possa immaginare. L’essere umano è ontologicamente fondato sul dualismo: res cogitans/res extensa. Il capitalismo opera per ridurlo a sola res extensa.
Corpo-vetrina in vendita, merce tra le merci, ha un unico attributo che lo distingue dalle altre merci: gli appetiti che servono per sostenere il sistema in perenne crisi. La sovrapproduzione, ormai strutturale, è risolta con la riduzione dell’essere umano a sola res extensa dagli infiniti appetiti indotti. Il circolo della violenza è scientemente organizzato mediante strategie orchestrate dal mondo mediatico e digitale. Tutto è merce, nessuno sfugge al ruolo di consumatore e merce nel contempo. La sovrastruttura – con i suoi servi – opera esaltando il diritto individuale alla mercificazione: nessun limite dev’essere dato al diritto di consumare ed alle voglie. La nuova religione del capitale trasforma le voglie in sacri diritti a cui non ci si può sottrarre. Si mette in atto la “libertà negativa” descritta da Hobbes nel Leviatano: ogni desiderio è lecito, per cui ogni impedimento umano o non umano va abbattuto. Libertà solitaria ed atomistica, in cui l’altro è solo piacere da consumare in vista delle nuove voglie. Tra i piaceri non vi sono gerarchie etiche, ma sono tutti leciti ed egualmente ammessi. È in questo contesto che vanno inseriti i fatti di Colleferro: le responsabilità sono individuali e sociali. Il noto è sconosciuto, come affermava Hegel. In questo caso l’evidenza delle responsabilità sociali, di cui si tace, sono lapalissiane. I protagonisti sono solo corpo esposto in vetrina alla ricerca di conferme pulsionali e narcisistiche. Sono figli di facebook e della cattiva maestra televisione (Popper). I mezzi mediatici-digitali sono il veicolo del valore di scambio di merci e di corpi. Se si osa criticare l’eguaglianza merce-corpo, se si osa proporre limiti, si è tacciati di moralismo, di essere retrogradi e violenti. Il capitale si è impossessato delle parole, è l’unico deputato a parlare. Gli araldi del libero scambismo sono uomini e specialmente donne. Giornaliste ammiccanti e seduttive condannano la violenza, ma difendono la libertà di essere solo corpo esposto; la libertà narcisistica in nome della quale sedurre e strappare l’oggetto del desiderio con ogni mezzo. I corpi sono rifatti, il potere è parte di loro, è collassato nel corpo vissuto, per cui tuonano contro la violenza che le ha fagocitate. Tra le parole delle nuove trombettiere del potere, non vi è critica alcuna al sistema che produce mostri, ma semplice condanna ad eventi di cronaca la cui genetica non è spiegata. La si occulta, perché si devono rimuovere le complicità con la violenza dell’ignoranza e della disinformazione. Si giunge ad atti estremi passando gradualmente per un processo che innesca la violenza a partire dalle parole prive di concetto, ma che orientano l’attenzione sulla forza: vincenti, perdenti, competizione, carriera sono parole del dire quotidiano che costruiscono un mondo darwiniano. Le donne ultime arrivate nel nuovo Eden del capitale non contestano, non proteggono i loro figli, hanno abdicato alla funzione umana di trasmettere valori e mediare la rigidità delle regole. Non proteggono dallo sguardo predatorio le proprie figlie ed i propri figli, anzi li incoraggiano, perché il mondo è da mordere, da conquistare, che ciascuno porti a casa il proprio trofeo piccolo o grande che sia. I padri si sono liquefatti, rincorrono comportamenti adolescenziali, in tale vuoto, abita la violenza, alligna e prolifera ovunque. Nessuna voce si alza per condannare le brutalità quotidiane come parte organica del sistema, come la verità che si rende palese dinanzi a noi, e che invoca la responsabilità civile, etica e filosofica. I corpi medi (partiti-sindacati) essenza della democrazia non intervengono, sono ormai integrati nel sistema.

Si finge scandalo, perché il sistema deve continuare a vivere, perché non si vuole rinunciare alla violenza, dalla normalità della violenza non ci si vuole congedare. Vi è una dipendenza dalla svalorizzazione dell’essere umano, perché essere solo corpo pulsionale è più semplice, vivere nell’immediatezza senza concetto libera dalla responsabilità di essere persone. Il sistema prolifera ed esalta le trombettiere della libertà negativa, le quali denunciano ogni limite, ogni libertà costruita sul riconoscimento relazionale del limite e specialmente sulla fatica del cercare il senso nella realtà. Il silenzio e le rimozioni sono miccia per la coazione a ripetere delle violenze, tutto accade, ma le responsabilità sono solo individuali, per cui, che le violenze continuino pure, in nome della libertà regressiva e narcisistica.

 

Diritto e razionalità

Nella teogonia greca Giove, il potere, è sostenuto nel suo esercizio da Dike (la giustizia) e da Temi (diritto naturale-Terra). Senza giustizia e diritto, il potere è solo violenza, irrazionale, e dunque, minaccia di far cadere il mondo nel caos. Dike indica i valori da realizzare con il sostegno di Temi sua madre. Giove (padre) e Temi (madre) nel loro agire ordinato attuano la giustizia, ovvero Dike, figlia di Giove e Temi. La violenza, l’ingiustizia brutale prolifera nel vuoto delle madri e dei padri, le prime in carriera, i secondi perennemente bambini.

Oggi il potere non ha giustizia e non conosce diritto, ma ha imposto la violenza quale struttura del vivere, in tal modo, siamo tutti complici. Su questo dovremmo farci delle domande, ne siamo tutti coinvolti. Il potere senza razionalità è la gabbia d’acciaio nella quale le contraddizioni continuano a creare tensioni incontrollabili; nella gabbia d’acciaio non si è al sicuro, e tutto può accadere. Si noti la violenza del linguaggio, anche in coloro che vorrebbero porsi dialetticamente rispetto ad esso. Per uscire dalla violenza bisogna rimettere in discussione il sistema in toto, guardare la violenza che scorre nelle nostre vite, nelle nostre parole, ciò è necessario per capire la gravità del problema. Nella violenza siamo tutti implicati con responsabilità e ruoli diversi, non vi sono anime belle, da questo bisogna iniziare per capire l’abisso del neoliberismo.

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Andrea Zhok – Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere.

Andrea Zhok 01

«Le concezioni dell’individuo umano come originario e irriducibile, e del valore come appagamento interiore (utilità percepita), sono incardinate nella spina dorsale della concettualità economica. La realtà umana, la concretezza storica e antropologica, vengono perciò sempre lette come una sorta di eccezioni, di deviazioni, più o meno marcate e possibilmente da correggere, invece l’astrazione di partenza appare per la moderna riflessione economica come un “luogo naturale” aristotelico, un punto di attrazione cui si tende a ritornare sempre, salvo esplicito impedimento. Una volta compresa l’essenziale continuità tra la ragione liberale classica e la razionalità economica classica, si comprende la naturalezza dello sbocco neoliberale. […] Il neoliberalismo, infatti, rappresenta la presa di coscienza storica del carattere normativo dell’economia neoclassica. Non si tratta più di immaginare un mondo (uno “stato di natura”) dove gli esseri umani siano massimizzatori razionali autoreferenziali, dove la storia e la cultura siano inconferenti, dove il mercato sia un’entità originaria e lo Stato un accessorio a esso funzionale. Questo mondo non c’è mai stato. Ma in una prospettiva economica è ritenuto auspicabile che esso ci sia, o che ci si approssimi quanto possibile a quel modello, e questa è l’essenza della proposta neoliberale. È perciò che alla fine del XX secolo lo Stato liberale dismette le proprie remore e si fa carico di creare, o approssimare, le condizioni perché le idealizzazioni del mercato perfetto si realizzino.

Andrea Zhok, Critica della ragion liberale. Una filosofia della storia corrente, Meltemi, Roma 2020, p. 153.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Éric Sadin – Esiste una forma di messa al bando dell’essenza di noi stessi. Operazioni automatizzate si sostituiscono al contatto umano, all’azione condotta in comune, comportando l’abolizione progressiva delle relazioni interpersonali, dell’accordo, del disaccordo, del conflitto, persino dell’amicizia.

Éric Sadin 01

«Anche nell’eliminazione di certe dimensioni inerenti alla socialità esiste una forma di messa al bando dell’essenza di noi stessi. Le operazioni automatizzate si sostituiscono al contatto umano, all’azione condotta in comune, comportando l’abolizione progressiva dello scambio, delle relazioni interpersonali e, conseguentemente, dell’accordo, del disaccordo, del conflitto, della negoziazione, persino dell’amicizia, insomma, della socialità fondata sulla somma di tutte le soggettività che ci costringe a fare opera di comunità e di fare appello alla nostra intelligenza condivisa. Quella che è in gioco è la marginalizzazione della parola, dei legami indotti dal linguaggio e, più in generale, della necessaria contemplazione di quell’alterità che ispira molte delle nostre azioni. La nostra pluralità viene negata a favore di un mondo dove tutto riveste un valore utilitaristico e dove anche noi finiremo per essere ridotti a questa equazione».

Éric Sadin, Critica della ragion artificiale. Una difesa dell’umanità, Luiss University Press, Roma 2019, p. 108.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

Shoshana Zuboff – Il tiranno del capitalismo della sorveglianza non ha più bisogno della frusta del despota, ha espropriato un bene dalle esperienze di persone dotate di pensieri, può soggiogare gli altri non con il terrore, ma inducendoli alla confluenza.

Shoshana Zuboff 02

«Chi oggi detiene il capitale della sorveglianza ha espropriato un bene dalle esperienze di persone dotate di pensieri, corpi ed emozioni vergini e innocenti come i pascoli e le foreste prima che soccombessero al mercato».

«Il capitalismo della sorveglianza esercita il suo dominio tramite il potere strumentalizzante, materializzandosi nel Grande altro, che come il tiranno dell’antichità esiste al di fuori dell’umanità, pur assumendone paradossalmente la forma. Il tiranno del capitalismo della sorveglianza non ha più bisogno della frusta del despota, come non gli servono i campi e i gulag del totalitarismo. Tutto quello che gli serve può trovarlo nei messaggi e nelle emoticon rassicuranti del Grande fratello, e può soggiogare gli altri non con il terrore, ma inducendoli alla confluenza in modo irresistibile, riempendoci la camicia di sensori, rispondendo alle nostre richieste, ascoltandoci attraverso la TV, conoscendoci per mezzo di casa nostra, origliando i nostri sospiri nel letto, leggendoci nei nostri libri».

Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, Luiss, Roma 2019, pp. 111 e 528.


Shoshana Zuboff – Il capitalismo della sorveglianza è predittività, cioè prevedere e al tempo stesso manipolare, condizionare, plasmare le scelte, trasformando l’esperienza umana in materia prima economica.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

1 3 4 5 6 7 13