Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le forme di educazione al retto orientamento del piacere e del dolore vengono meno in gran parte agli uomini e si corrompono troppe volte nella vita. le opinioni vere e stabili è fortunato chi le possiede sulla soglia della vecchiaia.

Platone e l'educazioine

«Ἀναμνησθῆναι τοίνυν ἔγωγε πάλιν ἐπιθυμῶ τί ποτε λέγομεν ἡμῖν εἶναι τὴν ὀρθὴν παιδείαν. τούτου γάρ, ὥς γε ἐγὼ τοπάζω τὰ νῦν, ἔστιν ἐν τῷ ἐπιτηδεύματι τούτῳ καλῶς κατορθουμένῳ σωτηρία. […]

(«Desidero ricordare ancora una volta che cosa mai intendiamo per retta educazione. Credo di poter congetturare ora, infatti, che la sua salvezza è proprio nella pratica di cui stiamo parlando, purché essa avvenga correttamente»).

«[…] Λέγω τοίνυν τῶν παίδων παιδικὴν εἶναι πρώτην αἴσθησιν ἡδονὴν καὶ λύπην, καὶ ἐν οἷς ἀρετὴ ψυχῇ καὶ κακία παραγίγνεται πρῶτον, ταῦτ’ εἶναι, φρόνησιν δὲ καὶ ἀληθεῖς δόξας βεβαίους εὐτυχὲς ὅτῳ καὶ πρὸς τὸ γῆρας παρεγένετο· τέλεος δ’ οὖν ἔστ’ ἄνθρωπος ταῦτα καὶ τὰ ἐν τούτοις πάντα κεκτημένος ἀγαθά. παιδείαν δὴ λέγω τὴν παραγιγνομένην πρῶτον παισὶν ἀρετήν· ἡδονὴ δὴ καὶ φιλία καὶ λύπη καὶ μῖσος ἂν ὀρθῶς ἐν ψυχαῖς ἐγγίγνωνται μήπω δυναμένων λόγῳ λαμβάνειν, λαβόντων δὲ τὸν λόγον, συμφωνήσωσι τῷ λόγῳ ὀρθῶς εἰθίσθαι ὑπὸ τῶν προσηκόντων ἐθῶν, αὕτη ‘σθ’ ἡ συμφωνία σύμπασα μὲν ἀρετή, τὸ δὲ περὶ τὰς ἡδονὰς καὶ λύπας τεθραμμένον αὐτῆς ὀρθῶς ὥστε μισεῖν μὲν ἃ χρὴ μισεῖν εὐθὺς ἐξ ἀρχῆς μέχρι τέλους, στέργειν δὲ ἃ χρὴ στέργειν, τοῦτ’ αὐτὸ ἀποτεμὼν τῷ λόγῳ καὶ παιδείαν προσαγορεύων, κατά γε τὴν ἐμὴν ὀρθῶς ἂν προσαγορεύοις. […] τούτων γὰρ δὴ τῶν ὀρθῶς τεθραμμένων ἡδονῶν καὶ λυπῶν παιδειῶν οὐσῶν χαλᾶται τοῖς ἀνθρώποις καὶ διαφθείρεται κατὰ πολλὰ ἐν τῷ βίῳ».

«Non dico altro che questo: i bambini hanno come forme prime della sensibilità infantile piacere e dolore e questi sono ciò nel cui ambito sorgono nel loro animo  la virtù ed il vizio. L’intelligenza e le opinioni vere e stabili è fortunato chi le possiede sulla soglia della vecchiaia. L’uomo poi è maturo in quanto è possessore di tutti questi beni e di quelli che sono contenuti in loro. Io chiamo ‘educazione‘ quel primo sorgere di virtù nei fanciulli. Il piacere e l’amore e il dolore e l’avversione quando ineriscono rettamente all’anima di chi ancora non sa coglierli con il logos, così che armonizzeranno poi al logos di chi a ragionare avrà imparato, in relazione all’essere stati correttamente abituati, con insegnamenti derivanti dai convenienti costumi, e tutta insieme questa piena armonia è virtù. Ora, qualora col logos tu distingua in questo  complesso quello che è il primo giusto orientamento del piacere e del dolore, tale che si abbia avversione per ciò che bisogna odiare, subito dal primo all’ultimo giorno di vita, ed amore per ciò che bisogna amare e chiamando ciò educazione tu diresti bene. […] Queste […] forme di educazione al retto orientamento del piacere e del dolore vengono meno in gran parte degli uomini e si corrompono troppe volte nella vita […]».

Platone, Leggi, 652 b – 653 d.

Platone, «Filebo» – Senza possedere né intelletto né memoria né scienza né opinione vera, tu saresti vuoto di ogni elemento di coscienza

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Coloro che sono privi della conoscenza di ogni cosa che è, e che non hanno nell’anima alcun chiaro modello, non possono rivolgere lo sguardo verso ciò che è più vero e non possono istituire norme relative alle cose belle e giuste e buone.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità. Lo straniero si trova ad essere privo di amici e parenti, e quindi è affidato in modo particolare alla solidarietà degli dei e degli uomini. Non c’è colpa peggiore per un uomo che un torto fatto ai supplici

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non esiste male maggiore che un uomo possa patire che prendere in odio i ragionamenti. L’odio contro i ragionamenti, e quello contro gli uomini, nascono nella stessa maniera.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È questo il momento nella vita che più di ogni altro è degno di essere vissuto da un essere umano: quando contempla il bello in sé. La misura e la proporzione risultano essere dappertutto bellezza e virtù.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – L’educazione è l’orientamento dell’anima alla virtù. La virtù è il piacere verso ciò che bisogna amare e l’avversione verso ciò che bisogna odiare

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Non il vivere è da tenere in massimo conto, ma il vivere bene. E il vivere bene è lo stesso che vivere con virtù e con giustizia. Per nessuna ragione si deve commettere ingiustizia.

Platone & Aristotele – Il principio della filosofia non è altro che esser pieni di meraviglia, perché si comincia a filosofare a causa della meraviglia.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – È infatti la costituzione dello Stato che forma gli uomini, buoni, se essa è buona, malvagi in caso contrario.

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – Cosa di più bello avrei potuto fare nella mia vita se non affidare alla scrittura ciò che è di grande utilità per gli uomini e portare alla luce per tutti la vera natura delle cose?

Platone (428/427 a.C. – 348/347 a.C.) – La musica dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose.  Essa è l’essenza dell’ordine, ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.

Michael Löwy – La tensione rivoluzionaria di Benjamin si alimenta alle immagini utopiche del rapporto armonico con la natura, nella critica all’ideologia del progresso.

Michael Löwy 01

La scoperta delll’opera di Benjamin è stata, per Michael Löwy, un’emozione che ha scosso molte convinzioni e la cui onda d’urto è stata avvertita per oltre 40 anni in tutte le sue ricerche sulle forme eterodosse di marxismo in Europa o in America Latina. Alla visione di una rivoluzione come «locomotiva della storia», descritta da Marx ne La lotta delle classi in Francia, che rotola inesorabilmente nella direzione del progresso, Benjamin propone una versione della rivoluzione come «freno di emergenza», annunciando la critica all’ideologia del progresso e alla crescita, che si svilupperà successivamente nel pensiero critico e nell’ecologia radicale. I saggi qui raccolti si concentrano sulla dimensione rivoluzionaria dell’opera di Benjamin, in cui un approccio ispirato a un materialismo storico chiaramente non ortodosso si intreccia con le concezioni del messianismo ebraico.

Michael Löwy, La révolution est le frein d’urgence. Essais sur Walter Benjamin [La rivoluzione è il freno di emergenza. Saggi su Walter Benjamin], Editions de l’éclat, Pasris 2019.

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Michael Löwy (San Paolo, 1938), direttore di ricerca emerito del CNRS,  autore prolifico fin dal suo primo saggio su Il pensiero di Che Guevara (Maspero, 1970) fino ai suoi lavori su Weber, Kafka, Benjamin,  teologia della liberazione in America Latina. Ha pubblicato Romanticismo, Utopia (2010), Walter Benjamin. Fire Warning (2014, The Shine / Pocket Reissue, 2018) e The Fictional Sacred (con E. Dianteill) (2017).

Karl Marx (1818-1883) – Il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio è essenzialmente protestante. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi.

Karl Marx_fede cattolica monetaria

Karl Marx, nel terzo volume de “Il Capitale”, alla fine del capitolo trentacinquesimo sull’argomento dei metalli preziosi e il corso dei cambi scrive:

«Il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio è essenzialmente protestante. <The Scotch hate gold>. Come carta l’esistenza monetaria delle merci ha soltanto una esistenza sociale. È la fede che rende beati [rif. alla dottrina di Lutero]. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi. Ma come il protestantesimo non riesce ad emanciparsi dai principi del cattolicesimo, così il sistema creditizio non si emancipa dalla base del sistema monetario» (Editori Riuniti, p. 690).


Karl Marx – Cristalli di denaro: “auri sacra fames”

Karl Marx – Il denaro è stato fatto signore del mondo

Karl Marx – Il denaro uccide l’uomo. Se presupponi l’uomo come uomo e il suo rapporto col mondo come un rapporto umano, potrai scambiare amore soltanto con amore

Karl Marx – La natura non produce denaro

Karl Marx (1818-1883) – A 17 anni, nel 1835, già ben sapeva quale sarebbe stata la carriera prescelta: agire a favore dell’umanità.

Karl Marx (1818-1883) – Il capitale, per sua natura, nega il tempo per una educazione da uomini, per lo sviluppo intellettuale, per adempiere a funzioni sociali, per le relazioni con gli altri, per il libero gioco delle forze del corpo e della mente.

Karl Marx (1818-1883) – La patologia industriale. La suddivisione del lavoro è l’assassinio di un popolo

Karl Marx (1818-1883) – Sviluppo storico del senso artistico e umanesimo comunista. La soppressione della proprietà privata è la completa emancipazione di tutti i sensi umani e di tutte le qualità umane. Il comunismo è effettiva soppressione della proprietà privata quale autoalienazione dell’uomo, è reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo

Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.

Karl Marx (1818-1883) – Gli economisti assomigliano ai teologi, vogliono spacciare per naturali e quindi eterni gli attuali rapporti di produzione.

Karl Marx (1818-1883) – Per sopprimere il pensiero della proprietà privata basta e avanza il comunismo pensato. Per sopprimere la reale proprietà privata ci vuole una reale azione comunista.

Karl Marx (1818-1883) – Noi non siamo dei comunisti che vogliono abolire la libertà personale. In nessuna società la libertà personale può essere più grande che in quella fondata sulla comunità.

Karl Marx (1818-1883) – La sensibilità soggettiva si realizza solo attraverso la ricchezza oggettivamente dispiegata dell’essenza umana.

Karl Marx (1818-1883) – Vi sono momenti della vita, che si pongono come regioni di confine rispetto ad un tempo andato, ma nel contempo indicano con chiarezza una nuova direzione.

Karl Marx (1818-1883) – Quando il ragionamento si discosta dai binari consueti, si va sempre incontro a un iniziale “boicottaggio”

Karl Marx (1818-1883) – L’arcano della forma di merce. A prima vista, una merce sembra una cosa ovvia. Dalla sua analisi, risulta che è una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Ecco il feticismo che s’appiccica ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione delle merci.

Karl Marx (1818-1883) – Ogni progresso compiuto dall’agricoltura capitalista equivale a un progresso non solo nell’arte di DERUBARE L’OPERAIO, ma anche in quella di SPOGLIARE LA TERRA, ogni progresso che aumenta la sua fertilità in un certo lasso di tempo equivale a un progresso nella distruzione delle fonti durevoli di tale fertilità

Walter Benjamin (1892-1940) – Il capitalismo è pura religione cultuale, senza tregua e senza pietà, che non purifica ma colpevolizza, non è riforma dell’essere, ma la sua riduzione in frantumi. Il capitalismo è una religione di mero culto, senza dogma.

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Walter Benjamin, Senza scopo finale. Scritti politici (1919-1940), Castelvecchi, Milano 2017.

 

Per Benjamin il capitalismo è «pura religione cultuale», la più estrema. È un culto «senza tregua e senza pietà», ininterrotto, costante, onnipresente, che entra in ogni cellula e tutto cattura. È un culto che «genera colpa» : «il capitalismo è verosimilmente il primo caso di culto che non purifica ma colpevolizza [ed indebita]. Così facendo, tale sistema religioso precipita in un moto immane», una «immane coscienza della colpa [del debito] che non sa purificarsi [da cui non ci si redime], fa ricorso al culto non per espiazione in esso di questa colpa, ma per renderla universale, per martellarla nella coscienza e infine e soprattutto per coinvolgere dio stesso in questa colpa e interessarlo infine all’espiazione», che non arriva mai, infatti «sta nell’essenza di questo movimento religioso che è il capitalismo, resistere sino alla fine, fino alla definitiva, completa, colpevolizzazione di dio, fino al raggiungimento dello stato di disperazione del mondo». Per Benjamin, «l’elemento storicamente inaudito del capitalismo: la religione non è più riforma dell’essere, ma la sua riduzione in frantumi» (p.43). «Estensione della disperazione a stato religioso del mondo […] il capitalismo che non inverte la rotta diviene, con interessi ed interessi composti che sono funzioni della colpa (si badi all’ambiguità demoniaca di questo concetto), socialismo»

Dice Benjamin: «Il capitalismo è una religione di mero culto, senza dogma» (p. 45).

«Nell’età della riforma il cristianesimo non ha favorito l’emergere del capitalismo, ma si è trasformato nel capitalismo».


Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.

Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera

Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.

Walter Benjamin (1892-1940) – L’esperienza è in ribasso. Un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini, la nostra povertà di esperienza. È povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere, è una nuova barbarie.

Alberto Meschiari – Il disincanto di Weber aveva ceduto alla tecnica. Ma oggi ha preso la forma della mercificazione di ogni esistente. La razionalità neoliberista ha spinto sempre più verso un progressivo processo di desolidarizzazione.

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«Il disincantamento di cui parlava Max Weber all’inizio del Novecento si riferisce a un mondo in cui la magia premodema ha ceduto il posto alla tecnica. Ma oggi il disincanto ha preso la forma della mercificazione di ogni esistente, esseri umani compresi, natura compresa, perché ridotti a cose, strumenti e non fini. Negli ultimi decenni la razionalità neoliberista ha spinto sempre più verso un progressivo processo di desolidarizzazione. Le dinamiche che vigono in economia hanno finito per invadere e determinare anche la sfera privata e relazionale, portando a considerare se stessi, gli altri e la natura in un’ottica strumentale, di prestazioni e guadagno. Il Sé, l’altro e la natura sono stati ridotti a cose manipolabili per i fini del mercato. Questo significa oggi disincanto».

Alberto Meschiari, Il magico mondo dei libri. Perché un libro non solo un testo a stampa. Strategie del reincanto, Edizioni Tassinari, Firenze 2017, p. 163.

Paracadutista, alpinista, navigatore e fotografo, Alberto Meschiari è stato per trentacinque anni ricercatore di Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa. Ha studiato la filosofia tedesca a Berlino prima della caduta del muro. Si è occupato di storia della filosofia, filosofia del linguaggio, filosofia morale, storia della scienza e narrativa, pubblicando una quarantina di volumi. È autore, fra l’altro, della proposta di un’etica del reincanto e di cinque strategie del reincanto per riprendersi la vita. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Psicologia delle forme simboliche (Le Lettere, 1999), Sul dialogo (Il Campano, 2008), Il libriccino del silenzio (Tassinari, 2012), Microscopi. Amici nella ricerca scientifica (Fondazione Giorgio Ronchi, 2014), Filosofia del camminare (Tassinari, 2014), La luna d’autunno (Tassinari, 2015), L’arte di amare (Tassinari, 2016) e A che servono i poeti? (Tassinari, 2018).

Alberto Meschiari – Gentilezza è presa di distanza critica dai disvalori, riconoscimento della comune vulnerabilità e del comune destino, esercizio consapevole di una protesta, è un atto etico nel rifiuto della reificazione delle relazioni umane.

Alberto Meschiari 01

«Oggi voglio parlarti della gentilezza. Ma non mi occuperò di cortesia, buone maniere, convenevoli o galateo. Comincerò invece col dirti che la gentilezza non è un sentimento, che ciascuno può coltivare anche solo dentro di sé, senza manifestarlo al di fuori. La gentilezza è una modalità della relazione, che ha bisogno di essere praticata. Ed è una modalità di confine, che può rivelarsi nella condivisione, nella solidarietà, nell’amicizia. È riconoscimento della comune vulnerabilità, del comune destino. È in questa estensione che m’interessa prenderla in considerazione qui. L’esercizio della gentilezza rappresenta nel mondo contemporaneo un atto etico, un modo di andare controcorrente, in un certo senso un comportamento antisociale ? non a sociale, bada bene ? nel momento in cui questa società mostra di fondarsi su valori opposti: sul rumore, la fretta, la distrazione, l’arroganza, la prepotenza, il disinteresse, il cinismo, l’aggressività. La gentilezza è azione, una presa di distanza critica da quei disvalori, l’esercizio consapevole di una protesta, è rifiuto della riduzione delle relazioni umane al modello delle relazioni con le cose».

Alberto Meschiari, Gentilezza, Edizioni Tassinari, Firenze 2017.

Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].

Enrico Berti-Emanueke Severino- Martin Heidegger-Nietsche-nichilismo

«[…] dopo Hegel, nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia, dimenticando che essa deve essere anche la comprensione concettuale del proprio tempo e la critica di questo, una comprensione ed una critica determinate, concrete, storicamente situate e quindi anche personalmente compromettenti. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, nemmeno quello di essere confutati dalla storia, se non anche quello di essere ancor più gravemente penalizzati, ma deve costar caro […]».

Enrico Berti, Il nichilismo dell’Occidente secondo Nietzsche, Heidegger e Severino, saggio pubblicato in «Filosofia oggi», 1980, pp. 501-509.

Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.

Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.

Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.

Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno

Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.

Enrico Berti – Nessuno vorrà ritornare a concezioni metastoriche e disincarnate della filosofia. Il far filosofia non può essere infatti un’attività a buon mercato, non comportante alcun rischio, ma deve costar caro […].

E. Berti, L. Canfora, B. Centrone, F. Ferrari, F. Fronterotta, S. Gastaldi – «La filosofia come esercizio di comprensione. Studi in onore di Mario Vegetti». Introduzione di G. Casertano e L. Palumbo

Mario Vegetti 332

Enrico Berti – Luciano Canfora – Bruno Centrone
Franco Ferrari – Francesco Fronterotta – Silvia Gastaldi

La filosofia come esercizio di comprensione

Studi in onore di Mario Vegetti

indicepresentazioneautorisintesi

Introduzione di
Giovanni Casertano e Lidia Palumbo

Mario Vegetti

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Enrico Berti

Aristotele: quinto nucleo tematico di interesse per Vegetti?

Vedi pubblicazioni di Berti Enrico



Luciano Canfora

Mario Vegetti nei «Quaderni di storia»

Vedi pubblicazioni di Canfora Luciano



Bruno Centrone

Quindici lezioni e non solo.
La Lezione (metodologica) di Mario Vegetti su Platone

Vedi pubblicazioni di Centrone Bruno



Franco Ferrari

Al di là dell’essere: la dynamis tou agathou.
Gli studi di Mario Vegetti sull’idea del Buono in Platone

Vedi pubblicazioni di Ferrari Franco



Francesco Fronterotta

L’anima, il corpo, il medico

Vedi pubblicazioni di Fronterotta Francesco



Silvia Gastaldi

Gli studi di Mario Vegetti sull’etica antica: un approccio innovativo

Vedi pubblicazioni di Gastaldi Silvia



Giovanni Casertano

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Casertano Giovanni



Lidia Palumbo

Introduzione

Vedi pubblicazioni di Palumbo Lidia



Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Fiorinda Li Vigni

Nota di saluto

Vedi pubblicazioni di Li Vigni Fiorinda



Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti

Casa della cultura di Milano – «Per Mario Vegetti» * Scritti di: Ferruccio Capelli, Michelangelo Bovero, Eva Cantarella, Fulvia de Luise, Franco Ferrari, Silvia Gastaldi, Alberto Maffi, Fulvio Papi, Valentina Pazé, Federico Zuolo.

Silvia Gastaldi, Una rivoluzione negli studi di antichistica

Eva Cantarella, MADRE MATERIA, Studi pioneristici sul femminile nell’antichità

Franco Ferrari, L’inattualità di Platone. Politica e utopia

Fulvia de Luise, La scrittura dell’utopia. Come mettere in moto un paradigma normativo

Alberto Maffi, Trasimaco fra Platone e Aristotele

Fulvio Papi, Per Mario Vegetti

Michelangelo Bovero, Pensare la politica con Mario Vegetti

Valentina Pazé, La schiavitù tra natura e artificio

Federico Zuolo, Radicalità e attualità. Sull’uso contemporaneo dei classici

Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

Silvia Fazzo – Grazie Mario Vegetti! Per la lucidità luminosa delle tue intuizioni. Amavi la vita per tutto ciò che ha di più vero. Hai formato una intera generazione di allievi e di allievi degli allievi.

Ricordo di Mario Vegetti – Rai Filosofia
 Addio a Mario Vegetti, l’utopia di Platone e i suoi chiaroscuri – La Stampa
Mario Vegetti,  filosofo studioso di Platone – Corriere della Sera

ADDIO A MARIO VEGETTI

Mario Vegetti – La filosofia e la città: processi e assoluzioni .
Mario Vegetti – Il lettore viene introdotto a una sorta di visita guidata in uno dei più straordinari laboratori di pensiero politico nella storia d’Occidente.
Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele: la potenza del suo pensiero è ancora in grado di parlarci.
MARIO VEGETTI filosofi al potere – YouTube
Mario Vegetti e Mauro Bonazzi “LO SPECCHIO DI ATENE” – YouTube
Mario Vegetti: SAPERE E SAPER AGIRE: sophia e … – YouTube
Mario Vegetti “Festival Filosofia” – YouTube
Mario Vegetti – YouTube
Associazione Marx XXI – Mario Vegetti – YouTube
Mario Vegetti – Aventino Frau: Socrate contro Trasimaco … – YouTube
Mario Vegetti: “La filosofia e la città greca” FILOSOFIA E … – YouTube
Le domande dei non credenti – YouTube

Mario Ricciardi, Simona Forti e Mario Vegetti “il Novecento … – YouTube

Mario Vegetti – Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.

Mario Vegetti (1937-2018) – «Scritti sulla medicina galenica». Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività.

Mario Vegetti (1937-2018) – Il tempo, la storia, l’utopia. Cè il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione della kallipolis attuata. L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile).




Salvatore Bravo – I nuovi «dannati della terra» sono in grado di sfidare la paura. L’essere umano è pensiero, coscienza. per quanto forte sia il condizionamento, nessun potere potrà occupare lo spazio interiore dell’uomo, perché l’infinito è nell’essere umano.

Frantz Fanon 05
Pier Paolo Pasolini, Autoritratto

Salvatore Bravo

I nuovi «dannati della terra» sono in grado di sfidare la paura.
L’essere umano è pensiero, coscienza.
Per quanto forte sia il condizionamento, nessun potere potrà occupare lo spazio interiore dell’uomo, perché l’infinito è nell’essere umano.

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Colonialismi
Vi sono verità che assumono forme contingenti, ma che celano dietro il fenomeno storico l’essenza; lo sterminio degli Ebrei è stato l’anticipazione tragica e rimossa dell’esperienza neo-colonialista che diventava globale e si rendeva mondiale al punto che il fantasma genocidiario da secoli praticato nei paesi colonizzati si è materializzato nella casa europea. Il neo-colonialismo economico e politico – con l’intensificarsi della produzione, con l’instaurarsi della normalità dell’illimitato, incapace di correggere se stesso –, ha portato la sua parabola alle conseguenze estreme: il sistema neo-coloniale è diventato l’archetipo del dominio dell’Occidente al punto che le relazioni quotidiane sono vissute secondo logiche di sfruttamento e dominio. La guerra, diventata interna agli Stati, è il pane quotidiano del sistema globale. Il capitalismo ha la capacità di modificarsi ed adattarsi e, come le dune del deserto, avanza, riempie ogni spazio con la sua polvere, è atmosferico, si fa “respirare” quasi, si nasconde, si maschera, ma la sua essenza resta eguale: plusvalore, dominio, alienazione. Il nuovo totalitarismo assume differenti forme genocidarie, lascia la vittima viva al fine di permetterle di consumare: l’essere umano è solo il consumatore perenne ed instancabile nella cui testa martella l’economia. Ogni resistenza è piegata con l’eliminazione fisica, ma solo se è strettamente indispensabile; contemporaneamente il calcolo e la tattica agiscono secondo razionalità economica, glorificando l’eliminazione con nobili parole quali diritti umani, diritti universali. I gendarmi dell’economia mettono in atto un totalitarismo complesso e sincretico che opera simultaneamente con la normalità dei consumi – unica legge dell’agire –, ma nello stesso tempo opera per debellare ogni sacca di resistenza esplicita con l’omicidio legalizzato. La legge dell’economia e del consumo inducono a persuadere i renitenti che consumare è democratico, e non vi è alternativa; si cerca di conquistarli al mercato prima di eliminare il potenziale investimento. I genocidi tradizionali si concentravano su uno spazio geografico, le coscienze restavano parzialmente libere, malgrado la propaganda ed il terrore.
Nella contemporaneità solo la visione d’insieme, sostenuta dalla forza filosofica del concetto – capace di astrarre dal concreto il concetto stesso – riesce a rendere palese la strategia della nuova forma genocidiaria: essa agisce secondo molteplici e varie modalità e pertanto, mentre colonizza le menti con la religione atea del consumo, elimina ogni ostacolo politico, economico, ideologico alla propria colonizzazione, bombarda in nome dei diritti universali; le due strategie sono da collegare, poiché due volti della stessa medaglia. È il “polemos negativo eracliteo”, in cui una forma genocidiaria può continuare a sussistere se contemporaneamente vi è l’altra.

L’animalizzazione dell’altro
Frantz Fanon, in I dannati della terra, svela meccanismi di potere che prima erano applicati al solo colonialismo ed oggi sono la normale tattica del potere globale. I colonizzatori europei, per giustificare la colonizzazione, rappresentavano i colonizzati come animali, subumani vicini all’animalità e bisognosi del padrone per contenere la loro eccedente bestialità. Il linguaggio era il veicolo dell’animalizzazione, il colonizzato scompariva nella narrazione del colonialista per diventare semplice stereotipo, creatura astratta senza anima o logos. Lo stesso colonizzato si percepiva mediante la rappresentazione del padrone, si pensava inferiore, perché incapace di pensare con categorie che gli appartenevano. Si rendeva impossibile ogni processo dialettico, poiché i ruoli servo-padrone erano sclerotizzati dall’immaginario del potere:

«A volte tale manicheismo spinge fino in fondo la sua logica e disumanizza il colonizzato. A rigor di termini, lo animalizza. E, difatti, il linguaggio del colono, quando parla del colonizzato, è un linguaggio zoologico. Si fa allusione ai movimenti serpeggianti dell’indocinese, agli effluvi della città indigena, alle orde, al puzzo, al pullulare, al brulicare, ai gesticolamenti. Il colono, quando vuole descrivere bene e trovare la parola giusta, si riferisce costantemente al bestiario».[1]

L’animalizzazione è oggi applicata ai nuovi colonizzati, agli occidentali “liberi e benestanti”; il veicolo di trasmissione dell’animalizzazione sono gli innumerevoli mezzi dell’economia tecnocratica con la conseguente riduzione della persona a corpo pulsionale da soddisfare con l’effetto di mortificare la prassi. Così la persona ridotta a solo corpo da misurare e quantificare non concepisce la possibilità della prassi, regredisce ad uno stato puerile che fa del corpo, dei suoi istinti e meccanismi l’unico centro di interesse. Giordano Bruno ci ha insegnato il significato di infinito, ha mostrato quanto l’universo infinito invitava ad un nuovo modo di pensare, mentre l’animalizzazione cancella le grandi conquiste del pensiero per contrarlo alla sola attività somatica, al solo finito corporale, il quale è continuativamente stimolato dal mercato che, mentre cancella il pensiero, invita al desiderio acquisitivo senza confini. I colonizzati sono ora ovunque: nessuno sfugge alla rete dei colonialisti che fanno di ogni mente un mercato, di ogni corpo il territorio dove impiantare le proprie bandiere coloniali.

L’intellettuale
In tale contesto l’intellettuale ha perso aureola e missione; dominato tra i dominati, è solo oratore, molto spesso consapevole, sovente inconsapevole del potere. L’intellettuale colonizzato, fa notare F. Fanon, utilizza lo stesso linguaggio dei coloni, anche quando si fa portavoce della liberazione nazionale. Resta così all’interno del recinto dei coloni e, usando il loro linguaggio, prepara il ritorno dei coloni in forme nuove:

«L’intellettuale che ha, per parte sua, seguito il colonialista sul piano dell’universale astratto, si batterà perché colono e colonizzato possano vivere in pace in un mondo nuovo. Ma quello che egli non vede, proprio perché il colonialismo s’è infiltrato in lui con tutti i suoi modi di pensare, è che il colono, appena il contesto coloniale sparisce, non ha più interesse a rimanere, a coesistere».[2]

L’intellettuale dell’universale astratto rinuncia a capire la verità della realtà storica, poiché occulta i dati materiali delle vite delle persone, le quali sono giuridicamente eguali, ma materialmente diverse, perché i rapporti gerarchici si riproducono per l’ineguale distribuzione del potere, della cultura, delle ricchezze. La normalità con cui i sudditi del passato e di oggi giudicano la condizione che vivono svela la verità di una classe intellettuale che ha abdicato al suo ruolo emancipativo collettivo, per essere parte della strategia di rabbonimento delle masse omologate che trovano negli intellettuali non più guide critiche, pensatori autonomi organici con il popolo, ma solo la cinghia di trasmissione della colonizzazione.
L’intellettuale invece deve impegnarsi a condurre un’opera di sensibilizzazione ed organizzazione contro le strutture mentali che impediscono la prassi e che non risiedono solo nella testa, nelle parole, nelle azioni dei colonizzatori, ma sono anche nei colonizzati. Senza tale attività ogni lotta non può che essere annichilita dagli stessi colonizzati che desiderano essere i nuovi coloni. La forza dei coloni è nella consapevolezza che il colonizzato, il suddito globale, è il suo clone povero, il suo doppio che ambisce ad essere eguale all’originale, la finanza è immaginata come l’iperuranio platonico dai “dannati della globalizzazione”:

«L’intellettuale colonizzato tuttavia, presto o tardi, si renderà conto che non si legittima la propria nazione a partire dalla cultura, ma la si manifesta nella lotta che il popolo conduce contro le forze di occupazione. Nessun colonialismo trae la sua legittimità dell’inesistenza culturale dei territori che domina. Non si disonorerà mai il colonialismo spiegando davanti al suo sguardo tesori culturali mal noti. L’intellettuale colonizzato, nel momento stesso in cui si preoccupa di far opera culturale, non si rende conto che impiega tecniche e una lingua presa a prestito dall’occupante».[3]

Lessico dei dominatori e liberazione
La dispersione dei popoli e delle persone si mette in atto mediante la cancellazione delle identità, ciò che si può concretizzare con l’eliminazione fisica o con l’eliminazione culturale. I coloni parlavano le lingue dei colonizzatori, la loro storia è scomparsa nella narrazione dei colonizzati, oggi la lingua dei popoli è sostituita dalla lingua della cultura vincente: l’inglese. I colonizzati non sono più popoli, ma plebe che parla la lingua del vincitore, pensa come il vincitore. L’esproprio non riguarda solo le risorse naturali, la storia, le identità, ma anche le singole coscienze, poiché con l’intensificarsi delle tecnologie l’asse di attenzione agisce sul macro e sul micro e le coscienze sono irrigidite dal lessico dei dominatori:

«Il dominio coloniale, perché totale e semplificante, ha fatto presto a disgregare in modo spettacolare l’esistenza culturale del popolo sottomesso. La negazione della realtà nazionale, i rapporti giuridici nuovi introdotti dalla potenza occupante, la cacciata alla periferia da parte della società coloniale, degli indigeni e dei loro usi, l’esproprio, l’asservimento sistematizzato degli uomini e delle donne, rendono possibile questa cancellazione culturale».[4]

È necessario riconoscere il nuovo totalitarismo con il suo tatticismo deviante. In questo momento i popoli sono soli davanti al nuovo che avanza, al deserto che assume nuove forme per confondere. Ma la coscienza è dinamica, è il luogo del possibile dove il pensiero prepara i suoi concetti, la sua consapevolezza. La natura pensante dell’essere umano resta, malgrado la diffusione capillare ed infiltrante nelle coscienze del potere. La violenza capitale può ribaltarsi in pensiero dialettico, la pressione continua genera disagio che necessita di “parole nuove” per capire la mortificazione malinconica della globalizzazione.
L’essere umano è pensiero, coscienza che, per quanto condizionabile, nessun potere potrà occupare, perché l’infinito è nell’essere umano. Ricordiamo il frammento 45 di Eraclito nel riprendere la prassi da vivere nel quotidiano: «Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lógos».
Non è consolatorio, ma il logos in ogni circostanza della storia ha mostrato di saper riemergere dalle lunghe notti del pensiero. La condizione servile si rafforza con la paura della lotta, con la fuga dal conflitto. Hegel nella Fenomenologia dello Spirito attraverso la figura servo-padrone ci ha insegnato che per decolonizzare la coscienza dalla servitù bisogna vincere la paura.
Il timore del possibile è continuamente indotto dal sistema capitale che orienta le scelte contro ogni “salto nel buio”. Vivendo nella paura gli esseri umani contribuiscono a rafforzare le catene che li tengono avvinti perpetuando appunto il sistema della paura che impigrisce le coscienze ed allontana l’infinito, lo spazio libero del pensiero.

Contro la paura del nuovo ed i suoi rischi diventa fondamentale un nuovo senso critico che ponga al centro l’infinito della coscienza ed i limiti della struttura economica che costringe la coscienza entro una visuale delimitata dai muraglioni dell’economicismo.

Salvatore Bravo

[1] Frantz Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino 2007, p. 9.

[2] Ibidem, p. 11

[3] Ibidem, p. 153

[4] Ibidem, p. 164



Il catalogo di Petite Plaisance

Pierluigi Donini – La natura del segno demonico che visitava Socrate. La nuova traduzione del testo di Plutarco e il commento che la correda restituiscono significato unitario alla varietà dei temi del testo.

Pierluigi Donini 01
Plutarco, «Il demone di Socrate», Introduzione, traduzione e commento di Pierluigi Donini, Carocci, 2017.

Il trattato Il demone di Socrate, considerato da alcuni il capolavoro di Plutarco, riunisce una sorprendente molteplicità di temi, tra i quali primeggiano la narrazione di un importante episodio della storia greca – la liberazione di Tebe dall’occupazione spartana qualche decennio dopo la guerra del Peloponneso – e alcune discussioni di argomento filosofico, tra cui spicca quella intorno alla natura del segno demonico che visitava Socrate. Questa nuova traduzione del testo di Plutarco e il commento che la correda restituiscono un significato unitario alla varietà dei temi, mostrando come tutti gli aspetti del racconto siano unificati dall’intenzione di discutere quale fosse la più fedele interpretazione del platonismo tra le molte che allora si disputavano quel titolo, specialmente l’interpretazione socraticoacademica, quella neoacademica e quella pitagorizzante.



Pierluigi Donini, Franco Ferrari

L’esercizio della ragione nel mondo classico. Profilo della filosofia antica

Einaudi, 2005

La cultura occidentale, il nostro modo di rapportarsi al mondo e a noi stessi, la stessa identità europea affondano le radici nel cuore del pensiero filosofico classico: quello di Eraclito e di Parmenide, di Socrate e di Platone, di Aristotele e di Epicuro, di Seneca e di Plotino. Questo libro fornisce una guida ragionata alla filosofia antica, agli autori, ai movimenti, ai testi che hanno segnato in modo permanente la nostra tradizione culturale.

Indice

I. I presocratici. II. La sofistica, Socrate e i socratici. III. Platone. IV. Aristotele. V. La filosofia ellenistica. VI. La filosofia nel mondo romano. VII. Plotino. VIII. Il neoplatonismo dopo Plotino. – Bibliografia. – Indice dei nomi.



La Metafisica di Aristotele. Introduzione alla lettura

Un paradosso della storia della filosofia è il fatto che uno dei libri che l’hanno fondata non sia mai stato concepito come tale dal suo stesso autore. Questo volume, ridisegnandone la peculiare fisionomia storica, intende presentare le fondamentali questioni della “Metafisica” aristotelica, dalla polemica contro Platone e gli Accademici, alla dottrina dell'”essere in quanto essere”, alla trattazione della “sostanza”.

 

Indice

1.La storia della Metafisica 1.1.I dati della tradizione antica 1.2.Le ipotesi genetiche e la composizione della Metafisica 2.Prima della filosofia prima 2.1.Il libro ? e la fisica accademica 2.2.La datazione di A 2.3.La “scienza cercata” e i suoi caratteri secondo A 2.4.B e la serie delle aporie 2.5.La discussione dei precursori in A 2.6.Il libro ? 3.I libri di polemica contro Platone e gli Academici 3.1.La cronologia dei libri 3.2.Le dottrine di Platone e degli Accademici secondo Aristotele 3.3.La reazione di Aristotele contro le idee 3.4.La reazione di Aristotele contro le dottrine dei principi 3.5.Il libro I e la concezione del numero 3.6.La posizione della matematica in E I 3.7.Il significato dell’opposizione di Aristotele al platonismo 4.L’essere in quanto essere e la filosofia prima 4.1.La scienza generale dell´essere e la sua unità come scienza della sostanza in ? 4.2.La scienza della sostanza prima e la sua universalità secondo ? 4.3.La filosofia prima, la teologia e la loro universalità in E I 4.4.La difesa del principio di non contraddizione in ? 4.5.Carattere del libro E 5.I libri sulla sostanza 5.1.Composizione e cronologia di Z, H, ? 5.2.La concezione della sostanza in Z e H 5.3.L’individualità delle forme 5.4.Z e la sostanza sovrasensibile 5.5.La sostanza come atto in H e in ? 6.La sostanza sovrasensibile 6.1.I “libri teologici” e la collocazione di ? 6.2.La sostanza sovrasensibile come principio dl movimento 6.3.Natura e attività del motore immobile 6.4.La pluralità dei motori e il silenzio sulla forma 6.5.Il rapporto fra il divino, l’essere degli uomini e il loro sapere Cronologia della vita e delle opere. Nota bibliografica. Indice dei nomi.



Abitudine e saggezza. Aristotele dall’etica eudemia all’etica nicomachea

Edizioni dell’Orso, 2014

Nel presente volume l’autore cerca di risolvere preliminarmente il problema della cronologia relativa alle Etiche aristoteliche mostrando che soltanto la nicomachea presuppone la conoscenza, da parte di Aristotele, dell’ultima opera di Platone, le Leggi. L’Etica eudemia deve dunque essere anteriore alla nicomachea e avere un’origine abbastanza antica nella carriera del filosofo. Ma molto più importante della precisazione sulla cronologia è il risultato che lo studio delle due Etiche permette di ottenere se le loro dottrine sono messe a confronto alla luce dell’influenza, peculiare della più recente, dell’ultima opera di Platone. Mentre l’eudemia insiste sul fondamento naturale delle virtù e sulla relazione tra questo e la razionalità, la nicomachea, esplicitamente rifacendosi alle Leggi, ignora del tutto le doti naturali e mette al centro della formazione morale l’educazione delle abitudini, da cui dipende infine anche la corretta maturazione della razionalità. Le tracce di questa nuova concezione sono visibili anche nella trattazione di altri temi connessi a quello della virtù, come quello, fondamentale nelle Etiche, della felicità e quello dell’amicizia.

 



Le scuole, l’anima, l’impero: la filosofia antica da Antioco a Plotino

Rosemberh & Sellier, 1982

Pierluigi Donini già professore di storia della filosofia antica nell’Università di Milano. È autore di studi, volumi e saggi su Aristotele e sulla tradizione aristotelica, sul problema del determinismo nel pensiero antico, sullo stoicismo e sulla filosofia dell’età imperiale romana (Seneca, Plutarco Alcinoo, Galeno). Per Einaudi ha curato la Poetica di Aristotele (Piccola Biblioteca Einaudi, 2008).



IL PIACERE COGNITIVO E LA FUNZIONE DELLA TRAGEDIA IN ARISTOTELE

PIERLUIGI DONINI

Méthexis

Vol. 25 (2012), pp. 109-130

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