Oscar Wilde (1854-1900) – Quel che un uomo ha davvero è ciò che è in lui. Nessuno sprecherà la sua vita ad accumulare cose. Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente si limita ad esistere, e nulla più.

Oscar Wilde 03

È chiaro, quindi, che nessun socialismo autoritario potrà funzionare. […] Confesso che molte delle opinioni socialiste che ho incontrato mi sembrano maculate da idee autoritarie, se non di reale coercizione. Naturalmente, autoritarismo e coercizione sono fuori discussione. Tutte le associazioni debbono essere volontarie. È solo nelle associazioni volontarie che l’uomo si trova bene. Ci si potrebbe chiedere come la dimensione individuale, che adesso è più o meno dipendente dall’esistenza della proprietà privata, beneficerà dell’abolizione di tale proprietà. […] Nelle nuove condizioni l’individuo sarà di gran lunga più libero, più raffinato […] di quanto non lo sia adesso […]. Perché il riconoscimento della proprietà privata ha veramente nuociuto all’Individualo, e lo ha oscurato, confondendo un uomo con ciò che possiede. […] Ha reso il guadagno, non la crescita, il suo scopo ultimo. Cosicché l’uomo s’è messo a pensare che la cosa importante è l’avere, non sapendo che invece è l’essere. La vera perfezione dell’uomo sta non in ciò che l’uomo possiede, ma in ciò che l’uomo è. La proprietà privata ha schiacciato la vera essenza della dimensione individuale […]. La personalità dell’uomo è stata talmente assorbita dai suoi possedimenti che la legge inglese ha sempre trattato i reati contro la proprietà con molta più severità dei reati contro la persona, e la proprietà continua a essere la prova della cittadinanza completa. […]  Dispiace che la società sia costruita su tali basi, che l’uomo sia stato forzato in una routine in cui non può sviluppare liberamente ciò che in lui è meraviglioso e affascinante e delizioso – routine nella quale, di fatto, egli si perde il vero piacere e la vera gioia di vivere. […] Ora, niente dovrebbe essere in grado di danneggiare un uomo, se non egli stesso. Niente dovrebbe essere in grado di rapinare un uomo. Quel che un uomo ha davvero è ciò che è in lui. Ciò che è fuori di lui dovrebbe essere una faccenda di nessuna importanza. Con l’abolizione della proprietà privata, allora, noi potremo avere una Individualità vera, bella, salutare. Nessuno sprecherà la sua vita ad accumulare cose e simboli di cose. Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente si limita ad esistere, e nulla più.

 

Oscar Wilde, L’anima dell’uomo nella società socialista [The Soul of Man under Socialism], 1891.

Oscar Wilde – Libri morali e/o immorali?


Azar Nafisi – La vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione. La migliore letteratura ci costringe sempre a interrogarci su ciò che tenderemmo a dare per scontato e mette in discussione tradizioni, credenze che sembravano incrollabili.

Azar Nafisi 01

«Il peggior crimine di un regime totalitario è costringere i cittadini, incluse le vittime, a diventare suoi complici […]. L’unico modo di spezzare il cerchio è smettere di ballare con il carceriere».

La migliore letteratura ci costringe sempre a interrogarci su ciò che tenderemmo a dare per scontato e mette in discussione tradizioni, credenze che sembravano incrollabili. Invitai i miei studenti a leggere i testi che avrei loro assegnato soffermandosi sempre a riflettere sul modo in cui li scombussolavano, li turbavano, li costringevano a guardare il mondo, come fa Alice nel paese delle meraviglie, con occhi diversi.
(p. 118)

Un grande romanzo acuisce le vostre percezioni, vi fa sentire la complessità della vita e degli individui, e vi difende dall’ipocrita certezza nella validità delle vostre opinioni, nella morale a compartimenti stagni.
(p. 160)

Eravamo assetati di bellezza, in qualunque forma, anche quella di un film incomprensibile, ultraintellettuale e astratto, senza sottotitoli e sfigurato dalla censura. Era già meraviglioso anche solo ritrovarsi in pubblico, per la prima volta da anni, senza paura né rabbia, in mezzo a una folla di estranei che non fosse lì per una manifestazione, un raduno di protesta, una coda per il pane o una pubblica esecuzione.
(p. 237)

Non riesco a dirti di non affliggerti, di non ribellarti sia perché la mia immaginazione vive, a mie spese, intesissimamente ogni cosa, sia perché non sono capace di dirti di non sentire. Senti, senti, ti dico – senti con tutta te stessa, foss’anche fin quasi a morirne, perchè questo è il solo modo di vivere, specialmente di vivere in questa terribile dimensione, e il solo modo di onorare e celebrare gli esseri ammirevoli che sono il nostro orgoglio e la nostra ispirazione.
(p. 245)

Ormai mi sono convinta che la vera democrazia non può esistere senza la libertà di immaginazione e il diritto di usufruire liberamente delle opere di fantasia. Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri; bisogna che il tuo mondo privato possa sempre comunicare col mondo di tutti.
Altrimenti, come facciamo a sapere che siamo esistiti?

(p. 372)

 

Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano 2004

 



Il catalogo di Petite Plaisance


Stefan Bollmann, Elke Heidenreich – Le donne che leggono sono pericolose

Elke Heidenreich01

«La donna che legge si fa domande, e così facendo distrugge delle regole saldamente radicate. […] Dalla lettura scaturisce la fiducia in sé, dalla fiducia in sé sboccia il coraggio di pensare autonomamente. […] La lettura non solo mette in discussione i progetti di vita, ma anche la priorità di istanze supreme … La lettura mette le ali alla fantasia, e la fantasia porta fuori dal presente …» . Elke Heidenreich, pp. 16-19.

Stefan Bollmann,Elke Heidenreich,

Le donne che leggono sono pericolose

Rizzoli, 2007

Stefan Bollmann
Elke Heidenreich

Attraverso i dipinti, i disegni e le fotografie questo volume racconta la storia della lettura femminile dal Medioevo al XXI secolo. Il tema della lettrice ha affascinato gli artisti di tutte le epoche. Sono stati tuttavia necessari molti secoli perché alle donne venisse permesso di leggere ciò che volevano. Prima potevano ricamare, pregare, allevare bambini e cucinare. Ma nel momento in cui esse colgono nella lettura la possibilità di sostituire l’angusto mondo della loro casa con il mondo sconfinatªo del pensiero, della fantasia e del sapere, diventano una minaccia. Le donne che leggono sono pericolose perché in questo modo si sono appropriate (e forse lo fanno ancora oggi) di conoscenze ed esperienze originariamente non destinate a loro. Queste immagini di donne che leggono sono piene di bellezza, grazia ed espressività.


Ramòn Casas y Carbo “Dopo il ballo” (1895) Monserrat, Catalogna, Museo de la Abadia
Pieter Janssen Elinga “Donna che legge” (1668-1670) Monaco, Alter Pinakotheck
Anselm Feuerbach “Paolo e Francesca” (1864) Monaco, Schack-Galerie
Sommario

Prefazione
Piccole mosche!
Le donne che leggono sono pericolose
I. Dove abita la parola. Lettrici di talento
II. Momenti intimi. Lettrici stregate
III. Dimore del piacere. Lettrici consapevoli
IV. Ore di delizia. Lettrici sensibili
V. La ricerca di se stesse. Lettrici appassionate
VI. Piccole fughe. Lettrici solitarie


Erica Melloni

Le donne che leggono sono pericolose. Percorsi tra letture e lettrici in Età Moderna

Pubblicato in Diotima, Comunità filosofica femminile, La rivista »



Indice completo delle pagine pubblicate (ordine alfabetico per autore al 14-10-2019)Scarica


Il catalogo di Petite Plaisance

Ezio Raimondi (1924-2014) – Ogni lettura importante reca con sé i segni di una relazione straordinaria, mai pacifica, mista di inquietudine e di ebbrezza

Ezio Raimondi 01

Una parola domina e illumina i nostri studi: «comprendere». Non diciamo che il buono storico è senza passioni; ha per lo meno quella di comprendere. Parola, non nascondiamocelo, gravida di difficoltà, ma anche di speranze. Soprattutto, carica di amicizia.

Marc Bloch

 

«Ogni lettura importante reca con sé i segni di una relazione straordinaria, mai pacifica, mista di inquietudine e di ebbrezza, come quando un canto si innalza d’improvviso e trova la sua armonia. Il libro allora diventa una creatura, che hai sempre a fianco e che porta nella tua vita i suoi affetti, le sue ragioni a interpellare i tuoi affetti, le tue ragioni».

Ezio Raimondi

«Sono nato in una casa dove non c’erano libri, anche se vi entrava il giornale della città. I libri sono arrivati con l’ingresso nella scuola e forse per questo, fin da ragazzo, li ho considerati una specie di aiuto necessario per crescere. […] Ne veniva un’educazione istintiva al rispetto del libro e della sua funzione liberatrice, democratica. Sentivo per istinto che il rapporto con il libro annullava le differenze di classe: non c’erano più i poveri e i signori, ma uomini liberi che esploravano il possibile e, attraverso il fantastico e la sua raffigurazione, cercavano un senso più profondo del reale; nei libri c’erano gli esseri umani, con le loro verità, le loro parole profonde, le parole che toccano, che lasciano nel lago del cuore una risonanza che si prolunga nel tempo e mobilita quel tanto che c’è della nostra fantasia. […] Cresceva in me, ragazzo, una fiducia nel libro. Fin dall’inizio della mia esistenza di scolaro, esso era più di ciò che era – quasi l’annuncio e la presenza di un mondo diverso da quello corrente, ma che si congiungeva poi di continuo ad esso ed entrava nel rito famigliare. Se torno a quel passato, scopro che lì è l’origine della mia idea del libro come creatura vivente, quasi un amico, con una storia che, nella vicenda concreta degli scambi e delle letture, diventa storia aggiunta a quella sua propria. Il libro aveva come due dimensioni: quella del suo linguaggio alto, che mi portava per mano nel paesaggio delle idee, delle ragioni grandi, delle fantasie straordinarie; e quella di un rapporto diretto con la vita quotidiana che se ne arricchiva, in qualche modo, e che a sua volta accresceva il valore e il senso del libro stesso».

Ezio Raimondi, Le voci dei libri, il Mulino, Bologna 2012.

 
 
Indice
 
Capitolo primo: Dalla cucina alla biblioteca
Capitolo secondo: Heidegger in via Mascarella
Capitolo terzo: Un dono per il futuro
Capitolo quarto: Lo stupore della storia
Capitolo quinto: L’incontro con Bachtin: un dialogo americano
Capitolo sesto: Il giorno si fa notte
Capitolo settimo: La domenica del traduttore
Capitolo ottavo: I libri dell’amicizia
Paolo Ferratini
L’uomo dei libri
 

George Steiner – Il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo. In esso l’identità e la presenza storica dell’uomo si esplicano in maniera unica. La cultura è una forza umanizzatrice? Le energie dello spirito sono trasferibili a quelle del comportamento?

George Steiner 01

«Il linguaggio è il mistero che definisce l’uomo, in esso l’identità e la presenza storica dell’uomo si esplicano in maniera unica. È il linguaggio che separa l’uomo dai codici segnaletici deterministici, dalle disarticolazioni, dai silenzi che abitano la maggior parte dell’essere. Se il silenzio dovesse tornare di nuovo in una civiltà in rovina, sarebbe un silenzio duplice, forte e disperato per il ricordo della Parola».

«Quali sono i rapporti del linguaggio con le atroci falsità che esso è stato costretto ad articolare e a consacrare in certi regimi totalitaristici? O con la gran congerie di volgarità, imprecisione e cupidigia di cui è saturo in una democrazia di consumatori
di massa?».

«L’edificio dell’umanesimo classico, il sogno della ragione che animava la società occidentale, si è in gran parte infranto. […] Pensare alla letteratura, all’educazione, al linguaggio, come se non fosse successo nulla di molto importante in grado di sfidare il concetto stesso che noi abbiamo di tali attività, non mi sembra affatto realistico. […] Noi veniamo dopo [dopo i campi di sterminio, dopo Hiroshima e Nagasaki, dopo i campi di sterminio in Cile e in Argentina, dopo …]. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale
e ipocrita. In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento?
[…] Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano?».

George Steiner, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano, Garzanti, Milano 2001.

 

 

 

 

  • «Tra il 1976 e il 1982, durante la dittatura militare argentina, migliaia di cittadini sono stati gettati vivi in mare. Oggi i responsabili di questi crimini, camminano liberi per le strade». Così iniziano i titoli di coda del film.
  • «Al piano di sopra c’erano 50 monitor televisivi con la bandiera argentina su cui scorrevano i nomi dei desaparecidos, mentre il sonoro riproponeva i gol del campionato del mondo di calcio del 1978. Al piano di sotto, in un sotterraneo, avevo cercato di ricostruire in modo astratto e concettuale l’idea di un campo di concentramento…». (il regista del film Marco Bechis su Duel, febbraio 2000).

 

Diego Lanza (1937-2018) – La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca. Prefazione di Anna Beltrametti

Diego Lanza_Disciplina dell'emozione

Diego Lanza

La disciplina dell’emozione.
Un’introduzione alla tragedia greca

Prefazione di Anna Beltrametti

indicepresentazioneautoresintesi

Clitennestra si presenta al pubblico con la spada levata, ancora sporca del sangue di Agamennone; Edipo mostra agli spettatori le orbite vuote dopo essersi accecato; Agave agita trionfalmente la testa mozzata del figlio. Per tutta la durata del v secolo a.C. i tragediografi non risparmiarono al loro pubblico le emozioni più intense. Ma perché oggi, dopo 2500 anni, queste emozioni puntualmente si rinnovano, perché ne avvertiamo ancora la necessità? Che senso possono avere per noi quelle antiche storie di dèi ed eroi? Questo libro ricostruisce con vivacità le circostanze storiche e le regole istituzionali della tragedia greca, conducendoci a considerarne la funzione sociale e a penetrare nel suo ricco patrimonio simbolico: un libro, come scrive A. Beltrametti, «pensato e articolato a supporto-approfondimento delle lezioni universitarie e destinato agli studenti e agli studiosi non solo di Filologia classica». È soprattutto uno strumento per intendere la polifonia del dettato tragico, il susseguirsi dei diversi ritmi drammatici, l’uso degli attori e del coro, in una parola il complesso funzionamento della macchina teatrale di cui i tragici greci furono maestri a tutto il teatro europeo.



Diego Lanza (1937-2018), grecista e accademico dei Lincei, è stato titolare della cattedra di Letteratura greca all’Università di Pavia a partire dal 1968. Studioso di rara sensibilità, nel corso della sua prolifica carriera ha curato edizioni critiche di Anassagora e Aristotele e ha contribuito a opere collettive come Lo spazio letterario della Grecia antica (Salerno Editrice, 1992-1996) e I Greci. Storia, cultura, arte, società (Einaudi, 1996-2002). È autore di saggi di grande respiro storico-letterario come Il tiranno e il suo pubblico (Einaudi, 1977) e Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune (Einaudi, 1997).  Nel 2013 esce Interrogare il passato. Lo studio dell’antico tra Ottocento e Novecento (Carocci), e nel 2017 Tempo senza tempo. La riflessione sul mito dal Settecento ad oggi (Carocci). Nel 2018 Bompiani ha pubblicato la nuova edizione delle Opere biologiche di Aristotele a cura di D. Lanza e M. Vegetti, con il titolo Aristotele, La vita. Testo greco a fronte. Nel 2019 è uscito postumo, sua unica prova narrativa, Il gatto di piazza Wagner (L’Orma).

 

Anna Beltrametti è professore ordinario di Letteratura greca e Drammaturgia antica all’Università di Pavia. Ha scritto di Erodoto (La Nuova Italia 1986) di Euripide (Einaudi 2002) del rapporto tra storiografia e teatro nel v secolo di Atene (La storia sulla scena, Roma 2011), di letteratura imperiale, Plutarco, Dione di Prusa, Luciano, di ricezione antica e moderna dei classici.



Sommario

Prefazione di Anna Beltrametti : Diego Lanza, signore delle emozioni
***

In luogo di premessa:  Ricordo di tre incontri

 

L’ISTITUZIONE TEATRALE IN ATENE

I. Le regole delgioco scenico

1. Cori, cori tragici, tragedia
2. Le feste teatrali
3. Le Grandi Dionisie
4. Il teatro di Dioniso
5. I testi
6. Gli ingredienti dello spettacolo
7. Attori, coreuti, comparse
Indicazioni bibliografiche

***

II. Rappresentare dèi, rappresentare eroi

1. Mito, mitologia, poesia
2. Dèi ed eroi tra epica e dramma
3. Teofanie tragiche
4. L’eroe e la drammatizzazione del mito
Indicazioni bibliografiche

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III. Maestri della città

1. I caratteri della gnome drammatica
2. Greci e barbari, liberi e schiavi
3. Atene e una nuova geografia del mito
4. La guerra e la politica
5. Sapere e saggezza
6. Maschile vs femminile
Indicazioni bibliografiche

IV. Il ritmo tragico

1. Interdetti e trasgressioni
2. Curve dell’emozione
3. Disagio e sollievo
Indicazioni bibliografiche

PERCORSI DI LETTURA

Clitennestra: il femminile e la paura
La paura di Edipo
Edipo rivisitato da Sofocle
Una ragazza, offerta in sacrificio …
La donna nella tragedia greca
Ridondanze del mito nella tragedia greca
Lo spettacolo della parola
Finis tragoediae

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Cronologia essenziale della tragedia di v secolo a.C.
Indice dei nomi e delle opere
Pianta di teatro greco
Pianta e spaccato di teatro romano

 


Diego Lanza (1937-2018) – Di mio padre ricordo l’orgoglio tenace, la fedeltà alle proprie decisioni, l’energia necessaria a una silenziosa coerenza, il disprezzo per il mormorio del senso comune. Mi ha insegnato ad essere come chi amiamo si aspetta che noi siamo, perché non pesare su chi ci ama con le nostre sofferenze è amorosa accortezza.
Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Massimo Stella – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti



Alcuni libri

di

Diego Lanza

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1971-1996 Opere biologiche di Aristotele, Utet,1996

1971-1996 Opere biologiche di Aristotele, Utet. Con Mario Vegetti.

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1976 Belfagor

1976 Belfagor

Contiene il saggio: Alla ricerca del tragico.

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1977 Il tiranno e il suo pubblico

1977 Il tiranno e il suo pubblico.

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1977 Aristotele, La ricerca psicologica

1977 Aristotele, La ricerca psicologica

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1977 L'ideologia della città

1977 L’ideologia della città

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1977 Aristotele e la crisi della politica

1977 Aristotele e la crisi della politica.

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1979 Lingua e discorso nell'Atene delle Professioni

1979 Lingua e discorso nell’Atene delle professioni.

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1987 Aristotele-Poetica-Rizzoli-Bur-1987

1987 Aristotele, Poetica.

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1993 Aristotele, Poetica

1993 Aristotele, Poetica.

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1997 La Disciplina dell'emozione

1997 La disciplina dell’emozione.

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1997, Lo stolto

1997, Lo stolto.

Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune, Einaudi, 1997

Lanza sviluppa la sua ricerca delle diverse figurazioni della “stultitia” recuperandole in Aristofane e in Platone, in Andersen e Collodi, Cervantes e Woody Allen e sottolineando come sia lo stolto che la stoltezza non costituiscono né un elemento chiaramente definibile una volta per tutte, né una figura semplicemente ripetitiva. La “stultitia” è infatti un’incognita a cui di volta in volta viene attribuito ciò che disturba il senso comune, ciò che in quel momento è considerato ridicolo, ripugnante o riprovevole. Così la figura dello stolto è mutevole, essa cambia infatti con il trasformarsi dello stesso senso comune e della razionalità che la definiscono: Socrate, Pinocchio, Till Eulenspiegel, Calandrino, Zelig, sono esempi in questo senso.

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2001 Dimenticare i Greci

2001 Dimenticare i Greci.

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2007 Atene e l’Occidente. I grandi temi.

2007 Atene e l’Occidente. I grandi temi.

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2007 La Poetica e la sua storia

2007 La Poetica e la sua storia.

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2009 Aristotele, Poetica

2009 Aristotele, Poetica.

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2012 Aristofane, Acarnesi

2012 Aristofane, Acarnesi

Aristofane, Acarnesi, Introd. traduz. e commento di Diego Lanza, Carocci, Roma 2012.

Acarnesi, la prima commedia del giovane Aristofane giunta fino a noi, vede Atene impegnata nel quinto anno di guerra contro Sparta. Dal miraggio della pace, che appare ancora remota, muove la vicenda rappresentata: la tregua che il protagonista riesce a concludere privatamente con il nemico e i benefici che ne conseguono. La commedia mostra già tutta la maestria compositiva e linguistica del grande comico. La traduzione che accompagna il testo rispecchia efficacemente la vivacità della scrittura aristofanea, con il variare dei ritmi, i continui scarti stilistici, i giochi allusivi e manipolatori della lingua. L’introduzione e un agile commento accompagnano il lettore alla scoperta della complessa partitura drammaturgica che si rivela a un’attenta considerazione del testo.

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2013 Interrogare il passaro

2013 Interrogare il passato.

Interrogare il passato. Lo studio dell’antico tra Otto e Novecento, Carocci, 2013.

I maggiori studiosi del mondo classico degli ultimi due secoli hanno sempre avuto occhi e orecchi attenti al rapporto tra la loro disciplina e la società in cui vivevano. Il libro ripercorre le esperienze di alcuni grandi maestri dell’antichistica: Friedrich August Wolf tra Goethe e Schelling, Wilamowitz e Nietzsche di fronte all’affermarsi dell’impero prussiano, Werner Jaeger e Bruno Snell nell’Europa lacerata dall’avvento del nazismo, Jean-Pierre Vernant tra marxismo e strutturalismo, fino al filologo immaginato da Thomas Mann come suo alter ego nel Doctor Faustus, nella ricorrente memoria dell’intransigenza di Lutero e della compiacente tolleranza di Erasmo da Rotterdam. Il lettore è così condotto, fuori di ogni tecnicismo ma sempre nel merito della disciplina, fino al più recente classicismo invocato come fulcro di una pretesa identità occidentale.

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2016 Storia della filologia classica

2016 Storia della filologia classica.

Con G. Ugolini, Carocci, 2016.

Il volume traccia un profilo storico della filologia classica negli ultimi due secoli e mezzo, da quando cioè si è venuta definendo come disciplina autonoma, focalizzando l’attenzione sugli snodi teorici e metodologici attraverso cui si è sviluppata, sulle figure degli studiosi più significativi, sulle discussioni e le polemiche che ne hanno segnato il procedere, sui nessi con lo sfondo istituzionale e il contesto storico in cui ha operato. Il percorso diacronico è scandito in tre parti. Nella prima si parte dal modello della filologia anglosassone di Richard Bentley per arrivare all’istituzionalizzazione della disciplina nel mondo accademico tedesco (Heyne e soprattutto Wolf) e nella realtà scolastica (Wilhelm von Humboldt). Nella seconda si analizzano i contributi teorici e le principali dispute metodologiche che hanno avuto come protagonisti, tra gli altri, Lachmann, Hermann, Boeckh, Nietzsche e Wilamowitz. La terza e ultima parte è dedicata alla ridefinizione degli studi classici in Germania (Jaeger) e in Italia (Pasquali), all’apporto della papirologia, alle nuove immagini dell’antichità venute a delinearsi nelle opere di scrittori, narratori, registi e traduttori del nostro tempo, e infine ai personaggi più significativi degli ultimi decenni: Snell, Dodds, Vernant, Gentili, Loraux.

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2017 Tempo senza tempo

2017 Tempo senza tempo

Tempo senza tempo. La riflessione sul mito dal Settecento a oggi, Carocci, 2017.

Che cos’è un mito? La sua definizione dipende dal contenuto, dalla struttura narrativa o dalla funzione sociale che assolve? Con questo tema si sono confrontate eminenti figure di studiosi di diversa origine e differenti interessi: Heyne, Nietzsche, Propp, Mann, Lévi-Strauss, Pavese, solo per citarne alcuni. Le loro riflessioni hanno mostrato che i racconti che definiamo miti hanno costituito o continuano a costituire un’espressione particolarmente significativa dell’immaginario di una società, di cui compendiano fedi religiose, credenze comuni, paradigmi di comportamento. Rievocando i termini essenziali di questo bisecolare dibattito, l’autore ne evidenzia i rapporti con il più vasto processo di trasformazione intellettuale della società europea.

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2018 Aristotele, La vita

2018 Aristotele, La vita

Con Mario Vegetti.

Alcune sue teorie furono confutate solo nel Settecento, altre ancora dopo. La biologia di Aristotele (Stagira 383/4 a.C. – Calcide 322 a.C.) è studio scientifico di tutti i viventi, espressa attraverso trattati e trattatelli costituiti da appunti, dispense, opere interne alle aule del Liceo, non di prima mano del maestro. D’altra parte in tale veste ci sono giunte quasi tutte le opere aristoteliche, ben poco abbiamo di quelle rifinite, lineari, rivolte al pubblico esterno alla scuola. Dai trattati sui viventi dobbiamo aspettarci dunque un linguaggio a tratti aspro, ripetitivo, non sempre coerente, che molto fa rimpiangere l’assenza della voce di Aristotele che glossava, aggiungeva, spiegava. Siamo inoltre di fronte a due enormi novità: prima, non esisteva una scienza dei viventi, inoltre prima di Aristotele nessuna scienza era espressa in testi che non mescolassero diverse discipline, senza escludere la teologia e il sacro. Qui invece troviamo le “Ricerche sugli animali”, che descrivono quasi seicento specie diverse di animali direttamente osservati, classificati nelle “Parti degli animali” con la distinzione fondamentale tra ovipari e vivipari, nonché per esempio l’attribuzione di balene e delfini ai mammiferi, per il loro respirare tramite polmoni e non tramite branchie. La “Riproduzione degli animali” descrive la riproduzione sessuale, intesa come l’infusione attiva della forma da parte del maschio nella materialità della femmina. A brevi opere sulla percezione, la memoria, il sonno, i sogni, la lunghezza della vita e la respirazione segue il trattatello sul Moto degli animali, movimento che viene ricondotto alla forza di un assoluto primo immobile, necessario a ogni forma di mobilità.

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Alcune sue teorie furono confutate solo nel Settecento, altre ancora dopo. La biologia di Aristotele (Stagira 383/4 a.C. - Calcide 322 a.C.) è studio scientifico di tutti i viventi, espressa attraverso trattati e trattatelli costituiti da appunti, dispense, opere interne alle aule del Liceo, non di prima mano del maestro. D'altra parte in tale veste ci sono giunte quasi tutte le opere aristoteliche, ben poco abbiamo di quelle rifinite, lineari, rivolte al pubblico esterno alla scuola. Dai trattati sui viventi dobbiamo aspettarci dunque un linguaggio a tratti aspro, ripetitivo, non sempre coerente, che molto fa rimpiangere l'assenza della voce di Aristotele che glossava, aggiungeva, spiegava. Siamo inoltre di fronte a due enormi novità: prima, non esisteva una scienza dei viventi, inoltre prima di Aristotele nessuna scienza era espressa in testi che non mescolassero diverse discipline, senza escludere la teologia e il sacro. Qui invece troviamo le "Ricerche sugli animali", che descrivono quasi seicento specie diverse di animali direttamente osservati, classificati nelle "Parti degli animali" con la distinzione fondamentale tra ovipari e vivipari, nonché per esempio l'attribuzione di balene e delfini ai mammiferi, per il loro respirare tramite polmoni e non tramite branchie. La "Riproduzione degli animali" descrive la riproduzione sessuale, intesa come l'infusione attiva della forma da parte del maschio nella materialità della femmina. A brevi opere sulla percezione, la memoria, il sonno, i sogni, la lunghezza della vita e la respirazione segue il trattatello sul Moto degli animali, movimento che viene ricondotto alla forza di un assoluto primo immobile, necessario a ogni forma di mobilità.

«aut aut» n. 184. Nuove antichità (Vernant, Lanza, Sircana, Casagrande, Vecchio, Ferrari).

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Euripide, Le tragedie. A cura di A. Beltrametti e un saggio di D. Lanza

Euripide, Le tragedie. A cura di A. Beltrametti e un saggio di D. Lanza

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Lo spazio letterario della Grecia antica

Lo spazio letterario della Grecia antica

Lo spazio letterario della Grecia antica01

Lo spazio letterario della Grecia antica

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Senofonte, Economico

Senofonte, Economico.

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Storia del mondo antico

Storia del mondo antico.


Rossella Saetta Cottone, Philippe Rousseau, Diego Lanza, lecteur des œuvres de l'Antiquité

Rossella Saetta Cottone, Philippe Rousseau,
Diego Lanza, lecteur des œuvres de l’Antiquité, OpenEdition Books

Bibliographie de Diego Lanza

 

Marina Ivanovna Cvetaeva (1892-1941) – Non occorre nulla di straordinario intorno a noi se dentro di noi nulla è ordinario.

Marina Cvetaeva 02
«Non occorre nulla di straordinario intorno a noi
se dentro di noi nulla è ordinario».

Marina Ivanovna Cvetaeva, Deserti luoghi. Lettere (1925-1941), a cura di S. Vitale, Adelphi, Milano 1989.



Marina Ivanovna Cvetaeva (1892-1941) – Tutto ciò che amo lo amo di un unico amore
Salvatore Fiume, A Susette (Ritratto di Marina Cvetaeva), 1956.

Edgar L. Doctorow (1931-2015) – Al momento «human rights» si riferisce soltanto agli standard di trattamento che ci attendiamo di ricevere dal nostro oppressore dopo che egli ci abbia privato di tutti i nostri diritti

E.L.Doctorow 01

«Human rights è divenuta un’espressione molto ricorrente nel nostro linguaggio politico. Quando è stata introdotta essa si riferiva tendenzialmente al diritto di parlare liberamente, di avere l’opinione politica che si preferiva, di essere giudicati rapidamente e secondo le garanzie di legge qualora si fosse stati accusati di un delitto […]. Ma sotto la pressione di pratiche diffuse in tutto il mondo, il termine ha assunto un significato più umile. Al momento human rights si riferisce agli standard di trattamento che ci attendiamo di ricevere dal nostro oppressore dopo che egli ci abbia privato di tutti i nostri diritti […] il diritto a non essere torturati, mutilati, ridotti in schiavitù o messi a morte senza processo».

 

Edgar L. Doctorow, Onvell’s 1984, in Id., Jack London, Hemingway, and the Constitution. Selected essays, 1977-1992, Random House, New York 1993, p. 65. Cfr. Anche Richard Alexander Bauman, Human Rights in Ancient Rome, Routledge, London 2000.

Magna Carta o “Grande Carta” è stato uno dei primi documenti al mondo che conteneva impegni da parte di un sovrano nei confronti del suo popolo a rispettare determinati diritti legali
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti ratificata dal Congresso continentale il 4 luglio 1776
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale di Francia, il 26 agosto 1789

Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo è meccanocentrico. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Il nostro dovere è rifiutare l’acquiescenza. Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido.

Margherita Guidacci_Il nostro mondo 1945

 

Margherita Guidacci, Il nostro mondo, 1945

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Margherita Guidacci

Il nostro mondo

[1945]



Così scriveva nel 1945, a 24 anni:

Il nostro mondo è meccanocentrico.
La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra.
Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno.
Ma più ci interessa la sua rovina mentale.
Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia.

La Germania è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane», persone, è un’invenzione dell’altro campo.

Chiaro è il nostro dovere.
Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre.
Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano.
Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido.



Il mondo dominato dall’idea di Dio

Vi sono state epoche in cui l’uomo, nella sua vita individuale e collettiva, era dominato dall’idea di Dio.
Tutto ciò che faceva e subiva era interpretato religiosamente.
Le sue azioni erano considerate in base alla conformità a principi superiori. Le trasgressioni, quando accadevano, erano sempre sentite come tali: l’uomo peccava allora ad occhi aperti, responsabilmente, conservando con ciò una sorta di ribelle grandezza, o riscattandosi in parte nel metafisico strazio del rimorso di cui si investiva nell’atto stesso di peccare.
Il peccatore sapeva volere e soffrire il suo peccato come il santo voleva e – diversamente – soffriva la sua santità.
Il peccatore ed il santo, agli antipodi nella situazione morale si sentivano giudicati da una stessa legge, e ad essa cercavano, con la stessa spontaneità, riferimento, per «fare il punto» del loro itinerario spirituale. Liberi gli individui di deviare a Est o a Ovest, la società era concorde nel riconoscere un unico Nord. E questo Nord era Dio.

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L’uomo guidato dalla coscienza di se stesso

In altre epoche l’uomo si è fatto guidare dalla coscienza di se stesso. Dalla coscienza della bellezza e dignità del proprio corpo e della propria anima, dell’importanza e della perfezione dell’uno e dell’altra.
Sono le epoche che chiamiamo antropocentriche. Nelle altre, che chiamiamo teocentriche, l’uomo considera specialmente il fatto di trovarsi sul più basso gradino del mondo invisibile, e volge lo sguardo verso il sommo della scala dove stanno i poteri superiori. Nelle epoche antropocentriche l’uomo si interessa soprattutto al fatto che questo limite inferiore dell’invisibile costituisce insieme il limite superiore del visibile e perciò da esso si rivolge indietro, a mirare il mondo della natura di cui si sente giustamente il vertice, e tende ad affermare in esso la sua signoria.

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Epoche teocentriche ed epoche antropocentriche

Ogni epoca civile è teocentrica o antropocentrica.
La società ideale dovrebbe essere l’uno e l’altro insieme e nello stesso grado: i due aspetti dell’uomo – inferiorità al soprannaturale, superiorità alla natura – ungualmente sentiti e ugualmente tenuti presenti nella speculazione come nell’azione. Tale sarebbe la vera società cristiana: teocentrismo e antropocentrismo insieme: poiché Cristo è Dio e Uomo.

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La nostra società non è teocentrica né antropocentrica

La nostra società non è teocentrica né antropocentrica.
Tanto meno è cristiana, poiché il Cristianesimo esige tutti e due quegli elementi e noi non ne possediamo più neanche uno.
Tanto meno è civile, se diamo ancora alla parola civiltà un contenuto positivo, e non ci rassegnamo ad umiliarla nella triste, derisoria inflazione che hanno già subíto altre grandi parole come libertà e giustizia.

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Gli antichi agivano in nome di Dio e in nome dell’uomo

Gli antichi oscillarono fra i valori divini e i valori umani, ora mettendo più forte l’accento sui primi, ora sui secondi.
Ma noi abbiamo soppresso gli uni e gli altri. È in questo che consiste l’essenza mostruosa del mondo contemporaneo, la nostra orrenda novità. Poiché veramente nella nostra storia non si può parlare, nemmeno in senso lato, di ricorsi. Non c’è avvenimento passato che possa orientarci per scoprire la nostra probabile destinazione. Siamo in un mondo del tutto disancorato, di fronte ad una eaperienza ignota e imprevedibile, essendo le sue premesse, le sue condizioni stesse, assolutamente inedite,inedito il principio che ci governa ed al quale noi obbediamo.

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Il nostro mondo è meccanocentrico

Gli antichi agivano in nome di un Dio o in nome dell’uomo.
Ma ad informare le nostre azioni c’è solo un principio meccanico che si contrappone ugualmente a Dio e all’uomo.
Il nostro mondo è meccanocentrico.
La macchina si è interposta tra noi e Dio, sostitutendo alle leggi divine, naturali e rivelate, le proprie leggi, basate solo sui concetti di materia, quantità e movimento.
La macchina s’è interposta fra noi e la natura, falsando e deformando il suo volto ai nostri occhi, togliendoci familiarità con esso, rendendocelo incomprensibile.
L’uomo moderno non si considera più l’anello di congiunzione tra il visibile e l’invisibile: è l’esecutore di leggi meccaniche in un mondo meccanico. La macchina non solo è il suo strumento ma è il suo modello e il suo fine. La vita umana tende sempre più a diventare, sul piano intellettivo come su quello pratico, nell’ambito dell’individuo come nell’ambito dello Stato, una perfetta imitazione della macchina. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Non siamo ormai lontani dal «Brave New Word» di Huxley!

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Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima

Materialismo, senza dubbio, ma bisogna precisare di che specie di materialismo si tratta. La degradazione è più grande di quanto quel termine stesso faccia supporre. «Materialismo» può infatti far pensare che la nostra epoca veda lo sfogo spontaneo dell’animalità dell’uomo, l’esaltazione del suo corpo, come presso le tribù primitive.
Ma le cose stanno per noi molto peggio. Stanno tanto peggio che un semplice materialismo alla maniera maori o malgascia rappresenterebbe, nella nostra situazione, un enorme miglioramento, forse un principio di salvezza.
I feticci dei maori e dei malgasci sono più benigni dei nostri. Nella vita di quei popoli, cacciatori, pescatori o pastori, è almeno valorizzato il corpo, ed il corpo è l’uomo, anche se non è tutto l’uomo. Ma il nostro materialismo nega e distrugge anche il nostro corpo.
La decadenza fisica dovuta al ritmo della vita moderna (quel ritmo che è determinato appunto dal progresso meccanico) e alle condizioni sempre più innaturali che formano l’ambiente dell’uomo, non è che troppo evidente. Si ricordi l’analisi che ne faceva, e i gridi di allarme che lanciava, già molti anni or sono, Alexis Carrell. Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima, la sua resistenza è continuamente diminuita dagli attacchi ora subdoli ora violenti che ci vengono dall’esterno, subisce scosse e ferite profonde che non compensano, a cui anzi per negatività si sommano, le eccitazioni brutali che d’altro canto ci vengono offerte.
Esclusi dalla civiltà come siamo, non abbiamo neanche i benefici fisici della barbarie. E la differenza fra la nostra e la barbarie primitiva sta proprio in questo: la nostra è una barbarie che non fa nemmeno bene alla salute.

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Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno

Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno. Ma più ci interessa la sua rovina mentale. Siamo in un tempo in cui il pensiero è un atto di coraggio e di ribellione. Non intendo parlare delle particolari coercizioni in cui ci siamo di recente trovati, né di determinate forme di pensiero a cui quelle coercizioni si applicavano e nuove coercizioni potrebbero applicarsi e si applicheranno. Tutto ciò è grave, ma più grave forse è la constatazione che la tendenza stessa, generale, del nostro tempo, l’oscura sotterranea corrente che lo pervade ed alla cui superficie galleggiano poi i vari fatti politici, va contro il Pensiero: non questo o quel pensiero, ma il Pensiero in se stesso, come attività.
Se gli organi del pensiero fossero stati davvero acquistati dall’uomo durante un’evoluzione, verrebbe fatto di credere che egli subisca ora una nuova evoluzione per riperderli.
Si pensi alla percentuale di umanità che nelle fabbriche – questi santuari del dio moderno – passa la vita nella ripetizione di un gesto meccanico, come alzare e abbassare una leva, o incastrare identiche ruote in identici ingranaggi; si pensi al numero parimenti infinito delle persone che negli organismi burocratici (dove il meccanicismo non è minore per il fatto di essere immateriale) lavorano asceticamente al proprio rincretinimento. Si può dire che due terzi delle azioni a cui l’uomo è attualmente costretto per procurarsi da vivere sono – considerate immediatamente e intrinsecamente – assurde: atte a paralizzare lo sviluppo della sua stessa personalità, spesso a disgregarla completamente.

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Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia

Lo sterminio perpetrato dalla Germania e la bomba atomica dell’altro campo

Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia. È questo il punto centrale intorno al quale gravitano tutti i mali del nostro tempo. Il meccanicismo pratico tende a fare dell’uomo una macchina, o un pezzo, un accessorio di macchina. Non diversamente agiscono i meccanicismi ideologici. Ho detto sopra che alle leggi religiose si sono sostituite leggi fondate esclusivamente sulla materia, la quantità e il movimento. La catastrofe mondiale di cui siamo stati attori e spettatori può illuminarci meglio di qualsiasi cosa sulla portata e le conseguenze di questa concezione. Abbiamo veduto masse di uomini e di armi lanciate contro altre masse di uomini e di armi come se in realtà non vi fosse nessuna differenza fra gli elementi animati e quelli inanimati, come se un individuo non fosse che un’arma meno efficace in se stessa ma necessaria per azionare le altre. E sarebbero avvenuti bombardamenti terroristici, sarebbero state distrutte tante città se a un agglomerato di persone fosse stata riconosciuta un’importanza superiore a quella di un agglomerato di macchine o di un deposito di carburante?
La Germania, la nazione provocatrice, è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane» che, malgrado la loro nazionalità e il loro colore noi ci ostiniamo a chiamare persone, è un’invenzione dell’altro campo. E dopo questo ci domandiamo se lo spirito che urgeva sconfiggere sia stato realmente sconfitto, o se piuttosto, alzatosi, come da un piedistallo, dalla Germania, non vada ora battendo le ali per tutto il mondo.

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Numero contro numero

«Io non ti odio, non ti conosco nemmeno, ma ti uccido perché tu sei parte di un insieme che si trova in urto con l’insieme di cui faccio parte io». Così sono stati compiuti la maggior parte dei delitti della guerra e dei partiti. Non il colpo diretto dell’uomo contro l’uomo. Ma numero contro numero, elemento di una serie contro elemento di un’altra serie, astrazione contro astrazione. In una sorta di innocenza bruta. Poiché la personalità umana è talmente disgregata che anche il peccato attuale – fino alla forma atroce dell’omicidio – sembra aver perduto i suoi caratteri distintivi, esser divenuto qualcosa di informe, di anonimo, di collettivo, di passivo. Avremo mai un ritorno – nella realtà, non a parole – a princípii di individualità e di responsabilità?
Intanto, grazie ai princípii contrari, il sangue umano è stato versato con l’indifferenza di un lubrificante. Il sangue che renderà per noi o contro di noi una così arcana testimonianza!
Poiché tre rendono testimonianza sulla terra: lo spirito, l’acqua e il sangue.

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Qualche sorso dell’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità

Non sappiamo, abbiamo detto, dove il mondo moderno si avvii. Non ci preme neanche saperlo. Non ci preme indagare. È abbastanza, per noi, sapere cosa abbiamo perduto: abbiamo perduto Dio e l’uomo. Un’altra cosa importante sappiamo: che per ritrovarli non si può semplicemente rifare all’indietro i passi che abbiamo fatto in avanti (e che chiamiamo progresso, rallegrandoci al suono della parola come se ogni progresso fosse un bene, anche il progresso di un’infezione fosse un bene).
Qualche sorso d’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità. Ma è altrettanto certo che l’umanità non si sottoporrà mai a qusta cura, e continuerà invece a mordere fino al torsolo il frutto dell’albero della scienza. A quanto abbiamo perduto bisogna dunque tornare per altra strada, attualmente ignota. Chiaro, tuttavia, fin che essa si sveli, è il nostro dovere. Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre; rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano.

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Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano
Di fronte alla Verità occorre gridare dal profondo

Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido. Forse giungerà ad altri e sveglierà in essi l’identico disagio. E quando la coscienza di essere uomini, con tutto ciò che questa parola significa, dalla creta al suggello divino, e di esserci offesi e traditi da noi stessi, sarà diventata universale, sarà già cominciata la nostra lenta resurrezione.
Ma anche se il nostro grido fosse destinato a morire senza echi, noi dobbiamo ugualmente innalzarlo – perché sia stato innalzato, perché di fronte alla Verità qualcuno abbia gridato dal profondo. E in questo senso avrà peso, non sarà perduto, anche se fossimo perduti noi e ormai incapaci di operare altro che la nostra condanna – e solo per forza o per sorpresa Dio potesse ricondurci, secondo i suoi occulti disegni, a qualcuna delle realtà che ci sono patria.

Margherita Guidacci, Il nostro mondo, in «Rassegna», a. I, n. 5, settembre 1945, pp. 40-44.

 

Margherita Guidacci

Sibille

Seguito da Come ho scritto “Sibille”

A cura di Ilaria Rabatti

indicepresentazioneautoresintesi

Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive; erano per me delle persone reali, in carne ed ossa. Naturalmente, sono completamente disposta ad ammettere che esse non erano che delle proiezioni del mio inconscio. […] Come poeta, poco m’importa di obbedire a impulsi razionali o irrazionali – e meno che mai di compilarne un catalogo – purché essi siano vitali e si tradu­cano in un’opera. È il poiein, il fare che interessa al poeta e non il sottile scandaglio sul come o il perché del poiein. Razionale o irrazionale, ciò che l’aiuta ad ottenere un risultato è sempre il benvenuto. Se l’incon­scio mi ha aiutata a scrivere le Sibille, io gli sono grata: ha dimostrato di possedere immaginazione, memoria e passione. Spero bene che vorrà darmene altre prove in futuro. Che lo faccia lui o la parte razionale del mio essere, certamente non sarà in ogni caso nelle forme già sperimentate: se contassi sul loro ripetersi, mi sbaglierei totalmente. Gli esseri umani, e soprattutto gli artisti, possono sempre riservare nuove sorprese.

In questo senso, ancora oggi, mi apro fiduciosa al futuro.

Margherita Guidacci

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Cominciando dalla fine

di Ilaria Rabatti

L’incontro con un libro racchiude sempre una storia. Ripubblicare oggi Sibille, dopo trent’anni dalla loro prima uscita in volume presso Garzanti nel 1989, è per me come chiudere un cerchio. Alle Sibille sono infatti profondamente legata perché quelle poesie – le ultime pubblicate dalla poetessa ancora in vita – sono state anche le prime che ho letto di Margherita Guidacci. Ho conosciuto infatti la sua poesia cominciando dalla fine, risalendo solo successivamente alla sorgente limpida della sua prima raccolta, La sabbia e l’Angelo, accorgendomi così, man mano che andavo avanti nella lettura, di quanto quella voce, profonda e potente nella sua apparente semplicità, dentro le parole mi parlasse.

Alla fine dei miei studi universitari a Firenze, nel 1996, io non sapevo nulla di Margherita Guidacci. Sapevo solo che quello era il titolo della mia tesi di laurea in letteratura italiana moderna e contemporanea, assegnatomi da Maura Del Serra dopo la bocciatura della mia prima scelta, Alda Merini, per cui nutrivo allora una specie d’incantata venerazione. Ricordo che dopo il colloquio con la mia professoressa, uscii dal dipartimento di italianistica un po’ disorientata, con in testa il nome di Margherita a caratteri cubitali, il suo volto sconosciuto e il buio immenso intorno. Tuffarsi subito nella lettura, pensavo, mi avrebbe aiutato a fare luce ed allora, ingenuamente, mi venne l’immediato impulso di avviarmi dritta e veloce in libreria. Allora, ripeto, ingenuamente, pensavo che la letteratura fosse custodita anche nelle librerie. Andai alla Marzocco in via Martelli, che, proprio davanti al mio liceo, era stata il luogo magico di tante scoperte bellissime, sicura di trovarvi quello che cercavo. Restai malissimo quando mi resi conto che sugli scaffali di Guidacci non c’era proprio nulla. Per fortuna da Marzocco vi lavorava Carlo Manzini, un fine e introverso libraio, che aveva conosciuto bene Margherita (così mi raccontò lui stesso) e che, proprio in virtù di quell’antica amicizia e, forse, del mio sguardo smarrito, mi prese in simpatia, e si dette un gran daffare per aiutarmi. Successe, come sempre succede, l’imprevedibile, ma per me fu un “segno”. Manzini, cercando bene in un angolo poco accessibile del negozio riuscì a scovare una copia “dimenticata” dell’unico libro di Margherita ancora in commercio, Il buio e lo splendore, appunto. Ho letto d’un fiato quelle pagine, senza neanche aspettare di arrivare a casa, appoggiata ad uno scaffale della libreria, cominciando, senza saperlo, tra apprendistato e iniziazione, uno dei viaggi più importanti della mia vita. Rubando a Paolo Nori un’immagine bellissima, potrei dire infatti che in quel momento, se fossi stata attenta, avrei sentito il rumore degli scambi del treno della mia vita che si spostavano, che portavano tutto in un’altra direzione.

Da allora non ho più dimenticato quella lettura che mi ha fatto scoprire la bellezza e la paura di lasciarsi andare, permettendo alla vita di farsi strada. E tutto quello che ho fatto e letto dopo, misteriosamente, s’è incamminato in quella direzione, illuminandola. Non ho dimenticato neppure quella libreria – diventata, ahimè, oggi un lussuoso negozio di prelibatezze gastronomiche – e quell’amico libraio sempre vivi e fantastici nel ricordo.

Ricongiunta in un anello di tempo e di nostalgia (1989-2019), affido dunque la voce “rivelata” delle Sibille a nuovi lettori, immaginando che, nonostante il rumore di fondo che abita i nostri giorni, essa conservi ancora intatta la forza di farsi ascoltare, ognuno ritrovandovi dentro, insieme al respiro, anche solo una piccolissima scheggia del proprio itinerario di libertà.

Indice

Sibyllae / Ellespontica / Cimmeria / Samia / Libica / Frigia / Persica / Eritrea / Tiburtina / Cumana I / Cumana II / / / Cumana III / Cumana IV / Cumana V / Delfica I / Delfica II / Delfica III

Sulle Sibyllae

Sibyllae

Note particolari sulle Sibyllae

Comment j’ai écrit Sibylles

Come ho scritto Sibille

Note di I. Rabatti alla traduzione

 

Ilaria Rabatti, Cominciando dalla fine


Margherita Guidacci

La voce dell’acqua

Quaderno di traduzioni [autori tradotti: William Blake, Hilda Doolitle, Thomas S. Eliot, Gabriela Mistral, Richard Eberhart, Robert Frost, Archibald MacLeish, Ezra Pound, Tu Fu, Mao Tse-tung, Federico García Lorca, Vicente Aleixandre, Jorge Guillén, Cristopher Smart, Marie Under, Kathleen Raine, Henrik Visnapuu, Francis Thompson, Czeslaw Milosz, Elizabeth Bishop, John Keats], a cura di Giancarlo Battaglia e Ilaria Rabatti.

 
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Margherita Guidacci

Prose e interviste

a cura di Ilaria Rabatti

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Margherita Guidacci

Il fuoco e la rosa. I Quattro Quartetti di Eliot e Studi su Eliot

a cura di Ilaria Rabatti

 
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Margherita Guidacci

Il pregiudizio lirico. Consigli a un giovane poeta

a cura di Ilaria Rabatti

 
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Margherita Guidacci – Margherita Pieracci Harvell

Specularmente. Lettere, studi, recensioni

a cura di Ilaria Rabatti

 

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Ilaria Rabatti

Tra poesia e profezia: Il buio e lo splendore. L’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci
indicepresentazioneautoresintesi

 

Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo.
Margherita Guidacci, Margherita Pieracci Harvell – «Specularmente. Lettere, studi, recensioni». A cura di Ilaria Rabatti
Margherita Guidacci (1921-1992) – Voi, guardie e doganieri, perché non chiedete il passaporto al tordo e al colombaccio? Si faccia dunque un bando rigoroso perché ogni uccello resti confinato nel proprio cielo territoriale. Fino a quel giorno anch’io, con tutti gli uomini, rifiuterò le frontiere.
 
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo.
Margherita Guidacci (1921-1992) – «Sibille». Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive. erano per me delle persone reali, in carne ed ossa.
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in questi vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo …
Margherita Guidacci (1921-1992) – Sono i pazzi quelli che hanno ragione, in una società disumana e soffocante come la nostra. Si impazzisce perché si ha l’impressione che il mondo non sappia che farsene dell’anima né delle sue facoltà più importanti, come ad esempio l’immaginazione.

Aulo Gellio (125-180) – Humanitas è paidéia. Coloro che con sincerità aspirano ad esse, sono di gran lunga i più umani (“vel maxime humanissimi).

Aulo Gellio 01


Qui verba Latina fecerunt quique his probe usi sunt, “humanitatem” non id esse voluerunt, quod volgus existimat quodque a Graecis philanthropia dicitur et significat dexteritatem quandam benivolentiamque erga omnis homines promiscam, sed “humanitatem” appellaverunt id propemodum, quod Graeci paideian vocant, nos eruditionem institutionemque in bonas artis dicimus. Quas qui sinceriter cupiunt adpetuntque, hi sunt vel maxime humanissimi. Huius enim scientiae cura et disciplina ex universis animantibus uni homini datast idcircoque “humanitas” appellata est.

 

Coloro che hanno creato le parole latine e coloro che le hanno usate correttamente, non hanno voluto che humanitas significasse ciò che significa nell’uso comune e che i Greci definiscono col termine philanthropia: ossia una disponibilità e una benevolenza rivolta indiscriminatamente verso tutti gli uomini. Piuttosto hanno usato humanitas nel senso in cui i Greci usano paidéia, ciò che noi definiamo piuttosto erudizione ed educazione nelle arti liberali. Infatti, coloro che con sincerità ambiscono e aspirano ad esse, sono anche di gran lunga i più umani (vel maxime humanissimi), perché la ricerca di queste conoscenze e l’educazione che ne deriva, fra tutti gli esseri animati sono state concesse solo agli uomini. Ecco perché è chiamata humanitas.

 

Aulio Gellio, Noctes Atticae, XIII, 17.


Aulo Gellio così come raffigurato
nel frontespizio dell’edizione delle Noctes Atticae,
pubblicata nel 1706 dai filologi Johann Friedrich e Jacob Gronov

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