Stig Dagerman (1923-1954) – La vita umana non è una prestazione, ma è uno svilupparsi e ampliarsi verso la perfezione. E ciò che è perfetto non dà prestazioni, opera nella quiete.

Stig Dagerman

Attenti al cane

«Certo è deplorevole
che gente che vive di sumdi
tenga poi un cane»,
ha dichiarato un responsabile
della Previdenza Sociale
nel Viirmland.
La legge ha i suoi difetti.
I poveri han diritto di tenere un cane.
Potrebbero tenere dei topi, invece:
van bene anche loro e sono esentasse.
Se ne stanno in anguste stanzette
coi loro costosi bastardi.
Perché non giocano con le mosche?
Non sono animali da compagnia?
E al Comune tocca pagare.
Bisogna farIa finita
o c’è da temere
che si comprino delle balene.
Una decisione va presa:
abbattere i cani. Non è una buona idea?
Il prossimo provvedimento: abbattere i poveri
Così il Comune risparmierà qualcosa.

Stig Dagerman

«È privo di senso sostenere che il mare esiste per sostenere flotte e delfini. Lo fa, certo, mantenendo però la sua libertà. Ed è altrettanto privo di senso affermare che l’uomo esiste per qualcos’altro che non sia il vivere […]. Se i pianeti potessero amare uscirebbero dalle loro orbite […]. Anche l’uomo che ama ha il presentimento che l’amore sia fratello della morte. Ma questo non gli impedisce, lui prigioniero della sua orbita, di aprirsi una breccia fino alla cella del vicino, gridando con gioia: Sono libero! […] Depongo dunque il fardello del tempo dalle mie spalle e, con esso, quello delle prestazioni che da me si pretendono. La mia vita non è qualcosa che si debba misurare. Né il salto del capriolo né il sorgere del sole sono delle prestazioni. E nemmeno una vita umana è una prestazione, ma uno svilupparsi e ampliarsi verso la perfezione. E ciò che è perfetto non dà prestazioni, opera nella quiete».

Stig Dagerman, Il nostro bisogno di consolazione, Iperborea, Milano 2015.

 

Descrizione

L’inalienabile aspirazione umana alla felicità, alla libertà, al riscatto, al diritto di esistere senz’altra giustificazione che la propria inviolabilità e insie­me la disperata consapevolezza che rimarranno irraggiungibili: è questa la toccante confessione di uno scrittore malato del male di vivere e che ha sempre sentito di “attirare il dolore come un amante”. Benché Il nostro bisogno di consolazione non sia l’ultima opera di Dagerman, appare come un vero e proprio testamento spirituale, in cui si leggono fra le righe i motivi del suo silenzio finale e del suo suicidio. Schiavo del proprio nome e del proprio talento al punto di non avere “il coraggio di farne uso per il timore di averlo perso”, osses­sionato dal tempo e dalla morte, incapace di sottrarsi alle pressioni che si sente imporre dalla società e più ancora dalla propria intransigenza, resta tuttavia convinto che il valore di un uomo non può essere misurato dalle sue prestazioni e che nessuno può richiedergli tanto da intaccare la sua voglia di vivere. Vi sono sempre le parole da opporre a ogni tipo di sopraffazione, “perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà”. Ma se anche queste non bastano, rimane il silenzio, “perché non esiste ascia capace di intaccare un silenzio vivente”.



Sergio Rinaldelli – Come una foglia a primavera. Pagine di diario (2000-2018)

Sergio Rinaldelli 01

Sergio Rinaldelli

Come una foglia a primavera

Pagine di diario (2000-2018)


indicepresentazioneautoresintesi


Ho iniziato a tenere un diario in giovane età, parallelamente alla scoperta della pittura, che è divenuta nel tempo scelta di vita. Scrittura e pittura sono procedute da allora di pari passo: la prima, affiancando il ruolo principale di autoanalisi a quello non meno importante di supporto critico ed elemento di verifica nei confronti della seconda; questa, a sua volta, rifondendo non di rado le proprie immagini in una trama narrativa, chiudendo il cerchio in un’ideale continuità espressiva.
Il libro raccoglie una scelta di brani degli ultimi venti anni, che in pittura coincidono con l’abbandono della figurazione iniziale per una maggior semplificazione compositiva, volta alla riformulazione in chiave astratta di elementi naturalistici nell’ottica di un’ interpretazione simbolica del visibile.
 Dopo la laurea in Lingue e letterature slave, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Come pittore ho tenuto molte mostre personali e partecipato a collettive in Italia e all’estero; ho realizzato illustrazioni per libri di poesia e riviste letterarie. Fra le opere presenti in collezioni private e pubbliche, amo ricordare una serie di chine dedicate all’opera di Cristina Campo, acquisite dalla Biblioteca Marucelliana di Firenze.
La mia attività è documentata presso il Kunsthistorisches Institut in Florenz; la Biblioteca Nazionale Centrale, la Biblioteca Marucelliana e l’Istituto Olandese di Storia dell’arte di Firenze; la Biblioteka Jagiellońska di Cracovia, Polonia.

 




Thomas Mann (1875-1955) – Sì, oggi vengon su gli istituti industriali e gli istituti tecnici e le scuole di commercio; il ginnasio e l’educazione classica sono improvvisamente ‘bétises’ e tutti pensano a niente altro se non a miniere … a industrie … e a far soldi … bravi! Ma anche un poco stupido, no?

Thomas Mann 026
Thomas Mann, Buddenbrooks. Verfall einer Familie .
Copertine dell’edizione originale del 1901. Prima ed. it. :1930.

«Ideali pratici … sì, certo … », il vecchio Buddenbrook, in una pausa concessa alle sue mascelle, giocherellava con la tabacchiera d’oro, «Ideali prarici … no, non sono nulla favorevole!».
Per il dispetto scivolò nella parlata dialettale:
«Sì, oggi vengon su gli istituti industriali e gli istituti tecnici e le scuole di commercio; il ginnasio e l’educazione classica sono improvvisamente bétises e tutti pensano a niente altro se non a miniere … a industrie … e a far soldi … bravi!
È tutto, molto bravi!
Ma d’altra parte, con l’andar del tempo, un poco stupide, no?».

Thomas Mann, Buddenbrooks. Decadenza di una famiglia, Introduzione di Cesare Cases, Traduzione di Anita Rho, 2 voll., vol.  I, Einaudi, Torino 2014.

*
***
*

Thomas Mann – La conoscenza umana e l’approfondimento della vita umana hanno un carattere di maggiore maturità che non la speculazione sulla Via Lattea. Il vero studio dell’umanità è l’uomo

Thomas Mann (1875 – 1955) – L’arte è come se ricominciasse ogni volta da capo. Essa non minaccia la vita poiché è creata per dare alla vita la vita dello spirito. È alleata del bene, e nel suo fondo vi è la bontà. Nata dalla solitudine, il suo effetto è il ricongiungimento.

Thomas Mann (1875-1955) – L’uomo era dunque il prodotto della curiosità di Dio di conoscere se stesso. Ma anche la Somma Saggezza poteva non bastare del tutto a prevenire errori.


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Cesare Pavese (1908-1950) – C’è una vita da vivere, ci sono delle biciclette da inforcare, marciapiedi da passeggiare e tramonti da godere. La Natura insomma ci chiama.

Cesare Pavese in bicicletta copia

Leggo, per quanto è possibile, soltanto ciò di cui ho fame,

nel momento in cui ne ho fame, e allora non leggo: mi nutro.

Simone Weil

Cesare Pavese. La vita, le opere, i luoghi
Franco Vaccaneo, Cesare Pavese. La vita, le opere, i luoghi
Mario Schifani, In sella.

A Giulio Einaudi, Torino.

Torino, 14 aprile 1942

Spettabile Editore,

Avendo ricevuto n. 6 sigari Roma – del che Vi ringrazio – e avendoli trovati pessimi, sono costretto a risponderVi che non posso mantenere un contratto iniziato sotto così cattivi auspici. Succede inoltre che i sempre rinnovati incarichi di revisione e altre balle che mi appioppate, non mi lasciano il tempo di attendere a più nobili lavori. Sì, Egregio Editore, è venuta l’ora di dirVi, con tutto il rispetto, che fin che continuerete con questo sistema di sfruttamento integrale dei Vostri dipendenti, non potrete sperare dagli stessi un rendimento superiore alle loro possibilità.

C’è una vita da vivere, ci sono delle biciclette da inforcare, marciapiedi da passeggiare e tramonti da godere. La Natura insomma ci chiama, egregio Editore; e noi seguiamo il suo appello.

Fatevi fare il Bini da un altro.

Cordialmente. C. Pavese

 

 

La lettera di Cesare Pavese è tratta dal libro Franco Vaccaneo, Cesare Pavese. La vita, le opere, i luoghi, Gribaudo editore, 2009.

 



Cesare Pavese – Leggendo cerchiamo pensieri già da noi pensati

Cesare Pavese – Ritorno all’uomo: la carne e il sangue da cui nascono i libri. Una cosa si salva sull’orrorre: l’apertura dell’uomo verso l’uomo

 



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Massimo Stella – «Madreparola. Risorgenze della Musa tra modernismo europeo e antichità classica». Il dono materno della parola e della voce poetiche è l’onda di una lunga memoria che, dall’Antico al primo Novecento europeo, continua a spirare.

Massimo Stella 01

Madreparola

Madreparola

 

 

Descrizione
Il dono materno della parola e della voce poetiche è l’onda di una lunga memoria che, dall’Antico al primo Novecento europeo, continua a spirare. La verga esiodea della poesia – il meraviglioso ramo d’alloro fiorito, quel simbolo vegetale di fecondità e iniziazione – sta sotto l’insegna della Madre (Mnemosyne), che parla, si muove e incontra il mondo attraverso l’anodos e l’epifania delle sue Figlie (le Muse). Nel futuro-passato della tradizione, saranno, quelle Figlie, le jeunes filles en fleurs della Recherche proustiana, e ancora parleranno al giovane poeta – quasi si rinnovasse in lui la figura millenaria del kouros-cantore – nell’universo creativo della figurazione rilkiana. Il canto delle donne al poeta (così Rilke intitolava uno dei suoi Neue Gedichte), da Fattrici a Fattore, è Terribile: esso rievoca e ridice, per chi “fa” con le sole parole, la gestazione della vita, quella creazione del vivente che, nella lingua dell’uomo, prenderà il nome di “anima”. Il “canto delle donne” e il movimento del loro pensiero sono the Voice of Language, il flusso sonoro del mondo che Joyce, memore quant’altri mai dell’oralità omerica e dell’epos, catturerà, di nuovo (come fosse un’ultima volta?), nel suo libro-poema, restituendoci, in Molly-Penelope, il ritmo immemoriale e incessante della mente creativa.

Dante Gabriel Rossetti - La Donna della finestra

Dante Gabriel Rossetti – La Donna della finestra

Massimo Stella è ricercatore in Critica letteraria e Letterature comparate alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Classicista di formazione, ha studiato nelle Università di Pavia e di Padova. Lavora attualmente sulla ricezione dell’Antico (tra teatro e filosofia) nelle letterature e nel pensiero moderni e contemporanei.
Ha pubblicato, oltre a numerosi saggi in riviste scientifiche internazionali e capitoli di libro (in italiano, francese, inglese, portoghese), le seguenti monografie: Madreparola. Risorgenze della Musa tra modernismo europeo e antichità classica, Mimesis edizioni, 2018; Il romanzo della Regina. Shakespeare e la scrittura della sovranità, Roma, Bulzoni, 2014; Sofocle. Edipo re. Traduzione, Introduzione e Commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2010; Luciano di Samosata. Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino, traduzione, introduzione e commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2007; L’illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens, Grenoble, Editions Jerôme Millon, 2006; e ha curato il volume collettivo sulle sopravvivenze del mito di Edipo nella memoria letteraria europea ed extraeuropea: Edipo. Margini Confini Periferie, Pisa, ETS, 2013 (in collaborazione con Patrizia Pinotti). Ha partecipato e partecipa a gruppi di ricerca nazionali e internazionali – tra i quali, ultimamente, il progetto Cofecub 2015 (collaborazione Parigi CNRS/ENS-Rio UFRJ) sulla tradizione delle poetiche antiche.
È membro di comitato scientifico di riviste internazionali (L’immagine riflessa), membro di comitato editoriale (Collana Testo a fronte – Aracne Editore), svolge attività di referee per Storia delle Donne. Collabora con il manifesto (Alias).

Dante Gabriel Rossetti. Mnemosyne

Dante Gabriel Rossetti. Mnemosyne


Altri libri di Masimo Stella

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2006 L'illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens

L’illusion philosophique. La mort de Socrate sur la scène des Dialogues platoniciens, Grenoble, Editions Jerôme Millon, 2006.

 

Qu’en est-il de l’écriture de Platon hors des sentiers battus de la critique moderne, au-delà des notions traditionnelles de “dialogue” et de “philosophie”? Ce livre prend en considération les dialogues platoniciens comme un unique macro-texte narratif et s’efforce d’y tracer un parcours original au moyen de la mimesis : l’auteur joue avec l’écriture platonicienne et s’y construit un récit ou, plus exactement, la trame d’un récit possible qui devient, au fil des pages, celle de la mort de Socrate. Ce jeu des textes nous présente alors Platon non plus comme un philosophe, un maître ou un théoricien de la politique mais comme le conteur, le narrateur d’une expérience intellectuelle et idéale en lien direct avec la vie de sa cité, à travers l’éros, la mort et le pouvoir.

 

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2007 Luciano di Samosata. Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino

Luciano di Samostata, Vite dei filosofi all’asta. La morte di Peregrino.

Traduzione, introduzione e commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2007.

 

Tra le “Vite dei filosofi all’asta” e “La morte di Peregrino” si apre una medesima scena e si svolge, al contempo, una medesima vicenda del pensiero: è un teatro e una storia della mimesi, con la giostra – un po’ folle e bislacca – delle copie, delle imitazioni, dei simulacri che danzano ormai liberi e festeggianti sulla morte, inequivocabilmente definitiva, della verità. Il grande cadavere è quello della filosofia platonica e di tutte le filosofie che, sulle orme di Platone, hanno voluto porsi sul piedistallo della virtù e della conoscenza vera. Così Luciano, il grande scrittore di Samosata (II secolo d.C.), mette in vendita, anzi in svendita, tutte le filosofie possibili sulla piazza del mercato ed erige un grande rogo su cui, simbolicamente, con l’impostura di Peregrino, sale anche tutta quella vanagloria filosofica che ha spirato con potenti soffi di alterigia per secoli e secoli. Da queste ceneri possono così rinascere la scrittura e il racconto, liberati dai sequestri e dalle ipoteche della verità e della virtù, del bene e della politica. Ha l’aria della vendetta, tutto ciò, e lo è certamente. Ma è anche qualcosa in più. Questa scena, allestita da Luciano tra le “Vite” e il “Peregrino”, è una delle riflessioni più profondamente filosofiche che sia dato di leggere sul “ragno implicito” di ogni filosofia: l’ipocrita recita dell’esemplarità. Se poi questa recita ha già trovato dei pericolosi eredi, come i cristiani…

 

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2010 Sofoche, Edipo re

Sofocle, Edipo re

Traduzione, Introduzione e Commento a cura di Massimo Stella, Roma, Carocci, 2010.

Tragedia del potere, perché cronaca della destituzione d’un capo, tragedia della politica, perché analisi del conflitto tra poteri, l’Edipo re è un’opera teatrale che recide definitivamente i suoi legami con tutte le illusioni della tradizione (il mito, il rito) per farsi “opera di denuncia”: sono i sussurri e le grida di una comunità che divora sé stessa, sotto un cielo senza dèi, su una terra maledetta.

 

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2013 Edipo. Margini e confini

Edipo. Margini Confini Periferie, ETS, Pisa, 2013
(in collaborazione con Patrizia Pinotti).

 

Margini, confini, periferie dell’edipo: territori estremi, liminali e decentrati del mito di Edipo (riformulato da Sofocle) e del suo complesso (secondo Freud) nella geografia politica e culturale dell’Europa Occidentale tra Otto e Novecento, nonché dei suoi domini ed ex-domini coloniali. Questo il nodo problematico e lo snodo temporale intorno ai quali il volume è fondamentalmente costruito.
Su suolo europeo, tra Inghilterra (Dickens, Eliot), Francia (Hugo, Gide, Cocteau), Russia e Austria felix (Dostoevskij Freud) – nell’arco temporale che si estende dall’epopea capitalistico-borghese di seconda metà dell’Ottocento fino alle due guerre – vengono analizzate e studiate le forme latenti e dislocate della configurazione edipica, integrando nel percorso alcuni esemplari rovesciamenti e scardinamenti prodotti, durante gli Anni Settanta, dalla cultura della Contestazione (Morante, Testori, Deleuze e Guattari).
Per altro verso, dall’altra parte dell’Oceano e del Mediterraneo, ritornano, dall’America e dall’Africa (tra Faulkner e Rotimi), vere e proprie figurazioni speculari e distorte della stessa vicenda, storie familiari disfunzionali e post-edipiche, come a rammentare quali violente e regressive conseguenze abbia avuto sulle periferie e sui confini del mondo la vocazione civilizzatrice della civiltà borghese alle prese con i propri disagi.
Non manca l’attenzione per il destino dei personaggi non centrali e/o marginalizzati della storia di Edipo: Giocasta, innanzitutto, e i figli-fratelli dell’incesto, recuperati dal grande alveo della tradizione drammaturgica romana e da Seneca in particolare, per proseguire, con significativi affondi in Shakespeare (la Cordelia/Antigone di Re Lear), attraverso sentieri poco noti del teatro tardorinascimentale e secentesco (Manfredi, Pallavicino), fino al postmoderno (Molinaro). Chiude il volume la traduzione di The Gods Are Not To Blame di Ola Rotimi ad opera di Francesca Lamioni.

 

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2014 Il romanzo della regina

Il romanzo della Regina. Shakespeare e la scrittura della sovranità, Roma, Bulzoni, 2014.


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Francesco Petrarca (1304-1374) – Gloria effimera è cercar fama solo nel barbaglio delle parole: il mio lettore, almeno finché legge, voglio che sia con me. Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto.

Francesco Petrarca 016

petrarca francescoAVVERTENZA PER IL LETTORE

«Io voglio che il mio lettore, chiunque egli sia, pensi a me solo, non alle nozze della figlia o alla notte con l’amante e alle insidie del nemico o al processo o alla casa o al podere o al tesoro; e, almeno finché legge, voglio che sia con me.
Se è preoccupato dai suoi affari, differisca la lettura; quando si avvicinerà ad essa, getti lontano da sé il peso degli affari e la cura del patrimonio …
Non voglio che apprenda senza fatica ciò che senza fatica non ho scritto».

Francesco Petrarca, Familiarium rerum libri (Ai familiari), XIII, 5, 23.


lettaiposteri

«Io non tengo in conto il modo in cui mi sono espresso,
purché abbia vissuto bene:
gloria effimera è cercar fama solo nel barbaglio delle parole».

Francesco Petrarca, Epistoia ai Posteri, c. 1351

Barbaglio

Freccia rossa  Lettere senili – Liber Liber


 

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Giovanni Boccaccio (1313-1375) – «Ah, ch’ io possa spogliarmi d’ogni volgarità … Vivo povero per me stesso. E sono più contento con alcuni dei miei libercoli, di quanto non lo siano i re con le loro grandi corone».

Giovanni Boccaccio 001

Genaalogia degli dei de gentili

«Checché sia degli altri, quanto a me sono stato disposto dalla natura, fin dall’utero della madre, alle poetiche meditazioni, e per quel che posso giudicare, sono nato soltanto per attendere ad esse. Mi ricordo infatti che mio padre, fin dalla mia infanzia, indirizzò tutti i suoi sforzi per far di me un commerciante; e dopo avermi fatto imparar l’aritmetica, mi affidò, ragazzo ancora, in qualità di discepolo, a un grosso mercante: presso il quale null’altro feci, per sei anni, che sprecare invano un tempo che non avrei più potuto recuperare. Più tardi, mostrando da certi indizi la mia maggiore attitudine agli studi letterari, mio padre stesso ordinò di cominciare lo studio delle “Sanzioni” dei Pontefici, allo scopo di diventare ricco: e sotto un illustre maestro, m’affaticai inutilmente per un periodo di tempo pressoché uguale. L’animo si tediava di quelle cose a tal punto, che né la dottrina
del maestro, né l’autorità del padre (che urgeva con consigli sempre nuovi), né le preghiere o i rimproveri degli amici valsero a farmi propendere verso l’una o l’altra di quelle carriere: tanto l’animo tutto era preso dalla passione per gli studi poetici. E non un capriccio era, bensi una antichissima disposizione del mio spirito. Infatti mi ricordo che prima di aver compiuto i sette anni mi nacque un desiderio di comporre e scrissi certe immaginazioni poetiche, sia pur prive di ogni valore».

Giovanni Boccaccio, Genealogia degli dèi gentili, XV, 10.

***

Boccaccio e PetrarcaBoccaccio conversa con Petrarca
(miniatura del Quattrocento, da un codice francese del De casibus,
British Museum, Londra)

«Mi fu dunque patria Certaldo e culto la divina poesia. Ah, ch’io possa per mezzo della venerabil persona di Francesco Petrarca, giungere a debellare le miserie della fortuna, le angustie d’amore, e spogliarmi d’ogni volgarità, io che mi conosco come un misero, un rozzo, un inerme ed inerte, crudo insieme ed informe … lo amo la povertà, che è già con me; e se fosse lontana, dovunque assai presto la potrei trovare, senza dover servire alcun re per averla. Se invece volessi le ricchezze, o almeno abbastanza denaro da vivere, ti assicuro che, non avendone, non mi mancherebbero del tutto i luoghi in cui cercarlo … Vivo povero per me stesso; per gli altri vivrei ricco e splendido. E sono più contento con alcuni dei miei libercoli, di quanto non lo siano i re con le loro grandi corone».

Giovanni Boccaccio,  Epistola a F. Petrarca, in Epistole e lettere, a c. di G. Auzzas, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a c. di V. Branca, Milano 1992.

***

cod_marc_127 001

«Ho cominciato, con assai meno difficultà che io non estimavo di potere, a confortare la mia vita: e comincianmi già a piacere i grossi panni e le contadine vivande; e il non vedere l’ambizioni e le spiacevolezze e’ fastidi de’ nostri cittadini m’è tanta consolazione dell’animo che, se io potessi stare senza udirne nulla, credo che ‘l mio riposo crescerebbe assai. In iscambio de’ solleciti avvolgimenti, e continui, de’ cittadini, veggio campi, colli, arbori, delle verdi fronde e di vari fiori rivestiti; cose semplicemente dalla natura prodotte, mentre gli atti dei cittadini sono tutti fittizi».

Giovanni BoccaccioEpistola a Zanobi da Strada, in Epistole e lettere, a c. di G. Auzzas, in Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a c. di V. Branca, Milano 1992.

 

Giovanni_Boccaccio_05Ritratto di Giovanni Boccaccio in tarda età,
estratto da un ciclo d’affreschi dell’Antica sede dell’Arte dei Giudici e Notai (Firenze).

Enrico_Pollastrini_-_Morte_di_Giovanni_Boccaccio

Enrico Pollastrini (1817-1876), Morte di Giovanni Boccaccio,
Olio su carta applicata a tela, data sconosciuta.

giorgio-vasaril

Giorgio Vasari, Sei poeti toscani:
Dante Alighieri, Grancesco Petrarca, Giovanni Boccaccio,
Guido Cavalcanti, Marsilio Ficino, Cristofano Landino.

particolare vasari


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Emily Dickinson (1830-1886) – La bellezza e la verità sono una cosa sola. Bellezza è verità, verità è bellezza.

Dikinson Emily 020

Tutte le poesie

Tutte le poesie

 

 

Bellezza è verità, verità è bellezza; questo
è tutto ciò che voi sapete sulla terra, e tutto ciò che avete bisogno
di sapere.

John Keats*

 

Morii per la bellezza – ma non m’ero ancora abituata alla mia tomba
quando un altro – morto per la verità – fu adagiato nel sepolcro
vicino.
Piano mi domandò perché ero morta –
«Per la bellezza» – gli risposi – e lui: «E io per la verità – loro sono
una cosa sola e noi siamo fratelli», disse.
Così, come congiunti che s’incontrano di notte, conversammo
dall’una all’altra stanza
finché il muschio raggiunse le nostre labbra e coprì i nostri nomi.

 

Emily Dickinson, Morii per la bellezza, poesia n. 449, in Tutte le poesie, a
Cura di Marisa Bulgheroni, Mondadori , Milano 2001, p. 495.

****
***
*


  • John Keats, dipinto di William Hilton

    John Keats, dipinto di William Hilton

  • John Keats, Ode su un’urna greca [1819]. versi 49-50, in Iperione,odi e sonetti, a cura di Raffaello Piccoli, Sansoni, Firenze 1984, p. 67.

    Iperione, odi e sonetti, 1949

    Iperione, odi e sonetti, 1949

 


Emily Dickinson – Un’anima al cospetto di se stessa

Emily Dickinson (1830-1886) – La parola comincia a vivere soltanto quando vien detta.

Emiliy Dickinson (1830-1886) – Ciò che è lontano e ciò che è vicino

Emily Dickinson (1830-1866) – Semi che germogliano nel buio

Emily Dickinson (1830-1866)  – Dedicata agli esseri umani in fuga dalla mente dell’uomo

Emily Dickinson (1830-1866) – Distilla un senso sorprendente da ordinari significati


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Robert Musil (1880-1942) – Il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere. Solo se si è pronti a considerare possibile l’impossibile si è in grado di scoprire qualcosa di nuovo.

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«Nella vita
solo se si è pronti a considerare possibile l’impossibile
si è in grado di scoprire qualcosa di nuovo».

Johann Wolfgang von Goethe

 

L'uomo senza qualità

L’uomo senza qualità

«Se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev’essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe, o dovrebbe accadere la tale o tal altra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com’è, egli pensa: beh, probabilmente potrebbe anche esser diverso. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere, e di non dare maggior importanza a quello che è, che a quello che non è».

Robert Musil, L’uomo senza qualità [1930], Einaudi, Torino 2014, pp. 12-13.

Der Mann ohne Eigenschaften

Der Mann ohne Eigenschaften

 


Robert Musil (1880-1942) – Ogni grande libro spira amore per i destini dei singoli individui che non si adattano alle forme che la collettività vuol loro imporre. Abbiamo troppo poco intelletto nelle cose dell’anima.


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Vasilij Semënovič Grossman (1905-1964) – C’è un dono superiore rispetto a quello dei geni della scienza e della letteratura, dei poeti e degli scienziati. Il dono supremo dell’umanità è il dono della bellezza spirituale, della nobiltà d’animo, della magnanimità e del coraggio del singolo in nome del bene.

Vasilij Semënovič Grossman

Il bene sia con voi!

Il bene sia con voi!

«C’è un dono superiore rispetto a quello dei geni della scienza e della letteratura, dei poeti e degli scienziati. Tra le persone di taJento, se non di genio, tra i virtuosi delle fonnule matematiche, del verso poetico, della frase musicale, dello scalpello o del pennello, molti hanno un animo misero, debole, meschino, lascivo, avido, servile, cupido, invidioso; molti sono i molluschi, gli smidollati nei quali l’irritazione di una coscienza inquieta favorisce la nascita della perla. Il dono supremo dell’umanità è il dono della bellezza spirituale, della nobiltà d’animo, della magnanimità e del coraggio del singolo in nome del bene. È il dono di cavalieri e fanti timidi e senza nome che con le loro imprese fanno sì che l’uomo non si trasfonni in una bestia».

Vasilij Grossman, Il bene sia con voi! Appunti di viaggio, 10 [1962-1963), tr. di Claudia Zonghetti, Adelphi, Milano 2014, pp. 231-232.

 

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Vasilij Grossman nel 1945 tra le macerie di Berlino espugnata dall’Armata Rossa. Nato a Berdicev, in Ucraina, il 12 dicembre 1905, lo scrittore è morto di cancro a Mosca il 14 settembre 1964, lasciato senza cure e senza sostegno.

 

 

Nel 1960 Vasilij Grossman porta a compimento “Vita e destino”, subito confiscato dal KGB, e va incontro alla sorte del reietto. Alla stessa stagione e allo stesso universo di quel capolavoro, che descrive le manifestazioni del male e la sua sconfitta in nome della “bontà illogica” dei singoli, appartengono i racconti qui radunati. I ricordi e le testimonianze di prima mano del periodo bellico, che ruotano intorno al destino degli ebrei, ispirano le note drammatiche del “Vecchio maestro” e la dichiarazione di fede nella vita e nel “miracolo della libertà” che conclude “La Madonna Sistina”. “Fosforo” è una riflessione tristemente autobiografica sull’amicizia misconosciuta, mentre “Riposo eterno”, “Mamma”, “L’inquilina”,” In periferia” fotografano momenti diversi della lunga stagione sovietica, tra gli sconvolgimenti causati dal meccanismo delle repressioni staliniane e la corruzione morale che ne consegue, all’insegna dell’indifferenza e dell’egoismo. “La strada”, parabola sul modello tolstojano di Cholstomer, è il racconto delle disavventure di un mulo italiano sulle strade della Russia in guerra: la mostruosità di un mondo in cui Treblinka e il Gulag, nazismo e comunismo gareggiano in efferatezza colpisce in modo ancora più brutale se vista con gli occhi di un animale. E infine “Il bene sia con voi!”, dove le note di un viaggio in Armenia nell’autunno del 1961 si traducono in una sorta di luminoso poema.

 

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Vasilij Grossman e Primo Levi: dialogo fra testimoni


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