«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
Meglio scrivere un libro importante nel deserto che diventare celebri per equivoco. Il poeta che non ha mai somigliato a una sorgente che dal profondo soltanto deriva il suo riso e le lacrime, perché non si è messo piuttosto un berretto di piume di gallo, non regge un uovo sul naso e non danza sui bicchieri?
Margherita Guidacci
La seconda edizione, riveduta e accresciuta, di questo volume che integra definitivamente l’opera poetica di Margherita Guidacci, riunisce con cura filologica e bio-bibliografica l’intero corpus poetico della poetessa fiorentina: dalle acerbe ma già personali Prime del 1939-40, maturate nell’ambiente “ermetico” di formazione, al folgorante esordio del 1946 con La sabbia e l’angelo, alla tragica “discesa agli Inferi” di Neurosuite (1970) e all’epifania amorosa dell’Inno alla gioia (1983), fino al postumo e testamentario Anelli del tempo (1993). Dall’arco cinquantennale delle raccolte e delle molte “disperse” ritrovate e riunite, balza con singolare e scolpita coerenza una delle figure più alte e limpide del nostro Novecento poetico, intrisa di vaste e profonde consonanze europee (Guidacci fu traduttrice empatica ed eclettica, soprattutto dai prediletti Donne, Dickinson ed Eliot, ma anche da Guillén e da poeti slavi e cinesi). Si staglia qui con assolutezza la voce oggettiva, austera e tenera a un tempo, di una “Sibilla” classica e cristiana, dall’ethos intimamente civile e religioso ma non confessionale né omologabile a ortodossie ideologiche o letterarie, fedele solo alla sua “crescita” interiore e cosmica.
Al popolo della pace, la poesia incipitale di questa raccolta, letta da Maura Del Serra nel 2009 in occasione dell’iniziativa 25 TV per 25 guerre, realizzata dall’artista Gerardo Paoletti per “World March” Associazione Mondiale per la Pace, era finora l’unica traccia esistente di interpretazione autoriale dei suoi testi. Adesso, con la selezione di altre 54 poesie, l’autrice offre ai suoi lettori/ascoltatori, un articolato ventaglio della sua produzione poetica, dei temi, luoghi, voci e ritratti in cui l’esperienza personale si fa corale e universale.
Nutrita con intensità empatica e dialogica dalle radici culturali e sapienziali dell’Occidente nel loro intersecarsi con le vene più feconde delle tradizioni orientali, la poesia della Del Serra è percorsa dal costante agonismo tra assolutezza metatemporale della rivelazione e tenebre della violenza storica, solitudine identitaria e unanimismo creaturale, con un ethos appassionato e rigoroso e con una finezza ed originalità stilistica scandita con vibrante emozione anche dalla sua viva voce.
Maura Del Serra, poetessa, drammaturga, traduttrice e critico letterario, già comparatista nell’Università di Firenze, ha riunito le sue poesie nei volumi: L’opera del vento e Tentativi di certezza, Venezia, Marsilio, 2006 e 2010; Scala dei giuramenti, Roma, Newton Compton, 2016; Bios, Firenze, Le Lettere, 2020. Tutti i suoi testi teatrali sono pubblicati nei volumi: Teatro e Altro teatro, Pistoia, petite plaisance, 2015 e 2019.
Fra gli autori da lei tradotti dal latino, tedesco, inglese, francese e spagnolo: Cicerone, Shakespeare, Woolf, Mansfield, Tagore, Proust, Weil, Lasker-Schüler, Sor Juana Inès de la Cruz. (www.mauradelserra.com)
La gioventù non è un periodo della vita, è uno stato d’animo non è una questione di guance rosee, labbra rosse e ginocchia agili è un fatto di volontà, forza di fantasia. Vigore di emozioni: è la freschezza delle sorgenti profonde della vita. Gioventù significa istintivo dominio del coraggio sulla paura, del desiderio di avventura sull’amore per gli agi. E spesso se ne trova di più in un uomo di 60 anni che in un giovane di venti. Nessuno invecchia semplicemente perchè gli anni passano. Si invecchia quando si tradiscono i propri ideali. Gli anni possono far venire le rughe alla pelle, ma la rinuncia agli entusiasmi riempie di rughe l’anima. Le preoccupazioni, la paura, la sfiducia in se stessi fanno mancare il cuore e piombare lo spirito nella polvere. A 60 anni o a 16, c’è sempre nel cuore di ogni essere umano il desiderio di essere meravigliati, l’immancabile infantile curiosità di sapere cosa succederà ancora, la gioia di partecipare al grande gioco della vita. Al centro del vostro cuore e del mio cuore c’è una stazione del telegrafo senza fili: finchè riceverà messaggi di bellezza, speranza, gioia, coraggio e forza dagli uomini e dall’infinito, resterete giovani. Quando le antenne riceventi sono abbassate, e il vostro spirito è coperto dalla neve del cinismo e dal ghiaccio del pessimismo, allora siete vecchi, anche a vent’anni; ma finchè le vostre antenne saranno alzate, per captare le onde dell’ottimismo, c’è speranza che possiate morire giovani a 100 anni.
Sono versi che lautrice ha scritto cinquant’anni fa:
“Considerando gli animali in sparizione, il proliferare di fogne e di paure, l’addensarsi del mare, l’aria prossima a estinguersi dovremmo essere gentili, dovremmo sentire l’allarme, dovremmo perdonarci Invece siamo contro, ci tocchiamo come chi aggredisce, i doni che portiamo persino in buona fede forse nelle nostre mani si deformano in dispositivi, in stratagemmi».
Margaret Atwood, Esercizi di potere, nottetempo, 2020.
Quarta di copetina
Quella che leggiamo in Esercizi di potere si mostra come un’indagine dell’intelligenza, ma è poesia fatta di una meticolosa crudeltà dello sguardo, di un sentire svincolato dal tempo che mette in rassegna infiniti istanti di interiorità e li affonda nella storia, tutta la storia umana condensata nell’incontro – nello scontro – tra uomo e donna. Ne emana un paesaggio intimo e lunare, una voce cosí forte, cosí onesta, da restare incantata dall’alterità, fino a difenderla, resistendo alla tentazione di una sintesi. È forse a questo potere che allude il titolo.
Margaret Atwood, poetessa e scrittrice canadese particolarmente attenta ai temi dell’ambientalismo e del femminismo, ha vinto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il Booker Prize (per due volte) e il Governor General’s Award. Dal suo romanzo Il racconto dell’ancella (Mondadori, 1988 e Ponte alle Grazie, 2017) sono stati tratti un film nel 1990 e una serie televisiva nel 2017. Tra le sue ultime opere pubblicate in Italia, I testamenti (Ponte alle Grazie, 2019), L’uovo di Barbablú (Racconti edizioni, 2020) e Tornare a galla (Ponte alle Grazie, 2020).
Gatti che s’aggirano con la loro enigmatica presenza nella nostra vita, una natura che scatena le sue forze tra tempi sospesi e riflessioni filosofiche giocate con un linguaggio all’apparenza semplice, con i ritmi della filastrocca. Amedeo Anelli scrive di sogni sognati, guarda la vita passare come davanti ad una stazione con i treni che corrono. Che senso ha la vita? Intanto i gatti giocano, si aggrappano alle maniglie e ci guardano vivere come fanno anche i tigli lungo la strada. Una poesia che riflette sul linguaggio e sul senso del vivere, del mistero delle cose che esistono e ci circondano accompagnando la nostra vita, Parole alla ricerca di un senso, con uno sorriso che forse masconde uno sberleffo. Guido Conti accetta la sfida e illustra i versi dei quartetti di Anelli in un dialogo complice e divertito, con gli acquerelli che sciolgono e raggrumano le forme, in una dinamica continua. Anche il pennello cerca un segno che diventi senso. E così i quartetti diventano un libro d’arte dove parola e disegni s’inseguono in un gioco in divenire tra segno e forma.
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AMEDEO ANELLI si occupa di poesia, filosofia, critica, teoria della Letteratura e d’Arte con numerose pubblicazioni. Neve pensata (Mursia, 2017; ed. in francese Libreria Ticinum, 2020, traduzione di Irène Duboeuf), Polifonii (Ikon, 2019) in romeno e in italiano, traduzione Eliza Macadan, L’Alfabet du monde, Editions du Cygne, 2020, traduzione di Irène Duboeuf, sono le sue ultime raccolte poetiche. Nel 2016 è stato inserito in Poesia d’ oggi. Un’antologia italiana a cura di Paolo Febbraro (Elliot) e Antologia di poeti contemporanei. Tradizioni e innovazioni in Italia (Mursia) a cura di Daniela Marcheschi. Traduttore dal russo di diversi volumi di poeti novecenteschi ha pubblicato la raccolta di Nikolaj Gumilëv, Nel giorno in cui il mondo fu creato (Avagliano 2020). Ha fondato e dirige la rivista internazionale di poesia e filosofia «Kamen’». È membro di diverse istituzioni nazionali ed internazionali.
GUIDO CONTI è parmigiano, ha pubblicato antologie di racconti come Il coccodrillo sull’altare (Guanda, 1998, Premio Chiara); tra i suoi romanzi, I cieli di vetro (Guanda, 1999, Premio Selezione Campiello), Il tramonto sulla pianura (Guanda, 2005), e Le mille bocche della nostra sete (Mondadori, 2010) tradotto in Olanda e in Spagna. Ha curato la raccolta degli scritti di Cesare Zavattini, Dite la vostra (Guanda, 2002), ha scritto Giovannino Guareschi, biografia di uno scrittore, (Rizzoli, 2008, Premio Hemingway per la critica) e come saggista ha pubblicato Cesare Zavattini a Milano, Letteratura, rotocalchi, radio, fotografia, editoria, fumetti, cinema, pittura (Libreria Ticinum Editore, 2019). Per i ragazzi ha scritto e illustrato la saga della cicogna Nilou: Il volo felice della cicogna Nilou, (Rizzoli, 2015), Nilou e i giorni meravigliosi dell’Africa (Rizzoli, 2015) e Nilou e le avventure del coraggioso Hadì, (Libreria Ticinum Editore) tradotti in Corea del Sud, Grecia, Spagna, Austria e Cina; e la favola ecologica tratta da una storia vera Un giorno tornerò da te, (Libreria Ticinum Editore 2020). Per Parma Capitale della Cultura 2020-2021 ha pubblicato La città d’oro, Parma e la letteratura, 1200-2020, (Libreria Ticinum Editore, 2020 e Giunti ha nel 2018 il romanzo Quando il cielo era il mare e le nuvole balene.
«Non c’è vera assenza se resta almeno il ricordo dell’assenza. […]
Se uno nin ha più la terra ma ha il ricordo della terra allora uno può sempre disegnare una mappa».
Anne Michaels, In fuga, Giunti, 1998
Una voce ci riscuote che non riconosciamo. Andiamo più vicini, tentiamo di distinguere bene le parole. È questo che fa cominciare o finire l’amore: cominciamo a capire le parole. Per salvarci doniamo e perdoniamo.
Anne Michaels, Anna, da The Weight of Oranges (1986)
«Inghiotti tutto in un boccone. Il tuo assolo. Non è grammatica il silenzio imperativo tuo. Ognuno ha la sua». (Vita?) «Non fiatare cospira, con il cortese senso comune. Se guaisci rompi i vetri della distanza giustiziera il freddo che ci vuole per appendere il tuo respiro all’ albero. E correre forte, Via».
Non volevo l’appello dell’amore volevo la conoscenza non volevo l’intesa volevo la verità nuda, la via d’uscita tremante. Volevo essere la tua camicia. La neve che veglia il pane. Questo sentimento buio è tutto quello che ho, ripiegato in tasca del mio grande cappotto come un fazzoletto di una volta.
La volta in cui si incontravano le domande e la loro sete.
Alberi acque respiri montagne esistono davvero, quando la narrazione tace. La punteggiatura vuole che dorma senza sillabe di sonno, gli animali della notte aspettano che spenga la discrezione per sussurrare la fame. Non spengono me. La sveglia del tuo silenzio dice che devo andare. Prima di allora il silenzio si chiamava musica. Un addio sta sconfinato sotto terra.
Chandra Livia Candiani, Ascoltando quello che tu non dici, in Id., La domanda della sete (2016-2020), Einaudi, Torino 2020, pp. 51-52.
Un uomo che arriva in ospedale non è un uomo, è un mondo. Curare un essere umano significa curare una persona immersa nel mondo e il mondo che è immerso in lui. Curare un uomo significa prendersi cura del tutto che è in tutti. Un buon medico dovrebbe essere anche un poco filosofo e poeta e teologo.
Un essere umano non è mai una cosa piccola, la sua malattia è la malattia dell’aria, è un piccolo guasto nel moto degli astri.
Un ospedale è un osservatorio astronomico. È anche un reparto di geologia: la malattia viene dalle radici, dal fitto mormorio che alimenta la vita degli organi. Negli ospedali si deve tener conto del respiro prima di tutto. Un corpo respira il mondo ed è respirato dal mondo. In questo scambio perenne e implacabile ci può essere un guasto. La medicina cosmica diluisce la paura: non perdiamo la salute, la cediamo agli altri. E quando moriamo diamo il cambio, non ci assentiamo, partecipiamo al gioco in una forma che non sappiamo, ma il gioco non finisce per nessuno.
Franco Arminio, La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica, Bompiani, Milano 2020, p. 15.
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