Marina Ivanovna Cvetaeva (1892-1941) – Non occorre nulla di straordinario intorno a noi se dentro di noi nulla è ordinario.

Marina Cvetaeva 02
«Non occorre nulla di straordinario intorno a noi
se dentro di noi nulla è ordinario».

Marina Ivanovna Cvetaeva, Deserti luoghi. Lettere (1925-1941), a cura di S. Vitale, Adelphi, Milano 1989.



Marina Ivanovna Cvetaeva (1892-1941) – Tutto ciò che amo lo amo di un unico amore
Salvatore Fiume, A Susette (Ritratto di Marina Cvetaeva), 1956.

Jean Rostand (1894-1977) – L’egoismo è una sorta di regressione affettiva e non contribuisce certo a creare l’attitudine alla felicità. ogni possesso è precario e ogni sicurezza illusoria. Dopo esserci dibattuti nell’incertezza e nell’effimero, verrà il giorno che ci costringerà ad abbandonare ogni cosa.

Jean Rostand 01

«[…] perché l’egoismo – che in fondo è una sorta di regressione affettiva – non contribuisce certo a creare, nell’individuo, l’attitudine alla felicità. Poiché d’altra parte ogni possesso è precario e ogni sicurezza illusoria; poiché, dopo esserci dibattuti nell’incertezza e nell’effimero, verrà bene il giorno che ci costringerà ad abbandonare ogni cosa; dobbiamo stimare invidiabile soltanto chi, essendo riuscito a “esentarsi dal proprio Io”, sa accettare senza ribellione gli allarmi e gli spodestamenti che l’esistenza ci infligge. Costui potrà guardare la morte in faccia, senza bisogno di stordirsi di lavoro o di svaghi, e senza neppure aggrapparsi a quel misero surrogato di immortalità che è la sopravvivenza nel ricordo degli uomini. Costui, venuto il momento, saprà fare abbandono del proprio essere, e non si dibatterà rabbiosamente, davanti alla propria fine, come il bambino che s’infuria quando lo strappano ai suoi giuochi. Morire sarà la sua ultima generosità».

 

Jean Rostand, Ce que je crois, Paris 1953; tr. it. L’uomo artificiale, Milano 1971, pp. 60-61.

Julius Stenzel (1883-1935) – La frammentarietà di ogni nostro sapere ed agire è un pensiero a noi ben familiare. Occorre una comunità integratrice, che nulla deneghi agli altri di ciò che uno porta in sé o da sé può ricavare, e che altrettanto dagli altri si aspetti, e dove si lavori in “filosofia che non conosce invidia”.

Julius Stenzel_ Platone educatore

«La frammentarietà di ogni nostro sapere ed agire è un pensiero a noi ben familiare: ciò oggi, per lo più, è da noi sentito come una cosa deplorevole […]. Dobbiamo invece tentare di raffigurarci un atteggiamento, di fronte a queste cose, con sentimenti del tutto opposti; ciò anzitutto per capire Platone, ma forse anche ad altri effetti non inutilmente. Partendo dal fatto che ognuno di noi arriva a conoscere e contemplare solo un frammento del mondo, e che la nostra attività è straordinariamente limitata, si potrebbe viceversa provare e ispirare anche a tutti gli altri il più vivo desiderio di venire a far parte d’una comunità integratrice, che nulla deneghi agli altri di ciò che uno porta in sé o da sé può ricavare, e che altrettanto dagli altri si aspetti; una comunità in cui non si faccia in generale questione della partecipazione dei diversi individui alla vita comune, […] ma dove invece si lavori in “filosofia che non conosce invidia”.

Proprio l’ascesa, due volte descritta attraverso tutti i gradi della aspirazione collettiva, dall’amore per un altro individuo a quello per tutti i membri della comunità, e alle belle imprese, e poi al sapere, e infine al mátema supremo, mostra questa crescita della conoscenza entro una comunità di sentimento e d’azione, come di una organica formazione radicata, cresciuta nella vita collettiva».

Julius Stenzel, Platon der Erzieher, Leipzig 1928; tr. it. in Platone educatore, Bari 1966, p. 233 e p. 235.

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Julius Stenzel  –  Storico della filosofia antica (Breslavia 1883 – Halle 1935); prof. a Kiel (dal 1933) e a Halle (1935); uno dei fondatori della rivista Quellen und Studien zur Geschichte der Mathematik, è autore di notevoli lavori sull’evoluzione del pensiero platonico, specie per quanto riguarda la logica, la dialettica, i rapporti della filosofia platonica con quella aristotelica. Tra le opere principali si ricordano: Studien zur Entwicklung der platonischen Dialektik von Sokrates zu Aristoteles (1917); Zahl und Gestalt bei Plato und Aristoteles (1924); Plato der Erziehr (1928; trad. it. 1936); postuma una sua raccolta di Kleine Schriften zur griechischen Philosophie (1957).



Enrico Berti – È risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica. Di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Anche le più famose negazioni di essa sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa.

Enrico Berti_Storia della metafisica

Storia della metafisica

Edizione: 2019 – Collana: Frecce (275) pp. 388 – 31 Euro – ISBN: 9788843094998

«La frammentarietà di ogni nostro sapere ed agire è un pensiero a noi ben familiare […] si potrebbe ispirare il più vivo desiderio di venire a far parte d’una comunità integratrice, che nulla deneghi agli altri di ciò che uno porta in sé o da sé può ricavare, e che altrettanto dagli altri si aspetti; una comunità […] dove si lavori in “filosofia che non conosce invidia”».

Julius Stenzel, Platon der Erzieher, Leipzig 1928;
tr. it. Platone educatore, Bari 1966, p. 233 e p. 235.



Sine ira ac studio

«[…] è risonata più volte la proclamazione heideggeriana della fine dell’epoca della metafisica, anche se si è precisato che questa fine non implica la scomparsa della metafisica, ma indica solo il suo compimento, cioè la piena attuazione del suo compito, o la necessità di ripercorrerla, per così, dire, all’indietro, riattraversandone l’intera storia. D’altra parte si è rilevato che per la filosofia analitica e per la stessa scienza contemporanea la metafisica non è affatto finita, anzi si ripropone con compiti nuovi. Comunque stiano le cose, cioè sia che la metafisica sia finita sia che essa continui a vivere, su un punto c’è stato un accordo pressoché unanime, cioè sul fatto che la metafisica di fatto è esistita, e quindi ha una storia. Vediamo allora come si può ricostruire questa storia, sia pure per sommi capi, e soprattutto cercando di raccontarla sine ira ac studio, cioè senza essere né avversari né fautori della metafisica.

[…] Quanto ho scritto sopra, fino a questo punto, l’ho scritto prima di leggere i contributi che i collaboratori di questo volume mi hanno inviato e che ora ne costituiscono il contenuto. Ebbene, devo dire che, se già prima ero convinto che la metafisica, qualunque cosa si pensasse di essa, ha avuto almeno una storia, ora che ho letto l’illustrazione dei vari momenti di questa storia, non solo mi sono confermato in questa convinzione, ma ho scoperto che la storia della metafisica è stata una storia grande, tale da indurre chiunque a riflettere sul suo valore. Anche le più famose negazioni di essa, infatti, sono state ridimensionate, e la metafisica appare oggi ancora viva e vigorosa. Significa forse questo che essa continuerà a vivere, cioè che la sua storia non è ancora finita? Tutto induce a credere di sì, anche se, con spirito critico, è giusto dire «ai posteri l’ardua sentenza».

Enrico Berti, Introduzione a AA. VV., Storia della metafisica, Carocci Editore, Roma 2019, pp. 17 e 22.



Gli autori

Enrico Berti (Introduzione e Aristotele e Alessandro di Afrodisia) – Francesco Fronterotta (La metafisica di Platone) Riccardo Chiaradonna (La metafisica nell’antico platonismo) Amos Bertolacci (La metafisica arabo-islamica) – Pasquale Porro (Tommaso d’Aquino) – Guido Alliney (Scientia transcendens. Duns Scoto e la nuova metafisica) – Marco Lamanna (Francisco Suárez e la Schulmetaphysik) – Stefano Di Bella (Descartes e le metafisiche postcartesiane) – Costantino Esposito (Kant) – Luca Illetterati ed Elena Tripaldi (L’ambiguità della metafisica nel pensiero di Hegel) – Markus Krienke (La metafisica di Rosmini) – Giusi Strummiello (Heidegger) – Giovanni Ventimiglia (Il neotomismo e il dibattito sulla metafisica classica nel Novecento) – Achille C. Varzi (La metafisica nella filosofia analitica contemporanea)

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In breve

Sulla base del presupposto unanimemente riconosciuto che la metafisica, quale che sia il suo valore, ha avuto una storia, il volume individua i momenti salienti di quest’ultima in alcuni grandi filosofie correnti di pensiero: Platone, Aristotele, il platonismo antico, la metafisica arabo-islamica, Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Suárez, Cartesio, Kant, Hegel, Rosmini, Heidegger, il neotomismo, la filosofia analitica. Ne risulta una storia equilibrata, ricca e coinvolgente, forse unica nel suo genere, di indubbio interesse per chiunque si occupi di filosofia.

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 –  Indice  –

Introduzione di Enrico Berti

1. La metafisica di Platone di Francesco Fronterotta
Una “metafisica” in Platone? / La teoria delle idee fra ontologia e metafisica / Causalità e partecipazione / La teoria dei principi e l’Accademia antica / Riferimenti bibliografici

2. Aristotele e Alessandro di Afrodisia di Enrico Berti
L’opera / La definizione della metafisica / Il metodo della metafisica: la discussione delle aporie / L’unità della metafisica: l’ente in quanto ente come oggetto che deve essere spiegato / Differenza tra la metafisica e le altre scienze teoretiche / Dall’ente in quanto ente alla sostanza e ai suoi principi: materia e forma, potenza e atto / Critica dei principi posti dagli Accademici: l’uno e i molti e le loro “specie” / Le sostanze immobili quali prime cause motrici delle sostanze / Critica delle sostanze immobili ammesse dagli Accademici / La metafisica di Alessandro di Afrodisia/Riferimenti bibliografici

3. La metafisica nell’antico platonismo di Riccardo Chiaradonna
Il medioplatonismo / Plotino / Il neoplatonismo dopo Plotino / Platonismo e “metafisica dell’Esodo”/Riferimenti bibliografici

4. La metafisica arabo-islamica di Amos Bertolacci
L’evoluzione dello statuto epistemico della scienza metafisica / La prima fase: la prevalenza della teologia filosofica all’interno della metafisica / La seconda fase: la riscoperta dell’ontologia e l’applicazione degli assunti degli Analitici posteriori / La terza fase: la sistematizzazione della teologia filosofica e dell’ontologia da parte di Avicenna / La critica e il successo della metafisica di Avicenna: il caso di Averroè / Sviluppi successivi della metafisica arabo-islamica / Riferimenti bibliografici

5. Tommaso d’Aquino di Pasquale Porro
Il soggetto e lo statuto della metafisica / Il Commento alla Metafisica / Alcune dottrine caratteristiche della metafisica tommasiana / Riferimenti bibliografici

6. Scientia transcendens. Duns Scoto e la nuova metafisica di Guido Alliney
Rifiuto dell’analogia e fondazione della metafisica / L’oggetto proprio e adeguato dell’intelletto/I trascendentali: da communissima a transgenera / La semplicità di Dio e l’unità del singolare / Le essenze e il loro statuto/Due metafisiche/Metaphysica transcendens: una quarta scienza speculativa? / Riferimenti bibliografici

7. Francisco Suárez e la Schulmetaphysik di Marco Lamanna
Una metafisica in comune tra storici avversari nella fede / Le Disputazioni metafisiche: l’opera, la ratio, il contesto confessionale / Tra la fedeltà a Tommaso e la fedeltà alla Compagnia di Gesù: il problema della fedeltà ad Aristotele / Statuto della scienza metafisica e scienza dell’ente/Ente in quanto ente reale: una nozione comune a Dio e alle creature / Tra archeologia e aitiologia: il primato del principio sulla causa / Il possibile ancorato o indipendente da Dio/Gli enti di ragione: tra analogia ed equivocità/Conclusione: la via “realista” della Schulmetaphysik? / Note / Riferimenti bibliografici

8. Descartes e le metafisiche postcartesiane di Stefano Di Bella
La fondazione cartesiana della metafisica / Metodo, metafisica e libertà/Eredità cartesiane / Io, Dio e mondo / Dopo l’età cartesiana / Note / Riferimenti bibliografici

9. Kant di Costantino Esposito
Un amore non corrisposto / Verso la metafisica critica / La metafisica come problema e come sistema / Note / Riferimenti bibliografici

10. L’ambiguità della metafisica nel pensiero di Hegel di Luca Illetterati ed Elena Tripaldi
Metafisica, non-metafisica o anti-metafisica? / La metafisica, ovvero la filosofia vera e propria / La metafisica nel sistema della maturità / Conclusioni: metafisica hegeliana? / Note / Riferimenti bibliografici

11. La metafisica di Rosmini di Markus Krienke
L’opera / L’ idea dell’essere e la questione del fondamento / Il metodo: «ragionamento circolare, ma non vizioso» / La dialettica tra essere iniziale ed essere virtuale / Essere e Dio / La triniformità dell’essere / La creazione / Conoscenza umana e conoscere assoluto / Rosmini e Gioberti / Il rosminianesimo / Riferimenti bibliografici

12. Heidegger di Giusi Strummiello
Heidegger e la metafisica / Il problema dell’essere e la metafisica / Che cos’è metafisica? / L’errore della metafisica e l’errare dell’essere / La metafisica e l’altro inizio del pensiero / La storia della metafisica e la storia dell’essere / La storia della metafisica, la metafisica come storia, l’essenza storica della metafisica /Riferimenti bibliografici

13. Il neotomismo e il dibattito sulla metafisica classica nel Novecento di Giovanni Ventimiglia
“Neotomismo” tra Platone e Aristotele / Il neotomismo storico-filosofico/Il neotomismo teoretico / Il neotomismo freelance / Il neotomismo in Italia / Riferimenti bibliografici

14. La metafisica nella filosofia analitica contemporanea di Achille C. Varzi
Un rapporto conflittuale / Le origini / Altre influenze / Temi e problemi / Struttura del pensiero e struttura del mondo / Note/ Riferimenti bibliografici



Enrico Berti – La mia esperienza nella filosofia italiana di oggi.
Enrico Berti – Per una nuova società politica
Enrico Berti – La capacità che una filosofia dimostra di risolvere i problemi del proprio tempo è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, perché essa sia giudicata eventualmente capace di risolvere i problemi di altri tempi, o del nostro tempo, e dunque possa essere considerata veramente “classica”.
Enrico Berti – Ciò che definisce l’uomo è anzitutto la parola. Non è del tutto appropriata la traduzione latina della definizione di uomo messa in circolazione dalla scolastica medievale, cioè animal rationale, la quale si basa sulla traduzione di logos con ratio. Certamente l’uomo è anche animale razionale, ma il concetto di logos è molto più ricco di quello di “ragione”.
Enrico Berti – Nichilismo moderno e postmoderno


Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Che i miei figli possano vivere liberi, ricchi della loro libertà di parola. I malvagi presto o tardi sono fatalmente smascherati come fanciulle che amano vedersi allo specchio.

Euripide 002

«Che i miei figli possano vivere liberi nella nobile città di Atene, ricchi della loro libertà di parola (parrhesía) […]. I malvagi presto o tardi sono fatalmente smascherati come fanciulle che amano vedersi allo specchio».

Euripide, Ippolito, 422-430.


Euripide (480 a.C.-406 a.C.) – Gli dei non odiano chi è nobile d’animo, soltanto lo fanno soffrire di più di chi non vale niente.


Edgar L. Doctorow (1931-2015) – Al momento «human rights» si riferisce soltanto agli standard di trattamento che ci attendiamo di ricevere dal nostro oppressore dopo che egli ci abbia privato di tutti i nostri diritti

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«Human rights è divenuta un’espressione molto ricorrente nel nostro linguaggio politico. Quando è stata introdotta essa si riferiva tendenzialmente al diritto di parlare liberamente, di avere l’opinione politica che si preferiva, di essere giudicati rapidamente e secondo le garanzie di legge qualora si fosse stati accusati di un delitto […]. Ma sotto la pressione di pratiche diffuse in tutto il mondo, il termine ha assunto un significato più umile. Al momento human rights si riferisce agli standard di trattamento che ci attendiamo di ricevere dal nostro oppressore dopo che egli ci abbia privato di tutti i nostri diritti […] il diritto a non essere torturati, mutilati, ridotti in schiavitù o messi a morte senza processo».

 

Edgar L. Doctorow, Onvell’s 1984, in Id., Jack London, Hemingway, and the Constitution. Selected essays, 1977-1992, Random House, New York 1993, p. 65. Cfr. Anche Richard Alexander Bauman, Human Rights in Ancient Rome, Routledge, London 2000.

Magna Carta o “Grande Carta” è stato uno dei primi documenti al mondo che conteneva impegni da parte di un sovrano nei confronti del suo popolo a rispettare determinati diritti legali
Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti ratificata dal Congresso continentale il 4 luglio 1776
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata dall’Assemblea nazionale di Francia, il 26 agosto 1789

Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo è meccanocentrico. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Il nostro dovere è rifiutare l’acquiescenza. Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido.

Margherita Guidacci_Il nostro mondo 1945

 

Margherita Guidacci, Il nostro mondo, 1945

indiceautore

Margherita Guidacci

Il nostro mondo

[1945]



Così scriveva nel 1945, a 24 anni:

Il nostro mondo è meccanocentrico.
La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra.
Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno.
Ma più ci interessa la sua rovina mentale.
Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia.

La Germania è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane», persone, è un’invenzione dell’altro campo.

Chiaro è il nostro dovere.
Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre.
Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano.
Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido.



Il mondo dominato dall’idea di Dio

Vi sono state epoche in cui l’uomo, nella sua vita individuale e collettiva, era dominato dall’idea di Dio.
Tutto ciò che faceva e subiva era interpretato religiosamente.
Le sue azioni erano considerate in base alla conformità a principi superiori. Le trasgressioni, quando accadevano, erano sempre sentite come tali: l’uomo peccava allora ad occhi aperti, responsabilmente, conservando con ciò una sorta di ribelle grandezza, o riscattandosi in parte nel metafisico strazio del rimorso di cui si investiva nell’atto stesso di peccare.
Il peccatore sapeva volere e soffrire il suo peccato come il santo voleva e – diversamente – soffriva la sua santità.
Il peccatore ed il santo, agli antipodi nella situazione morale si sentivano giudicati da una stessa legge, e ad essa cercavano, con la stessa spontaneità, riferimento, per «fare il punto» del loro itinerario spirituale. Liberi gli individui di deviare a Est o a Ovest, la società era concorde nel riconoscere un unico Nord. E questo Nord era Dio.

***

L’uomo guidato dalla coscienza di se stesso

In altre epoche l’uomo si è fatto guidare dalla coscienza di se stesso. Dalla coscienza della bellezza e dignità del proprio corpo e della propria anima, dell’importanza e della perfezione dell’uno e dell’altra.
Sono le epoche che chiamiamo antropocentriche. Nelle altre, che chiamiamo teocentriche, l’uomo considera specialmente il fatto di trovarsi sul più basso gradino del mondo invisibile, e volge lo sguardo verso il sommo della scala dove stanno i poteri superiori. Nelle epoche antropocentriche l’uomo si interessa soprattutto al fatto che questo limite inferiore dell’invisibile costituisce insieme il limite superiore del visibile e perciò da esso si rivolge indietro, a mirare il mondo della natura di cui si sente giustamente il vertice, e tende ad affermare in esso la sua signoria.

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Epoche teocentriche ed epoche antropocentriche

Ogni epoca civile è teocentrica o antropocentrica.
La società ideale dovrebbe essere l’uno e l’altro insieme e nello stesso grado: i due aspetti dell’uomo – inferiorità al soprannaturale, superiorità alla natura – ungualmente sentiti e ugualmente tenuti presenti nella speculazione come nell’azione. Tale sarebbe la vera società cristiana: teocentrismo e antropocentrismo insieme: poiché Cristo è Dio e Uomo.

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La nostra società non è teocentrica né antropocentrica

La nostra società non è teocentrica né antropocentrica.
Tanto meno è cristiana, poiché il Cristianesimo esige tutti e due quegli elementi e noi non ne possediamo più neanche uno.
Tanto meno è civile, se diamo ancora alla parola civiltà un contenuto positivo, e non ci rassegnamo ad umiliarla nella triste, derisoria inflazione che hanno già subíto altre grandi parole come libertà e giustizia.

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Gli antichi agivano in nome di Dio e in nome dell’uomo

Gli antichi oscillarono fra i valori divini e i valori umani, ora mettendo più forte l’accento sui primi, ora sui secondi.
Ma noi abbiamo soppresso gli uni e gli altri. È in questo che consiste l’essenza mostruosa del mondo contemporaneo, la nostra orrenda novità. Poiché veramente nella nostra storia non si può parlare, nemmeno in senso lato, di ricorsi. Non c’è avvenimento passato che possa orientarci per scoprire la nostra probabile destinazione. Siamo in un mondo del tutto disancorato, di fronte ad una eaperienza ignota e imprevedibile, essendo le sue premesse, le sue condizioni stesse, assolutamente inedite,inedito il principio che ci governa ed al quale noi obbediamo.

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Il nostro mondo è meccanocentrico

Gli antichi agivano in nome di un Dio o in nome dell’uomo.
Ma ad informare le nostre azioni c’è solo un principio meccanico che si contrappone ugualmente a Dio e all’uomo.
Il nostro mondo è meccanocentrico.
La macchina si è interposta tra noi e Dio, sostitutendo alle leggi divine, naturali e rivelate, le proprie leggi, basate solo sui concetti di materia, quantità e movimento.
La macchina s’è interposta fra noi e la natura, falsando e deformando il suo volto ai nostri occhi, togliendoci familiarità con esso, rendendocelo incomprensibile.
L’uomo moderno non si considera più l’anello di congiunzione tra il visibile e l’invisibile: è l’esecutore di leggi meccaniche in un mondo meccanico. La macchina non solo è il suo strumento ma è il suo modello e il suo fine. La vita umana tende sempre più a diventare, sul piano intellettivo come su quello pratico, nell’ambito dell’individuo come nell’ambito dello Stato, una perfetta imitazione della macchina. La macchina è la nostra fede, è il totem della nostra èra. Non siamo ormai lontani dal «Brave New Word» di Huxley!

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Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima

Materialismo, senza dubbio, ma bisogna precisare di che specie di materialismo si tratta. La degradazione è più grande di quanto quel termine stesso faccia supporre. «Materialismo» può infatti far pensare che la nostra epoca veda lo sfogo spontaneo dell’animalità dell’uomo, l’esaltazione del suo corpo, come presso le tribù primitive.
Ma le cose stanno per noi molto peggio. Stanno tanto peggio che un semplice materialismo alla maniera maori o malgascia rappresenterebbe, nella nostra situazione, un enorme miglioramento, forse un principio di salvezza.
I feticci dei maori e dei malgasci sono più benigni dei nostri. Nella vita di quei popoli, cacciatori, pescatori o pastori, è almeno valorizzato il corpo, ed il corpo è l’uomo, anche se non è tutto l’uomo. Ma il nostro materialismo nega e distrugge anche il nostro corpo.
La decadenza fisica dovuta al ritmo della vita moderna (quel ritmo che è determinato appunto dal progresso meccanico) e alle condizioni sempre più innaturali che formano l’ambiente dell’uomo, non è che troppo evidente. Si ricordi l’analisi che ne faceva, e i gridi di allarme che lanciava, già molti anni or sono, Alexis Carrell. Il nostro corpo è minacciato quanto la nostra anima, la sua resistenza è continuamente diminuita dagli attacchi ora subdoli ora violenti che ci vengono dall’esterno, subisce scosse e ferite profonde che non compensano, a cui anzi per negatività si sommano, le eccitazioni brutali che d’altro canto ci vengono offerte.
Esclusi dalla civiltà come siamo, non abbiamo neanche i benefici fisici della barbarie. E la differenza fra la nostra e la barbarie primitiva sta proprio in questo: la nostra è una barbarie che non fa nemmeno bene alla salute.

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Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno

Anormale e violenta è la vita fisica dell’uomo moderno. Ma più ci interessa la sua rovina mentale. Siamo in un tempo in cui il pensiero è un atto di coraggio e di ribellione. Non intendo parlare delle particolari coercizioni in cui ci siamo di recente trovati, né di determinate forme di pensiero a cui quelle coercizioni si applicavano e nuove coercizioni potrebbero applicarsi e si applicheranno. Tutto ciò è grave, ma più grave forse è la constatazione che la tendenza stessa, generale, del nostro tempo, l’oscura sotterranea corrente che lo pervade ed alla cui superficie galleggiano poi i vari fatti politici, va contro il Pensiero: non questo o quel pensiero, ma il Pensiero in se stesso, come attività.
Se gli organi del pensiero fossero stati davvero acquistati dall’uomo durante un’evoluzione, verrebbe fatto di credere che egli subisca ora una nuova evoluzione per riperderli.
Si pensi alla percentuale di umanità che nelle fabbriche – questi santuari del dio moderno – passa la vita nella ripetizione di un gesto meccanico, come alzare e abbassare una leva, o incastrare identiche ruote in identici ingranaggi; si pensi al numero parimenti infinito delle persone che negli organismi burocratici (dove il meccanicismo non è minore per il fatto di essere immateriale) lavorano asceticamente al proprio rincretinimento. Si può dire che due terzi delle azioni a cui l’uomo è attualmente costretto per procurarsi da vivere sono – considerate immediatamente e intrinsecamente – assurde: atte a paralizzare lo sviluppo della sua stessa personalità, spesso a disgregarla completamente.

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Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia

Lo sterminio perpetrato dalla Germania e la bomba atomica dell’altro campo

Crisi, in tutti i campi, della persona umana, crisi tremenda come non si era mai verificata nella storia. È questo il punto centrale intorno al quale gravitano tutti i mali del nostro tempo. Il meccanicismo pratico tende a fare dell’uomo una macchina, o un pezzo, un accessorio di macchina. Non diversamente agiscono i meccanicismi ideologici. Ho detto sopra che alle leggi religiose si sono sostituite leggi fondate esclusivamente sulla materia, la quantità e il movimento. La catastrofe mondiale di cui siamo stati attori e spettatori può illuminarci meglio di qualsiasi cosa sulla portata e le conseguenze di questa concezione. Abbiamo veduto masse di uomini e di armi lanciate contro altre masse di uomini e di armi come se in realtà non vi fosse nessuna differenza fra gli elementi animati e quelli inanimati, come se un individuo non fosse che un’arma meno efficace in se stessa ma necessaria per azionare le altre. E sarebbero avvenuti bombardamenti terroristici, sarebbero state distrutte tante città se a un agglomerato di persone fosse stata riconosciuta un’importanza superiore a quella di un agglomerato di macchine o di un deposito di carburante?
La Germania, la nazione provocatrice, è stata la prima a slanciarsi sulla china della svalutazione completa della vita umana: fino a qual punto e con quali mezzi, tutti lo sappiamo. Ma la bomba atomica, che ha annientato in un momento migliaia e migliaia di «unità umane» che, malgrado la loro nazionalità e il loro colore noi ci ostiniamo a chiamare persone, è un’invenzione dell’altro campo. E dopo questo ci domandiamo se lo spirito che urgeva sconfiggere sia stato realmente sconfitto, o se piuttosto, alzatosi, come da un piedistallo, dalla Germania, non vada ora battendo le ali per tutto il mondo.

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Numero contro numero

«Io non ti odio, non ti conosco nemmeno, ma ti uccido perché tu sei parte di un insieme che si trova in urto con l’insieme di cui faccio parte io». Così sono stati compiuti la maggior parte dei delitti della guerra e dei partiti. Non il colpo diretto dell’uomo contro l’uomo. Ma numero contro numero, elemento di una serie contro elemento di un’altra serie, astrazione contro astrazione. In una sorta di innocenza bruta. Poiché la personalità umana è talmente disgregata che anche il peccato attuale – fino alla forma atroce dell’omicidio – sembra aver perduto i suoi caratteri distintivi, esser divenuto qualcosa di informe, di anonimo, di collettivo, di passivo. Avremo mai un ritorno – nella realtà, non a parole – a princípii di individualità e di responsabilità?
Intanto, grazie ai princípii contrari, il sangue umano è stato versato con l’indifferenza di un lubrificante. Il sangue che renderà per noi o contro di noi una così arcana testimonianza!
Poiché tre rendono testimonianza sulla terra: lo spirito, l’acqua e il sangue.

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Qualche sorso dell’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità

Non sappiamo, abbiamo detto, dove il mondo moderno si avvii. Non ci preme neanche saperlo. Non ci preme indagare. È abbastanza, per noi, sapere cosa abbiamo perduto: abbiamo perduto Dio e l’uomo. Un’altra cosa importante sappiamo: che per ritrovarli non si può semplicemente rifare all’indietro i passi che abbiamo fatto in avanti (e che chiamiamo progresso, rallegrandoci al suono della parola come se ogni progresso fosse un bene, anche il progresso di un’infezione fosse un bene).
Qualche sorso d’acqua del Lete sarebbe certo la cura più efficace per l’umanità. Ma è altrettanto certo che l’umanità non si sottoporrà mai a qusta cura, e continuerà invece a mordere fino al torsolo il frutto dell’albero della scienza. A quanto abbiamo perduto bisogna dunque tornare per altra strada, attualmente ignota. Chiaro, tuttavia, fin che essa si sveli, è il nostro dovere. Noi dobbiamo tenere vigile la nostra angoscia, unica lampada rimasta accesa nelle nostre tenebre; rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano.

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Rifiutare l’acquiescenza, denunziare lo squilibrio che si nasconde sotto ogni equilibrio insano
Di fronte alla Verità occorre gridare dal profondo

Chiunque sente gridare dentro di sé una coscienza umana violentata, deve esternare, forte, questo grido. Forse giungerà ad altri e sveglierà in essi l’identico disagio. E quando la coscienza di essere uomini, con tutto ciò che questa parola significa, dalla creta al suggello divino, e di esserci offesi e traditi da noi stessi, sarà diventata universale, sarà già cominciata la nostra lenta resurrezione.
Ma anche se il nostro grido fosse destinato a morire senza echi, noi dobbiamo ugualmente innalzarlo – perché sia stato innalzato, perché di fronte alla Verità qualcuno abbia gridato dal profondo. E in questo senso avrà peso, non sarà perduto, anche se fossimo perduti noi e ormai incapaci di operare altro che la nostra condanna – e solo per forza o per sorpresa Dio potesse ricondurci, secondo i suoi occulti disegni, a qualcuna delle realtà che ci sono patria.

Margherita Guidacci, Il nostro mondo, in «Rassegna», a. I, n. 5, settembre 1945, pp. 40-44.

 

Margherita Guidacci

Sibille

Seguito da Come ho scritto “Sibille”

A cura di Ilaria Rabatti

indicepresentazioneautoresintesi

Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive; erano per me delle persone reali, in carne ed ossa. Naturalmente, sono completamente disposta ad ammettere che esse non erano che delle proiezioni del mio inconscio. […] Come poeta, poco m’importa di obbedire a impulsi razionali o irrazionali – e meno che mai di compilarne un catalogo – purché essi siano vitali e si tradu­cano in un’opera. È il poiein, il fare che interessa al poeta e non il sottile scandaglio sul come o il perché del poiein. Razionale o irrazionale, ciò che l’aiuta ad ottenere un risultato è sempre il benvenuto. Se l’incon­scio mi ha aiutata a scrivere le Sibille, io gli sono grata: ha dimostrato di possedere immaginazione, memoria e passione. Spero bene che vorrà darmene altre prove in futuro. Che lo faccia lui o la parte razionale del mio essere, certamente non sarà in ogni caso nelle forme già sperimentate: se contassi sul loro ripetersi, mi sbaglierei totalmente. Gli esseri umani, e soprattutto gli artisti, possono sempre riservare nuove sorprese.

In questo senso, ancora oggi, mi apro fiduciosa al futuro.

Margherita Guidacci

***

Cominciando dalla fine

di Ilaria Rabatti

L’incontro con un libro racchiude sempre una storia. Ripubblicare oggi Sibille, dopo trent’anni dalla loro prima uscita in volume presso Garzanti nel 1989, è per me come chiudere un cerchio. Alle Sibille sono infatti profondamente legata perché quelle poesie – le ultime pubblicate dalla poetessa ancora in vita – sono state anche le prime che ho letto di Margherita Guidacci. Ho conosciuto infatti la sua poesia cominciando dalla fine, risalendo solo successivamente alla sorgente limpida della sua prima raccolta, La sabbia e l’Angelo, accorgendomi così, man mano che andavo avanti nella lettura, di quanto quella voce, profonda e potente nella sua apparente semplicità, dentro le parole mi parlasse.

Alla fine dei miei studi universitari a Firenze, nel 1996, io non sapevo nulla di Margherita Guidacci. Sapevo solo che quello era il titolo della mia tesi di laurea in letteratura italiana moderna e contemporanea, assegnatomi da Maura Del Serra dopo la bocciatura della mia prima scelta, Alda Merini, per cui nutrivo allora una specie d’incantata venerazione. Ricordo che dopo il colloquio con la mia professoressa, uscii dal dipartimento di italianistica un po’ disorientata, con in testa il nome di Margherita a caratteri cubitali, il suo volto sconosciuto e il buio immenso intorno. Tuffarsi subito nella lettura, pensavo, mi avrebbe aiutato a fare luce ed allora, ingenuamente, mi venne l’immediato impulso di avviarmi dritta e veloce in libreria. Allora, ripeto, ingenuamente, pensavo che la letteratura fosse custodita anche nelle librerie. Andai alla Marzocco in via Martelli, che, proprio davanti al mio liceo, era stata il luogo magico di tante scoperte bellissime, sicura di trovarvi quello che cercavo. Restai malissimo quando mi resi conto che sugli scaffali di Guidacci non c’era proprio nulla. Per fortuna da Marzocco vi lavorava Carlo Manzini, un fine e introverso libraio, che aveva conosciuto bene Margherita (così mi raccontò lui stesso) e che, proprio in virtù di quell’antica amicizia e, forse, del mio sguardo smarrito, mi prese in simpatia, e si dette un gran daffare per aiutarmi. Successe, come sempre succede, l’imprevedibile, ma per me fu un “segno”. Manzini, cercando bene in un angolo poco accessibile del negozio riuscì a scovare una copia “dimenticata” dell’unico libro di Margherita ancora in commercio, Il buio e lo splendore, appunto. Ho letto d’un fiato quelle pagine, senza neanche aspettare di arrivare a casa, appoggiata ad uno scaffale della libreria, cominciando, senza saperlo, tra apprendistato e iniziazione, uno dei viaggi più importanti della mia vita. Rubando a Paolo Nori un’immagine bellissima, potrei dire infatti che in quel momento, se fossi stata attenta, avrei sentito il rumore degli scambi del treno della mia vita che si spostavano, che portavano tutto in un’altra direzione.

Da allora non ho più dimenticato quella lettura che mi ha fatto scoprire la bellezza e la paura di lasciarsi andare, permettendo alla vita di farsi strada. E tutto quello che ho fatto e letto dopo, misteriosamente, s’è incamminato in quella direzione, illuminandola. Non ho dimenticato neppure quella libreria – diventata, ahimè, oggi un lussuoso negozio di prelibatezze gastronomiche – e quell’amico libraio sempre vivi e fantastici nel ricordo.

Ricongiunta in un anello di tempo e di nostalgia (1989-2019), affido dunque la voce “rivelata” delle Sibille a nuovi lettori, immaginando che, nonostante il rumore di fondo che abita i nostri giorni, essa conservi ancora intatta la forza di farsi ascoltare, ognuno ritrovandovi dentro, insieme al respiro, anche solo una piccolissima scheggia del proprio itinerario di libertà.

Indice

Sibyllae / Ellespontica / Cimmeria / Samia / Libica / Frigia / Persica / Eritrea / Tiburtina / Cumana I / Cumana II / / / Cumana III / Cumana IV / Cumana V / Delfica I / Delfica II / Delfica III

Sulle Sibyllae

Sibyllae

Note particolari sulle Sibyllae

Comment j’ai écrit Sibylles

Come ho scritto Sibille

Note di I. Rabatti alla traduzione

 

Ilaria Rabatti, Cominciando dalla fine


Margherita Guidacci

La voce dell’acqua

Quaderno di traduzioni [autori tradotti: William Blake, Hilda Doolitle, Thomas S. Eliot, Gabriela Mistral, Richard Eberhart, Robert Frost, Archibald MacLeish, Ezra Pound, Tu Fu, Mao Tse-tung, Federico García Lorca, Vicente Aleixandre, Jorge Guillén, Cristopher Smart, Marie Under, Kathleen Raine, Henrik Visnapuu, Francis Thompson, Czeslaw Milosz, Elizabeth Bishop, John Keats], a cura di Giancarlo Battaglia e Ilaria Rabatti.

 
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Margherita Guidacci

Prose e interviste

a cura di Ilaria Rabatti

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Margherita Guidacci

Il fuoco e la rosa. I Quattro Quartetti di Eliot e Studi su Eliot

a cura di Ilaria Rabatti

 
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Margherita Guidacci

Il pregiudizio lirico. Consigli a un giovane poeta

a cura di Ilaria Rabatti

 
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Margherita Guidacci – Margherita Pieracci Harvell

Specularmente. Lettere, studi, recensioni

a cura di Ilaria Rabatti

 

indicepresentazioneautoresintesi



Ilaria Rabatti

Tra poesia e profezia: Il buio e lo splendore. L’ultima fase della poesia di Margherita Guidacci
indicepresentazioneautoresintesi

 

Margherita Guidacci (1921-1992) – Il nostro mondo.
Margherita Guidacci, Margherita Pieracci Harvell – «Specularmente. Lettere, studi, recensioni». A cura di Ilaria Rabatti
Margherita Guidacci (1921-1992) – Voi, guardie e doganieri, perché non chiedete il passaporto al tordo e al colombaccio? Si faccia dunque un bando rigoroso perché ogni uccello resti confinato nel proprio cielo territoriale. Fino a quel giorno anch’io, con tutti gli uomini, rifiuterò le frontiere.
 
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in vani giri. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo.
Margherita Guidacci (1921-1992) – «Sibille». Per tutto il tempo in cui rimasi in compagnia delle Sibille, le sentii sempre come delle presenze oggettive. erano per me delle persone reali, in carne ed ossa.
Margherita Guidacci (1921-1992) – Chi ha veramente a cuore la sapienza, non la ricerchi in questi vani giri, come di chi volesse raccogliere le foglie cadute da una pianta e già disperse dal vento, sperando di rimetterle sul ramo. La sapienza è una pianta che rinasce solo dalla radice, una e molteplice. Chi vuol vederla frondeggiare alla luce discenda nel profondo …
Margherita Guidacci (1921-1992) – Sono i pazzi quelli che hanno ragione, in una società disumana e soffocante come la nostra. Si impazzisce perché si ha l’impressione che il mondo non sappia che farsene dell’anima né delle sue facoltà più importanti, come ad esempio l’immaginazione.

Salvatore Bravo – Populismo pedagogico e scuola senza concetto. La scuola facile non libera, non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera. La scuola difficile e dell’impegno educa alla domanda, forma alla temporalità distesa e densa di contenuti.

Cancellare il volto della scuola
Memmo Di Filippuccio, Paolo e Francesca (Museo Civico, San Gimignano).

Cancellare il volto della scuola


Salvatore Bravo

Populismo pedagogico e scuola senza concetto

La scuola facile non libera, ipostatizza il presente, necrotizza la prassi e la trasformazione.
La scuola difficile educa alla domanda.
La scuola facile non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera.
La scuola dell’impegno è la scuola che forma alla costanza, ai tempi del concetto.
Non vi è sapere critico se non nella gradualità dell’apprendimento dei contenuti.
Il sapere critico deve conoscere la temporalità distesa e densa di contenuti
Nell’antiumanesimo programmato il fine è cancellare ogni disponibilità all’umana comprensione.


 

Populismo pedagogico
Il populismo pedagogico è il volto operativo della cattiva politica. Per populismo pedagogico si intende l’esemplificazione fine a se stessa: il semplicismo privo di concetto. In nome dell’esemplificazione si educa alla formazione del suddito, si forgiano le catene dorate dell’ignoranza con la pedagogia del disimpegno, della promozione sociale con contenuti minimi. Ma ciò che maggiormente rende nefasta tale struttura operativa è la formazione di caratteri dalla fragile resistenza alla frustrazione, pronti a rinunciare, a demordere, a svicolare dalle difficoltà. Si rafforza solo l’atomismo narcisistico da cui il mercato attingerà per promuovere i consumi. La comunità è dissolta nell’individualismo. Le azioni pedagogiche personalizzate – in nome della cosiddetta inclusione – sono finalizzate ad assottigliare, fino a divenire programmi e contenuti inconsistenti. In tal modo si ottiene il successo formativo da utilizzare nella campagna acquisti alunni della scuola azienda: la deprivazione culturale è presentata come un’eccellenza della didattica. Tutto dev’essere liscio quanto il desktop di uno smartphone:

«La vera contrapposizione è oggi tra “saperi difficili” e “saperi facili” o, meglio, saperi apparenti, fatti di scorciatoie, semplificazioni, impoverimenti linguistici ed argomentativi, saperi di superficie, saperi di formule. Questa è la vera alternativa per una scuola del futuro, una scuola che insegni a padroneggiare realmente Internet, non solo a saper battere i tasti e a essere schiavi di tutto ciò che passa per questa via».[1]

Il sapere apparente diventa parte fondante dell’industria del falso e del dominio globale. Il populismo pedagogico ha inventato «il docente facilitatore dell’apprendimento». Ovvero, il docente deve essere il regista silenzioso dell’apprendimento, non più educatore, non più punto di riferimento per i contenuti, ma solo un mediatore del lavoro dei discenti, i quali indirettamente stabiliscono contenuti, obiettivi, competenze che naturalmente sono minimi, semplici. Si vuol indurre, così, la percezione che l’alunno sia autonomo. In verità l’insegnante ha abdicato al suo ruolo, mentre l’alunno è abbandonato al suo destino: il mercato. Si omologa verso il basso, si forma alla mediocrità e si rappresentano – nella narrazione pedagogica – le catene dell’ignoranza come successo formativo. L’esemplificazione degrada ogni gerarchia del sapere: non vi è più altezza, ma solo la bassezza. La mediocrità è il fine ultimo dell’organizzazione globale e finanziaria.

 

Scuola senza concetto

Il numero sempre più vicino allo zero di bocciature e di “debiti” è utilizzato per dimostrare che l’istituzione risponde prontamente ai bisogni-desideri del cliente. “Il cliente ha sempre ragione”! Pertanto, dinanzi ad una difficoltà, alla minima frustrazione, dev’essere immediatamente soddisfatto con la pedagogia del pronto intervento, del successo immediato, della rimozione della difficoltà. Populismo pedagogico, dunque, in cui si ostenta – con linguaggio orwelliano – di essere dalla parte dell’alunno, delle famiglie, della comunità. In verità si risponde al bisogno del mercato che desidera soggetti fragili, «liquidi», sempre pronti all’uso, semianalfabeti senza consapevolezza di sé, pronti a dire sempre di “sì”, in quanto la loro esperienza formativa non è passata per il concetto, per la contraddizione, per la conoscenza di sé, per l’urto formativo. Senza contenuti e chiarezza di sé, la persona è solo un ente-atomo esposto alle tempeste dell’economia.
La complessità, la scuola difficile, la scuola dell’impegno, è la scuola che forma alla costanza, ai tempi del concetto, i quali si formano sedimentandosi mediante configurazioni che permettono – nel tempo, appunto – l’atto creativo.
Non vi è creazione, non vi è sapere critico se non nella gradualità dell’apprendimento dei contenuti.
La tecnocrazia è il regno del saper fare tecnologico senza il saper fare.

A scuola di uomini “di fatto
Il sapere critico deve conoscere la temporalità distesa e densa di contenuti da riordinare nel tempo.
Alla scuola critica è succeduta la scuola delle competenze, ovvero l’alunno deve operare in modo flessibile con il minimo, deve mostrare di essere l’imprenditore del suo sapere. Ogni valenza etica è neutralizzata.
La competenza – con i suoi saperi ossificati – è solo preparazione al mercato, adattamento ai desideri del mercato globale che esige e prescrive tecnici che debbono operare su dati di fatto e dunque l’ordine del mercato è formare uomini “di fatto” come direbbe Husserl:

«Attuando questo mutamento ci renderemo conto ben presto che alla problematicità che è propria della psicologia, non soltanto ai giorni nostri ma da secoli, – alla “crisi” che le è peculiare – occorre riconoscere un significato centrale; essa rivela le enigmatiche e a prima vista inestricabili oscurità delle scienze moderne, persino di quelle matematiche, essa rivela un enigma del mondo di un genere che era completamente estraneo alle epoche passate. Tutti questi enigmi riconducono all’enigma della soggettività e sono quindi inseparabilmente connessi all’enigma della tematica e del metodo della psicologia. Tutto ciò non costituisce che una prima indicazione del senso profondo di ciò che queste conferenze si propongono.

Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del secolo scorso, nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la loro scientificità bensì ciò che esse, le scienze in generale, hanno significato e possono significare per l’esistenza umana. L’esclusività con cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione del mondo complessiva dell’uomo moderno accettò di venir determinata dalle scienze positive e con cui si lasciò abbagliare dalla “prosperity” che ne derivava, significò un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica».[2]

Gli esseri umani “fatti” di soli fatti sono il pericolo globale che Husserl ha profetizzato con la forza visionaria del concetto. Ogni senso del bene e del male è smarrito, il “particulare” diventa la legge a cui obbedire. Ecco le personalità flessibili per un mondo destrutturato: ed in questo mondo non vi è la totalità-verità, ma solo l’economicismo individualista manovrato dalla finanza. Le istituzioni scolastiche sono nel pieno del nichilismo, lo attuano, lo accolgono, lo esaltano: ed il male si radica e si diffonde.

I resistenti vivono la notte del mondo. Resistenti non sono solo i professori, ma anche dirigenti scolastici ed alunni che difendono la passione per l’umano, per i quali ancora risuona il detto di Terenzio nella commedia Heautontimorùmenos:[3] «Homo sum, humani nihil a me alienum puto» ( Niente che è umano mi è estraneo).

Antiumanesimo programmato
Il fine dell’esemplificazione è cancellare ogni disponibilità all’umana comprensione, la quale esige non solo un’indole dotata di sensibilità, ma la formazione alla complessità-difficoltà, perché conoscere se stessi non solo è difficile, ma anche complesso. La riflessione su se stessi non può che avvenire nell’accogliere la presenza del prossimo, nell’imparare a riconoscere nell’altro se stessi, ma anche ad intuirne le differenze, ad avere il senso della misura, senza il quale non vi è conoscenza dell’altro. Tutto questo crolla in nome dell’uomo imprenditore che percepisce la presenza dell’altro solo come mezzo per un facile arricchimento, spesso illusorio, in un mondo di stranieri, in cui si estranei a se stessi ed ogni prassi è negata. La scuola diviene formazione alla caverna collettiva. Carnefici e vittime si accalcano per essere competenti e competitori delle televendite con un inglese schiacciato sull’empirico, con un italiano umiliato dall’inglesizzazione e accettato come normale mutazione della lingua. Si smantellano le culture nazionali, si osanna la nuova non lingua utilizzandola in ogni contesto. La caverna platonica avanza fino a diventare gabbia d’acciaio, nella quale le vittime perpetuano il sistema, amplificandone gli effetti: notoriamente i servi sono più realisti del re.

Formazione alla complessità-difficoltà
La scuola che forma è difficile, esige impegno da parte della collettività tutta: dirigenti, docenti, genitori, alunni. Ed è naturalmente comunitaria. Deve accettare il conflitto come occasione per chiarire finalità e modalità operative, rammentando che i valori di fondo devono essere vissuti nell’attività educativa con gli opportuni interventi. La scuola facile non libera, ma chiude nella caverna, ipostatizza il presente, e necrotizza la prassi, la trasformazione: gli esseri umani sono così enti e non punti ottici in cui risplende la verità. Vorrei ricordare le parole di Gianni Rodari (rapidamente dimenticato dalla scuola primaria, in nome del coding e delle tecnologie), in Parole per giocare esprime – con la semplicità del vero pensatore e del vero educatore – l’importanza del fare cose difficili:

«È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi».

La scuola difficile, e del complesso, deve educare alla domanda. Ma senza formazione al concetto, al linguaggio complesso, all’ordine logico che le discipline devono insegnare, le domande che naturali scaturiscono da ogni essere umano sono monche, e dunque non colgono la profondità del problema.
La scuola difficile è scuola dove si impara a fare domande con parole precise e con logica chiarezza, a confrontarsi dialetticamente, a disporsi verso la verità.
La scuola facile, con i contenuti veloci e poveri, non permette al pensiero di configurarsi, ma lo destruttura in chiacchiera, in pseudo-concetto illogicamente espresso, e dunque il punto ottico diventa opaco, incapace di trasmettere messaggi: la povertà culturale diventa sistematica.
Senza la capacità di porre le domande con parole precise, di ritornare fenomenologicamente alle cose stesse non vi è pensiero, ma solo calcolo. Si finisce, così, per porre domande in modo sbagliato, ed il soggetto si isola dal mondo, perché le domande profonde sono ponti che uniscono, mentre le domande mal dette e di superficie frammentano. Rodari ancora una volta chiarifica l’importanza del saper porre le domande:

«Tante domande C’era una volta un bambino che faceva tante domande, e questo non è certamente un male, anzi è un bene. Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta. Per esempio, egli domandava: – Perché i cassetti hanno i tavoli? La gente lo guardava, e magari rispondeva: – I cassetti servono per metterci le posate. – Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perché i cassetti hanno i tavoli. La gente crollava il capo e tirava via. Un’altra volta lui domandava: – Perché le code hanno i pesci? Oppure: – Perché i baffi hanno i gatti? La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi. Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande. Anche quando diventò un uomo andava intorno a chiedere questo e quello. Siccome nessuno gli rispondeva, si ritirò in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non la trovava. Per esempio scriveva: “Perché l’ombra ha un pino?”. “Perché le nuvole non scrivono lettere?”. “Perché i francobolli non bevono birra?”. A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava. Gli venne anche la barba, ma lui non se la tagliò. Anzi si domandava: “Perché la barba ha la faccia?”. Insomma era un fenomeno. Quando morì, uno studioso fece delle indagini e scoprì che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e così non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste. A tanta gente succede come a lui».[4]

Democrazia e formazione
La democrazia rischia di morire nel ridicolo dell’ignoranza, nell’arroganza dei piccoli leader abituati a non ricevere domande che smascherano, ma solo elogi che sono in realtà lamenti funebri per la democrazia. La democrazia esige formazione difficile senza complicare inutilmente i concetti, vuole che si rispettino responsabilmente i ruoli, senza autoritarismo, ma per servizio. Se invece i ruoli vengono trascesi in nome di un’uguaglianza ideologica, si vuole solo legittimare l’ignoranza organizzata e finalizzata ed il privilegio. Platone, nel libro ottavo della Repubblica, ha ben descritto la fine della democrazia nell’anarchia dei ruoli, e su di essa dovremmo riflettere. I classici sono eterni, perché hanno concettualizzato l’umano:

«In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?».[5]

La formazione in pericolo è l’altro volto della democrazia minacciata; la partecipazione alla vita comunitaria è materialmente possibile solo in presenza di una comunità capace di praticare la cittadinanza mediante il concetto, ed educata a confrontarsi con i concetti per crearli e ricrearli nel pensiero consapevole, nell’attività pensante.

«Bisogna aprire i chiostri della verità», come direbbe Giordano Bruno.
Non vi è democrazia senza domanda di verità che rompe i chiavistelli dei pregiudizi e dell’individualismo.
Il futuro della democrazia si gioca nella scuola.

La domanda a cui ciascun educatore e cittadino dovrebbe rispondere, in primis, è se vuole formare sudditi o cittadini.

Salvatore Bravo

***

[1] Giuseppe Cambiano, Sette ragioni per amare la filosofia, il Mulino, Bologna 2019, p. 153.

[2] Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1983, p. 34.

[3] In greco: Ἑαυτὸν τιμωρούμενος, Il punitore di sé stesso.

[4] Gianni Rodari, Favole al telefono. 1993, Edizioni EL, S. Dorligo della Valle (Trieste), pp. 92-93.

[5] Ibidem.

Publio Terenzio Afro, Manoscritto dell’XI secolo della commedia «Heautontimorùmenos», 163 a.C


Democrito (460– 370 a.C.) – La serenità dell’animo nasce dalla misura e dalla armonia di vita. L’eccesso e il difetto amano la instabilità.

Democrito 006

Negli uomini la serenità dell’animo nasce dalla misura imposta al piacere e dalla armonia di vita. Al contrario, l’eccesso e il difetto amano la instabilità e portano grandi sconvolgimenti nell’animo. Le anime sconvolte dall’alterno signoreggiare di condizioni fra loro decisamente contrarie non sono in grado di essere in equilibrio né ben disposte […]. È dunque bene non volere ottenere qualsiasi cosa, ma tranquillizzare l’animo facendosi bastare ciò che è necessario […]».

Democrito, B191.


Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Si deve essere veraci, non loquaci. Chi si compiace nel contraddire e chiacchiera molto non ha attitudine ad apprendere ciò che è necessario. Né arte né scienza si può conseguire da chi non apprende.
Democrito (460 – 370 a.C. circa) – Bisogna difendere nei limiti delle proprie forze coloro che patiscono ingiustizia, e non lasciar correre: giacché un tale atteggiamento è giusto e coraggioso, l’atteggiamento contrario è ingiusto e vile.
Democrito (460 a.C. – 370 a.C.) – Ogni paese della terra è aperto all’uomo saggio: perché la patria dell’anima virtuosa è l’intero universo.

Francesco Fronterotta – Eraclito oppone resistenza a qualunque riduzione interpretativa che tenti di definirne i tratti dottrinari.

Francesco Fronterotta 01

Francesco Fronterotta, dal 1 novembre 2001 ricercatore in Storia della Filosofia antica, dal 1 maggio 2005 professore associato della stessa disciplina presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Lecce; dal 27 dicembre 2012 presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Roma-Sapienza. Dopo l’esame di maturità classica (1989) e l’ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, Francesco Fronterotta vi ha frequentato il Corso ordinario (Laurea) e il Corso di perfezionamento (Dottorato di ricerca), quest’ultimo in cotutela con l’EHESS di Parigi. Nel 1998-99 è stato borsista dell’Istituto italiano per gli studi storici di Napoli. Ha trascorso numerosi soggiorni di studio all’estero, particolarmente a Parigi, per circa otto anni, a Londra e Cambridge e presso diverse Università tedesche (Berlino, Weimar e Monaco). Ha svolto attività di insegnamento a contratto presso l’École normale supérieure de Fontenay-St. Cloud (Parigi, 1996-1998), presso la Scuola Normale di Pisa (1999-2001) e presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Nel contesto della sua attività didattica, è stato relatore di circa 120 tesi di laurea e di laurea magistrale; ed è stato o è tutor di dieci dottorandi di ricerca. Nel febbraio 2014 ha ottenuto l’Abilitazione scientifica nazionale di prima fascia per il settore concorsuale 11/C5 – Storia della filosofia. Ha partecipato a numerosi convegni nazionali e internazionali, tenuto lezioni e conferenze in Università italiane ed estere ed è stato Visiting Professor presso l’Université de Paris X – Nanterre negli a.a. 2005-2006, 2006-2007, 2007-2008; presso la Sichuan University (Cina) nel luglio 2015; presso l’Université de Paris 1 – Panthéon Sorbonne nel novembre 2015. Ha fondato nel 2001, con i proff. L. Brisson e J.-F. Pradeau, la Société d’études platoniciennes e la rivista internazionale Les Etudes platoniciennes. È membro europeo dell’Executive Committee dell’International Plato Society (per il sessennio 2013-2019) e cura per la rivista on line della stessa, dal titolo Plato Journal (http://www.nd.edu/~plato/), la sezione critico-bibliografica relativa al tema “Ontologia, logica e filosofia del linguaggio”; è membro fondatore e presidente della Sezione Mediterranea dell’International Plato Society; è stato primo presidente (Erster Vorsitzender) dell’Academia platonica septima Monasteriensis e.V., fondata nel 1999 da Matthias Baltes (per il biennio 2013-2015); è membro dell’International Society of Neoplatonic Studies; è membro del Consiglio direttivo della Società italiana di storia della filosofia antica (dal 2012) e membro del Comitato direttivo della Collana Studi di Storia della filosofia antica della SISFA (Società italiana di Storia della filosofia antica) presso le Edizioni di Storia e Letteratura (Roma); è Permanent Fellow della Archai Unesco Chair (Brasilia) e membro del relativo Board of Visiting Scholars; è membro del Comitato strategico della Scuola di Studi Superiori in Filosofia dell’Università di Roma Tor Vergata; è membro dell’Advisory Board del progetto ERC (Starting grants 2017Proteus. Paradoxes and Metaphors of Time in Early Universe(s), Panel SH5; è Direttore scientifico (insieme con il prof. Gennaro Sasso) del Corso di Alta Formazione in Filosofia, filologia e archivi, Fondazione G. Gentile per gli studi filosofici – Sapienza Università di Roma.


Leggi i suoi saggi in PDF


Francesco Fronterotta, Politica e utopia. La Repubblica di Platone nel XX secolo

Alcuni libri
di Francesco Fronterotta

 

Guida alla lettura del «Parmenide» di Platone, Laterza, 1998

Che rapporto c’è tra l’idea di «uomo» e ciascuno di noi? Come è possibile un punto di contatto tra un’idea, universale ed eterna, e Luigi o Francesca, singoli, concreti e mortali? Fronterotta introduce a uno dei più sottili dialoghi platonici, in sui si esamina a fondo la problematica sopra accennata.


Methexis. La teoria platonica delle idee e la partecipazione delle cose empiriche.

Dai dialoghi giovanili al Parmenide

Scuola Normale Superiore, Pisa 2001


Lire Platon

Con Luc Brisson
Puf, 2006

Rédigé par des spécialistes internationaux, cet ouvrage veut donner au lecteur de Platon les moyens de mieux comprendre les principaux enseignements de son œuvre et la manière dont le philosophe athénien avait choisi de rendre raison dela réalité. Les chapitres successifs de l’ouvrage examinent chacun des principaux aspects de l’œuvre de Platon, de manière à en proposer une introduction. Ils s’efforcent de présenter les dialogues dans leur contexte historique athénien, et de montrer comment Platon y invente ce savoir et ce mode de vie que l’on nommera à sa suite ” philosophie “.


Eidos-Idea

Platone, Aristotele e la tradizione platonica
Edited by Francesco Fronterotta and Walter Leszl, 2011

La dottrina delle idee ha rappresentato un oggetto privilegiato di analisi per numerose generazioni di autorevoli interpreti, da un punto di vista storico, filologico, filosofico e scientifico. Tuttavia, una pur rapida consultazione della vastissima bibliografia platonica dell’ultimo cinquantennio mostra sufficientemente come l’interesse critico ed esegetico intorno a questo nucleo teorico della riflessione di Platone si sia rivolto per lo più all’indagine di problemi specifici o di singoli aspetti dell’opera del filosofo ateniese, perdendo talvolta di vista l’orizzonte concettuale e lo sfondo filosofico entro il quale bisogna collocare il suo pensiero. Ora, questo volume intende invece concentrare l’attenzione sulla nozione e sul concetto di eidos nella filosofia di Platone e nel dibattito che le dottrine platoniche hanno suscitato nella tradizione posteriore, a partire dalla prima Accademia e da Aristotele, fino a giungere a tracciare un quadro schematico e sintetico delle principali correnti “platonizzanti” del pensiero antico. Attraverso un confronto a più voci che si è andato via via costruendo nel corso di successivi seminari e incontri di studio, si è pensato di fornire così una raccolta miscellanea capace di “fare il punto” intorno al dibattito critico e agli studi più recenti su questo tema cruciale.

Introduzione, W.L. & F.F.

La teoria platonica delle idee

  1. Baltes-M.L. Lakmann, Idea (dottrina delle idee)
  2. Brisson, Come rendere conto della partecipazione del sensibile all’intellegibile in Platone?
  3. Leszl, Ragioni per postulare le idee

J.-F. Pradeau, Le forme e le realt.. intellegibili: l’uso platonico del termine eidos

  1. Sillitti, L’idea del bene tra geometria e dialettica nei libri VI e VII della Repubblica platonica
  2. Centrone, L’eidos come holon in Platone e i suoi riflessi in Aristotele
  3. O’Brien, La forma del non essere nel Sofista di Platone

Il dibattito sulle idee fra l’Accademia antica e Aristotele

  1. Isnardi-Parente, Il dibattito sugli eide nell’Accademia antica
  2. Fronterotta, Natura e statuto dell’eidos: Platone, Aristotele e la tradizione platonica
  3. Mariani, Aristotele e il “terzo uomo”
  4. Cerami, La sostanza sensibile e la nozione di TODE TOIONDE in Metafisica VII 8

Il dibattito sulle idee nella tradizione platonica

  1. Ferrari, Idea ed eidos nel medioplatonismo
  2. Linguiti, Dottrina delle idee nel neoplatonismo

Bibliografia


Eraclito, Frammenti. Testo greco a fronte

Rizzoli, 2013

Filosofo del negativo e della contraddizione, padre di una fisica e di una cosmologia protoscientifiche fondate sul divenire e sul movimento, Eraclito oppone resistenza a qualunque riduzione interpretativa che tenti di definirne i tratti dottrinari. La sua proverbiale oscurità e lo stile enigmatico e sentenzioso hanno stimolato fin dall’antichità innumerevoli interpretazioni, e lo stato frammentario della sua opera costituisce un’autentica sfida per le operazioni esegetiche dei moderni. Questa edizione è una disposizione tematica dei frammenti e restituisce dunque una sistematizzazione plausibile della riflessione eraclitea, mentre il commento permette di collocare il pensatore ionico nel suo contesto storico e filosofico.


Studi su Aristotele e l’aristotelismo

A cura di Elisabetta Cattanei, Francesco Fronterotta, Stefano Maso

Editore Storia e Letteratura, 2015.

La collana è espressione della SISFA (Società italiana di Storia della Filosofia Antica). Si propone di raccogliere, in primo luogo, gli studi italiani in questo ambito e inoltre importanti contributi alla ricerca sul pensiero antico provenienti dall’estero. Vuole rappresentare la voce della nostra ricerca sul pensiero antico nel mondo e dialogare in modo fecondo con le altre tradizioni critiche ed esegetiche. Il primo volume è dedicato al pensiero aristotelico.


Dai presocratici a Platone. Cinque studi

Con Francesca Masi, Storia e Letteratura, 2018

Nuovo volume della collana dedicata alla storia della filosofia antica, questi studi intendono affrontare aspetti specifici della dottrina dei presocratici mettendola in relazione col pensiero di Socrate e l’influenza che essa ebbe nello sviluppo delle correnti filosofiche successive.


Due immagini di Platone in età contemporanea. Il Neo-kantismo, Martin Heidegger

Con Massimo Luigi Bianchi, Mimesis, 2018

Due immagini di Platone, due modi differenti di rendere la sua filosofia: da un lato il punto di vista dei filosofi neo-kantiani della scuola di Marburgo, dall’altro quello di Martin Heidegger. Quanto dissimili sono i rispettivi orizzonti di pensiero, altrettanto lo è il terreno su cui nei due campi avviene la ripresa. Vi è un tratto, però, che accomuna le due riletture: in ambedue i casi a Platone non è rivolto uno sguardo neutrale ma la sua filosofia si vede restituita come attraverso due diverse rifrazioni prismatiche: quella dell’idealismo trascendentale kantiano da parte dei filosofi di Marburgo, quella della sua propria filosofia da parte di Heidegger.


Lire Platon

Con Luc Brissom

Puf, 2019

Comment Platon invente-t-il ce savoir et ce mode de vie que l’on nommera à sa suite ” philosophie ” ? Quels sont les traits distinctifs de la pensée platonicienne ? Comment la tradition platonicienne s’est-elle développée et quels en sont les principaux enseignements ? Chez Platon, la philosophie est le principe de l’amélioration de l’individu et de la cité. C’est en accordant une place primordiale à l’âme et au savoir fondé sur l’intelligible que l’homme sera capable de penser, de parler et d’agir. A travers les contributions originales de spécialistes internationaux, cet ouvrage donne au lecteur les moyens de saisir clairement les grandes lignes de la pensée du philosophe athénien. Les chapitres successifs examinent chacun des aspects essentiels de son oeuvre, en présentant les dialogues dans leur contexte historique et en proposant de nombreuses références bibliographiques, nécessaires à l’approfondissement des éléments présentés dans cette introduction.



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