Max Pohlenz (1872-1962) – La Grecia classica ci ha indicato la via verso la libertà interiore, in cui unico criterio direttivo è il vero bene comune. La libertà ha un limite solo, ma inviolabile. Esso è implicito nelle leggi stesse dello spirito, che può volere soltanto il vero e il bene.

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La libertà greca

«Caratteristica fondamentale dell’uomo ellenico è il forte impulso ad autodeterminarsi, che lo induce a formulare un suo personale giudizio sulle cose da cui si trova circondato, e a configurare, di conseguenza, la propria vita secondo un criterio proprio.
Egli non disconosce gli ostacoli contro cui viene ad urtare, ed ha un senso profondo dei limiti che, in quanto uomo, gli sono imposti. È’ ben consapevole di trovarsi in una collettività, nella quale, per poter esistere, si deve inserire, anche a costo di sacrificare desideri propri. Ben sovente egli è anche costretto a sperimentare che la sua volontà è frustrata da accadimenti imprevedibili […]. Gli è pure estranea l’angoscia cosmica che, conseguenza delle più dure esperienze, grava sugli uomini di oggi […].
L’uomo greco possiede il senso della realtà, dell’esistenza riconosce appieno ed avverte, oltre agli aspetti buoni, anche la durezza; vede i pericoli che lo minacciano, ma il suo atteggiamento fondamentale non è il timore, l’ansia di difendersi, bensl una positiva volontà di vita, che lo spinge, entro i limiti che nell’ordinamento cosmico gli sono stati tracciati, a configurare la sua esistenza in modo adeguato alla propria natura e conforme alla sua volontà. In Eschilo Eteocle rimprovera aspramente alle fanciulle tebane la loro paura inconsulta […]. E già in Omero Ettore assurge a piena grandezza umana proprio nell’attimo in cui si vede dinanzi la morte sicura e s’avvede d’essere ingannato e tradito da tutti gli dei. Non lo vince la paura, ma ecco qual è il suo unico pensiero:
                     ch’io non senza lotta, non privo di gloria termini la vita,
         no, ch’io compia ancora qualcosa di grande, novella alle generazioni future.

Ecco il fondamento psicologico su cui poté svilupparsi il concetto greco di libertà»

Max Pohlenz, La libertà greca, Paideia, 1963, pp. 5-6.

«Socrate […] impegnò  tutte le sue energie per convincere gli uomini che non dovevano affidarsi a opinioni soggettive, ma aspirare con tutte le forze alla conoscenza del bene oggettivo, l’unica sicura stella polare nella loro attività pratica. Solo questo ‘bene’ l’uomo, per sua natura, poteva davvero ‘volere’ e la desiderata libertà poteva consistere solo nell’orientare a questo fine il proprio agire, senza lasciarsi turbare da influenze estrinseche. […] Socrate  […] nei suoi dialoghi andava traendo sempre maggiore conferma alla convinzione che l’uomo fosse creato per vivere nella società e suo primo compito dovesse essere di inserirsi in essa mediante una condotta etica.
[…] Socrate è  consapevole che l’individuo deve tutta la sua esistenza fisica e spirituale alla società, e può vivere solo in essa. Alla società egli è quindi per sua natura esternamente legato e anche interiormente vincolato. Non possiede quindi una libertà assoluta, ma si trova in un vincolo oggettivo che non può sciogliere senza perdersi. Può renderlo più spontaneo se vi assente da sé, riconoscendo il bene etico come suo autentico bene e agendo di conseguenza. La subordinazione volontaria al tutto, che Peride sognava come ideale mentalità politica, raggiunge la sua espressione piena quando Socrate, ingiustamente condannato, preferisce rimanere in carcere piuttosto che compromettere per parte sua l’ordinamento giuridico e la stabilità dello stato. L’atteggiamento fondato sulla intuizione sentimentale s’è però trasformato in chiara scelta che l’uomo attua basandosi sulla conoscenza del vero bene. E se nella tragedia Antigone sacrificava la sua vita per una grande causa obbedendo alla propria sensibilità etica, anche la sua azione si caricava ora d’un significato più profondo per la certezza che non la vita importava, ma la vita buona, e con il sacrificio volontario della sua esistenza fisica l’uomo poteva salvare la sua parte migliore, la sua persona etica.
In tal modo Socrate diede agli uomini il sicuro sostegno di cui avevano bisogno, e indicò loro la via verso la libertà interiore, in cui unico criterio direttivo è il vero bene. Tale libertà del resto poteva trovare attuazione solo salva restando la consapevolezza dei suoi limiti, e anche la libertà personale presupponeva dei vincoli.
Per la massa quest’ideale era troppo alto, e la democrazia non sopportò chi incitava alla libertà etica dell’individuo. Fra i discepoli stessi di Socrate non potevano capire appieno il maestro quelli che non erano penetrati del suo stesso senso della polis».

Max Pohlenz, La libertà greca, Paideia, 1963, pp. 217-218.

«Socrate aveva indicato agli uomini la via per la libertà interiore, mostrando loro che i veri valori si trovavano nella loro stessa anima. […] Platone fu indotto […] a riconoscere chiaramente che la vera libertà poteva consistere solo nel dominio assoluto dello spirito sugli istinti inferiori. Il dominio di sé, che anche la sensibilità popolare esigeva, era la libertà dello spirito, che rappresenta il vero io dell’uomo. Aristotele, guidato dalla sua personale inclinazione, modificò tale concetto, affermando che lo spirito adempiva alla sua natura ‘divina’ nel pensiero teoretico, per il quale l’uomo è sollevato al disopra della vita quotidiana.
Sia Platone sia Aristotele usarono solo con ritegno il termine di ‘libertà’, perché aveva suono troppo politico. In realtà però hanno sviluppato il concetto conferendogli chiarezza filosofica: la libertà interiore giunge a pienezza nella libertà dello spirito, che non solo garantisce all’uomo l’indipendenza dall’esterno, ma gli dà anche la possibilità di sviluppare liberamente la sua vera natura.
La libertà ha un limite solo, ma inviolabile. Esso è implicito nelle leggi stesse dello spirito, che può volere soltanto il vero e il bene».

Max Pohlenz, La libertà greca, Paideia, 1963, pp. 134-135.

 


Vedi anche:

Max Pohlenz (1872-1962)  – Il cammino del dell’uomo greco è illuminato da tre guide ideali: il vero, il bello, il bene. Il sentimento dell’incondizionata sudditanza gli è affatto sconosciuto. Nel suo intimo possiede la forza di resistere a tutti i rovesci del destino e plasmare la sua vita a proprio modo, nella consapevolezza di essere personalmente responsabile delle proprie azioni


Luca Grecchi

Perché non possiamo non dirci Greci
In Appendice: In difesa di Socrate, Platone ed Aristotele

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Luca Grecchi

La filosofia della storia nella Grecia classica

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Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.

Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare

Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD

Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia

Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.

Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.

Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.

Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.

Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele

Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità

Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno

Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.

Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.


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Ernesto Che Guevara (1928-1967) – Ha più valore, un milione di volte, la vita di un solo essere umano che tutte le proprietà dell’uomo più ricco della terra.

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Essere uomo è precisamente essere responsabile.
Ognuno è responsabile di tutti.
Ognuno da solo è responsabile di tutti.
Ognuno è l'unico responsabile di tutti. 
Antoine de Saint-Exupéry

 

 

Guevara, Prima di morire

 

Ernesto Che Guevara, Prima di morire. Appunti e note di lettura, Feltrinelli, 2010.

 

Nobile pellegrino dei pellegrini,
che santificasti tutti i sentieri
con l'augusto passo del tuo eroismo,
contro le certezze, contro le coscienze,
e contro le leggi e contro le scienze,
contro la menzogna, contro la verità ...


Cavaliere errante dei cavalieri,
gentiluomo degli uomini fieri, principe dei valorosi,
pari tra i pari, maestro, salve!
Salve, perché ritengo che oggi ben poco ti resti
tra gli applausi o il disprezzo,
e tra le corone e gli encomi
e le sciocchezze della moltitudine!

Rubén Darío,
Litanie per il nostro signore Don Chisciotte,
da Otros poemas

 

 

Risvolto di copertina

Un libretto di citazioni: le letture preferite del Che. Un documento che viene pubblicato per la prima volta nel mondo. Avventurosamente ritrovato, il materiale di questo volume fa parte dei taccuini sui quali Ernesto Che Guevara veniva annotando i passi più significativi delle sue letture. Vi si leggono citazioni di Rosa Luxemburg, Lenin, Trotskij, Stalin, Mao Zedong, Lukács, Hegel, Engels, Castro. Compilate con la pazienza e la disciplina di uno studioso severo – un’attitudine che si avverte nella stessa calligrafia, nell’ordine dei paragrafi, nella precisione dei riferimenti bibliografici – queste note di lettura sono accompagnate dalle fotografie dei quaderni, dei documenti, dei reperti. Ma Prima di morire non è solo uno straordinario inedito, è anche la testimonianza di una passione intellettuale, di una coscienza politica che volentieri si intreccia a fantasia e poesia.

 

 


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Giacomo Leopardi (1798-1837) – Un sorriso e una poesia possono aggiungere un filo alla trama brevissima della vita, accrescendo la nostra vitalità.

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Zibaldone

«Dalla lettura di un pezzo di vera, contemporanea poesia, in versi o in prosa (ma più efficace impressione è quella de’ versi), si può, e forse meglio (anche in questi sì prosaici tempi), dir quello che di un sorriso diceva lo Sterne: che essa aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita. Essa ci rinfresca, per così dire; e ci accresce la vitalità. Ma rarissimi sono oggi i pezzi di questa sorta (1. Feb. 1829)».

Giacomo Leopardi, Zibaldone [4450].

«Un sorriso può aggiungere un filo alla trama brevissima della vita» (dall’epistola dedicatoria di Laurence Sterne del suo romanzo Vita e opinioni di Tristam Shandy, 1760-1767).

Vita e opinioni di Tristram Shandy

Vita e opinioni di Tristram Shandy

***

Giacomo Leopardi – Cos’è la lettura per l’arte dello scrivere

Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione

Giacomo Leopardi (1798-1837) – La felicità non è che la perfezione, il compimento della vita.


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Thomas Mann (1875-1955) – Ezra Pound, un interessante esempio di quella profonda scissione dello spirito dinanzi al problema sociale.

Mann versus Pound

Nobiltà dello spirito

«Ai giorni nostri  [1953] osserviamo il caso affascinante per cui una critica della società di segno conservatore o, se si preferisce, reazionario, viene esercitata con gli strumenti della più raffinata perfezione artistica: è il caso dello scrittore Knut Hamsun, da poco scomparso, un aposrata del liberalismo formtosi su Nietzsche e Dostoevskij, pieno d’odio per la civiltà, la vita cittadina, l’industrialismo, l’intellettualismo e via dicendo, appassionatamente anti-inglese e a tal punto germanofilo che, all’avvento di Hitler, si votò al nazionalsocialismo con un attivismo e un entusiasmo che lo portarono a tradire la propria patria. Nessun vero conoscitore della sua opera – che è l’opera di un grande poeta – dovette stupirsi troppo di questo itinerario spirituale e di questo personale destino. Bastava solo ricordare con quanto spirito, con quanta mordace arguzia, già nei suoi primissimi libri egli avesse schernito alcuni grandi del liberalismo come Victor Hugo o Gladstone. Ma ciò che nel 1895 era stata un’interessante posizione estetica all’insegna del paradosso e della bella letteratura, nel 1933 divenne una passione politica acuta, che oscurò pesantemente e dolorosamente una fama poetica mondiale.
Affine al caso di Hamsun è quello di Ezra Pound, un altro interessante esempio di quella profonda scissione dello spirito dinanzi al problema sociale. Un artista ardimentoso,
un avanguardista della lirica, anch’egli si gettò nelle braccia del fascismo, contribul a diffonderlo durante la Seconda guerra mondiale in veste di attivista politico e perse la partita grazie alla vittoria militare della democrazia. Pur essendo stato condannato e imprigionato come traditore, una giuria di eminenti scrittori angloamericani gli assegnò un importante riconoscilmento letterario, il Premio Bollinger, testimoniando in tal modo un elevato grado di indipendenza del giudizio estetico dalla politica. Ma siamo poi tanto sicuri che la politica sia rimasta estranea a quel giudizio, come parve aliora? Certo non sono l’unico che ambirebbe sapere se l’eminente giuria avrebbe assegnato il Premio Bollinger a Ezra Pound anche nel caso in cui, per avventura, anziché fascista fosse stato comunista»

 

Thomas Mann, L’artista e la società (Der Künstler und die Gesellschaft), in Id., Nobiltà dello spirito e altri saggi, Mondadori, 2015, pp. 1623-1624. Pubblicaro per la prima volta nel 1953 dall ‘editore Frick di Vienna nella collana delle pubblicazioni dell’UNESCO. Accolto, in forma abbreviata, in AuN, poi in GWA 11, GW X, E 6. Traduzione di A. Landolfi.

Poco più di tre mesi dopo aver concluso questo saggio Mann lascerà definitivamente gli Stati Uniti, in aperta polemica con la politica persecutoria scatenatasi in quel periodo contro i sospetti di «comunismo».


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Gioacchino Turco – «ETERNIT». Quando i soldi si impadroniscono del cuore la salute e la vita stessa dei lavoratori e dei cittadini vengono sacrificate sull’altare del profitto.

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Eternit

Risvolto di copertina

Questa storia prende vita negli anni del secondo dopoguerra, quando un forte flusso migratorio si spostava dal Meridione al Settentrione industrializzato. Si svolge in tre diversi ambienti: Casale Monferrato, Reggio Calabria e Torino, ruotando intorno al caso Eternit e ai tanti morti per amianto. Per l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Salute sul lavoro, sono almeno tremila casi l’anno nella sola Italia (centomila nel mondo), e gli epidemiologi dicono che si morirà a causa dell’amianto fino al 2040. Questo libro unisce elementi di verità storica all’invenzione di alcuni personaggi che questa vicenda raccontano. Una storia singolare e insieme universale, di persone semplici, che esalta la forza dell’uomo di rialzarsi e andare avanti nonostante le tragedie e mette a nudo la fragilità umana al cospetto del denaro. È, infatti, quando i soldi si impadroniscono del cuore che la salute e la vita stessa dei lavoratori e dei cittadini vengono sacrificate sull’altare del profitto.

Gioacchino Turco, Eternit. Quando i soldi si impadroniscono del cuore, Sensibili alle foglie, pp. 80, 2016.

Gioacchino Turco, operatore socio-sanitario, è nato a Reggio Calabria nel 1976. Amante della letteratura inglese, fin da ragazzo cerca nella natura che lo circonda una forma di ispirazione. Questo è il suo primo romanzo.

 

 


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«Pensiero Ribelle» Festival – Interventi di Diego Fusaro, Corrado Claverini, Alessandro Monchietto, Giuseppe Ambrosio, Luca Grecchi.

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Festival del Pensiero ribelle

Festival del Pensiero Ribelle

Domenica 12 Giugno 2016 – Roccabianca – Parma

A cura di Diego Fusaro

Ore 16,00-16,45

Corrado Claverini

Il coraggio del pensiero.
Le origini della filosofia dissidente italiana

Ore 16,45-17,30

Alessandro Monchietto

Due o tre cose che so di lei.
Civiltà capitalista, socialismo e sinistra
a partire dal “Manifesto” di Marx ed Engels

Ore 17,30-18,15

Giuseppe Ambrosio

Ribellione dell’etica ed etica della ribellione
nel
Waldgänger di Ernst Jünger

Ore 18,45-19,30

Luca Grecchi

Aristotele: la rivoluzione è nel progetto

dalle ore 21,15

Diego Fusaro

Pensiero in rivolta.
Elogio del dissenso

Scarica il Poster

Poster «Pensiero ribelle»

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Marie-Henri Beyle, Stendhal (1783-1842) – Le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto.

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La Certosa di Parma

«È esatto dire che, in mezzo ai bassi interessi del denaro e alla scolorita freddezza dei pensieri volgari che riempiono la nostra vita, le azioni ispirate da una vera passione mancano raramente di produrre il loro effetto, quasi che una divinità propizia si desse premura di condurle per mano».

Marie-Henri Beyle (Stendhal), La Certosa di Parma (Libro Secondo – Capitolo XXII), Garzanti, 2012

.

Immagine in evidenza:
Uno scritto di Stendhal (Prima regola: Essere se stessi)
su un libro conservato presso la Bibliothèque Sainte-Geneviève a Parigi.


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Karl Marx (1818-1883) – Il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità.

Marx e il regno della libertà

Abolizione del lavoro alienato

«Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità… La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguano il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa. Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa».

Karl Marx, Il Capitale, III, Editori riuniti, 1972, pp. 231-232.

 


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Herbert Marcuse (1898-1979) – Se vogliamo costruire una casa di abitazione nel posto in cui sorge una prigione, dobbiamo prima demolire la prigione, altrimenti non possiamo neppure iniziare i lavori.

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Giovanni Battista Piranesi, The-Prisons.

«Se vogliamo costruire una casa di abitazione nel posto in cui sorge una prigione, dobbiamo prima demolire la prigione, altrimenti non possiamo neppure iniziare i lavori. Tuttavia […] dobbiamo per lo meno sapere che al posto della prigione vogliamo costruire una casa di abitazione. È proprio quello che crediamo di sapere. Non è necessario avere già pronto un piano preciso della casa per cominciare a demolire la prigione; purché si sappia che si vuole e si può sostituire a quest’ultima una casa di abitazione, e purché si abbiano le idee chiare su come deve essere una casa decente (questo costituisce, secondo me, l’aspetto decisivo)».

Herbert Marcuse, La fine dell’utopia, Laterza, Roma-Bari, 1968, pag. 107.

 

La fine dell'utopia

La fine dell’utopia


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Domenico Gallo – Le ragioni del no all’arretramento costituzionale.

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Dittatura della maggioranza

Dittatura della maggioranza

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Salviamo la Costituzione

Salviamo la Costituzione

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Da sudditi a cittadini

Da sudditi a cittadini

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Quali sono le ragioni della nostra critica alla Costituzione quale è stata riscritta dal governo, voluta da Renzi e propagandata dalla Boschi?

Innanzi tutto il metodo. La Costituzione non e’ un regolamento di condominio, non è una legge ordinaria, è qualcosa che si pone al confine tra la storia e il diritto; nella Costituzione entra il senso delle vicende storiche del Paese. La Costituzione del ’48 è l’espressione di una vicenda storica particolarmente dura per il nostro Paese. La Costituzione rappresenta cio’ che unisce gli italiani e li trasforma in una comunita’ in cui tutti si possano riconoscere e in cui tutti possano riconoscere di avere un destino comune. Quindi la Costituzione non è frutto di un indirizzo politico di maggioranza, non puo’ essere scritta da una fazione. In effetti la Costituzione fu approvata da un’Assemblea costituente eletta col metodo proporzionale, che rappresentava tutte le opzioni politico-culturali presenti nella societa’ italiana; il lavoro di questo corpo costituzionale fu portato a termine con un’approvazione quasi all’unanimita’; ci furono 453 voti su 515, quindi la stragrande maggioranza del popolo italiano approvo’ la Costituzione che adesso viene messa in questione.

L’attuale riforma è la piu’ vasta, la piu’ organica che sia stata mai proposta dal ’48 ad oggi, se si fa eccezione della riforma di Berlusconi che non è mai diventata legge perche’ fu bocciata nel referendum del 2006; quindi giustamente il nostro documento dice che questo disegno di legge sostituisce la Costituzione italiana con un’altra. Essa interviene su oltre 40 articoli e modifica la forma di governo, la forma di Stato e il sistema delle autonomie; essendo una sostituzione è un lavoro quasi da assemblea costituente; invece questo lavoro è stato fatto da una minoranza rissosa che l’ha imposto, che non esprime la maggioranza del popolo italiano. Quindi la novità è che ci troviamo di fronte ad una Costituzione di minoranza che per giunta è stata fatta approvare con una serie di forzature da parte del governo sulla liberta’ dei parlamentari, forzature che si sono verificate in tanti modi per esempio con la sostituzione d’autorita’ di alcuni membri della commissione Affari costituzionali del Senato che avevano rivendicato la liberta’ di coscienza dei parlamentari di fronte al tema delle riforme costituzionali. Infatti si tratta di un tema che non puo’ entrare nell’indirizzo politico di maggioranza e sul quale non si puo’ porre la fiducia. In effetti il percorso di questo disegno di legge è stato un percorso simile a quello delle leggi sulle quali si pone la fiducia. Il governo ha esercitato una pressione fortissima sui parlamentari per “portare a casa” il risultato e questo si pone in aperta contraddizione con il metodo seguito dall’assemblea costituente. Ricordo che nel ’47 Piero Calamandrei scriveva: «quando l’assemblea discutera’ pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari dovra’ rimanere il governo nella formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’Assemblea sovrana». Qui ci troviamo di fronte ad un percorso completamente opposto, a un caso di faziosita’ della maggioranza che pero’ non è maggioranza; essa è una minoranza perche’ sono state le leggi elettorali che con un trucco hanno trasformato una minoranza di voti espressa dal 25% circa del corpo elettorale in una maggioranza di seggi; la legge cosiddetta “Porcellum” e’ stata dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale proprio per questo motivo, perche’ essa comportava una torsione inaccettabile della volonta’ espressa dal popolo sovrano al momento della trasformazione di questa volonta’ in seggi; percio’ la Corte ha dichiarato incostituzionale la legge con la quale sono state elette queste Camere, proprio per il fatto che non rappresentano la volonta’ del popolo italiano. Ora questa minoranza che non rappresenta la volonta’ del popolo impone la sua Costituzione a tutti gli altri, con un atto di faziosita’ politica estremo che mette in crisi il concetto di Costituzione. Infatti la Costituzione dovrebbe unire mentre questa è una procedura che divide. Essa esprime la forza di una minoranza prepotente.

Ora andiamo al merito. La legge è intitolata cosi’: «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione» – In pratica e’ quasi tutta la seconda parte che viene sostituita: solo non viene toccato il titolo IV sulla magistratura. Qual è il senso di questa riforma? Superare il bicameralismo?

Ma la riforma non elimina il Senato, lo tiene in vita e lo trasforma relegandolo a funzioni secondarie; nello stesso tempo gli dà una natura ambigua perche’ si dice che il Senato rappresenta le istituzioni territoriali, e gli si dà, entro certi limiti, la competenza legislativa e anche una competenza di revisione costituzionale. Ora noi non siamo una repubblica federale quindi un organo che rappresenta le istituzioni territoriali con potere di revisione costituzionale è un’assurdita’; ma è ancora piu’ assurdo il metodo con cui quest’organo viene composto, perche’ si tratta di 74 consiglieri regionali e 21 sindaci che non sono eletti direttamente dal popolo ma vengono eletti dai consigli regionali. E qui il metodo di elezione è un rebus, perche’ l’articolo 57 al secondo comma dice che i senatori sono eletti dai consigli regionali mentre l’ultimo comma dice che «i seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun Consiglio». Quindi non si capisce bene come verrebbero eletti.

Si e’ detto che bisogna superare il bicameralismo paritario perche’ comporterebbe un’incapacita’ delle istituzioni, una loro inefficienza, dal momento che tutte le leggi devono essere votate due volte. C’è uno studio del Senato che dice che i tempi medi di approvazione delle leggi di iniziativa governativa, che sono poi il 90 % delle leggi approvate dal Parlamento, è di 116 giorni, ossia poco piu’ di tre mesi; non è un tempo lunghissimo ma di certo non c’è nessuna maggiore efficienza nel sistema che è stato ora inventato per la formazione delle leggi, anzi il sistema introdotto da questa riforma rende assolutamente confuse le fonti del diritto.

Ho letto qualche giorno fa che il sindaco di Pistoia, che è presidente nazionale della Lega delle autonomie, esalta la riforma dicendo tra l’altro che il vantaggio maggiore che ne deriva sarebbe la sicurezza del procedimento legislativo. Evidentemente la riforma Boschi-Renzi rende ciechi perche’ questo sindaco, evidentemente, non è riuscito a leggere la norma sulla formazione delle leggi che ha cambiato l’articolo 70 della Costituzione. L’articolo 70 delle Costituzione vigente dice: «la funzione legislativa e’ esercitata collettivamente dalle due Camere». Il nuovo articolo 70 e’ un libro di diverse pagine nel quale vengono indicati addirittura 10 procedimenti diversi per la formazione delle leggi (i costituzionalisti stanno discutendo su quanti siano esattamente). Non solo, ma si prevede anche che per risolvere le eventuali questioni di competenza, per capire se una legge è bicamerale o meno o con quale procedura monocamerale deve essere approvata, se con la procedura monocamerale 2, 3, 4, dovranno mettersi d’accordo i presidenti delle due Camere. Ma quando i presidenti non sono d’accordo, come si risolve questo problema? Se il governo fa un decreto “sblocca Italia” o una proposta di legge su una molteplicita’ di materie, quale procedura legislativa dovra’ essere adottata, se per le diverse norme sono previste 4 o 5 procedure diverse?

Basta questo per sfatare il mito della semplificazione del procedimento legislativo.

Un altro mito da sfatare è quello della valorizzazione delle autonomie territoriali. Ci sono diverse Regioni e presidenti di Regione che sostengono che la riforma valorizza le autonomie locali, tanto e’ vero che sarebbe stato fatto il Senato delle autonomie (che pero’ continuera’ a chiamarsi Senato della Repubblica). Ma non si capisce come siano valorizzate le autonomie locali, quando viene revisionato il titolo V della Costituzione, cioe’ la parte che riguarda i poteri delle Regioni.

Esso viene revisionato nel senso di un forte accentramento dello Stato centrale; la riforma accentra fortemente i poteri dello Stato, modificando la Costituzione vigente e sottraendo alle Regioni poteri importanti e soprattutto il controllo del territorio. Il governo del territorio viene sottratto alle Regioni e passa allo Stato; questo significa lo “sblocca Italia”, le norme sulle trivelle, il ponte sullo Stretto: sulle grandi opere e sulle grandi cose di questo tipo le Regioni non potranno dire assolutamente alcunche’.

Per di piu’ viene introdotta una clausola di supremazia dello Stato che è stata definita da alcuni giuristi “clausola vampiro” perche’ praticamente prevede che la legge dello Stato su proposta del governo debba intervenire su materie riservate alle Regioni «quando lo richieda la tutela dell’unita’ giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale». Cos’e’ l’interesse nazionale? Si tratta di un concetto talmente astratto per cui qualunque governo può intervenire in qualunque materia che questa riforma pur riserverebbe alle Regioni. Quindi le autonomie regionali escono fortemente ridimensionate e non c’è nessuna esaltazione delle autonomie regionali, anzi c’è un processo di centralizzazione.

La fiducia poi viene conferita dalla Camera dei deputati. Il Senato perde il rapporto di fiducia. Ho visto in tv uno sketch in cui si dice: «siamo diventati un Paese moderno perche’ con la riforma solo la Camera dei deputati dara’ la fiducia al Governo». E’ una bella modernita’ che gia’ avevamo, dato che sotto lo Statuto albertino solo la Camera dei deputati dava la fiducia al governo.

Un’altra cosa magnificata dai riformatori è il cosiddetto risparmio dei costi della politica. Non si capisce bene in che cosa consista, se la novita’ sta nel fatto che i senatori non prenderanno l’indennita’ come senatori, ma la prenderanno dalle istituzioni da cui sono espressi. Anche questa non è una novita’ perche’ l’articolo 50 dello Statuto albertino stabiliva che nessuna indennita’ poteva essere corrisposta ai deputati e ai senatori.

Dicono poi che la riforma aumenta i poteri dei cittadini; ma in realta’ e’ stato aumentato da 50.000 a 150.000 il numero di firme necessario per la presentazione di una legge di iniziativa popolare. Non credo che questo stimoli la partecipazione. Inoltre per il referendum è previsto che il quorum per la sua validita’ si possa abbassare perche’ non sarebbe calcolato sugli aventi diritto ma sul numero dei votanti, a patto pero’ che le firme dei proponenti arrivino non piu’ a 500.000 ma fino a 800.000. Poi si dice che ci sara’ uno statuto dei diritti dell’opposizione. Ma chi lo fa questo statuto, quando abbiamo una legge elettorale che dà la maggioranza ad un solo partito? In realta’ queste garanzie dipendono dal governante di turno che le puo’ dare o togliere alla minoranza a suo piacimento. Inoltre se si concentrano i poteri nella Camera dei deputati ci sono decisioni importanti come la dichiarazione dello stato di guerra che non saranno piu’ bicamerali. Si pensi alle leggi che prevedono le missioni all’estero e che possono comportare il coinvolgimento dell’Italia in operazioni belliche; esse non saranno piu’ bicamerali, ma sara’ solo la Camera dei deputati a decidere. Ma nella Camera dei deputati la maggioranza sara’ una minoranza in base alla legge Italicum, una minoranza basata su un solo partito; quindi la decisione suprema sulla pace e sulla guerra sara’ un problema interno di partito, non sara’ piu’ un problema del Parlamento, sara’ una fazione che prendera’ queste decisioni cosi’ gravi.

L’influenza sugli organi di garanzia: eliminando completamente un ramo del Parlamento sarebbe stato necessario in qualche modo prevedere che l’altro ramo del Parlamento fosse piu’ rappresentativo, perche’ non si puo’ pretendere di concentrare i poteri in una Camera se non e’ rappresentativa. Forse per questo è stato lasciato in piedi un po’ di Senato. Intanto pero’ la riforma accresce il potere del governo sulla Camera dei deputati e prevede addirittura che il governo si impadronisca dell’agenda dei lavori parlamentari attraverso il meccanismo delle leggi dichiarate di urgenza: si stabilisce che esse debbano essere approvate entro 70 giorni. Il governo quindi controllera’ direttamente l’agenda, impadronendosene. Si eliminano i contropoteri previsti dall’ordinamento della Costituzione del ’48, si eliminano i contropoteri del Senato, ma non si rafforzano i contropoteri interni alla Camera dei deputati anzi decrescono; quindi in effetti la riforma segna un accentramento dei poteri nel governo, e quindi dei poteri dello Stato centrale nei confronti dei poteri territoriali. Essa segna un accentramento e un accrescimento del potere esecutivo nei confronti del Parlamento, rompe l’equilibrio dei poteri e questo inevitabilmente incide sugli organi di garanzia. In particolare la riforma incide sull’elezione del Presidente della Repubblica; è vero che è stato posto il limite minimo dei 3/5 per l’elezione, ma si tratta dei 3/5 dei presenti. E’ chiaro che nessun Presidente della Repubblica potra’ essere eletto se non sara’ di gradimento della minoranza che per legge e’ divenuta maggioranza alla Camera. La riforma incide anche sulla composizione della Corte Costituzionale che ne esce indebolita. Ma ne esce indebolita la Costituzione nel suo complesso, perche’ sara’ nelle mani di un Parlamento fortemente controllato dal governo che non avra’ bisogno dell’appoggio della maggioranza degli elettori per governare ed imporre le sue scelte. Quindi ci troviamo di fronte ad una situazione di grave arretramento della qualita’ della democrazia cio’ che puo’ essere qualificato come un cambiamento, una demolizione dei valori della Repubblica e, come scrivono alcuni, come una sorta di trasformazione della Repubblica in un principato civile.

Domenico Gallo

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(*) Si tratta del testo dell’intervento di Domenico Gallo alla recente conferenza stampa dei «Cattolici del no», già pubblicato da Sinistrainrete e da La Bottega del Barbieri, che a sua volta lo riprendeva dai «Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino» proposti dal “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo”, animato da Peppe Sini.


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