Edward W. Saïd (1935-2003) – L’essenza dell’umanesimo coincide con la comprensione della storia umana come un processo continuo di autocomprensione e autorealizzazione: un mezzo per interrogare, mettere in discussione e riformulare ciò che ci viene presentato sotto forma di certezze già mercificate, impacchettate, epurate da ogni elemento controverso e acriticamente codificate.

Said

Edward W. Said
Umanesimo e critica democratica

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Il cambiamento è la storia umana, e la storia umana, in quanto fatta da azioni umane che le conferiscono senso, costituisce la base delle discipline umanistiche.

[…] è ora sufficiente ricordare che nel cuore dell’umanesimo si trova la convinzione, laica, che il mondo storico è fatto dagli uomini e dalle donne, e non da Dio, e che può essere compreso […] Gli studi umanistici non implicano affatto la rinuncia e l’esclusione. È piuttosto vero il contrario: il loro scopo è quello di rendere ogni cosa disponibile per l’indagine critica in quanto prodotto sia del lavoro e delle energie umane per l’emancipazione e la diffusione della cultura e, cosa altrettanto importante, sia dell’umano fraintendimento e dell’errata interpretazione del passato e del presente collettivo.

Non esiste errata interpretazione che non possa essere rivista, modificata o rovesciata. Non esiste storia che non possa essere in qualche misura recuperata e rispettosamente compresa in tutte le sue sofferenze e in tutte le sue conquiste. Per converso, non esiste vergognosa e segreta ingiustizia o crudele punizione collettiva, o piano manifestamente imperiale di dominio, che non possa essere esposto, spiegato e criticato. Di certo, tutto ciò rappresenta il cuore dell’educazione umanistica […].

Non appena si prende in considerazione la presenza storica delle discipline umanistiche, si incontrano […] due posizioni in continua lotta tra loro. Una interpreta il passato come una storia fondamentalmente compiuta, l’altra vede la storia, e il passato stesso, come irrisolta, ancora in formazione, aperta alla presenza e alle sfide di ciò che emerge via via e risulta ancora inesplorato, degno di attenzione.

[…] Non vedere che l’essenza dell’umanesimo coincide con la comprensione della storia umana come un processo continuo di autocomprensione e autorealizzazione, non solo per noi, maschi, europei e americani, ma per tutti, significa non vedere nulla. Ci sono altre tradizioni nel mondo, altre culture, altri genii. Una stupenda frase di Leo Spitzer, uno dei più brillanti lettori che il Novecento abbia prodotto, che trascorse i suoi ultimi anni lavorando in America come studioso delle origini e degli sviluppi della cultura europea, mi pare particolarmente appropriata: «L’umanista» dice «crede nel potere che la mente umana ha di indagare se stessa» (Leo Spitzer, Critica linguistica e storia del linguaggio, Laterza, 1954, p. 138). Notate bene che Spitzer non dice la mente europea o solo il canone occidentale. Parla della mente umana tout court.

[…] non esiste vero umanesimo il cui obiettivo sia limitato alla patriottica celebrazione delle virtù della nostra cultura, della nostra lingua, dei nostri monumenti. L’umanesimo è l’esercizio delle facoltà di ognuno, attraverso il linguaggio, per capire, reinterpretare e cimentarsi con i prodotti della lingua nella storia, in altre lingue e in altre storie. La sua grande rilevanza per me oggi consiste nel fatto che non è un modo per consolidare e affermare quello che «noi» abbiamo sempre saputo e sentito, ma piuttosto un mezzo per interrogare, mettere in discussione e riformulare ciò che ci viene presentato sotto forma di certezze già mercificate, impacchettate, epurate da ogni elemento controverso e acriticamente codificate. Incluse quelle contenute nei capolavori archiviati sotto la rubrica «classici».

Edward W. Saïd, Umanesimo e critica democratica, il Saggiatore, 2004, pp. 40,51-52, 55-56, 57.


Risvolto di copertina

Dopo aver assistito al crollo delle torri gemelle nel 2001 e un anno prima della morte, Edward Said rivendica la possibilità di «criticare l’umanesimo in nome dell’umanesimo». In contrapposizione a un cosmopolitismo elitario e a una deriva nazionalistica chiusa su se stessa, Said rilancia un nuovo umanesimo che recupera la precisione filologica, l’interpretazione critica delle fonti, la sensibilità storica della tradizione umanistica europea, aprendosi al dialogo con culture distanti.
Ripercorrere la storia della cultura con lo sguardo filologico significa per l’autore ricostruire gli intrecci e le condivisioni che caratterizzano i rapporti tra tradizioni diverse, sia pure nella conflittualità, come i rapporti tra mondo arabo, ebraico e cristiano. La filologia, come scienza critica della lettura, risulta quindi fondamentale per una conoscenza umanistica, in quanto antidoto contro lo stravolgimento dei testi sacri e profani quotidianamente operato dal linguaggio del potere e dei media. Inizialmente concepiti per il pubblico accademico, estinatario privilegiato di tutta la sua vita e principale referente del suo insegnamento umanistico, questi scritti presentano un viaggio affascinante fra i testi e le parole. Insieme ad alcune delle voci più autorevoli del dibattito critico-filologico del Novecento Auerbach, Spitzer, Poirier Said definisce i tratti di un nuovo umanesimo militante adeguato a una visione autenticamente universalistica.


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Renato Curcio – Introduzione al libro di Franco Del Moro, «Il dubbio necessario»: “Le persone che si adattano ad attività di pura sopravvivenza non raggiungono mai una piena realizzazione dei propri desideri, delle proprie capacità e aspirazioni: la vastità identitaria è la vera dimensione dell’esperienza umana nella creazione di nuovi mondi di senso”.

dubbio necessario

Il dubbio necessario

Franco Del Moro, Il dubbio necessario, Ellin Seale, Murazzano (CN) 2002, euro 13.
Introduzione di Renato Curcio: Dalla sofferenza alla vastità.

***

Il libro può essere ordinato direttamente a:

Logo Ellin Seale

ELLIN SELAE

Frazione Cornati 27  –  12060 Murazzano (Cn)
tel/fax: 0173-791133   –   email: ellin@libero.it

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Qui puoi trovare i libri e la rivista


Dal risvolto di copertina

Intrecciando letteratura, scienza e filosofia l’Autore traccia un sentiero che conduce anche il lettore più scettico a intravedere una componente spirituale al di là della materia e, dunque, a porsi criticamente nei confronti dei paradigmi dominanti nel nostro tempo quali il culto tecnologico, l’ossessione economica, l’individualismo. Questi aspetti della modernità, riducendo l’essere vivente da soggetto a prodotto del sistema di fatto tendono ad annichilire la coscienza umana anziché espanderla, atrofizzandone la spiritualità; ma non vi può essere né equilibrio né progresso civile in un mondo rinchiuso nella gabbia del materialismo e della razionalità.


Franco Del Moro

«Io ritengo la globalizzazione e il liberismo sfrenato
una sorta di tumore,
una metastasi che condurrà l’organismo-mondo
ad uno stato di necrosi irreversibile
e ritengo anche che se potessimo misurare la temperatura generale
troveremmo che c’è già qualche linea di febbre …
La situazione è davvero molto critica, direbbe un primario
che si trovasse a visitare il paziente …
quanto tempo abbiamo ancora
prima che la malattia superi il punto di non ritorno?
Certo, è sempre possibile una “guarigione miracolosa”,
tuttavia mai come oggi le vie di mezzo sono escluse:
o si è parte della cura o si è parte della malattia.
Occorre scegliere.
E questo vale per tutti noi, nessuno escluso».

Franco Del Moro, Il dubbio necessario, p. 101.

 


Estratti
dall’Introduzione di Renato Curcio

renato-curcio-2    Dalla sofferenza alla vastità  

«[…] le divinità di un tempo, che erano legate a importanti codici etici e morali, nel mondo neoliberista sono state sostituite da una divinità completamente diversa che è il denaro. Non è esatto dunque dire che l’occidente è totalmente desacralizzato: il denaro è un dio che ha una chiesa molto grande, che è il mercato, e milioni di adepti. Ma il dio denaro è un dio spietato: come tutti i grandi dei monoteisti tende a fare giustizia delle altre forme sacrali e chiede ai suoi adepti un sacrificio di sé piuttosto esasperante. Questo in parte spiega l’ambivalenza degli adepti del dio denaro che per non essere sbattuti fuori dal tempio soffrono nel mondo del lavoro le pene dell’inferno e accettano la sofferenza che il dio impone: […] l’adattamento alle regole dell’istituzione, genera sofferenza. […] In questa civiltà molti lavoratori sono dunque persone infelici che si devono dotare di stampelle chimiche per sopportare l’esperienza del loro lavoro e della loro vita.
Molte persone che vivono una sofferenza sono portate a negare pubblicamente questa sofferenza così come chi la infligge è portato a negare socialmente la sua responsabilità nelle sofferenze altrui. Questa negazione di una esperienza di sofferenza, subìta o inferta, non ha però a che fare con la menzogna ordinaria e consapevole, ma riguarda la dissociazione identitaria: per produrre sofferenza agli altri occorre non soffrire nel produrla e per fare questa operazione si deve ricorrere a una anestesia emotiva che si ottiene acquistando una identità deresponsabilizzata rispetto all’azione che si sta compiendo. […]
Qual è allora la nostra vera identità? Se […] ci mettiamo a cercare la nostra vera identità, non troveremo mai un io “vero” e “unico” al fondo di ciascuno di noi, ma molte identità diverse […] La ricerca di una uscita da questo conflitto, e da tutti i conflitti che generano sofferenza, è la ricerca di una trascendenza, ovvero di altre strutture identitarie che riescano ad allargare il raggio della sofferenza sino a dissolverla. […]
[Nella] civiltà in cui è predominante la religione del dio denaro, fra le persone che vi si sono adattate si può quindi parlare di una normalità sofferente, anche in quanto il denaro non dà senso alla vita ma produce una illusione di senso, il cui aspetto visibile è la merce. Intorno alla merce si svolgono tutti i riti del mercato (che, come detto, è il tempio del dio denaro) […]. L’aspetto determinante delle persone che vivono nel regno del dio denaro è dunque la torsione a cui sono sottoposte […]
Ma le persone che si adattano a delle attività di pura sopravvivenza non raggiungono mai una piena realizzazione dei propri desideri, delle proprie capacità e aspirazioni, per questo l’aspetto ordinario della vita di molte persone è caratterizzato da una grande sofferenza psicologica. La vita lavorativa spesso si configura nella percezione come una esperienza che riduce l’attività umana ad un rigido quadro relazionale e come tale restringe la persona in uno spazio identitario che genera sofferenza.
Questa situazione di restrizione identitaria porta a cercare un allargamento e spinge verso la dimensione della vastità identitaria, che è la vera dimensione dell’esperienza umana. Tutte le persone […] hanno […] esigenze trascendenti […]. La trascendenza, prima che essere una caratteristica dell’ esperienza religiosa o dell’esperienza spirituale, è dunque una caratteristica dell’ esperienza umana tout court: è proprio il bisogno di andare al di là dei recinti, dei cortili, dei limiti che costituisce la molla dell’umano. La restrizione genera sofferenza e la sofferenza porta alla trascendenza. La condizione umana è il confronto con un limite, il primo dei quali è la morte: il punto di fine che inesorabilmente si trova al termine della strada di tutti gli umani. […] occorre perciò trovare una maggior vastità e accedere ad una dimensione in cui questo limite acquista un senso più ampio, per questo l’uomo tende a entrare in relazione con altri mondi: […] tende anche a provare l’esperienza di creazione di nuovi mondi di senso e acquisire dunque una esperienza di trascendenza rispetto al luogo in cui si trova, che viene sentito come troppo piccolo e chiuso rispetto al proprio bisogno di vastità.
Qui inizia l’esperienza della spiritualità, che è però un’altra cosa rispetto all’esperienza religiosa in senso stretto. Infatti, anche se la spinta alla trascendenza è immanente all’esperienza umana e quindi tutti gli umani sono soggetti a questa spinta, per alcuni esiste la difficoltà ad avvertirla o riconoscerla. […] La negazione di questa spinta verso la trascendenza non è tanto una negazione di questa determinazione profonda di immanenza, ma è la negazione di una o dell’altra forma sociale che rappresenta la trascendenza. L’adesione formale ad una religione è in effetti una forma molto povera di questa esigenza di spiritualità e trascendenza dalla condizione umana sofferente. […] In ogni caso, le forme che nell’esperienza umana prende questa esigenza di trascendere il proprio limite e l’angoscia che ne deriva saranno sempre irrilevanti rispetto alla spiritualità che invece caratterizza tutti gli umani […]».


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Siegbert Salomon Prawer (1925-2012) – Pochissimi hanno letto tanto e, devo aggiungere, così intelligentemente come Karl Marx. Per lui i libri erano strumenti di lavoro, non oggetti di lusso

Prawer

La biblioteca di Marx

Siegbert Salomon Prawer, La biblioteca di Marx, Garzanti, 1978.

«Pochissimi hanno letto tanto e, devo aggiungere, così intelligentemente come Karl Marx,» ha scritto Michail Bakunin. Come documenta puntualmente questo studio di S.S. Prawer, la presenza costante della grande letteratura mondiale nell’opera di Marx filosofo, economista, uomo politico e polemista, sta a testimoniare non soltanto la sua devozione per i grandi scrittori e personaggi letterari, ma anche e soprattutto la sua concezione non statica e accademica, ma viva e «vissuta» della conoscenza e della cultura. Una concezione che si esprime, in particolare, nella trasposizione ripetuta, martellante, ma non fastidiosa, di figure e protagonisti della grande letteratura negli avvenimenti del tempo, nella sua visione della storia e del mondo, attraverso un fitto e divertito gioco di allusioni, paragoni, parafrasi, allegorie, che non è mai uggiosa esibizione fine a se stessa, ma strumento per lui indispensabile di comunicazione del pensiero. «Per lui,» ricordava il genero Paul Lafargue, «i libri erano strumenti di lavoro, non oggetti di lusso».


Cervantes e don Chisciotte, Omero e Tersite, Eschilo e Prometeo, Shakespeare e Shylock, Rabelais e Gargantua, Goethe e Mefistofele, Dante e il conte Ugolino, l’Arioso e Rodomonte, Swift e Gulliver, Dickens e Pecksniff, Balzac e Mercadet, Defoe e Robinson Crusoe, insieme con la Bibbia, le Mille e una notte, e il folclore popolare, si trasformano così, nell’opera di Marx, in presenze vive e reali che, spogliate del loro carattere «paludato», diventano alleate preziose che suggeriscono spunti alle sue polemiche e si rivelano componente vitale e imprescindibile nella storia e nell’evoluzione dell’umanità.


I figli del dottor Caligari

Da quando abbiamo cominciato a spaventarci al cinema, l'ingrediente dell'adrenalina sembra indispensabile per il successo di un film. Ma com'è cominciata questa luna di miele tra grande schermo e paura? I figli del dottar Calligari racconta le origini di un rapporto virtuoso di cui non possiamo più fare a meno. La prima ispiratrice dell'horror è la letteratura, messa in scena mirabilmente, ad esempio nel film di Robert Wiene Il gabinetto del dottor Caligari. Tutti i trucchi tecnici e narrativi che fanno della magia del cinema, l'incubo delle notti più nere sono messi allo scoperto in questo libro che sa intrattenerci con uno stile avvincente e con un grande apparato di ricerca. Da Nosferatu a Dracula principe delle tenebre l'autore traccia l'evoluzione del film del genere nel cinema, prendendo in esame sequenze filmiche precise in cui il terrore gioca un ruolo dominante; suggerisce i legami tra il racconto del terrore letterario e quello cinematografico e mostra come il primo si trasformi nel secondo.

 


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Daniel De Foe (1660-1731) – Robinson Crusoe è il naufrago della società pre-moderna che approda sull’isola della modernità: è l’infelice che ignora le cause della propria infelicità. Anzi, che ignora perfino la propria infelicità, perché la sua ignoranza di se stesso è abissale

De Foe

Stampa originale del 1719 del libro “Robinson Crusoe”, di Daniel DefoeStampa originale del 1719 del libro Robinson Crusoe, di Daniel De Foe.

di Francesco Lamendola (16/08/2011)

 

«Ho osservato che molti autori di libri di viaggi si sono dilungati a narrare delle famiglie dei nobili e dei ricchi […] ne ho trovati davvero pochi che si siano occupati della gente umile: come vive, quali sono le sue attività […] eppure, secondo me, queste osservazioni sono di grande importanza».

Daniel De Foe, Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna, 3 voll., 1724-1727.

 

Il Viaggio attraverso l'intera isola della Gran Bretagna fu pubblicato in tre volumi fra il 1724 e il 1727 ed era una vera e propria guida turistica per i paesi britannici. Accanto a pagine di straordinaria invenzione letteraria, l'opera presenta una gran quantità di informazioni geografiche, storiche ed economiche, un'accurata descrizione di città e campagne e molte curiosità per il viaggiatore dell'epoca.

Che ne pensava Karl Marx

Karl Marx commentò per la prima volta Robinson Crusoe in due scritti giovanili, La miseria della filosofia e i Grundrisse, pubblicati postumi. Nel primo, Marx critica Robinson sostenendo che si tratta di un eremita che produce solo per sé e che quindi non può rappresentare veramente il processo di produzione che interpreta come un fatto essenzialmente sociale. Ma nei Grundrisse, riprende la discussione in modo più completo, insistendo che «il cacciatore e il pescatore isolati da cui partono Smith e Ricardo» non appartengono al Robinson originale di Defoe ma «alle poco fantasiose riscritture delle storie di Robinson Crusoe [Robinsonaden]». Quindi per Marx le Robinsonate degli specialisti dell’economia sono fuorvianti; non così invece il romanzo originale di Defoe. Come scrive S. S. Prawer, La biblooteca di Marx, Garzanti: «Marx in verità attacca ‘il mito di Robinson Crusoe’ e non il libro in sé». Questo appare ancora più chiaramente nella discussione più esauriente e dettagliata che Marx fa di Robinson nel primo libro del Capitale: «Poiché l’economia politica predilige le robinsonate evochiamo per primo Robinson nella sua isola […] ha tuttavia bisogni di vario genere da soddisfare, e quindi deve compiere lavori utili di vario genere, deve fare strumenti, fabbricare mobili, addomesticare capre, pescare, cacciare ecc. Qui non parliamo delle preghiere e simili, poiché il nostro Robinson ci prende il suo gusto e considera tali attività come ricreazione. Nonostante la differenza fra le sue funzioni produttive egli sa che esse sono soltanto differenti forme di operosità dello stesso Robinson, e dunque modi differenti di lavoro umano […]. Il nostro Robinson che ha salvato dal naufragio orologio, libro mastro, penna e calamaio, comincia da buon inglese a tenere la contabilità di se stesso. Il suo inventario contiene un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti. Tutte le relazioni fra Robinson e le cose che costituiscono la ricchezza che egli stesso s’è creata sono qui tanto semplici e trasparenti, che (è possibile) capirle senza particolare sforzo mentale. Eppure, vi sono contenute tutte le determinazioni essenziali del valore» (K. Marx, Il Capitale, 1970 pp. 108-109).


 

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Il colonnello Jak

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Niccolò Machiavelli (1469-1527) – Insegnare ad altri quel bene che per la malignità dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, acciocché, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amati dal cielo possa operarlo

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Niccolo MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Venice, Aldus, 1540.

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«Se la virtù che un tempo regnava e il vizio che ora regna non fossero più chiari che il sole, andrei parlando più rattenuto … Ma essendo la cosa sì manifesta che ciascuno la vede, sarò animoso in dire manifestamente quello che intenderò di quelli e di questi tempi, acciocché gli animi dei giovani, che questi miei scritti leggeranno, possano fuggire questi e prepararsi ad imitar quelli.
Perché è ufficio d’uomo buono insegnare ad altri quel bene che per la malignità dei tempi e della fortuna tu non hai potuto operare, acciocché, essendone molti capaci, alcuno di quelli più amati dal cielo possa operarlo».

Niccolò Machiavelli, Discorsi, Proemio, Libro II, 1531.

Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio


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Giorgio Penzo – Recensione a «Il ponte delle spie»

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Giorgio Penzo

Recensione al film

IL PONTE DELLE SPIE U.S.A. 2015

 

Dunque, la vicenda è nota: dopo l’assassinio dei coniugi Rosenberg, la Guerra Fredda procede a suon di spie […] Il punto di vista degli operatori americani è piuttosto macchiettistico e rispecchia i cliché che il cinema ha infiorettato su FBI e CIA negli ultimi 20-30 anni … [Leggi tutto]

 

Giorgio Penzo, recensione al film «Il Ponte delle Spie»

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Brooklyn lawyer James Donovan (Tom Hanks) is an ordinary man placed in extraordinary circumstances in DreamWorks Pictures/Fox 2000 Pictures' dramatic thriller BRIDGE OF SPIES, directed by Steven Spielberg.

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Koinè – Diciamoci la verità, oltre l’orizzonte del pensiero dominante

Diciamoci-in-verita

Diciamoci oltreSommario

***
***  Logo Adobe AcrobatLa società ad una dimensione

I. Società articolata ma non complessa / II. Società di mercato / III. L’ideologia dell’aziendalismo / IV. La tecnica come orizzonte storico / V. L’ideologia tecnocratica / VI. La falsità dell’idea della fine delle ideologie / VII. Una mitologia spiritualmente arida / VIII. L’economia come religione / IX. L’occultamento dell’economia umana concreta / X. Un universo tecnico che aggiunge problemi a problemi / XI. Il progresso capitalistico come regresso umano / XII. L’economia capitalistica come economia asociale / XIII. L’urgenza di un’economia che risponda ai bisogni umani / XIV. L’ambiente naturale come ambiente tecnico / XV. La lesione dell’integrità personale.

***  Logo Adobe AcrobatCritica dell’uomo ad una dimensione

XVI. Le strutture della personalità umana nella società di mercato / XVII. I cinque assiomi di un modo di pensare capace di contrastare la barbarie sociale /XVIII. L’assolutizzazione dell’orizzonte storico contemporaneo / XIX. Tecnica del plusvalore e valori umani / XX. Relativizzazione dell’economia del plusvalore / XXI. Da dove trarre le motivazioni per una nuova interpretazione del mondo? / XXII. L’uomo morale / XXIII. Una categoria esclusivamente umana: la fragilità / XXIV. Il nucleo essenziale di ogni morale / XXV. L’uomo che non si misura con la morale / XXVI. Narcisismo e concretismo / XXVII. La tecnica come potenza deprivatrice di senso / XXVIII. La tecnicizzazione della vita come espressione dell’odio dell’uomo per la propria umanità.

***  Logo Adobe AcrobatUna concezione forte della verità
come fondamento di una pratica anticapitalistica 

XXIX. Economia del plusvalore e costituzione della personalità / XXX. Forme di organizzazione della personalità individuale / XXXI. Il capitalismo si impone abbattendo ogni limite / XXXII. La storia insegna la storicità di ogni sua prospettiva / XXXIII. L’idea ultracapitalistica della illimitata plasmabilità della natura / XXXIV. Lo scopo morale / XXXV. L’orizzonte nichilistico della modernità / XXXVI. La riduzione dell’ontologia ad empiria / XXXVII. La concezione metafisica della verità / XXXVIII. La metafisica come dimensione entro la quale si costituiscono ragione e verità / XXXIX. Miseria del realitivismo antimetafisico / XL. La superficialità: cifra del relativismo antimetafisico / XLI. La concezione metafisica della verità non è un nuovo fondamentalismo / XLII. Concezione metafisica della verità e gerarchia di valori / XLIII. La verità oggettiva della ragione è la fonte dell’eticità umana / XLIV. La verità oggettiva della ragione è la fonte della dialogicità umana.

***  Logo Adobe AcrobatL’essere della libera comunità e l’amore  

XLV. Comunità arcaica e libera comunità / XLVI. Lo spazio dialogico / XLVII. L’uomo universale / XLVIII. La libera comunità come universalità umana / XLIX. Libera comunità e resistenza / L. L’inesistenza di un soggetto sociale anticapitalistico/ LI. L’amore: rapporto dell’uomo con la fragilità / LII. Le quattro condizioni ontologiche dell’amore / LIII. La radice ontologica dell’amore.


L’intero testo di 49 pagine in PDF.

Diciamoci oltre

Logo Adobe AcrobatDiciamoci la verità oltre l’orizzonte del pensiero dominante


Chi non spera quello
che non sembra sperabile
non potrà scoprirne la realtà,
poiché lo avrà fatto diventare,
con il suo non sperarlo,
qualcosa che non può essere trovato
e a cui non porta nessuna strada.
 Eraclito



 

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Iris Murdoch (1919-1999) – La virtù che eccelle gratuitamente ci sorprende nell’arte così come fa spesso nella vita reale. Bisogna essere buoni senza secondi fini

Murdoch

Esistenzialisti e mistici

La virtù che eccelle gratuitamente, senza un fine preciso, slegata dalla religione e dalla società, ci sorprende nell’arte così come fa spesso nella vita reale: la gentilezza di Patroclo nel pieno di una guerra cruenta, la fedeltà di Cordelia in una corte di adulatori. L’estrema casualità della vita umana e l’evidenza della morte rendono forse sempre la virtù, nel momento in cui vengono rimossi i suoi illusori fondamenti, qualcosa di gratuito, ma anche qualcosa che è assolutamente in primo piano nella nostra esistenza, insieme a beni evidenti come mangiare e non avere paura. Ed è in questo modo, credo, che essa si manifesta nella migliore letteratura. La bontà è indispensabile, bisogna essere buoni senza secondi fini, per ragioni immediate e ovvie, perché qualcuno ha fame o qualcuno sta piangendo.

Iris Murdoch, Esistenzialisti e mistici. Scritti di filosofia e letteratura, a cura di P. Corradi, Il Saggiatore, Milano, 2006, p. 241.



 

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Ruth E. Groenhout – Senza relazioni di cura la vita umana cessa di fiorire: una cura adeguata richiede un forte senso della giustizia.

Groenhout
«Per la struttura generale di un'etica della cura,
 sono stata fortemente influenzata da
Nel Noddings, Virginia Held, e Joan Tronto».

Ruth E. Groenhout

Vite collegate (Rowman & Littlefield, 2004)

 

«Senza relazioni di cura la vita umana cesserebbe di fiorire. Senza relazioni di cura nutrite con attenzione la vita umana non potrebbe realizzarsi nella sua pienezza. La cura è finalizzata, nella sua prospettiva ideale, a promuovere il pieno benessere intellettuale, emozionale, spirituale e fisico di chi-riceve-cura: essa ha luogo in un contesto di strutture sociali che incoraggiano lo sviluppo delle capacità di dare e di ricevere cura. […] Occorre dare fondamento rigoroso all’idea che la cura è essenziale all’esistenza in quanto gli esseri umani sono esseri sociali, con una naturale tendenza a offrire e ricevere cura da altri. […] La cura non è in opposizione alla giustizia; invece, una cura adeguata richiede un forte senso della giustizia».

 

 

Connected Lives [Vite collegate]: Human Nature and an Ethics of Care
Rowman & Littlefield Publishers, 2004, p. 24, 27, 29.


 

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Beniamino Biondi – La disciplina giuridica del settore cinematografico in Italia

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Beniamino Biondi

La disciplina giuridica del settore cinematografico in Italia

In copertina: Insegna e vecchio cinema comunale di Crespino (RO), Agosto 2005. Foto di Enrico Andreotti. L’insegna è caduta nel 2006.

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Risvolto di copertina

L’opera cinematografica ha duplice natura, di prodotto artistico ed economico: il film, bene unico, originale e con forti contenuti artistici; il suo processo produttivo, complessa interazione di risorse umane, finanziarie, tecniche e artistiche. Appartiene dunque sia alla categoria dei beni culturali che a quella dei prodotti dell’industria culturale: è un’opera “unica”, ma anche riproducibile, anzi concepita proprio per essere riprodotta. Il presente studio analizza la disciplina giuridica del settore in Italia, con riferimento alle disposizioni sui finanziamenti pubblici per le attività artistiche. Ben consapevole che un’analisi completa delle sue dinamiche necessita di uno sguardo interdisciplinare, l’Autore ha voluto offrire un inquadramento del panorama legislativo in materia di spettacolo, con una speciale attenzione rivolta all’ordinamento giuridico vigente, attraverso i suoi snodi storici in ambito nazionale, con riferimenti alle normative di livello regionale, provinciale, locale ed europeo.


L’Autore

Beniamino Biondi è nato e risiede ad Agrigento. Ha compiuto studi classici e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Palermo. Scrittore e saggista, si occupa di poesia e di cinema. Collabora con riviste di letteratura e critica cinematografica, cura rassegne di cinema d’autore e ed è direttore di collana per alcuni editori. Ha curato l’edizione delle poesie complete del filosofo Aldo Braibanti ed ha pubblicato numerose opere di letteratura e di saggistica critica e teorica. È membro del Sindacato Nazionale dei Critici Cinematografici.


 

Altre pubblicazioni di Beniamino Biondi


Messico! Cinema e rvoluzione

Messico. Cinema e rivoluzione

Il 19 novembre 1975 un gruppo di dodici cineasti messicani, costituitisi in Fronte di Lotta, firma e pubblica su vari organi di stampa e diffusione un Manifesto nel quale si constata che il cinema messicano è stato per vari decenni uno strumento esclusivo della classe dominante, a sostegno di un ordine iniquo e servile, responsabile operoso del colonialismo culturale mediante la fabbricazione di prodotti deteriori, alienanti e intesi a divulgare valori ideologici il cui ruolo è perpetuare tale dominio. Il Manifesto rappresenta la sintesi compiuta di un percorso solidale tra personalità disparate: cineasti rigorosi o velleitari parodisti, autori esigenti o grotteschi mattatori. Il Fronte di Lotta assurge a simbolo di un cinema rivoluzionario per l’America Latina e il Terzo Mondo, e l’esperienza consumata da questi cineasti irriconciliati col sistema non ha smesso di incidere, con le sue inquietudini sociali e le sue controversie formali, sul discusso panorama del cinema messicano odierno.


Fata Morgana. Il cinema catalano e la scuola di Barcellona

Fata Morgana. Il cinema catalano e la scuola di Barcellona

Il lavoro di Beniamino Biondi tenta una ricapitolazione critica del fenomeno della scuola di Barcellona, movimento cinematografico d’avanguardia, che, di fatto, ha rappresentato la sola autentica nouvelle vague spagnola. All’analisi delle premesse storiografiche, sia di natura estetica che ideologica, seguono i ritratti dei vari componenti del movimento, a commento delle loro opere e delle ragioni linguistico-formali che ad esse presiedono. Si è inoltre deciso di far precedere il discorso da una sintetica rassegna sul cinema degli anni ’50 e ’60, così da fornire gli strumenti per una riconduzione del fenomeno sperimentale (anche in funzione oppositiva) ai prodromi della cinematografia catalana, e di farlo seguire da un più ampio panorama sul nuovo cinema, che comprende quegli autori che della scuola di Barcellona furono compagni di strada, nella coscienza d’impegno civile del loro lavoro, come quegli autori che mai ne furono sodali e che hanno così percorso altre strade, non potendo ad ogni modo disconoscere nella libertà creativa degli anni ’60 il fondamento espressivo della loro opera. Lo studio si conclude con i cineasti che esordirono alla fine degli anni ’70, nel momento in cui l’esperienza dello sperimentalismo e della nuova libertà acquisita con la fine della dittatura si esaurirono (eccetto che per alcuni rilevantissimi casi) nel compimento di un cinema socialmente meno impegnato e linguisticamente più convenzionale.


Giappone underground. Il cinema sperimentale degli anni ’60 e ’70

Giappone underground. Il cinema sperimentale degli anni '60 e '70

Dai primi maestri come Takahiko Iimura e Nobuhiko Obayashi si giunge ai sodali di Koji Wakamatsu, primo fra tutti Masao Adachi, passando per l’esperienza isolata dello scrittore Yukio Mishima, fino ai nomi dei grandissimi Toshio Matsumoto e Shkji Terayama.


Il volto della medusa. Il cinema di Nikos Koundouros 

Medusa

Nikous Koundouros è uno dei maggiori registi di un paese, la Grecia, la cui cinematografia è stata sempre, a torto, ritenuta minore. Persino la grandezza oramai acquisita di Thodoros Anghelopoulos non è riuscita a diffondere nel mondo le opere di numerosi altri cineasti dal ricco immaginario, dalle inquiete tensioni morali, da una ricerca formale inesausta e suggestiva. Nikos Koundouros, salutato come un genio dal giovane critico Francois Truffaut, è il padre del cinema greco d’autore, colui che ha reso la forma cinematografica come forma d’arte e di intervento culturale. A questo cineasta difficile e contraddittorio, noto per il suo carattere irascibile, si devono alcuni certi capolavori: O Drakos, che ha anticipato con modernità sconcertante le tematiche dell’alienazione e del cinema esistenzialista, e Vortex, prestigioso esercizio simbolico di raffinata avanguardia ed opera ancora oggi ignota e maledetta. Un regista la cui poetica della dissolvenza e del brulichio, che stratifica situazioni, destini ed idee, compone una visione totale del mondo, irrimediabilmente greca e dunque irrimediabilmente europea. L’intera cinematografia di Nikos Koundouros possiede tratti originali ed è riferimento costante per tutti i cineasti della Grecia, che a lui guardano ossequiosi come ad un “maestro”.


Prometeo in seconda persona. Il nuovo cinema greco

Prometeo

Il Nuovo Cinema Greco nasce negli stessi anni in cui in Europa e in alcuni paesi dell’America Latina sorgono quei movimenti di contestazione cinematografica e palingenesi linguistica che proprio negli anni ’60 avranno la loro consacrazione critica e in qualche modo anche il loro esaurimento, chi correggendo la polemica entro i confini del cinema di consumo, chi radicalizzando il proprio discorso ai margini del mercato. In Grecia, le ragioni del Nuovo Cinema sono molteplici e afferiscono ai differenti contesti della natura economica del cinema come processo di produzione e della sua natura estetica come processo euristico di un nuovo ordine teorico. Una tendenza all’acquisizione del concetto di Nuovo Cinema avviene nei primi anni ’60, in un momento storico assai delicato per il paese, e nel più ampio malumore sociale che condurrà a forme di lotta rivoluzionaria ben prima che nel resto dell’Europa; così i cineasti affiancano le lotte sociali ed esprimono con i mezzi della loro opera il dissenso e la rivolta.


Cherosene

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Nelle rapide annotazioni di “Cherosene” Beniamino Biondi ci offre il suo frammentario rapporto sul mondo come l’ha conosciuto nei suoi trentacinque anni di vita di siciliano impegnato culturalmente nella scrittura e nella critica. Qual è il risultato di questo Piccolo Testamento di Biondi in versi franti? Piuttosto sconsolante, parrebbe. È un mondo urbano abitato da larve al limite della sopravvivenza, fatto di periferie industriali, bidonville, bassi, interni cupi. É un inventario da cui trapela poca luce, condotto nel corso di una trentina di schegge frammentarie, anche lapidarie. Predomina il senso di un discorso, o chiacchiera, dal carattere fatico, cioè quasi più orale che scritta. L’estro formale, sempre contenuto, sottolinea quelle che sono in effetti delle microstorie di un mondo banale senza redenzione. Prevale il sentimento di un inventario del caos in tonalità saturnina o malinconica, con una presenza ricorrente della morte, anch’essa anonima.


Sangue nudo. Il cinema terminale di Hisayasu Sato

sangue

Hisayasu Sato sin dai suoi esordi negli anni ’80 ha esplorato le proprie visioni e ossessioni coniugando nella sua opera la sottocultura porno all’avanguardia. I suoi lavori (50 film in meno di dieci anni) affrontano i temi del vuoto e dell’alienazione sociale attraverso la violenza e il fanatismo dei suoi antieroi. Un panorama delirante di maniaci stupratori che vivono in oscuri seminterrati o in cisterne vuote, di scolarette paranoiche separate dal mondo reale, di burattini animati dal desiderio folle di una cieca tecnologia. In una cornice di estremo concettualismo, Hisayasu Sato descrive uno scenario terminale: feticismo, perversione, nevrosi, omosessualità, voyeurismo, suicidio. Ma il lavoro del cineasta giapponese pone soprattutto le questioni radicali del senso della riduzione letterale delle immagini e dei limiti della rappresentazione, annunciando in qualche modo la morte del cinema e la sua frenetica decomposizione attraverso un processo (talora contorto e doloroso) di metaforizzazione per eccesso di realtà. Il senso del suo lavoro è affidato alle parole dello stesso Hisayasu Sato: “Voglio fare un film che faccia impazzire gli spettatori, che li spinga a commettere un omicidio”.


Giganti e giocattoli. Il cinema di Yasuzo Musumura

Giganti

Nella storia del cinema giapponese Yasuzô Masumura è colui il quale ha compreso quei processi di frantumazione soggettiva e di polverizzazione sociale sorti nella gioventù postbellica, e li ha trasferiti in immagini facendo uso di un’estetica che ha tenuto in conto tanto il rigore delle strutture formali quanto le concezioni moderniste dei nuovi bisogni culturali. Di ciò si rese conto Oshima che in un suo famoso saggio del 1958 dal titolo “Si sta forse aprendo una breccia?” definisce Masumura come il cineasta “che possiede una più profonda coscienza sociale” rifiutando l’immobilismo ereditario del Giappone. Contro il senso della rassegnazione e l’enfasi tipicamente melodrammatica del vecchio cinema, Masumura rovescia i principi del neorealismo – che pure sono a fondamento del suo percorso – per una rappresentazione esasperata e irriflessiva della gioventù all’interno di un immaginario individualistico e liberatorio. Siamo di fronte al primo manifesto coscientemente strutturato del Nuovo Cinema Giapponese in cui la rappresentazione della realtà sensibile rifiuta l’individuo come puro spirito sovrasensibile per portarlo a processo in termini di relazione sociale.


Corpi della metafora. Paradigmi (post)moderni

Corpi della metafora. Paradigmi (post)moderni

Il silenzio, l’erotismo, il corpo, la metropoli, gli oggetti e le cose: sono questi alcuni dei temi che Beniamino Biondi, intellettuale siciliano, indaga con singolare acume e impronta polemica in questi brevi lavori. Il tracciato dei riferimenti culturali – autentiche ossessioni, come li designa l’autore è composto e differenziato, muovendo dal marxismo eterodosso all’irrazionalismo francese, dalle poetiche dell’assurdo alla teologia radicale, dall’indagine sull’architettura postmoderna (cui sono dedicati il saggio più esteso e un capitolo su Gibellina come “società estetica”) alla semiologia. Lo stile è ossimorico e oscuro, il procedimento frammentario e irregolare, procurando una lettura che pone l’itinerario del libro nel solco di una suggestiva inquietudine esistenziale.


Oratorio per nastro magnetico

Oratorio per nastro magnetico


 

manifesto

Manifesto


 

Teatro minimo

Teatro minimo


 

cariocinesi

Cariocinesi


 

Telegrafi

Telegrafi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ed altre ancora

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