Friedrich W. Nietzsche (1844-1900) – La musica unisce tutte le qualità. La sua funzione principale è di condurre i nostri pensieri verso cose più alte, elevarli, anche a costo di farci tremare

Friedrich Wilhelm Nietzsche 13

 

«Dio ci ha dato la musica così che soprattutto ci possa portare verso l’alto. La musica unisce tutte le qualità: può esaltarci, divertirci, rallegrarci o rompere il più duro dei cuori con i più dolci dei suoi toni malinconici. Ma la sua funzione principale è di condurre i nostri pensieri verso cose più alte, elevarli, anche a costo di farci tremare […] L’arte musicale spesso si esprime in suoni più penetranti delle parole della poesia e penetra nelle fessure più nascoste del cuore. […] La canzone eleva il nostro essere e ci porta verso il buono e il vero. Se tuttavia la musica serve solo come un diversivo o come una specie di vana ostentazione è peccaminosa e dannosa».

Friedrich Wilhelm Nietzsche, cittato in: Julian Young, A Philosophical Biography Friedrich Nietzsche, Cambridge University Presse, London, 2010.

***

«Nel Tristan, fra la nostra più alta emozione musicale e la musica s’insinuano il mito tragico e l’eroe tragico, quale simboli delle verità più universali, di cui la musica sola può parlare per via diretta. Quale simbolo tuttavia il mito resterebbe inefficace. […] L’apollineo ci strappa all’universalità dionisiaca e ci attrae verso gli individui».

Friedrich Wilhelm Nietzsche, La nascita della tragedia, in La polemica sull’arte tragica, Sansoni, Firenze 1972, pp. 168, 169, poi 160.

***

«Forse, non c’è mai stato un filosofo che fosse, au fond, musicista quanto lo sono io […] non conosco più nulla, non sento più nulla, non leggo più nulla: e malgrado tutto ciò non c’è niente che, propriamente, mi interessi di più del destino della musica». 

Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettera al direttore d’orchestra Hermann Levi del 20 ottobre 1887.

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«Possa la mia musica dimostrare che si può essere dimentichi del proprio tempo e che in ciò v’è qualcosa di ideale!” […] per me resta sempre un fatto straordinario come nella musica si riveli l’immutabilità del carattere; ciò che vi esprime un fanciullo è così chiaramente il linguaggio essenziale della sua intera natura, che anche l’adulto non ritrova nulla da cambiare”.

Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettera del 20 marzo 1875 all’amica Malwida von Meysenbug.

***

«Le mie improvvisazioni al pianoforte hanno non poco successo, e fui solennemente festeggiato con un brindisi in mio onore. Ernst ne è assolutamente incantato, come direbbe Lisabeth; dovunque io mi trovi debbo suonare e vengo applaudito: è ridicolo. Ieri, nel pomeriggio, ci recammo a Schwelm, […] la sera, in un ristorante, suonai, senza saperlo, alla presenza di un rinomato direttore d’orchestra, il quale rimase a bocca aperta e mi fece ogni sorta di complimenti, scongiurandomi di far parte, la sera, della sua società corale.».

Friedrich Wilhelm Nietzsche, Lettere alla amdre e alla sorella, Franziska ed Elisabeth, del dicembre 1864 e del 18 febbraio 1865.

 

Friedrich Nietzsche (1844-1900) – Scrivi col sangue: imparerai che il sangue è spirito
Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) – Chi si sente completamente in accordo con questo presente, e lo assume come qualcosa ‘che si comprende da sé’ non è da noi certo invidiato. Tra costoro e i solitari, stanno tuttavia in mezzo i combattenti, cioè coloro che sono ricchi di speranza.
Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) – Un’educazione, peraltro, che faccia intravedere alla fine del suo corso un impiego, o un guadagno materiale, non è affatto un’educazione in vista di quella cultura che noi intendiamo, ma semplicemente un’indicazione delle strade che si possono percorrere per salvare e difendere la propria persona, nella lotta per l’esistenza.
Friedrich Nietzsche (1844-1900) – La nostra cultura europea è come protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa; simile a una corrente che vuole giungere alla fine, che non riflette più e ha paura di riflettere.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Arthur Schopenhauer (1788-1860) – La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, è infatti oggettivazione e immagine dell’intera volontà, tanto immediata quanto il mondo anzi, quanto le idee.

Arthur Schopenhauer 03

«La musica oltrepassa le idee, è del tutto indipendente anche dal mondo fenomenico, lo ignora, in un certo modo potrebbe continuare ad esistere anche se il mondo non esistesse più: cosa che non si può dire delle arti. La musica è infatti oggettivazione e immagine dell’intera volontà, tanto immediata quanto il mondo, anzi, quanto le idee, la cui pluralità fenomenica costituisce il mondo degli oggetti particolari».

Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, [1819l, ed. it. a cura di Ada Vigliani, Mondadori, Milano 1995.


Arthur Schopenhauer (1788-1860) – Non solo la filosofia, ma anche le arti belle mirano a risolvere il problema dell’esistenza.
Arthur Schopenhauer (1788-1860) – Perché si riconosca e si apprezzi spontaneamente il valore altrui, bisogna possederne del proprio.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Wystan Hugh Auden (1907-1973) – Udii un innamorato che cantava: «L’amore non ha fine. Io ti amerò finché l’oceano sia ripiegato e steso ad asciugare. Io tengo stretto fra le braccia il Fiore delle Età, e il primo amore al mondo».

Wystan Hugh Auden 01

Una sera che ero uscito a spasso,
a spasso in Bristol Street,
sul lastrico le folle erano campi
di grano pronto per la mietitura.

E lungo il fiume in piena
udii un innamorato che cantava
sotto un’arcata della ferrovia:
«L’amore non ha fine.

«Io ti amerò, mia cara, ti amerò
finché la Cina e l’Africa s’incontrino,
e il fiume schizzi sopra la montagna
e per la strada cantino i salmoni.

«Io ti amerò finché l’oceano sia
ripiegato e steso ad asciugare,
e vadano le sette stelle urlando
come oche in giro per il cielo.

«Come conigli correranno gli anni
perché io tengo stretto fra le braccia
il Fiore delle Età,
e il primo amore al mondo».

Ma tutti gli orologi di città
si misero a vibrare e rintoccare:
«Oh, non lasciarti illudere dal Tempo,
non puoi vincere il Tempo.

«Nelle tane dell’Incubo,
dove Giustizia è nuda,
dall’ombra il Tempo vigila
e tossisce se hai voglia di baciare.

«Tra emicranie e in ansia
vagamente la vita cola via,
e il Tempo avrà vinto la partita
domani o ancora oggi.

«In molte verdi valli
si accumula la neve spaventosa;
il Tempo spezza le danze intrecciate
e dell’atleta lo stupendo tuffo.

«Oh, immergi nell’acqua le tue mani,
giù fino al polso immergile;
e guarda, guarda bene nel catino
e chiediti che cosa hai perduto.

«Nella credenza scricchiola il ghiacciaio,
il deserto sospira dentro il letto,
e nella tazza la crepa dischiude
un sentiero alla terra dei defunti.

«Dove i barboni vincono bei soldi
e il Gigante fa le moine a Jack,
e l’Angioletto è un nuovo Sacripante,
e Jill finisce giù lunga distesa.

«Oh, guarda, guarda bene nello specchio,
guarda nella tua ambascia;
la vita è ancora una benedizione
anche se benedire tu non puoi.

«Oh, rimani, rimani alla finestra
mentre bruciano e sgorgano le lacrime;
tu amerai il prossimo tuo storto
con il tuo storto cuore».

Era tardi, già tardi quella sera,
loro, gli amanti, se n’erano andati;
tutti i rintocchi erano cessati,
e il gran fiume correva come sempre.

 

Wystan Hugh Auden, Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, Milano, 1997.


Descrizione

Tra le raccolte di poesie di Auden un posto molto particolare spetta senza dubbio a Un altro tempo: e per più ragioni, a cominciare dalla sua collocazione cronologica, che ne fa in un certo senso un libro di storia. Il periodo della composizione abbraccia la vigilia e gli inizi della seconda guerra mondiale, e comprende i giorni di una svolta drammatica nella vita del poeta: la decisione di lasciare l’Inghilterra e di stabilirsi negli Stati Uniti. Abituato a vivere intensamente e da vicino gli eventi pubblici, dalla guerra di Spagna alla crisi europea, Auden interpreta da poeta non solo l’invasione tedesca della Polonia, ma anche la scomparsa di figure come Yeats e Freud. Intanto entra in un «altro tempo» con un esilio che lo accomuna a schiere innumerevoli di profughi (ai quali dedica Refugee Blues e altri versi) e lo avvia alla cittadinanza americana, senza mai attenuare i ricordi dell’Inghilterra e dell’Europa (Oxford, il Vallo Romano, il Musée des Beaux-Arts di Bruxelles). Un altro tempo è tipicamente audeniano anche perché alterna liriche metafisiche ad altre cosiddette light (come Funeral Blues e Calypso), che sono tra le sue più famose o addirittura popolari; e perché l’omaggio ai grandi del passato (Melville, Rimbaud, Voltaire) non esclude un’attenzione commossa o sarcastica per piccole creature del presente (la povera Miss Gee o il chimico che con la sua passione per gli esplosivi contribuirà a distruggere la propria casa). Mai pubblicato in Italia nella sua integrità, Un altro tempo è infine una testimonianza delle esperienze americane di Auden già dalla poesia d’apertura, con la dedica a Chester Kallman – dedica che è quasi l’annuncio pubblico di un sodalizio destinato a durare una vita.


Pieter Bruegel il Vecchio, La caduta di Icaro. Musée David et Alice van Buren, Bruxelles.

  • Poesie, introduzione, versione e note di Carlo Izzo, Guanda, 1952
  • Per il tempo presente : oratorio di Natale, traduzione di Aurora Ciliberti, All’insegna del pesce d’oro, 1964
  • L’età dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessì e Antonio Rinaldi, Mondadori, 1966
  • Opere poetiche, traduzione di Aurora Ciliberti, 2 voll., Lerici, 1966-1969
  • Saggi, trad. G. Fiori Andreini, Garzanti, 1968
  • Il jolly nel mazzo : saggi su Shakespeare, D. H. Lawrence, Marianne Moore, Frost, Byron, Dickens, Ibsen, Stravinsky, Garzanti, 1972
  • Grazie nebbia!, a cura di Aurora Ciliberti, Guanda, 1977; TEA, 1998
  • Città senza mura e altre poesie, a cura di Aurora Ciliberti ; introduzione di Marisa Bulgheroni, Mondadori, 1981
  • Poesie, a cura di Aurora Ciliberti, Mondadori, 1981
  • Riti della parola, Vita e Pensiero, Milano, 1985
  • Horae canonicae, traduzione di Aurora Ciliberti ; note di Maria Vailati, SE, 1986
  • Gli irati flutti, a cura di Gilberto Sacerdoti, Arsenale, 1987; poi Fazi, 1995
  • Il mare e lo specchio : commentario a “La tempesta” di Shakespeare, a cura di Aurora Ciliberti, SE, 1987
  • Lettere dall’Islanda, a cura di Aurora Ciliberti, Archinto, 1993
  • (con Christopher Isherwood) Viaggio in una guerra, traduzioni di Aurora Ciliberti e Lucia Corradini, SE, 1993; poi Adelphi, 2007
  • L’eta dell’ansia : egloga barocca, traduzione di Lina Dessi, Antonio Rinaldi, introduzione di Valerio Magrelli, Il melangolo, 1994.
  • La verità, vi prego, sull’amore, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1994
  • Shorts, trad. di Gilberto Forti, Adelphi, 1995
  • Un altro tempo, a cura di Nicola Gardini, Adelphi, 1997
  • La mano del tintore, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 1999
  • Lo scudo di Perseo, trad. di Gabriella Fiori, Adelphi, 2000
  • Lezioni su Shakespeare, a cura di Arthur Kirsch ; traduzione di Giovanni Luciani, Adelphi, 2006
  • Grazie, nebbia : ultime poesie, a cura di Alessandro Gallenzi, Adelphi, 2011
  • Oratorio di Natale, traduzione di Vanni Bianconi, Transeuropa, 2011
  • Poesie scelte, A cura di Edward Mendelson, trad. di Massimo Bocchiola e Ottavio Fatica, Adelphi, 2016
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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María Zambrano (1904-1991) – Persona è colui che nella vita lascia intravedere, con la sua stessa vita, che un senso superiore ai fatti fa acquisire ad essi significato configurandoli in un’immagine: affermazione di una libertà imperitura pur nell’imporsi delle circostanze.

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«Perché ciò che è propriamente storico non è il fatto resuscitato con tutti i suoi componenti, fantasma della sua realtà, né tanto meno la visione arbitraria che elude il fatto, bensì la visione di quel che sopravvive ai fatti, il senso che sopravvive assumendoli come corpo. Non gli avvenimenti così come furono, ma ciò che ne è rimasto: le rovine. Le rovine sono la cosa più viva della storia, perché vive storicamente soltanto ciò che è sopravvissuto alla sua distruzione, ciò che è rimasto sotto forma di rovine. In tal modo le rovine ci darebbero il punto di identità tra il vivere personale – la storia personale – e la storia. Persona è colui che nella vita è sopravvissuto alla distruzione di ogni cosa, e ancora lascia intravedere, con la sua stessa vita, che un senso superiore ai fatti fa acquisire ad essi significato configurandoli in un’immagine: affermazione di una libertà imperitura pur nell’imporsi delle circostanze, nella prigione delle situazioni».

María Zambrano, L’uomo e il divino, trad. it. di G. Ferraro, Roma, Edizioni Lavoro, 2008, p. 228.


Maria Zambrano – La virtù della delicatezza
Maria Zambrano (1904-1991) – Il silenzio che accoglie la parola assoluta del pensiero umano diventa il dialogo silenzioso dell’anima con se stessa.
Maria Zambrano (1904-1991) – Saper guardare un’icona significa liberarne l’essenza, portarla alla nostra vita
María Zambrano (1904-1991 – Il punto dolente della cultura moderna è la sua mancanza di trasformazione della conoscenza pura in conoscenza attiva, che possa alimentare la vita dell’uomo di ciò che necessita.
María Zambrano (1904-1991) – L’amore è l’elemento della trascendenza umana. Originariamente fecondo, quindi, se persiste, creatore di luce, di vita, di coscienza. È l’amore a illuminare la nascita della coscienza.
María Zambrano (1904-1991) – La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca.
María Zambrano (1904-1991) – Vivere come figli è qualcosa di specificatamente umano; solo l’uomo si sente vivere a partire dalle sue origini e a queste si rivolge con rispetto. Se è così, non dovremmo temere che, smettendo di essere figli, smetteremo anche di essere uomini?
María Zambrano (1904-1991) – La cosa più umiliante per un essere umano è sentirsi portato, trascinato, senza possibilità di scelta, senza poter prendere alcuna decisione.
María Zambrano (1904-1991) – La violenza vuole, mentre la meraviglia non vuole nulla, le è estraneo e perfino nemico tutto quanto non persegue il suo inestinguibile stupore estatico.
María Zambrano (1904-1991) – Sogno e destino della pittura. Dal sogno la pittura ha la sua nascita. Perché essa è nata nelle caverne. I sogni hanno bisogno di salvarsi. E un sogno salvato è un sogno visibile.
María Zambrano (1904-1991) – L’esperienza precede ogni metodo. Ma il metodo si dà fin dal principio in una determinata esperienza, che proprio in virtù di ciò arriva ad acquistare corpo e forma, figura.
María Zambrano (1904-1991) – La vera musica non può essere trovata in un dogma, ma in un uomo concreto che percepisce con la sua armonia interiore l’armonia del mondo.
María Zambrano (1904-1991) – La finalità si sveglia, e quando arriva così è un tipico risveglio: da uno stato di abulia o dal lasciarsi vivere, ci svegliamo facendoci sentire che dobbiamo agire.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Raffaele La Capria – La funzione dello scrittore è sempre quella di porsi come critico della società cui appartiene.

Raffaele La Capria

«La funzione dello scrittore è sempre quella di porsi come critico della società cui appartiene, non in senso negativo, ma come portatore di una confliettualità interna alla società che dovrebbe essere vivificante e creativa e servire a migliorarla. […] Pensiamo per esempio a Pasolini che per primo ha avvertito i segnali di una catastrofe ambientale e antropologica, visibile in modo violento soprattutto nelle perieferie della città […] sempre più alterata dall’avvento di una modernità male assimilata e dal consumismo che ha devastato l’Italia».

Raffaele La Capria, Il fallimento della consapepolezza, Mondadori, Milano 2019.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Herbert Marcuse (1898-1979) – La solidarietà e la comunità si basano sulla subordinazione dell’energia distruttiva e aggressiva all’emancipazione sociale degli istinti vitali.

Herbert Marcuse - La dimensione estetica
La dimensione estetica

La dimensione estetica

«L’emergere degli esseri umani come “specie” – uomini e donne capaci di vivere in quella comunità di libertà che è il potenziale della specie – questa è la base soggettiva di una società senza classi. La sua realizzazione presuppone una trasformazione radicale degli impulsi e dei bisogni degli individui: uno sviluppo organico all’interno della realtà storica e sociale. La solidarietà si troverebbe su un terreno molto incerto se non fosse radicata nella struttura istintuale degli individui.
In questa dimensione gli uomini e le donne si confrontano con le forze psico-fisiche che devono fare proprie senza poterne sconfiggere la naturalità. Questa è la sfera degli impulsi primari: dell’energia libidica e distruttiva. La solidarietà e la comunità si basano sulla subordinazione dell’energia distruttiva e aggressiva all’emancipazione sociale degli istinti vitali.
Il marxismo ha trascurato troppo a lungo il potenziale politico radicale di questa dimensione, sebbene il sovvertimento della struttura istintuale sia un prerequisito per un cambiamento nel sistema dei bisogni, il segno di una società socialista come differenza qualitativa».

Herbert Marcuse, La dimensione estetica. Un’educazione politica tra rivolta e trascendenza, a cura di Paolo Perticari, Guerini e Associati, 2002, pp. 22-23.


 


Herbert Marcuse (1898-1979) – L’uomo ad una dimensione riconosce se stesso nelle proprie merci; l’apparato produttivo assume il ruolo di un’agente morale
Herbert Marcuse (1898-1979) – È possibile distinguere tra bisogni veri e bisogni falsi
Herbert Marcuse (1898-1979) – Se vogliamo costruire una casa di abitazione nel posto in cui sorge una prigione, dobbiamo prima demolire la prigione, altrimenti non possiamo neppure iniziare i lavori.
Herbert Marcuse (1898-1979) – Il presupposto fondamentale della rivoluzione, la necessità di un cambiamento radicale, trae origine dalla soggettività degli individui stessi, dalla loro intelligenza e dalle loro passioni, dai loro sensi e obiettivi. La soggettività liberatrice si costituisce nella storia interiore degli individui. Solo come straniamento l’arte svolge una funzione cognitiva. Essa comunica verità non comunicabili in nessun altro linguaggio: essa contraddice.
Herbert Marcuse (1898-1979) – Ciò che si definisce “utopico” non è più qualcosa che “non accade” e non può accadere nell’universo storico, bensì qualcosa il cui prodursi è impedito dalla forza delle società stabilite.
Herbert Marcuse (1898-1979) – La spontaneità soggettiva dell’uomo moderno viene trasferita sulla macchina, della quale è al servizio, così da subordinare la sua vita al “realismo” nei confronti di un mondo nel quale la macchina è il soggetto attivo e lui il suo oggetto.
Herbert Marcuse (1898-1979) – Un filosofo può commettere molti sbagli, ma in Heidegger non si trattò di un errore, bensì di un tradimento della filosofia e di tutto quello che essa rappresenta. allora rimane un’unica filosofia, una filosofia della rinuncia, della resa.
Herbert Marcuse (1898-1979) – La fantasia ha un proprio valore di verità. L’immaginazione tende alla riconciliazione dell’individuo col tutto, del desiderio con la realizzazione, della felicità con la ragione.
Herbert Marcuse (1898-1979) – La solidarietà e la comunità si basano sulla subordinazione dell’energia distruttiva e aggressiva all’emancipazione sociale degli istinti vitali.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Marina Caffiero – Profetesse a giudizio. Donne, religione e potere in età moderna. Dove emergono spazi e dimensioni del ruolo femminile autonomo e autorevole.

Marina Caffiero
Marina Caffiero, Profetesse a giudizio. Donne, religione e potere in età moderna, Morcelliana, Brescia 2020

«La storia delle donne e di genere ha mostrato come il problema del potere, che resta centrale nella riflessione storiografica generale tutt’ora più attenta alla dimensione politica che a quella sociale e culturale, non possa ridursi quanto alle donne al solo rapporto asimmetrico fra i sessi, fatto di dominio o oppressione. In tal modo si ignorano interdipendenze, condizionamenti reciproci, complementarità tali da far emergere spazi e dimensioni del ruolo autonomo e perfino autorevole femminile».

Marina Caffiero, Profetesse a giudizio. Donne, religione e potere in età moderna, Introduzione, Morcelliana, Brescia 2020

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Walter Benjamin (1892-1940) – I bambini si ritrovano nel mondo esterno in modo del tutto graduale, e solo nella misura in cui esso diventa loro familiare come un’interiorità a loro adeguata. L’interiorità di questa visione risiede nel colore.

Walter Benjamin, orbis pictus

«I libri per bambini non servono a introdurre direttamente nel mondo degli oggetti, degli animali e degli uomini, nella cosiddetta vita, coloro che li considerano. Essi si ritrovano nel mondo esterno in modo del tutto graduale, e solo nella misura in cui esso diventa loro familiare come un’interiorità a loro adeguata. L’interiorità di questa visione risiede nel colore, e nell’elemento colore si svolge la vita onirica che le cose conducono nella mente del bambino, I bambini imparano dal variopinto. Poiché la contemplazione sensibile appagata ha la sua sede naturale nel colore più che in ogni altra cosa».

Walter Benjamin, Orbis pictus. Scritti sulla letteratura infantile, Giacometti & Antonello, Macerata, 2020.


Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.

Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera

Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.

Walter Benjamin (1892-1940) – L’esperienza è in ribasso. Un’indigenza di nuova specie si è abbattuta sugli uomini, la nostra povertà di esperienza. È povertà non solo di esperienze private, ma di esperienze umane in genere, è una nuova barbarie.

Walter Benjamin (1892-1940) – Il capitalismo è pura religione cultuale, senza tregua e senza pietà, che non purifica ma colpevolizza, non è riforma dell’essere, ma la sua riduzione in frantumi. Il capitalismo è una religione di mero culto, senza dogma.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Carlos Ruiz Zafón (1964-2020) – Ogni libro possiede un’anima. La lettura coinvolge mente e cuore, due elementi sempre più rari. Conserva i tuoi sogni, la fantasia è un bene raro.

Carlos Ruiz Zafón

«Ogni libro, ogni volume possiede un anima, l’anima di chi lo ha scritto e l’anima di coloro che lo hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso».

«Scrivi dei libri […] E conserva i tuoi sogni».

«Viviamo in un  mondo di ombre, Daniel, e la fantasia è un bene raro».

«La tradizione vuole che chi viene per la prima volta deve scegliere un libro e adottarlo, impegnandosi a conservarlo per sempre, a mantenerlo in vita».

«Bea sostiene che leggere è un’arte in via di estinzione e che i libri sono specchi in cui troviamo solo ciò che abbiamo dentro di noi e che la lettura coinvolge mente e cuore, due elementi sempre più rari»

Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento (La sombra del viento), 2002, trad. di Lia Sezzi, Mondadori, Milano, 2004.

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Joseph LeDoux – Natura e cultura contribuiscono a ciò che siamo. I nostri geni possono condizionare la maniera in cui ci comportiamo, ma i sistemi di gran lunga responsabili di ciò che facciamo e di come lo facciamo sono plasmati dall’apprendimento. Apprendimento e sviluppo sono due facce della stessa medaglia.

Joseph LeDoux 01

«Le persone non sono preassemblate, ma tenute insieme dalla vita. E ogni volta che uno di noi viene costruito, si produce un diverso risultato. Una delle ragioni è che noi tutti veniamo al mondo con differenti apparati genici; un’altra è che abbiamo differenti esperienze. Ciò che è interessante di questa affermazione non è che natura e cultura contribuiscono a ciò che siamo, ma che in realtà parlano lo stesso linguaggio. Sostanzialmente entrambe raggiungono i loro effetti mentali e comportamentali incidendo sull’organizzazione sinaptica del cervello. I particolari pattern di connessioni sinaptiche nel cervello di un individuo, e l’informazione codificata da queste connessioni, sono le chiavi di ciò che quella persona è» (pp. 5-6).

«I geni determinano solo le linee generali del funzionamento mentale, spiegando al massimo il 50% di un dato tratto e, in alcune circostanze, di gran lunga di meno. L’ereditarietà ci può condizionare per certi versi, ma molti altri fattori definiscono in che modo i geni di una persona siano espressi» (p. 8).

«Molti sistemi cerebrali sono plastici, vale a dire modificabili attraverso l’esperienza, il che significa che le sinapsi implicate sono alterate dall’esperienza… La plasticità, in tutti i sistemi cerebrali, è innata. Questo può suonare come una contraddizione natura/cultura, ma non lo è. Una innata capacità delle sinapsi di registrare e conservare l’informazione è ciò che consente ai sistemi di codificare le esperienze… Ogni apprendimento dipende, in altre parole, dall’operare di capacità di apprendimento geneticamente programmate. L’apprendimento implica l’opera di Madre natura» (p. 13).

«I nostri geni possono condizionare la maniera in cui ci comportiamo, ma i sistemi di gran lunga responsabili di ciò che facciamo e di come lo facciamo sono plasmati dall’apprendimento» (p. 14).

«Quello che una persona è, ciò che pensa, sente e fa non è per nulla influenzato dalla sola coscienza. Molti dei nostri pensieri, sentimenti e azioni hanno luogo in maniera automatica, e solamente dopo che sono accaduti, forse, diventano accessibili alla coscienza. Scoprire il meccanismo della coscienza sarebbe indubbiamente una conquista scientifica importantissima, ma non spiegherebbe il funzionamento del cervello, o come i nostri cervelli fanno di noi ciò che siamo. La comprensione del mistero della personalità dipende in maniera cruciale dalla comprensione delle funzioni inconsce del cervello», vale a dire «le molte cose che il cervello fa, che non sono accessibili alla coscienza» (p.16); «Nella teoria contemporanea della personalità, come in filosofia, la nozione di Sé si riferisce tipicamente al Sé conscio, nel senso che esso possiede autoconoscenza, autorappresentazione e autostima; è consapevole di Sé, autocritico; avverte l’importanza della persona; s’impegna nella realizzazione delle proprie potenzialità… Nonostante questa lunga tradizione di enfasi sul Sé in quanto entità conscia, il Sé di cui siamo consapevoli, o di cui possiamo essere consapevoli, non rappresenta la totalità di ciò cui si riferisce il termine Sé… Le cose che consciamente sappiamo su chi o cosa siamo costituiscono gli aspetti espliciti del Sé. Questi costituiscono il tipo di realtà cui ci riferiamo con il termine autoconsapevole e quanto definiamo autorappresentazione; sono quelli di cui si interessano gli psicologi del Sé. Gli aspetti impliciti del Sé, di contro, sono tutti gli altri aspetti di ciò che siamo e che non sono immediatamente disponibili alla coscienza, o perché sono per loro natura inaccessibili, oppure perché sono accessibili ma non disponibili in un particolare momento» (pp. 38-39).

«Nella misura in cui le esperienze della vita contribuiscono a renderci quello che siamo, il processo di immagazzinamento implicito e quello esplicito della memoria rappresentano i meccanismi principali per mezzo dei quali il Sé è modellato e preservato. Quegli aspetti del Sé che sono appresi e memorizzati nel sistema esplicito rappresentano gli aspetti espliciti del Sé… Al contrario, quegli aspetti che sono appresi e memorizzati nel sistema implicito costituiscono gli elementi impliciti del Sé; utilizziamo quest’informazione su noi stessi continuamente, anche se possiamo non esserne pienamente consapevoli: i modi in cui tipicamente camminiamo e parliamo, e persino i modi in cui pensiamo e sentiamo riflettono tutti l’attività di sistemi che funzionano sulla base dell’esperienza pregressa, ma la loro azione si realizza fuori della consapevolezza» (pp. 40-41).

«Apprendimento e sviluppo sono due facce della stessa medaglia. Non possiamo apprendere prima di possedere delle sinapsi.E non appena le sinapsi cominciano a formarsi sulla base di istruzioni intrinseche, sono suscettibili di essere influenzate dalle nostre esperienze del mondo esterno. I geni, l’ambiente, la selezione, l’istruzione, l’apprendimento – tutto contribuisce alla strutturazione del cervello e alla formazione del Sé emergente attraverso la connessione delle sinapsi. Sebbene alla fine l’estesa plasticità presente in età precoce si arresti, le nostre sinapsi non cessano di modificarsi, ma restano impercettibilmente suscettibili di cambiamento per mezzo dell’esperienza» (p. 134).

Joseph LeDoux, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diventare quelli che siamo, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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