Robert C. Berwick e Noam Chomsky – «Perché solo noi. Linguaggio ed evoluzione». L’analisi genetica di caratteri come il linguaggio è attualmente una sfida fondamentale per la genetica evolutiva umana.

Chomsky Noam 01

 

 

Perché solo noi

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«Come si evolvono gli organismi? Si tratta di evoluzione per lento avanzamento o di evoluzione per sobbalzi, come fu detto nel famoso dibattito tra Stephen J. Gould e i suoi critici? […] Entrambe le cose, ovviamente. Talvolta il cambiamento evolutivo adattivo è davvero molto lento e faticoso, in azione per milioni di anni secondo l’idea classica di Darwin. Ma talvolta il cambiamento evolutivo, e anche i cambiamenti comportamentali su larga scala […] possono essere relativamente rapidi, perfino mozzafiato. Una velocità che è stata confermata in centinaia di specie differenti attraverso tutti i maggiori gruppi filogenetici […].
Qui non si devono confondere le acque ammettendo semplicemente, come fanno alcuni, che il gradualismo infinitesimale darwiniano talvolta affretti il passo. Siamo d’accordo. Ma la questione cruciale è il ritmo che concerne le prossime innovazioni evolutive. La nostra concezione abbraccia sia le possibilità a lunga scadenza, ossia milioni di anni e centinaia di migliaia di generazioni, come, a quanto pare, nell’evoluzione di un apparato di apprendimento vocale antecedente agli uccelli e a noi; sia le possibilità a breve termine, ossia alcune migliaia di anni e alcune centinaia o un migliaio di generazioni, come nel caso di adattamenti relativamente recenti quali la capacità dei Tibetani di crescere vigorosi alle alte altitudini dove c’è meno ossigeno, o la capacità di digerire il lattoslo dopo l’infanzia nelle culture agricole casearie[…], o, secondo la nostra tesi centrale, la capacità innovativa di assemblare gerarchicamente la struttura sintattica. Alcuni di questi caratteri fecero un salto dopo il lungo percorso del lento cambiamento genetico, seguendo il consiglio della biologa Lynn Margulis: il modo più rapido per acquisire interi nuovi geni innovativi è mangiarli. […]
Certo, una volta mangiati, i geni dovevano dimostrare il proprio carattere selettivo, ma questo genere di introgressione genetIca può tirare fuori qualcuno dal pozzo gravitazionale che abbiamo menzionato in precedenza. Se esistono dubbi che sia importante questo genere di contrabbando oltre i cancelli d’ingresso darwiniani, si ricordi che fu Lynn Margulis (1970) a difendere la teoria, un tempo screditata ma adesso confermata, secondo la quale gli organismi acquisirono gli organelli chiamati “mitocondri”, che da allora alimentano le nostre cellule con quel pasto gratuito, pranzando su un’altra cellula singola attraverso la fagocitosi . Questa, forse la più antica versione della “colazione sull’erba” di Manet, fece partire una delle otto “transizioni maggiori nell’evoluzione”, quali sono state identificate dai biologi evoluzionisti John Maynard Smith ed Eors Szathmary (1995). Maynard Smith e Szathmary richiamano l’attenzione su un punto importante: di queste otto transizioni, che spaziano dall’origine del DNA alla sessualità, fino all’origine del linguaggio, sei, incluso il linguaggio, sono state a quanto pare eventi evolutivi unici confinati a un singolo lignaggio, con parecchie transizioni relativamente rapide nel senso discusso in precedenza. Qui nulla viola il darwinismo più convenzionale.
Dunque possono effettivamente esserci stati slittamenti genomici/fenotipici repentini, che “spostano il punto di partenza da cui agisce la selezione“, come afferma il biologo Nick Lane […]. Lane fa notare lo spostamento straordinario e apparentemente unico e repentino dalla semplice vita cellulare, quella dei procarioti […] agli eucarioti, noi compresi […]. Come Lane fa notare, “non si deve confondere il salto genetico con l’adattamento”. Dalla prospettiva del tempo geologico, questi cambiamenti furono rapidi.
Tutto ciò evidenzia il ruolo del caso, della contingenza e del contesto biochimico-fisico nel cambiamento evolutivo innovativo: l’evoluzione per selezione naturale lavora alla cieca, senza avere in mente il “fine” di un’intelligenza superiore o il linguaggio. Alcuni eventi accadono soltanto una volta e non sembra che siano facilmente ripetibili: l’origine delle cellule con nuclei e mitocondri, e poi il sesso ecc. Altri biologi evoluzionisti sono d’accordo. Ernst Mayr, in un ben noto dibattito con Carl Sagan, faceva osservare che anche la nostra intelligenza – e quindi il linguaggio– probabilmente rientra nella stessa categoria:

“Nulla dimostra l’improbabilità dell’origine dell’intelligenza superiore meglio dei milioni di stirpi che non riuscirono a raggiungerla. Ci sono stati miliardi, forse addirittura cinquanta miliardi di specie fin dall’origine della vita. Soltanto una di queste ha raggiunto il tipo di intelligenza necessario per fondare una civiltà … Riesco a immaginare soltanto due ragioni possibili di questa eccezionalità. Una è il fatto che l’intelligenza superiore non è affatto favorita dalla selezione naturale, contrariamente a quanto ci aspetteremmo. In effetti, tutti gli altri tipi di organismi viventi, milioni di specie, se la cavano bene senza un’intelligenza superiore. L’altra ragione possibile dell’eccezionalità dell’intelligenza è la straordinaria difficoltà di acquisirla … non a caso perché i cervelli hanno un fabbisogno di energia estremamente elevato … un cervello di grandi dimensioni, che consenta un’intelligenza superiore, si è sviluppato in meno dell’ultimo 6% della vita sulla linea degli ominidi. A quanto pare, ci vuole una combinazione complessa di rare circostanze favorevoli per produrre un’intelligenza superiore” [Mayr 1995] (pp. 31-33.

«Per quanto ci piacerebbe sapere che cosa ci renda esseri umani e in che modo il linguaggio sia sorto geneticamente, è inquietante che gli scienziati debbano ancora trovare prove univoche dell’ operato della selezione naturale, una evidente “spazzata selettiva” positiva, che si verificò più o meno all’epoca in cui per la prima volta Homo sapiens emerse come specie. Può trattarsi di un fatto inevitabile, data la conoscenza imperfetta della nostra storia demografica passata, oltre alla relativa rarità delle spazzate selettive; l’evoluzione potrebbe semplicemente far uso di variazioni già presenti nella
popolazione, come sostengono Graham Coop e Molly Przeworski
[…]. In ogni caso – proseguono – l’analisi genetica di caratteri come il linguaggio è “attualmente una sfida fondamentale per la genetica evolutiva umana”. Non possiamo che essere d’accordo» (pp. 35-36).

Risvolto di copertina

Solo noi possediamo lo strano oggetto biologico chiamato “linguaggio”. Noi e nessun’altra specie animale, compresi i primati non umani, visto che uno scimpanzé non sfiora neppure le capacità sintattiche di un bambino di tre anni. Il linguaggio è l’unicità più intrigante ed enigmatica in cui si sia mai imbattuto chi studia l’animale uomo, quella che ha avuto effetti incalcolabili sulla nostra vicenda. Da lungo tempo stuoli di scienziati delle più varie discipline e dei più diversi orientamenti sono alla ricerca delle sue origini; un’avventura intellettuale in cui si incrociano spade e si mettono in campo saperi sofisticati, sempre di nuovo riarmati in una tenzone senza fine. Un vero rovello soprattutto per l’evoluzionismo, alle prese con un “salto” che ne sfidava la tradizionale impostazione gradualistica. Oggi però molto è cambiato, perché negli ultimi venticinque anni abbiamo appreso sulle basi neurofisiologiche e genetiche del linguaggio più che nei secoli precedenti, mentre i biologi evoluzionisti sono approdati, con matematiche avanzate, a interpretazioni stocastiche del cambiamento evolutivo. Dall’analisi di queste risultanze ripartono Noam Chomsky, supremo teorico della grammatica universale innata, e il linguista computazionale Robert Berwick, tra i maggiori studiosi dell’apprendimento vocale negli uccelli canori. La loro tesi, insieme evoluzionistica e discontinuistica, è un punto di arrivo nel dibattito sull’argomento: il linguaggio sarebbe un’acquisizione recente, ossia databile all’incirca a 80000 anni fa, quando, in una stretta finestra temporale, un gruppo di ominidi africani subì un piccolo ricablaggio del cervello che consentì le operazioni fondamentali del pensiero, in seguito esternalizzate attraverso il sistema sensomotorio. Come strumento interno per il pensiero, dunque, e non per necessità di comunicazione – ritenuta insufficiente a esercitare un’adeguata pressione selettiva – avremmo prodotto la strabiliante capacità di assemblare gerarchicamente la struttura sintattica, esclusiva di noi umani.

Gli autori

Robert C. Berwick è docente di Linguistica computazionale e Ingegneria e scienze informatiche presso il Laboratory for Information and Decision Systems e l’Institute for Data, Systems and Society del Massachusetts Institute of Technology di Boston. Tra i suoi libri, The Acquisition of Syntactic Knowledge (1985) e Computational Complexity and Natural Language (con G. Edward Barton ed Eric S. Ristad, 1987). Noam Chomsky, professore emerito di Linguistica al Massachusetts Institute of Technology, è tra i massimi teorici del linguaggio. All’attività scientifica ha affiancato una folta pubblicistica di intervento politico, in gran parte tradotta in italiano. Tra i titoli più recenti: I padroni dell’umanità. Saggi politici (1970-2013) (2014), Palestina e Israele: che fare? (con Ilan Pappé, 2015), Terrorismo occidentale. Da Hiroshima ai droni (con André Vltchek, 2015), La scienza del linguaggio. Interviste con James McGilvray (2015) e Linguaggio e problemi della conoscenza (2016). Presso Bollati Boringhieri è disponibile Il linguaggio e la mente (2010).

 



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