Sergio Quinzio (1927-1996) – «Consummatum est». Sergio Quinzio critica la società del benessere, scopo inventato per coloro che non sperano più nella felicità. L’attività feconda del soggetto è sostituita con il benessere materiale senza immaginazione. Chiunque lotti contro la desimbolizzazione della vita è un punto ottico di energia creativa che lievita e resiste al nulla.

Sergio Quinzio 01

Salvatore Bravo

Consummatum est

Sergio Quinzio e la  critica alla società del benessere,
lo scopo inventato per coloro che non sperano più nella felicità.
L’attività feconda del soggetto,
è sostituita con il benessere materiale senza immaginazione.
Chiunque lotti contro la desimbolizzazione della vita
è un punto ottico di energia creativa che lievita e resiste al nulla.

Avere tutto, potere tutto, essere tutto. Soddisfare ogni possibile desiderio prima ancora che nasca, e inventarne di nuovi per il gusto di soddisfarli. Non conoscere limiti; vivere nel benessere e nella libertà edenici. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù, prima di cadere nella morte, pronuncia le sue ultime parole: consummatum est. Consumare come finire, dunque, come esaurire. La categoria oggi dominante del consumare è la categoria del finire, il sigillo della storia del mondo.

La vera minaccia sta nel fatto che il processo tende all’insoddisfazione assoluta,
all’annullamento del valore delle cose e degli uomini ridotti a cose,
in definitiva al consumo e alla distruzione della realtà.

Ma che rapporto c’è fra il benessere e la felicità? Benessere è lo scopo inventato per coloro che non sperano più nella felicità, come nevrosi è la condizione di coloro che non osano più sapere che esiste il dolore.

La parola felicità,
che nel suo significato etimologico indica l’attività feconda del soggetto,
è sostituita con il benessere materiale senza immaginazione.

La società del benessere è un’idea che nasce dalla tecnica produttivistica.

La morte di dio coincide con la morte della verità,
per cui chiunque lotti contro la desimbolizzazione della vita
è un punto ottico di energia creativa
che lievita e resiste al nulla, all’olocausto della verità.

Oggi è necessario unire le forze critiche, ascoltare la multifocalità delle prospettive altre, per formare la comune consapevolezza del male che avanza. Il male è l’infantilismo di massa indotto con cui sussumere fasce sempre più vaste di popolazione cristallizata in un’eterna adolescenza senza identità e progetto.

Consumare-finire
Sergio Quinzio, filosofo e teologo di difficile collocazione, pur in una prospettiva altra rispetto alle sinistre marxiane e marxiste, analizza lo stato presente nella sua apocalittica e misera problematicità. La chiesa ha spesso cavalcato lo spirito del mondo: l’altare, associato al trono, è stato parte del processo di sussunzione e dominio. Quinzio analizza le metamorfosi delle forme di sussunzione. Nei suoi testi la religione ed i valori cristiani sono paradigmi con cui denunciare il capitalismo assoluto: la disumanità come sistema. La responsabilità umana ed il male sono parte integrante della visione cristiana di Quinzio. La responsabilità umana è l’altro volto della kenosi[1], dello svuotamento dell’onnipotenza di Dio, che permette la libertà degli esseri umani e con essa la possibilità del male.
Il giudizio sul capitalismo assoluto non conosce appello: esso è il ribaltamento del bene, imita e perverte la pienezza del bene con il feticismo delle merci. Il consumo onnivoro divora anche il vero eden-bene, lo cancella, lo assimila col fremito immaginifico dell’abbondanza delle merci. Consumare non è un atto neutro: consumare significa annichilire l’essere, fagocitarlo. Consumare significa derealizzare il mondo e la realtà fino alla realizzazione minacciosa ed integrale del nulla. L’onnipotenza del consumo divora la categoria della possibilità, della vita, al suo posto vi è l’unidirezionalità meccanica del gesto esiziale che preannuncia la sua fine:

«Avere tutto, potere tutto, essere tutto. Soddisfare ogni possibile desiderio prima ancora che nasca, e inventarne di nuovi per il gusto di soddisfarli. Non conoscere limiti; vivere nel benessere e nella libertà edenici. È ancora l’idea del regno dei cieli, in un adattamento e in una trasposizione dove ogni aspetto trova il suo corrispondente. Anche il consumare. Nel Vangelo secondo Giovanni Gesù, prima di cadere nella morte, pronuncia le sue ultime parole: consummatum est. Dagli altri vangeli queste parole non sono state tramandate: le riporta solo l’ultimo degli evangelisti, quello al quale è attribuita la rivelazione della fine dei tempi e del giorno del Signore contenuta nell’Apocalisse. Consumare come finire, dunque, come esaurire. La categoria oggi dominante del consumare è la categoria del finire, il sigillo della storia del mondo».[2]

Disincanto
Colui che è nella trappola del consumo, dipende dalle cose, è trainato con violenza da agenti esterni, è il triste complice dell’apocalisse di un intero pianeta. L’accumulo non garantisce la felicità, anzi il consumo è inversamente proporzionale alla felicità: il consumo smodato delude sempre. Il consumatore assoluto, figura antropologica del turbocapitalismo, vive in un clima di perenne conflitto, l’atmosfera relazionale è appestata dalla sfiducia e dalla violenza dei concorrenti. Il consumatore assoluto è sul mercato della violenza, ne è parte, ma non la percepisce, consuma, ma è consumato dal disincanto che il feticismo delle merci gli comunica:

«L’americano Vance Packard proclama allarmato che la continua dilatazione dei consumi, favorita allo scopo di far crescere di pari passo la produzione, non può durare all’infinito, perché si giungerà prima o poi al limite di saturazione, e cioè a una condizione finale di blocco. Questa morte per affogamento nel proprio grasso è la previsione avanzata da insigni cultori della scienza economica e appassionatamente negata, in nome della stessa scienza, da altri esperti non meno illustri, come Walter Heller. Sia come sia, l’apocalisse è molto meno scientifica e molto più radicale. È probabile che esistano infiniti universi di beni da inventare e da produrre – dal momento che la loro utilità non è affatto in gioco – e che abbia quindi ragione la scienza ottimista e torto quella pessimista (sempre che l’ottimismo non sia destinato a ricevere qualche grosso contraccolpo dall’esterno del sistema). Ma la vera minaccia sta nel fatto che la soddisfazione, o magari la felicità, ricavata dalla fruizione dei singoli beni economici diminuisce con l’aumentare globale dei consumi, e che quindi il processo tende all’insoddisfazione assoluta, all’annullamento del valore delle cose e degli uomini ridotti a cose, in definitiva al consumo e alla distruzione della realtà».[3]

 

La merce come sostanza prima
La società del consumo ha la sua sostanza prima e perversa: la merce. Ogni ente è posto sulla linea della merce da consumare. La merce è il mitico modello di fondazione a cui tutto eguagliare: gli esseri umani non sono che merce tra le merci, il pianeta è merce da consumare, il globo terrestre è solo un ampio mercato senza significato, tutto procede fatalmente; avendo il sistema fatalmente disperso ogni teleologia e logos, si autoriproduce secondo un perverso movimento:

«Come conseguenza dell’identificazione degli oggetti fra loro – privati di significato e ridotti tutti al minimo denominatore comune dell’essere oggetti – c’è il sussistere di istituti, concetti, prassi, tradizioni, formule che hanno esaurito da molto tempo il loro senso e il loro valore: in quanto liberati dalla necessità di adempiere ad altra funzione che non sia tutta nell’essere oggetti, continuano a vivere, o piuttosto a restare, dal momento che gli oggetti non vivono. Questa insperata salvezza nella comune dannazione è sopraggiunta, per esempio, sulla chiesa cattolica, e i luoghi di culto cristiani – proprio quando il culto è solo per gli oggetti – sono tornati a riempirsi. Perché dove la realtà è consumata non esiste più una possibilità di offrire oggetti senza che vengano automaticamente consumati. Tra queste sopravvivenze, o piuttosto permanenze, di cose svuotate di valore ci sono i princìpi sui quali si regge la società civile, gli ordinamenti e le leggi: poiché la diffusione del benessere e l’avvento della società opulenta discendono in modo quasi esclusivo dall’incremento della produttività determinato dallo sviluppo delle scienze e delle tecniche, e cioè dalla messianica possibilità di far tendere la produzione all’infinito e contemporaneamente i costi a zero, princìpi, ordinamenti e leggi sono in realtà impotenti a dirigerne o a mutarne o a modificarne il corso, scongiurandone la minaccia finale». [4]

 

Assimilazione regressiva
La felicità promessa vive nell’illusione di un tempo a venire, nella ripetizione di un ciclo cosmico e pagano, in cui l’attimo presente è pregno della frustrazione di domani, della speranza irriflessa nella magia della merce. Il consumismo integrale con la sua circolarità temporale è una forma di paganesimo, la vita degli esseri umani diviene organica al tempo circolare, diviene parte dei cicli naturali. Il progetto esistenziale e collettivo è sostituito dall’assimilazione regressiva ai cicli temporali. Il consumo produce solo altro consumo, in un circuito di dipendenza senza scampo: i dannati degli ipermercati sono infecondi, perché la felicità è osmosi con il mondo, è relazione biunivoca, mentre la felicità delle merci è sterile, è ripetizione di un atto servile, è impotenza generalizzata venata di violenza acquisitiva:

«È strano che, in una società dinamica come la nostra, l’ideale inseguito sia statico: il benessere, lo star bene, la sazietà soddisfatta e conclusa. Mentre le antiche civiltà statiche proponevano l’ideale aperto della felicità, parola che con femina, fenus, fecundus, fetus deriva da felare (poppare, succhiare), con significato di fecondo, fertile. Ma che rapporto c’è fra il benessere e la felicità? Sembra che gli uomini del benessere subiscano l’imposizione di una identificazione obbligatoria: in qualche oscuro modo la felicità la vogliono, e tutto quello che viene offerto è invece il benessere, che non è una macchina più o meno adatta a produrre la felicità, ma una macchina che sta al posto della felicità, in sua vece. Un uomo che credesse ancora davvero nella possibilità di essere felice non riuscirebbe a concepire neanche l’idea del benessere, la parola stessa non avrebbe per lui nessun senso. Benessere è lo scopo inventato per coloro che non sperano più nella felicità, come nevrosi è la condizione di coloro che non osano più sapere che esiste il dolore». [5]

Le parole e l’ordine del discorso sono un perenne luogo di battaglia. Per avanzare il capitale assoluto deve ridistribuire le parole, modificarne il significato, sottrarre significati per impedire che le parole possano essere veicolo di alternative. La storia e la filosofia sono anch’esse ridimensionate e disposte nell’ottica del trionfo del liberalismo e della fine della storia: oltre il presente non vi è nulla, la gabbia d’acciaio è totalità sostanziale. La religione è tollerata solo come servizio di assistenza. La parola felicità (dal latino “femina”), che nel suo significato etimologico indica l’attività feconda del soggetto, è sostituita con il benessere materiale senza immaginazione, con la tracotanza dell’avere che costruisce barriere, atomizza, isola e rende il capitalismo assoluto fonte di verità e di affermazione indiscussa. Il postulato del consumare non è mai messo in discussione, è il dogma a cui ci si inchina a prescindere dalla posizione che si occupa nel modo di produzione. Si è così avvinti da forze che non lasciano scampo e che esigono il continuo olocausto di sé (holòkaustos, “bruciato interamente”), del mondo, in un bruciare che non è sono metaforico:

«La società del benessere non ha niente in comune con una società che si proponga di migliorare le condizioni materiali di vita degli uomini, è tutt’altra cosa. Nasce dal postulato che non esista altra realtà al di fuori della produzione e del consumo, che non esista altro significato al di fuori del disporre di moltissimi oggetti. Importanti sono gli oggetti in sé e per sé, in quanto feticci: gli stessi bisogni cadono quindi nell’ombra e non si sa neppure più cosa siano. Al benessere non si può sovrapporre la moralità, perché le idee non sono comunque sovrapponibili e reciprocamente penetrabili. La società del benessere è un’idea che nasce dalla tecnica produttivistica, e che ubbidisce quindi alla sua logica interna deducendone automaticamente una sua morale, l’unica che non la contraddica: la morale dell’efficienza e del suo successo messa in luce da Max Weber. Non si può fondere il bisogno di felicità naturale dei secoli pagani, la morale cristiana, il moderno stato di diritto, le tecniche produttivistiche contemporanee, e risolvere così un problema di scelta scegliendo tutto insieme. Di veramente caratteristico, nell’attuale società, c’è infatti il rifiuto delle scelte, che è stato battezzato civiltà pluralistica o del dialogo o, precisamente, del benessere. Questo tipo di società sceglie, di fatto, il benessere; ma è una strana scelta, perché il benessere implica l’accettazione indifferenziata di tutte le cose e di tutte le idee. Il presupposto implicito è che, non valendo nessun criterio di preferenza, il risultato auspicabile e necessario può aversi solo mediante l’incremento quantitativo». [6]

 

Produttivismo indifferenziato
La critica di Sergio Quinzio si fa rilevante, coglie nelle alternative apparse nella storia del Novecento lo stesso male: la produzione senza misura. La storia non è stata maestra di vita, ha riprodotto lo stesso schema in contesti diversi: il produttivismo, il saccheggio, la sussunzione dei dominatori che in gioco di cambi di maschere ideologiche sono la riproposizione dello stesso tragico problema, ovvero il tentativo programmatico di negare il limite, la misura per l’onnipotenza della produzione. L’economicismo è dunque la cifra della modernità, l’alternativa non può che iniziare dal mettere il discussione la sacralità dell’economia. Marx, con il Capitale, ha teorizzato l’uscita dal paradigma dell’economia; il Vangelo ha parole lapalissiane verso la proprietà privata e la cattiva distribuzione dei beni, al punto che la Chiesa è stata l’istituzione che ne ha impedito la lettura rivoluzionaria:

«Ma il tragico è che non si vede che cosa si debba o si possa scegliere al di fuori del benessere che occupa tutto l’orizzonte, che sembra assorbire tutta la realtà. Il benessere, per esempio, ha deglutito tutto il movimento operaio, declassandolo da fatto capovolgente a fatto correttivo. Il guasto più profondo sta nell’incapacità di concepire scelte veramente alternative. Dal vangelo alla rivoluzione francese, dal socialismo alla società opulenta, dai testi eruditi ai fumetti c’è ormai un unico schieramento che incarna per definizione la civiltà e il progresso, la cui compattezza, essendo fondata sul benessere, è garantita dalla rinuncia a qualsiasi verità e insidiata soltanto dai conflitti di interessi istituzionalizzati. Di quanto si è allargata spazialmente la libertà formale, di tanto è diventata pesante e paralizzante l’illibertà sostanziale, coincidente con la preclusione di qualunque alternativa e speranza. L’accettazione del sistema è obbligata, e diventa perciò inutile qualunque riserva, qualunque protesta, qualunque accusa». [7]

La poietica (dal gr. poiētikós, der. di póiēsis “produzione”) è il nuovo fascismo della quantità: l’io desiderante è solo l’epifenomeno del mercato, che attraverso il condizionamento dei mezzi mediatici sostituisce l’io con una finzione dello stesso, con l’io minimo organico al mercato. Individualismo astratto che idolatra i consumi personali per astrarsi ed estraniarsi dalla cura del mondo.

 

Verità e tolleranza
Consumare significa finire: il fine è sostituire la verità con l’indifferenza e rappresentare quest’ultima per tolleranza ed inclusione. Senza verità, il soggetto non ha più bisogni profondi, non parla con se stesso, è straniero a se stesso, il nulla avanza e rende l’io disabitato:

«Un altro infine, che funzionava spaventosamente bene ancora ieri, è già quasi del tutto seccato: convogliava l’intransigenza e l’intolleranza, il poco e il corrotto, cioè, che era rimasto della fede nella verità assoluta. L’indifferenza per la verità ha prodotto la tolleranza. Resta ancora qualche sedimento d’intolleranza, defluito dal piano delle fedi e poi delle idee a quello degli interessi personali contingenti, ma stiamo per diventare tutti opulenti e presto non avremo più né bisogni né interessi. Allora, nel nulla, non ci saranno attriti». [8]

Conclusione
L’analisi di Sergio Quinzio è un appello all’agire e alla responsabilità umana che devono emanciparsi dal male, dall’eccedenza della sofferenza. L’essere umano non si salva da solo, ma è vocato alla responsabilità storica nel suo tendere verso la fine dei tempi. Il cristianesimo di Quinzio è una forma di umanesimo, poiché la fede non deresponsabilizza, e dinanzi allo svuotamento di Dio, al male che irrompe nella storia con l’inquietante consumo dell’essere e dell’esserci, l’umanità deve testimoniare che un altro modo di vivere è possibile.

La morte di dio coincide con la morte della verità, per cui chiunque lotti contro la desimbolizzazione della vita è un punto ottico di energia creativa che lievita e resiste al nulla, all’olocausto della verità. La comune critica da posizioni diverse contribuisce a chiarire la condizione storica presente. La fatica del concetto vive nella relazione tra identità, differenze. La critica è il lievito della prassi, la prepara, ne affina la consapevolezza. La complessità della globalizzazione necessita di più voci per essere compresa e per rispondere alle contraddizioni che la attraversano fatalmente. Il capitalismo contemporaneo si struttura e consolida nell’esproprio non solo dei beni comuni, ma, specialmente, nel rendere – mediante la pratica del consumo – gli esseri umani infantili, persone che non pongono il problema del senso e del limite. Pertanto oggi è necessario unire le forze critiche, ascoltare la multifocalità delle prospettive altre, per formare la comune consapevolezza del male che avanza. Il male è l’infantilismo di massa indotto con cui sussumere fasce sempre più vaste di popolazione cristallizata in un’eterna adolescenza senza identità e progetto, per poterle dominare:

«Più semplicemente: il capitale oggi non mira tanto ad alienare/estraniare cercando di imporre uno specifico modo, una determinata forma di vita, ma impedendo ogni cristallizzazione di un modo, ogni strutturazione di una forma di vita. Mira a lasciarci infanti, a non farci mai crescere, non vuole narrare una storia o impedirne la narrazione ma gettarci in un’apocalisse permanente. Non serve più distruggere un mondo, una storia, una cultura, una tradizione, se riesci a far sì che non possa mai costruirsene una, che il tempo non riesca mai a solidificarsi, che la tendenza non riesca mai a istituirsi, mettendo le mani sulla capacità di costruire, sulla facoltà di solidificare, sulla potenzialità di istituire. A che serve intaccare una qualche realizzazione e configurazione di “famiglia”, “stato”, “nazione”, “comunità”, “personalità”, “felicità”, se riesci a impedire che possa mai emergere un qualsiasi coagulo? A che serve radere al suolo tutto ciò che è stato edificato se riesci a impedire che possa più edificarsi qualcosa andando a distruggere giorno per giorno il cantiere aperto per riaprirne uno subito dopo? A che serve cucirti addosso una nicchia o una gabbia (fosse anche dorata), quando basta renderti un migrante senza fissa dimora? A che serve impedirti di fare questo o costringerti a fare quest’altro quando basta bombardarti di stimoli, di possibilità e di informazioni impedendoti così di strutturare qualsiasi atto, di articolare qualsiasi risposta, di tradurli in una qualche azione? Per tenerti fermo è più facile sollecitarti in infiniti modi che non impedirti un qualche movimento o richiedertene qualche altro». [9]

 

Dinanzi alla tragedia del presente è necessario l’ascolto di tutte le voci dissenzienti per rimettere in cammino le comunità.

Salvatore Bravo

***

[1] Kenosi parola greca da κένωσις, kénōsis, in italiano “kenosi” o “chenosi”, che deriva dall’aggettivo κενός, kenós, che significa “vuoto”.
[2] Sergio Quinzio, Cristianesimo dell’inizio e della fine, Adelphi eBook, 2014.
[3] Ibidem, p. 12.
[4] Ibidem, p. 13.
[5] Ibidem, p. 14.
[6] Ibidem, pp. 15-16.
[7] Ibidem, p. 16.
[8] Ibidem, p. 24.
[9] Giacomo Pezzano, Tractatus Philosophico-Anthropologicus. Natura umana e capitale, Petite Plaisance, Pistoia 2012, p. 87.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo

Il risveglio di Adone, John William Waterhouse, 1899

John William Waterhouse, Il risveglio di Adone, 1899

Con riferimento a un precedente mio articolo, intitolato I giovani e il piacere: la ricerca della felicità, un caro amico antichista, professore emerito, mi ha affettuosamente rimproverato per avere sintetizzato in maniera eccessiva il pensiero di Platone. L’amico aveva ragione. A mia parziale discolpa, posso solo dire che il testo era nato da una richiesta di approfondimento del pensiero di Aristotele. Poiché tuttavia questo chiarimento può avere un interesse generale, cercherò qui, seppur brevemente, di rimediare a questa mancanza verso l’antico filosofo ateniese.
Platone si è in effetti molto occupato del tema del piacere. La sua posizione, come ricordato, è solitamente ritenuta “intermedia” fra quelle edoniste e quelle antiedoniste, ambedue allora presenti in Accademia. Egli infatti, pur attribuendo molta rilevanza al piacere per la vita umana (come emerge ad esempio nel Protagora), aveva anche rimarcato la dannosità dello stesso assunto come fine primario della vita. Con riferimento a questa tematica, il tratto più evidente della sua opera consiste proprio nella condanna di ogni edonismo fine a se stesso (come emerge chiaramente nel Gorgia e nel Filebo).
Emblematica della complessiva posizione platonica è, a mio avviso, l’immagine dei giardini di Adone descritta nel Fedro (276 E – 277 A). In occasione della festa di Adone, infatti, gli Ateniesi realizzavano splendide composizioni floreali utilizzando semi appositi, che producevano fiori splendidi ma poco duraturi. Platone, assimilando metaforicamente questo comportamento alla ricerca del piacere – bella ma effimera – propria dei giovani, scrisse a tal proposito che l’uomo saggio utilizza un altro tipo di semi, più lenti a fiorire ma più resistenti, i cui fiori sono alla lunga ancor più belli. Si trattava, fuor di metafora, dei semi della ragione.
Platone in effetti fu sempre favorevole ad una educazione al piacere, il quale deve essere sperimentato, non evitato. Quanto Platone raccomanda, però, è che la ragione sia in grado in ogni caso di sovraintendere al piacere, e non ne diventi schiava. In tal caso, infatti, il piacere si trasformerebbe in dipendenza, e dunque in dolore. Platone era consapevole del contrasto sussistente tra la stabilità della ragione e l’instabilità della sensazione. Tuttavia la ragione, in virtù delle sue caratteristiche, era a suo avviso la sola facoltà umana in grado di valutare correttamente i piaceri e i dolori, per il fine della realizzazione della buona vita.
Il discorso metretico assiologico, ossia il discorso razionale sulla giusta misura del piacere, è presente in tutta l’opera platonica. Anche nel suo ultimo scritto, ossia nelle Leggi (733 A-B), Platone ricorda ad esempio come per l’uomo, che pure tende a desiderare il piacere e a rifiutare il dolore, talvolta è necessario accettare un piccolo dolore – una medicina amara, una ginnastica faticosa, l’astinenza dal cibo, ecc. – per ricevere poi un piacere maggiore. In generale, l’approccio di Platone era opposto a quello del sofista Callicle, descritto nella Repubblica (491 D – 492 C), secondo cui non si deve effettuare nessuna misurazione del piacere, essendo il fine della vita umana costituito dalla massimizzazione del soddisfacimento di tutti i desideri. A questa posizione Platone rispose indicando la natura finita dell’uomo, incompatibile con ogni ampliamento infinito dei desideri. L’arbitrio e la illimitatezza – che purtroppo l’attuale modo di produzione sociale semina nelle anime dei giovani, per i propri scopi autoreferenziali – costituiscono anzi, data appunto la impossibilità per chiunque di soddisfare ogni desiderio, le vie che conducono alla insoddisfazione, e dunque all’infelicità. All’uomo necessitano poche cose, data la propria natura finita, per realizzare la propria essenza ed essere felice.
Una delle virtù cardinali, per Platone, era proprio la virtù della temperanza. In particolare, come ribadirà poi Aristotele, Platone ha mostrato che massimamente felice è chi non ha bisogno di nulla – questa la condizione della divinità –, non chi insegue continuamente qualcosa. L’intemperante, ovvero colui che ricerca ogni piacere, era infatti da Platone paragonato, con nota metafora, ad un otre bucato, che deve costantemente essere riempito; o al caradrio, immaginifico uccello che mangia ed evacua senza posa (ma anche senza soddisfazione). Solo una vita rivolta alla verità e al bene, data la natura razionale e morale dell’uomo, era per Platone una vita realmente felice. Ciò in quanto tale vita, guidata dalla ragione verso i buoni piaceri, tende alla realizzazione di quella armonia che, così come favorisce la salute del corpo, favorisce anche l’equilibrio dell’anima, e per estensione della intera polis (Repubblica, 505 C).
Il rapporto fra uomo e polis è infatti sempre, per Platone, un rapporto diretto, nel senso che ciò che è bene per l’uomo è bene anche per la polis, e viceversa. Un’anima bene educata favorisce infatti rapporti sociali armonici, così come, reciprocamente, rapporti sociali armonici favoriscono la buona educazione delle anime. Per questo Platone, così come Socrate, insistette tanto sulla necessità di conoscere la propria anima e di prendersene cura: facendo questo, si compie il primo necessario passo per prendersi cura della intera polis e, per estensione, dell’intero tout court. Se l’anima infatti non è guidata dalla ragione, e non è dunque condotta dalla verità e dal bene, i discorsi falsi si sostituiscono a quelli veri, e i piaceri falsi a quelli veri. In questo modo, però, si viene a impedire, ai singoli uomini come alla polis, proprio la buona vita: quella stessa vita che la politica, unita alla filosofia, dovrebbe invece favorire.

Luca Grecchi
23/10/2015

Luca Grecchi

Luca Grecchi (1972), direttore della rivista di filosofia Koinè e della collana di studi filosofici Il giogo presso la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia, insegna Storia della Filosofia presso la Università degli Studi di Milano Bicocca. Da alcuni anni sta strutturando un sistema onto-assiologico definito “metafisica umanistica”, che vorrebbe costituire una sintesi della struttura sistematica della verità dell’essere. Esso rappresenta, nella sua opera, la base teoretica di riferimento sia per la fondazione di una progettualità sociale anticrematistica, sia per la interpretazione dei principali pensieri filosofici. Grecchi è soprattutto autore di una ampia interpretazione umanistica dell’antico pensiero greco, nonché di alcuni studi monografici su filosofi moderni e contemporanei, e di libri tematici su importanti argomenti (la metafisica, la felicità, il bene, la morte, l’Occidente). Collabora con la rivista on line Diogene Magazine e con il quotidiano on line Sicilia Journal. Ha pubblicato libri-dialogo con alcuni fra i maggiori filosofi italiani, quali Enrico Berti, Umberto Galimberti, Costanzo Preve, Carmelo Vigna.

Libri di Luca Grecchi

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L’anima umana come fondamento della verità (2002) è il primo libro di Grecchi, che pone, in maniera stilizzata, il sistema metafisico umanistico su cui sono poi strutturati i suoi libri successivi. La tesi centrale di questo libro è appunto che l’anima umana, intesa come la natura razionale e morale dell’uomo, è il fondamento onto-assiologico della verità dell’essere. Questo sistema metafisico costituisce la base per una analisi critica della attuale totalità sociale, e per una progettualità comunitaria finalizzata alla realizzazione di un modo di produzione sociale conforme alle esigenze della natura umana.

Karl Marx nel sentiero della verità (2003) costituisce una interpretazione metafisico-umanistica del pensiero di Marx, che viene analizzato nei suoi nodi essenziali, spesso in aperta critica con la secolare tradizione marxista. Nato originariamente come elaborazione degli studi di economia politica dell’autore compiuti negli anni novanta del Novecento, il testo assume carattere filosofico-politico. Marx è analizzato come il pensatore moderno che, rifacendosi implicitamente al pensiero greco, realizza la migliore critica al modo di produzione capitalistico, pur non elaborando – per carenza di fondazione filosofica – un adeguato discorso progettuale.

Verità e dialettica. La dialettica di Hegel e la teoria di Marx costituisce in un certo senso una integrazione del precedente Karl Marx nel sentiero della verità. Il testo effettua una sintesi originale, appunto, sia della dialettica di Hegel che della teoria di Marx. Pur riconoscendo l’influenza del pensiero di Hegel nelle opere del Marx maturo, Grecchi propone la tesi che il pensiero di Marx, strutturatosi nei suoi punti cardinali prima del suo studio attento ed approfondito della Scienza della Logica, sia nella sua essenza non dialettico. Una versione sintetica di questo libro è stata pubblicata sulla rivista Il Protagora nel 2007.

La verità umana nel pensiero religioso di Sergio Quinzio (2004) con introduzione di Franco Toscani, è una sintesi monografica sul pensiero del grande teologo scomparso nel 1996. Il testo presenta al proprio interno una analisi del pensiero ebraico e cristiano, unita ad una rilettura poetica ed umanistica del testo biblico. Il tema centrale è quello della morte, e della speranza nella resurrezione su cui Quinzio ripetutamente riflette, e che vede continuamente delusa. Al di là dei riferimenti religiosi, la riflessione del teologo si presta ad una profonda considerazione sulla fragilità della vita umana.

Nel pensiero filosofico di Emanuele Severino (2005) con introduzione di Alberto Giovanni Biuso, è una sintesi monografica sul pensiero del grande filosofo italiano. Il testo presenta al proprio interno una analisi critica del nucleo essenziale della ontologia di Severino e delle sue analisi storico-filosofiche e politiche. Esiste uno scambio di lettere fra Severino e Grecchi in cui il filosofo bresciano mostra la sua netta contrarietà alla interpretazione ricevuta. Il testo, tuttavia, è segnalato nella Enciclopedia filosofica Bompiani come uno dei libri di riferimento per la interpretazione del pensiero severiniano.

Il necessario fondamento umanistico della metafisica (2005) è un breve saggio in cui, prendendo come riferimento la metafisica classica (ed in particolare le posizioni di Carmelo Vigna), l’autore critica la centralità dell’approccio logico-fenomenologico rispetto al tema della verità, ritenendo necessario anche l’approccio onto-assiologico. Per Grecchi infatti la verità consiste non solo nella descrizione corretta di come la realtà è, ma anche di come essa – la parte che può modificarsi – deve essere per conformarsi alla natura umana. Si tratta del primo confronto esplicito fra la proposta di Grecchi della metafisica umanistica e la metafisica classica di matrice aristotelico-tomista.

Filosofia e biografia (2005) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Umberto Galimberti. Nel testo si ripercorre il pensiero galimbertiano nei suoi contenuti essenziali, ma si pone in essere anche una serrata analisi di molti temi filosofici, politici e sociali, in cui spesso emerge una sostanziale differenza di posizioni fra i due autori. Di particolare interesse le pagine dedicate al pensiero simbolico, all’analisi della società, ed alla interpretazione dell’opera di Emanuele Severino. Percorre il testo la tesi per cui la genesi di un pensiero filosofico deve necessariamente essere indagata, per giungere alla piena comprensione dell’opera di un autore.

Il pensiero filosofico di Umberto Galimberti (2005), con introduzione di Carmelo Vigna, è un testo monografico completo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo. Si tratta di un testo in cui Grecchi, sintetizzando la complessa opera di questo autore, prende al contempo posizione non solo nei confronti della medesima, ma anche di filosofi quali Nietzsche, Heidegger, Jaspers, che nel pensiero di Galimberti costituiscono riferimento imprescindibili. Vigna, nella sua introduzione, ha definito il libro «una ricostruzione seria ed attendibile del pensiero del filosofo» in esame.

Conoscenza della felicità (2005), con introduzione di Mario Vegetti, è uno dei testi principali di Grecchi, in cui l’autore applica il proprio approccio classico umanistico alla società attuale, mostrando come essa si ponga in radicale opposizione alle possibilità di felicità. L’autore, seguendo la matrice onto-assiologica del pensiero greco, mostra che solo conoscendo che cosa è l’uomo risulta possibile conoscere cosa è la felicità. Scrive Vegetti, nel testo, che Grecchi è «pensatore a suo modo classico», per il suo «andar diritto verso il cuore dei problemi». Il libro è assunto come riferimento bibliografico, per il tema in oggetto, dalla Enciclopedia filosofica Bompiani. .

Marx e gli antichi Greci (2006) è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Costanzo Preve. Nel testo viene effettuata una analisi non tanto filologica, quanto ermeneutica e teoretica dei rapporti del pensiero di Marx col pensiero greco. I due autori, concordando su molti punti, colmano così in parte una lacuna della pubblicistica su questo tema, che risulta essere stato nel tempo assai poco indagato. Di particolare interesse l’analisi effettuata dai due autori di quale potrebbe essere, sulla base insieme del pensiero dei Greci e di Marx, il miglior modo di produzione sociale alternativo rispetto a quello attuale.

Vivere o morire. Dialogo sul senso dell’esistenza fra Platone e Nietzsche (2006), con introduzione di Enrico Berti, è un saggio composto ponendo in ideale dialogo Platone e Nietzsche su importanti temi filosofici, politico e morali: l’amore, la morte, la metafisica, la vita ed altro ancora. Scrive Berti, nella sua introduzione, che, come accadeva nel genere letterario antico dell’invenzione, Grecchi non nasconde lo scopo “politico” della sua opera, la quale «risulta essere innanzitutto un documento significativo di amore per la filosofia e di vitalità di quest’ultima, in un momento in cui l’epoca della filosofia sembrava conclusa».  

Il filosofo e la politica. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la vita politica (2006) è una ricostruzione del pensiero filosofico-politico di Platone effettuata in un continuo confronto con le vicende della attualità. In questo libro Grecchi pone esplicitamente Platone, in maniera insieme divulgativa ed originale, come proprio pensatore di riferimento. Il filosofo ateniese infatti, a suo avviso, pur scrivendo molti secoli or sono, rimane tuttora colui che ha offerto le migliori analisi, e le migliori soluzioni, per pensare una migliore totalità sociale, ossia un ambiente comunitario adatto alla buona vita dell’uomo.

La filosofia politica di Eschilo. Il pensiero “filosofico-politico” del più grande tragediografo greco (2007) costituisce una interpretazione, in chiave appunto filosofico-politica, dell’opera di Eschilo. Lo scopo principale di questo libro è quello di “togliere” Eschilo dallo specialismo degli studi poetico-letterari, per inserirlo – come si dovrebbe fare per tutti i tragici greci – nell’ambito del pensiero filosofico-politico. Nel testo viene presa in carico l’analisi precedentemente svolta da Emanuele Severino ne Il giogo (1988), ritenendone validi molti aspetti ma giungendo, alla fine, a conclusioni opposte circa il presunto “nichilismo” di Eschilo.

Il presente della filosofia italiana (2007) è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i più importanti filosofi italiani contemporanei pubblicati dopo il 2000. Gli autori analizzati vengono ripartiti in quattro categorie: 1) pensatori “ermeneutici-simbolici” (Sini, Vattimo, Cacciari, Natoli); 2) pensatori “scientifici-razionalisti” (Tarca, Antiseri, Giorello); 3) pensatori “marxisti-radicali” (Preve, Losurdo); 4) pensatori “metafisici-teologici” (Reale). Il testo è arricchito da due appendici e da una ampia postfazione di Costanzo Preve. In questi testi Grecchi oppone criticamente, ai vari approcci, il proprio discorso metafisico-umanistico.

Corrispondenze di metafisica umanistica (2007) è una raccolta di testi in cui sono contenuti scambi epistolari, nonché risposte di Grecchi ad introduzioni e recensioni di suoi libri. Il testo rispecchia la tendenza dell’autore a prendere sempre seriamente in carico le altrui posizioni; secondo Grecchi, infatti, di fronte a critiche intelligenti, sono solo due gli atteggiamenti filosofici possibili: o fornire argomentate risposte, o prendere atto della correttezza delle critiche e rivedere le proprie posizioni. Il tema caratterizzante il testo è dunque la “lotta amichevole” per la emersione della verità.

L’umanesimo della antica filosofia greca (2007) è un libro in cui Grecchi effettua, in sintesi, la propria interpretazione complessiva della Grecità. Partendo da Omero, e giungendo fino al pensiero ellenistico, l’autore mostra come non la natura, né il divino, né l’essere furono i temi principali del pensiero greco, bensì l’uomo, soprattutto nella sua dimensione politico-sociale. L’uomo infatti assume centralità, in vario modo, in tutti i vari filoni culturali della Grecità, dal pensiero omerico a quello presocratico, dal teatro fino all’ellenismo.

L’umanesimo di Platone (2007) è un testo monografico sul pensiero di Platone, da Grecchi in quegli anni ritenuto come il più rappresentativo della Grecità. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse interpretazioni finora effettuate del pensiero platonico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Platone la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale e della totalità sociale.

L’umanesimo di Aristotele (2008) è un testo monografico sul pensiero di Aristotele, che sarà poi da Grecchi ripreso negli anni successivi come struttura teoretica di riferimento. Ponendo in essere una analisi complessiva delle diverse tematiche del pensiero aristotelico, Grecchi applica al medesimo il proprio paradigma ermeneutico metafisico-umanistico, cogliendo in Aristotele – così come in Platone, ma in forma differente – la centralità del ruolo filosofico-politico dell’uomo, ed insieme la centralità della posizione anti-crematistica, all’interno di una considerazione progettuale della totalità sociale.

Chi fu il primo filosofo? E dunque: cos’è la filosofia? (2008), con introduzione di Giovanni Casertano, è un libro suddiviso in due parti. Nella prima parte, prendendo come riferimento alcuni fra i principali manuali di storia della filosofia italiani, Grecchi mostra come essi spesso non definiscano l’oggetto del loro studio, ossia la filosofia, dichiarandola talvolta addirittura indefinibile. L’autore, invece, offre in questo libro la propria definizione di filosofia come caratterizzata da due contenuti imprescindibili: a) la centralità dell’uomo; b) la ricerca, il più possibile fondata ed argomentata, della verità dell’intero. Nella seconda parte l’autore esamina dieci possibilità alternative su “chi fu il primo filosofo”, giungendo a concludere che, pur all’interno del contesto comunitario della riflessione greca, il candidato più accreditato risulta essere Socrate.

Socrate. Discorso su Le Nuvole di Aristofane (2008) è una ricostruzione di fantasia, pubblicata nella collana Autentici falsi d’autore dell’editore Guida, di un discorso che avrebbe potuto essere tenuto da Socrate ad Atene l’indomani della rappresentazione della famosa commedia di Aristofane. Si tratta, come è nello stile della collana, di una ricostruzione al contempo verosimile e spiritosa, in cui Grecchi coglie l’occasione per offrire la propria interpretazione, insieme umanistica ed anticrematistica, del pensiero socratico. Tale interpretazione risulta convergente con quelle offerte, nella medesima collana, da Mario Vegetti su Platone e da Enrico Berti su Aristotele.

Occidente: radici, essenza, futuro (2009), con introduzione di Diego Fusaro, è un testo in cui l’autore analizza il concetto di Occidente e le sue tradizioni culturali costitutive, sempre in base al proprio sistema metafisico-umanistico. Analizzando le radici greche, ebraiche, cristiane, romane e moderne, ma soprattutto l’attuale contesto storico-sociale, Grecchi coglie nella prevaricazione derivante dalla smodata ricerca crematistica l’essenza dell’Occidente, ed individua per lo stesso un futuro cupo. Il testo è arricchito dal dialogo con Fusaro, alla cui introduzione Grecchi risponde in una appendice finale.

Il filosofo e la vita. I consigli di Platone, e dei classici Greci, per la buona vita (2009), è una raccolta di brevi saggi in cui l’autore, prendendo spunto da alcuni passi del pensiero platonico, e più in generale del pensiero greco classico, affronta sinteticamente alcune tematiche centrali per la vita umana (l’amore, la famiglia, la filosofia, la storia, le leggi, la democrazia, l’educazione, l’università, la mafia, la libertà, ecc.), col consueto approccio attualizzante, ovvero facendo interagire – nel rispetto del contesto storico-sociale dell’epoca in cui tale pensiero nacque – il pensiero platonico col nostro tempo. Il libro è arricchito da un lungo saggio finale di Costanzo Preve, intitolato “Luca Grecchi interprete dei filosofi classici Greci” (con risposta), in cui il filosofo torinese sintetizza le posizioni dell’autore.

L’umanesimo della antica filosofia cinese (2009) costituisce il primo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale (l’unica nel nostro paese effettuata da un solo autore). Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero cinese risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia cinese, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero cinese.

L’umanesimo della antica filosofia indiana (2009) costituisce il secondo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero indiano risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia indiana, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero indiano.

L’umanesimo della antica filosofia islamica (2009) costituisce il terzo volume di una trilogia sull’umanesimo dell’antico pensiero orientale. Il libro parte dalla constatazione che l’Oriente risulta essere pressoché assente dalle principali storie della filosofia occidentali. Tuttavia, in base alla definizione di filosofia fornita dall’autore, l’antico pensiero islamico risulta possedere, nei contenuti e talvolta anche nei metodi, caratteristiche tali da non poter essere considerato pregiudizialmente assente dal quadro filosofico. Non si tratta, comunque, di un manuale di storia della filosofia islamica, ma di una interpretazione umanistica dei principali contenuti costitutivi dell’antico pensiero islamico.

A partire dai filosofi antichi (2010), con introduzione di Carmelo Vigna, è un libro-dialogo composto con uno dei maggiori filosofi italiani, Enrico Berti. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, apportando interpretazioni originali non soltanto – anche se soprattutto – dei principali filosofi antichi, ma anche di quelli moderni e contemporanei. Non mancano inoltre considerazioni su temi di attualità, nonché su temi di interesse generale, quali l’educazione, la scuola e la politica. Scrive Vigna, nella introduzione, che «questo testo è tra le cose più interessanti che si possano leggere oggi nel panorama della filosofia italiana».

L’umanesimo di Plotino (2010) è un libro in cui l’autore colma una distanza temporale fra il periodo classico ed il periodo ellenistico della Roma imperiale. Il testo si divide in due parti. Nella prima, in ossequio alla tesi per cui ogni pensiero filosofico deve essere inserito all’interno del proprio contesto storico-sociale (anche in quanto è all’interno del medesimo che esso spesso “deduce” le proprie categorie), l’autore realizza una analisi del modo di produzione sociale greco e di quello romano, per tracciare alcune differenze importanti fra l’epoca classica e l’epoca ellenistica. Nella seconda parte, che è la più ampia, è invece analizzato, in base alle dieci tematiche ritenute centrali, il pensiero di Plotino.

Perché non possiamo non dirci Greci (2010) è un libro in cui l’autore sintetizza, in termini divulgativi, le proprie posizioni generali sui Greci. Il testo prende spunto dalla rilettura, in controluce, del classico di Benedetto Croce intitolato Perché non possiamo non dirci cristiani, per mostrare non solo come le radici greche siano almeno altrettanto importanti di quelle cristiane per la cultura europea, ma soprattutto che una loro ripresa sarebbe fortemente auspicabile. Il testo è completato da una ampia appendice inedita che costituisce una analisi critica del pensiero ellenistico (in rapporto a quello classico) incentrata sulle opere di Epicuro e di Luciano di Samosata.

La filosofia della storia nella Grecia classica (2010) è il testo ermeneutico forse più originale di Grecchi. Alla cultura greca si attribuisce infatti, solitamente, la nascita dei tronchi di pressoché tutte le discipline filosofiche e scientifiche tuttora studiate nella modernità (con varie ramificazioni). Tradizionalmente, tuttavia, la filosofia della storia è ritenuta essere disciplina moderna, senza precedenti antichi. Analizzando l’opera di storici, letterati e filosofi dell’epoca preclassica e classica, l’autore mostra invece le radici antiche anche di questo campo di studi, contribuendo ad un chiarimento teoretico della disciplina stessa.

Sulla verità e sul bene (2011), con introduzione di Enrico Berti e postfazione di Costanzo Preve, è un libro-dialogo con uno dei maggiori filosofi italiani, Carmelo Vigna. In questo testo viene ripercorsa l’intera storia della filosofia, insieme agli importanti temi teoretici ed etici che danno il titolo al volume. Scrive Berti, nella introduzione, che si tratta di «una serie di discussioni oltremodo interessanti tra due filosofi che sono divisi da due diverse, anzi opposte, concezioni della metafisica, ma sono accomunati dalla considerazione per la filosofia classica e soprattutto da un grande amore per la filosofia in sé stessa».

Gli stranieri nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore, prendendo distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano gli antichi Greci come vicini alla xenofobia, mostra che, sin dall’epoca omerica, essi furono invece aperti all’ospitalità verso gli stranieri. Preceduto da una analisi anti-ideologica delle categorie di “razza”, “etnia”, “multiculturalismo” ed altre, Grecchi rimarca come sia stato centrale, nel pensiero greco classico, il concetto di “natura umana”, il quale possiede basi teoretiche salde ed una costante presenza nella riflessione greca, che l’autore appunto caratterizza come “umanistica”.

Diritto e proprietà nella Grecia classica (2011) è un libro in cui l’autore prende in carico i temi poco indagati del diritto e della proprietà nella antica Grecia. Si tratta di temi molto importanti per comprendere il contesto storico-sociale in cui nacque la cultura greca, e che pertanto non possono essere ignorati da chi studia la filosofia di questo periodo. Il testo sviluppa inoltre un confronto con il diritto romano – che si rivela assai meno comunitario di quello greco – e con il nostro tempo, per mostrare come la cultura greca possieda, anche sul piano giuridico, contenuti che sarebbero tuttora importanti da applicare.

L’umanesimo di Omero (2012) è un libro in cui l’autore effettua una analisi teoretica ed etica del pensiero omerico, inserendo l’antico poeta nel novero del pensiero filosofico, rompendo il tradizionale isolamento nel campo letterario che da secoli caratterizza questo autore. Grecchi insiste in particolare sul carattere di educazione filosofica dei poemi omerici, mostrando come essi abbozzino temi ontologici e soprattutto assiologici poi elaborati dalla intera riflessione classica. Il testo si distingue per il continuo aggancio dei miti omerici alla contemporaneità.

L’umanesimo politico dei “Presocratici” (2012) è un libro in cui l’autore, centralizzando il carattere politico-sociale del loro pensiero, prende distanza dalle interpretazioni tradizionali che caratterizzano questi pensatori come “naturalisti”, e che li separano sia dalla poesia e dal teatro precedenti, sia dalla filosofia e dalla scienza successive. L’autore, facendo riferimento agli studi di Mondolfo, Capizzi, Bontempelli e soprattutto Preve, mostra il nesso di continuità del pensiero presocratico con l’intero pensiero greco classico. Risultano centrali, in questa trattazione, le figure di Solone e Clistene, oltre a quelle più consuete di Eraclito, Parmenide e Pitagora.

Il presente della filosofia nel mondo (2012), con postfazione di Giacomo Pezzano, è un libro in cui vengono analizzati testi di alcuni fra i maggiori filosofi contemporanei non italiani (fra gli altri Bauman, Habermas, Hobsbawm, Latouche, Nussbaum, Onfray, Zizek). Nella introduzione si rileva, come caratteristica principale della filosofia del nostro tempo, la presenza in solidarietà antitetico-polare di una corrente scientifico-razionalistica ed, al contempo, di una corrente aurorale-simbolica. Esse occupano il centro della scena escludendo dal “campo di gioco” la filosofia onto-assiologica di matrice classica, presente oramai solo in un numero limitato di studiosi.

Il pensiero filosofico di Enrico Berti (2013), con presentazione di Carmelo Vigna e postfazione di Enrico Berti, è un testo monografico introduttivo sul pensiero di questo importante filosofo contemporaneo, uno dei maggiori studiosi mondiali del pensiero di Aristotele. Rapportandosi a tematiche quali l’interpretazione degli antichi, la storia della filosofia, l’educazione, l’etica, la politica, la metafisica, la religione, Grecchi non si limita a descrivere il pensiero dell’autore considerato ma, come è nel suo approccio, valuta; in maniera solitamente concorde, eppure talvolta anche critica, in particolare nella opposizione fra metafisica classica e metafisica umanistica.

Il necessario fondamento umanistico del “comunismo” (2013) è un libro scritto a quattro mani con Carmine Fiorillo, in cui gli autori mostrano come la diffusa critica (marxista e non) al modo di produzione capitalistico, priva di una fondata progettualità, risulti sterile ed inefficace. Assumendo come base principalmente il pensiero greco classico (ma anche le componenti umanistiche di altri orizzonti culturali), gli autori mostrano che solo mediante una solida fondazione filosofica è possibile favorire la progettualità di un ideale modo di produzione sociale in cui vivere, che gli autori appunto definiscono – ma differenziandosi fortemente dalla tradizione marxista – “comunismo”.

Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia (2013) è un pamphlet in cui si mostra che le attuali modalità accademiche di insegnamento della filosofia, incentrate sullo specialismo, non ripropongono più il modello greco classico della filosofia come ricerca fondata ed argomentata della verità onto-assiologica dell’intero, che Grecchi assume invece ancora come centrale. L’autore mostra come la causa principale di questa situazione sia attribuibile ai processi socio-culturali del modo di produzione capitalistico.

La musa metafisica. Lettere su filosofia e università (2013), con Giovanni Stelli, costituisce uno scambio epistolare nato dal commento di Stelli al pamphlet Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia. A partire da questo tema lo scambio ha assunto una rilevanza ed una ampiezza tale, estendendosi a contenuti storici, culturali e politici, da renderne di qualche utilità la pubblicazione. In esso Grecchi anticipa alcuni temi portanti del suo testo che sarà intitolato Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere, cui sta lavorando dal 2003.

Discorsi di filosofia antica (2014) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sull’uomo nella cultura greca, da Omero all’ellenismo, tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2013. Esso accoglie inoltre i testi di alcune conferenze sul pensiero antico svolte dall’autore nel 2013 e 2014, ed in particolare, in appendice, un saggio inedito sulla alienazione nella antica Grecia. Quest’ultimo è un tema poco indagato in quanto mancano, alla mentalità filologica – poco teoretica – tipica del mondo accademico di oggi, i necessari riferimenti testuali (i Greci non avevano nemmeno la parola “alienazione”); questo saggio tuttavia può aprire un filone di ricerca su una tematica tuttora inesplorata.

Omero tra padre e figlia (2014) è un libro-dialogo con Benedetta Grecchi, figlia di 6 anni dell’autore, sulle vicende di Odisseo narrate appunto nella Odissea di Omero. Il testo costituisce – come recita il sottotitolo – una “piccola introduzione alla filosofia”, passando attraverso i contenuti educativi dell’opera omerica già delineati dall’autore nel libro L’umanesimo di Omero. Questo dialogo tra padre e figlia mostra come la filosofia possa passare anche ai bambini evitando, da un lato, di essere ridotta a “gioco logico”, e dal lato opposto di essere presentata come “chiacchiera inconcludente”.

Discorsi sul bene (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni sul Bene tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2014. In appendice sono aggiunte una intervista filosofica e due relazioni su temi etico-politici. Il testo si rivela importante in quanto, all’interno di un approccio aristotelico – in cui in sostanza il Bene è il fine verso cui ogni ente, per natura, tende –, Grecchi indica nel rispetto e nella cura dell’uomo (e del cosmo: gli elementi portanti del suo Umanesimo) i contenuti fondamentali del Bene.

Discorsi sulla morte (2015) è un libro che raccoglie i testi del corso di lezioni tenuto dall’autore alla università degli studi di Milano Bicocca nel 2015. L’autore, delineando le principali concezioni della morte presenti nella storia della filosofia, con particolare riferimento agli antichi Greci ed a Giacomo Leopardi, mostra come la rimozione di questo tema costituisca una delle principali concause di alcune psicopatologie del nostro tempo.

L’umanesimo della cultura medievale (2016) è un libro che raccoglie i contenuti umanistici del pensiero medievale. Rispetto alle interpretazioni tradizionali, ancora caratterizzate da una descrizione del Medioevo come età oscura, questo testo mostra il carattere umanistico in particolare della Scolastica aristotelica. Rispetto ai consueti autori di riferimento, ossia Agostino e Tommaso, particolare importanza è attribuita in questo volume a due autori del XIII secolo, Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia (solitamente poco considerati), nonché alle ripetute condanne ecclesiastico-accademiche dell’aristotelismo che ebbero il loro punto culminante nel 1277.

L’umanesimo della cultura rinascimentale (2016) è un libro che critica la tradizionale interpretazione umanistica del pensiero rinascimentale del XIV e XV secolo. Rispetto, infatti, alla vulgata comune, che ritiene centrale in questo periodo la riscoperta filologica ed ermeneutica dei testi di Platone e di altri autori antichi, Grecchi reputa centrale la filocrematistica, e dunque la rottura – operata da modalità sociali sempre più privatistiche e mercificate, cui la cultura dell’epoca si adeguò – del legame sociale comunitario proprio dell’epoca medievale. Il Rinascimento costituì dunque, a suo avviso, la prima apertura culturale verso la modernità capitalistica.

In preparazione:

Umanesimo ed antiumanesimo nella filosofia moderna (e contemporanea);

L’umanesimo greco-classico di Spinoza;

Il sistema filosofico di Aristotele;

Metafisica umanistica. La struttura sistematica della verità dell’essere.