Salvatore A. Bravo – Plebe e popolo: rivoluzione passiva e tecnologie. Vi è popolo solo dove vi è sovranità partecipata. Il popolo diventa plebe in assenza di pensiero e di linguaggio. Il popolo è comunità manifesta, è progetto partecipato. Non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere.

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Salvatore A. Bravo

Plebe e popolo: rivoluzione passiva e tecnologie

 

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Vi è popolo solo dove vi è sovranità partecipata

La rivoluzione passiva delle tecnologie

Ecco l’inglese globale

Schiacciare la lingua sull’indicativo, riducendo a nulla il congiuntivo

Il popolo diventa plebe in assenza di pensiero e di linguaggio

Il popolo, per essere davvero tale, deve essere comunità

Il popolo è comunità manifesta, è progetto partecipato

Popolo e ragione (Vernunft)

La plebe intelletto (Verstand)

La plebe non ha agorà

Non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere

 

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Vi è popolo solo dove vi è sovranità partecipata

Vi è popolo dove vi è sovranità partecipata, dove le politiche sociali ed economiche non cadono come un destino ineluttabile, come catene fatali sul popolo. Oggi siamo oltre la Rivoluzione passiva descritta da Cuoco e da Gramsci. La Rivoluzione passiva presuppone una borghesia affetta da coscienza infelice, capace di sentire l’universalità dei valori fondanti della Rivoluzione francese e dell’Umanesimo. Il popolo, ancora plebe, deve ancorarsi alla classe motrice della coscienza nazionale per poter essere protagonista, defilato, perché agito. La condizione attuale ha sostituito alla rivoluzione delle coscienze, dell’idea che diventa Spirito (Geist) nel movimento della storia, la sola rivoluzione permanente delle tecnologie, del mercato della produzione e del lavoro, una nuova trinità senza salvezza.

La rivoluzione passiva delle tecnologie

La rivoluzione tecnologica appare scissa dalla storia dell’umanità, essa avviene… È un evento che plana nella storia e modifica le esistenze. Rivoluzione anonima: la scienza – quale sostanza astratta dalla realtà contingenze – detta i suoi ordini, riconfigura le comunità, le travia fino a fessurare il loro essere, la loro identità culturale, per annientarle. Le comunità passivizzate perdono – con la coesione – sincronicamente anche le parole. La rivoluzione passiva delle tecnologie senza finalismo, smantellano non solo lo stato sociale, ma con esso anche il linguaggio.

Ecco l’inglese globale

Ed ecco l’inglese globale, lingua che ha la stessa funzione della materia omogenea, ovvero far scivolare le merci e gli scambi mercantili per il pianeta ed abbattere ogni limite linguistico e culturale, purchè l’economia – alleata delle tecnologie – possa trionfare senza limiti e confini. Le lingue nazionali – a parte pochissime eccezioni (Francia, Spagna) – sono gradualmente smantellate dalle nuove generazioni che, educate alla cultura imprenditoriale, corrono verso la rivoluzione che subiscono: il sistema scolastico asservito all’economia non consente senso critico e con esso lo sviluppo di empatica appartenenza “ruere in servitium”.[1]

Schiacciare la lingua sull’indicativo, riducendo a nulla il congiuntivo

Si corre verso l’asservimento, lo si abbraccia, si risponde all’appello della rivoluzione passiva dell’economia secondo logiche adattive: si amano le proprie catene. Affinchè il declino dello spirito critico, del pensiero connettente sia neutralizzato, si favorisce – con l’angloitaliano – la riduzione della lingua nazionale ad una manciata di parole pronte per l’uso. Ci si limita ad una lingua che deve limitarsi a soddisfare le esigenze individuali particolari ed immediate. Si schiaccia la lingua sull’indicativo riducendo a nulla il congiuntivo, il modo del dubbio, della possibilità, della complessità: non è un caso che si favorisca la lingua inglese, la quale praticamente ha il congiuntivo solo alla prima persona del verbo essere al passato, e spesso non è utilizzato, specie nell’americano. Devono esserci solo certezze e pensieri semplici per radicarsi nel presente. Pertanto bisogna congelare il congiuntivo, in quanto il dubbio introduce visioni critiche che rompono con l’atteggiamento adattivo al presente.

Il popolo diventa plebe in assenza di pensiero e di linguaggio

Il popolo diventa plebe non solo quando è minacciata la sua sopravvivenza materiale, quando lo si ricatta attraversa la precarietà. È plebe in assenza di pensiero, di linguaggio che eccede l’utile del tempo immediato. Senza il pensiero connettente e la ragione filosofica, non vi è che lo schiacciamento verso il basso, la riduzione del popolo a plebe consumante, brulicante a testa bassa. La plebe, non è una classe sociale, non si definisce mediante il censo: la plebe è la popolazione in cui prevale la condizione spaziale sulla condizione temporale. Il linguaggio è relazione, è memoria, esperienza riflessa, conoscenza di sé, dunque è movimento, temporalità concreta che riallaccia e trascende le divisioni.

Il popolo, per essere davvero tale, deve essere comunità

Ancora una volta la Filosofia ci è di ausilio per definire il popolo. Hegel, nella parte sesta della Fenomenologia dello Spirito, descrive il popolo come comunità. Il popolo è la comunità culturale di appartenenza, non tribale, che pensa se stesso come un tutto in cui convivono le parti. Il popolo è l’umanizzazione del singolo, che – non più atomo, non più astratto dal tutto – liberamente rinuncia al proprio egoismo per aprirsi all’altro, per riconoscere se stesso attraverso la relazione comunitaria.

Il popolo è tale se la condizione del tempo è vissuta nella pienezza della coscienza. Il popolo è storia, attività che pone progetti e dunque non vive scollato dalla sua contingenza storia, dal suo immediato, ma esso è il suo tempo pensato nell’estensione del pensiero che riannoda le fila del passato e del futuro passando per il presente:

«Nella misura in cui lo spirito è la verità immediata, esso è la vita etica d’un popolo: l’individuo che è un mondo. Lo spirito deve allora procedere fino alla coscienza di ciò che esso è immediatamente; deve levare la bella vita etica e raggiungere, attraverso una serie di figure, il sapere di se stesso. Queste figure però si differenziano dalle precedenti perché si tratta di spiriti reali, realtà effettive vere e proprie, e anziché essere figure solamente della coscienza, sono figure d’un mondo».[2]

 

Il popolo è comunità manifesta, è progetto partecipato

Il popolo è comunità manifesta, la coscienza di un popolo è progetto partecipato e di conseguenza palese. Dove vi è il popolo la politica ha la sua massima espressione nei corpi medi partecipati. Il linguaggio diventa così condizione imprescindibile della partecipazione, non è limitato al solo utile immediato, ma si declina ed arrichisce nei contesti della partecipazione. Un popolo senza linguaggio, senza cultura è solo plebe, è oggetto della storia. Popolo e etica coincidono, vi è etica dove vi è comunità consapeole che agisce nella storia, si fa storia trasformando in prassi le verità eterne che l’esperienza storica custodisce:

«La comunità – la legge suprema, la cui validità pubblica si manifesta alla luce del sole – ha la propria vitalità effettiva nel governo, inteso come ciò in cui essa è individuo. Il governo è lo spirito effettivo riflesso entro di sé, è il Sé semplice della sostanza etica nella sua totalità. Questa forza semplice consente certamente all’essenza di espandersi nell’articolazione dei suoi membri, e di dare a ogni parte una sussistenza e un proprio essere-per-sé. In ciò, lo spirito ha la propria realtà ossia il proprio esistere, e l’elemento di questa realtà è la famiglia».[3]

Popolo e ragione (Vernunft)

Nel popolo non vi sono atomi, individui separati, astratti dalla comunità, dalla storia, da se stessi e pertanto alienati. Nel popolo ogni individuo è parte consapevole di un comune e condiviso progetto politico, per cui il soggetto umano trova la sua ragion d’essere, il suo destino. Nella comunità non vi è che la vita della ragione che unisce i destini, pone limiti, struttura processi di autoriconoscimento mediato dalla relazione con l’alterità. La relazione non è solo l’incontro dello sguardo, l’empatia immediata, ma è specialmente linguaggio quale figura universale dell’incontro e dell’unione. La lingua patria non è nazionalismo escludente, ma è consapevolezza nella differenza. L’autoriconoscimento dei popoli avviene nell’incontro delle differenze:

«In un popolo libero, la ragione s’è perciò data vera effettuazione; essa è presenza dello spirito vivente, in cui l’individuo non soltanto trova la propria determinazione destinale – vale a dire, la propria essenza universale e singola – enunciata e data al modo della cosalità, ma anzi è egli stesso tale essenza, e ha anche raggiunto quella propria determinazione».[4]

 

La plebe intelletto (Verstand)

La plebe è il popolo animalizzato, non necessariamente ridotto in miseria, anzi vi può essere popolo e nel contempo deficienza di beni, perché la verità di un popolo è la sua consapevolezza comunitaria. La plebe è la pratica della specialistica, senza capacità di cogliere la totalità, è la pratica dell’intelletto (Verstand).
La plebe è anche la cultura specialistica senza struttura, e pertanto facilmente oggetto di manipolazione. La plebe è disinformata, o meglio la sua informazione è costituita dall’accettazione acritica delle fonti informative. È belante, ripetitiva, automatica nelle parole e nei comportamenti, ma specialmente difetta di coscienza di sé e di coscienza pubblica. La plebe non crede di poter cambiare il proprio tempo, per cui non lo pensa, lo subisce. Regredisce ad uno stato superstizioso, crede nel potere magico del grande leader, crede nella sua lingua, nelle sue parole, si deresponsabilizza dinanzi alla storia, dinanzi a se stessa, è carne da cannone per il consumo:

«Nella tradizione della filosofia politica occidentale, che è di origine greca, il “popolo” (demos) si distingue dalla mera aggregazione popolare (laos) proprio perché è “informato”, ed è informato nello spazio pubblico (demosion), spazio pubblico che è presupposto alla sua sovranità (kyriarchia) che del suo potere (exousia)».[5]

La plebe non ha agorà

La plebe dunque non ha agorà. Dove vigono le oligarchie finanziarie, non vi sono spazi pubblici, ma solo luoghi per l’ortopedia del consumo: ipermercati e luoghi del divertissiment. Tutto deve indurre alla fuga dal proprio tempo, non bisogna pensare, rappresentarsi il reale, il pensiero non deve porre l’essere, ma lo deve subire mediante l’esercizio e la pratica dell’ideocrazia.
Non si nasce servi, lo si diventa mediante l’addestramento quotidiano all’ideocrazia, al pensiero unico: poche parole tutte funzionali alla valorizzazione del capitale senza limiti. L’ideocrazia del mercato, del modello unico del pensiero e della lingua non è un destino. La storia è il luogo della vita degli esseri umani, del possibile. Nella storia le faglie liberano potenzialità impensabili. La condizione di plebe può ribaltarsi in popolo, se si mettono in atto pratiche virtuose del pensiero.

Non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere

La resistenza di un popolo non può che iniziare con il pensare il proprio tempo, con il rilevare il tragico non come un destino, ma come una circostanza posta da più soggetti responsabili popoli annessi: il riconoscimento delle proprie responsabilità dinanzi alla storia ed a se stessi è già prassi, uscita dalla caverna del nichilismo programmato da altri. La storia è Wirchliche Historie. Nessuna provvidenza verrà a salvarci. Ma, come l’Angelus Novus di Klee nel commento di Benjamin, non possiamo sottrarci alla responsabilità del divertere dal destino del Regno animale dello Spirito.

Salvatore A. Bravo

[1] «At Romae ruere in servitium consules, patres, eques» (A Roma intanto si precipitavano in gesti servili consoli, senatori, cavalieri), Tacito, Storie, I, 7.

[2] G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, Einaudi, Torino, p. 293.

[3] Ibidem, p. 300.

[4] Ibidem, p. 239.

[5] Costanzo Preve, L’Ideocrazia Imperiale Americana, Roma, p. 58.


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Salvatore A. Bravo – Vogliamo ricordare Costanzo Preve, l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

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costanzo-preve_mr copia    Costanzo Preve (1943 – 2013) –  La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

 

 

Salvatore A. Bravo

Vogliamo ricordare l’uomo e il filosofo che, con la sua resistenza al capitalismo speculativo, ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dal nietzschiano “ultimo uomo”. È sceso nelle profondità sistemiche della nostra epoca e scandagliato filosoficamente la genesi dell’odierno economicismo nichilistico.

 

  

Il 23 novembre del 2013, cinque anni fa moriva Costanzo Preve.
Vogliamo ricordare un uomo, un filosofo che ha testimoniato la resistenza ai poteri, e specialmente al capitalismo speculativo, come Preve definiva l’attuale fase del capitalismo. Nei suoi innumerevoli scritti ha denunciato il nichilismo, l’alienazione della natura umana; la quale, da essere per sua natura di ordine simbolico, è ridotta ad essere ad una funzione dell’immenso organismo cannibalico del capitalismo assoluto.
La Bestimmung, la resistenza attiva e propositiva, come vocazione duratura, è stata la stella polare di un’esistenza che ha vissuto in pienezza la sua resistenza.
La Filosofia è sempre Filosofia del presente, affermava Preve, ovvero è risposta alle contingenze storiche nell’alveo della tradizione veritativa della Filosofia.
La passione durevole per la Filosofia e per la politica sono state la sua catabasi, la discesa nell’agorà, sempre con l’intento di guardare in pieno viso il nichilismo del capitalismo speculativo/capitalismo assoluto, sciolto da ogni legame, curvato sull’illimitatezza, sul saccheggio ordinario non tanto delle finanze, ma della natura umana (Gattungswesen).
Per Costanzo Preve il mondo accademico della Filosofia aveva rinunciato alla Filosofia così come al suo fondamento veritativo.
Il nichilismo del capitalismo speculativo è stato l’oggetto dei suoi studi, ma non secondaria è stata la denuncia dell’asservimento dello specialismo accademico al capitalismo assoluto: in nome di una falsa libertà deregolamentata, perché senza fondamento, il mondo accademico è diventato lo sgabello del capitale, così come le “sinistre” dei soli diritti individuali.

Costanzo Preve si è sottratto a tali logiche. Ha vissuto la marginalità cui veniva sospinto il suo pensiero e la sua ricerca, in modo eticamente alto e forte (accettandone consapevolmente la sofferenza). Anzi, ha scelto l’isolamento, che gli ha consentito di guardare in profondità le menzogne spacciate per verità dai complici del nichilismo. Ha filosofato con il vomere come direbbe Nietzsche o con lo scandaglio secondo la definizione del filosofare di Hegel. È sceso nella profondità della nostra epoca per ricostruirne la genesi dell’economicismo nichilistico ed attraverso di essa, ha visto, ha ascoltato i suoi sommovimenti, per proporre un’uscita dalla «gabbia d’acciaio», dalla caverna che ci fa vivere nel continuo abbaglio dell’errore non pensato. All’immediatezza della caverna, alla furia del dileguare, ha proposto in alternativa il dialogo socratico, la razionalità dell’ascolto contro la ragione strumentale, per ridefinire in modo corale, logico ed argomentato il fondamento della natura umana.

Per poter far resistenza, condizione imprescindibile è la chiarezza concettuale della contingenza ipostatizzata in cui siamo caduti, della trappola dell’illimitato, ed a ciò contrapporre il pensiero concreto della verità, delle persone, della qualità relazionale. La sua esperienza nei decenni che verranno – a partire da questi giorni difficili –, ci inviterà ad un confronto responsabile con la verità della globalizzazione/glebalizzazione.

Nel ricordare la sua testimonianza di vita, la sua resistenza spesso solitaria, non possiamo che continuare a pensare in modo libero, a trarre forza veritativa da chi è assente nello spazio del nostro presente, ma le cui idee sono dialetticamente poste nel tempo della coscienza dinanzi a noi. Sta a noi ora decidere se guardare in pieno volto il nichilismo e dare i nostro contributo in questa resistenza nel limite di quello che siamo, delle nostre identità e delle nostre storie.

La memoria è una delle componenti della resistenza. Non l’unica: ogni resistenza necessita anche di una casa, ma non del tutto arredata e completa, perché si muove all’interno di spazi da reinterpretare responsabilmente assumendosi il rischio del nuovo. Costanzo Preve si è assunto il rischio del nuovo in un momento storico lasco e fondato sulle passioni tristi secondo la bella accezione di Spinoza.

Non resta che dare il proprio contributo, perché il finale non è stato scritto, riposa anche in noi, nell’agere di ogni giorno. Ricordare ha oggi una valenza polisemica di resistenza. Non è solo giusto in sé, ma dobbiamo anche rammentarci che il capitalismo speculativo ci vuole senza memoria, senza volto, non come liberi individui nella dimensione comunitaria, in modo da spingerci verso il cammino del consumo belante.

Senza memoria è l’ultimo uomo, figura idiomatica dello Zarathustra dei Nietzsche, perché nichilisticamente perso nel mercato, senza dio, senza verità.

Costanzo Preve giudicava l’ultimo uomo la figura più vera e rappresentativa dello Zarathustra.

Ha testimoniato che è possibile vivere diversamente dall’ultimo uomo.

La memoria dei legami spezza lo spazio angusto dei piccoli mercanteggiamenti per restituirci la dimensione temporale e spaziale sempre orientata verso il possibile, verso la potenzialità creativa. Sta a noi, nel tempo che ci è dato vivere, scegliere. Ma ogni scelta complessa e consapevole, per aprire un nuovo tempo, deve mediare il presente con la memoria.

Salvatore A. Bravo

 


 

Luca Grecchi,
Per l’amico Costanzo Preve. Un ricordo personale

 


 


Venturi non immemor aevi

 

Nel pensiero di Costanzo che vivendo ci fu caro,
pensiamo la sua memoria, ma… Venturi non immemor aevi.

 

Il cartiglio sullo stemma di uno del martiri della Rivoluzione napoletana del 1799, Gennaro Serra di Cassano, reca una scritta che, per la sua espressione incipitale (Venturi), sollecita a proporne la lettura (o la rilettura) anche a tutti gli estimatori e amici di Costanzo:

Venturi non immemor aevi

Vi si esprime l’esigenza di saldare il passato al futuro e il futuro al passato. Il futuro che si riverbera così nel passato, come il passato – quasi transitando per il presente – attende, a sua volta, la sua ventura rammemorazione, orientando il futuro stesso. Come se il futuro svernasse nel passato, raccogliendo le aspettative e le speranze sinora inascoltate in vista della loro realizzazione. E dunque, caro Costanzo, “ad multos annos” per i semi che hai lasciato: questo l’augurio, per una nuova “avventura” che occorre desiderare (avventura, l’andare verso le cose future, ad ventura), aspirando e impegnandosi sempre a dare un senso alla propria vita proiettandola nell’altrove della “buona utopia”, che è assoluta negazione dell’indeterminato capitalistico, una concreta “utopia comunitaria” perseguita secondo itinerari da inventare, progettare, non immemor aevi venturi. È questa la sostanza della “passione durevole” che a partire da Lukács hai trasmesso a molti.

Carmine Fiorillo

*[Non immemor, Non immemore / Aevi (genitivo di aevus, aevi; età, vita, epoca, periodo della storia passata, esistenza, speranza o durata della vita umana) / Venturi (genitivo di venturus, venturi; venturo, futuro; come sostantivo neutro venturum, venturi: il futuro)].

Andrea Rovere – Cade in questi giorni il quinto anniversario della morte del filosofo Costanzo Preve. Scriveva: «L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere».


Costanzo Preve

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196GCostanzo Preve

Una nuova storia alternativa della filosofia.
Il cammino oltologico-sociale della filosofia

indicepresentazioneautoresintesi

 

 

 

 

 


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Costanzo PreveLuca Grecchi

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura


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Luca Grecchi

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Costanzo Preve

Storia dell’etica

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Costanzo Preve

Storia della dialettica

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Costanzo Preve

Storia del materialismo

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Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

 


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Andrea Rovere – Cade in questi giorni il quinto anniversario della morte del filosofo Costanzo Preve. Scriveva: «L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere».

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Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

 

 

Andrea Rovere

Cade in questi giorni

il quinto anniversario della morte

del filosofo Costanzo Preve, nato a Valenza,

he ha vissuto molte mattinate alessandrine

 

  

 

costanzo-preve_mr copia    «Siamo nell’epoca in cui un signore [l’artista Piero Manzoni] ha potuto inscatolare la sua merda e venderla col nome di Merda d’Artista. Ora: una società che quota in borsa la merda d’artista, pagandola migliaia di Euro, anziché prendere a calci nel sedere questo signore per uno scalone, è una società chiaramente malata».

 

Sono parole di Costanzo Preve, filosofo e politologo di origini valenzane di cui pochi giorni fa, esattamente il 23 novembre, ricorreva il quinto anniversario della morte.
E già da qui, da queste poche righe, s’intuisce il genuino spirito anticonformista di Preve, di un uomo che ha vissuto praticando con coerenza la lezione dei filosofi greci dell’antichità, il loro richiamo a farci interpreti di una critica feconda e quotidiana dell’esistente per giungere alla verità, e che di tale coerenza ha pagato il prezzo.

Se infatti di questo grande pensatore, umile come tutti i veri grandi, si parla ancora troppo poco – e magari con un po’ di sufficienza –, è perché la sua voce è stata sistematicamente silenziata per decenni. Lui, autore di tanti saggi importanti che le maggiori case editrici si rifiutavano di pubblicare, e che le riviste specializzate evitavano accuratamente di recensire, nei salotti buoni dell’intellighenzia del Belpaese non ci è mai entrato, poiché scomodo, indisponibile al compromesso, e di un’onestà intellettuale che mal si combina al conformismo culturale di un’Italia che, da questo punto di vista, non è mai stata tanto “italietta” quanto negli ultimi quindici anni.
“Rossobruno”, gli gridavano da sinistra; “comunista”, facevano eco a destra. Ma la realtà è che Preve non era uomo da potersi tirare in ballo nello squallido gioco delle etichette oggi tanto in voga, ed è proprio questa sua libertà, questa sua indifferenza alle mode intellettuali e ai diktat del politicamente corretto, che proprio non poteva essere tollerata là dove si decide chi debba assurgere al rango d’intellettuale e chi no. Ovviamente a prescindere dai meriti.

 

indicepresentazioneautoresintesi

 

E così Preve è rimasto in disparte. Uno dei più attenti studiosi ed originali interpreti di Marx e del marxismo a livello internazionale, nonché analista politico raffinato e autore di saggi di carattere filosofico profondamente ispirati come Lettera sull’umanesimo e Una nuova storia alternativa della filosofia, ai quali il tempo renderà giusto merito, ha patito l’emarginazione e l’ostracismo di coloro i quali, una volta egemonizzati i circoli intellettuali più influenti, hanno sterilizzato quasi completamente il dibattito culturale italiano producendo mediocrità a tonnellate.

196G

Una nuova storia alternativa della filosofia.
Il cammino oltologico-sociale della filosofia

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Costanzo Preve, invece, era tutto tranne che un mediocre. E se oggi ci si comincia finalmente ad accorgere di lui, se si discutono tesi di laurea sulla sua opera, e se in generale è cominciata una riscoperta del pensiero previano quantomeno all’interno degli ambienti più sensibili alla voce di chi ha sempre cantato fuori dal coro, è soprattutto grazie all’attività divulgativa di chi, allievo e amico, ha beneficiato in prima persona dell’opportunità di un confronto di idee con un uomo che ha fatto del logos socratico il proprio stile di vita.

Ed era proprio qui, in uno dei bar del centro di Alessandria, che Preve trascorreva talvolta i suoi sabati mattina da quando, insieme all’amico ed ex allievo Alessandro Monchietto (oggi coordinatore didattico all’Università degli Studi di Torino), aveva preso a frequentare quello che sarebbe diventato uno dei confidenti più cari del filosofo, oltre che un collaboratore stimato la cui opinione era presa in attenta considerazione nonostante il grosso divario di età fra i due. Mi riferisco a Luca Grecchi, docente all’Università di Milano Bicocca (ecco perché Alessandria, città a metà strada fra Torino, dove abitava Preve, e Milano), saggista, nonché direttore della rivista filosofica Koinè e coautore con Preve d’una pubblicazione del 2005 dal titolo Marx e gli antichi Greci.

 

indicepresentazioneautoresintesiinvito alla lettura

È lui che abbiamo voluto raggiungere telefonicamente per avere viva testimonianza di quelle mattinate alessandrine spese a “praticare la filosofia”, oltre al breve ritratto inedito di un maestro che ha lasciato un vuoto pesante nel cuore di coloro che come Grecchi, Monchietto e Diego Fusaro, oggi noto ai più grazie alla ribalta mediatica di cui è oggetto da alcuni anni a questa parte, hanno saputo apprezzarlo tanto come studioso quanto per le sue qualità umane.
Il professor Grecchi ci dice di quando lo conobbe nel 2002. Fu lui, allora neodirettore di Koiné, a rivolerlo a tutti i costi come collaboratore della rivista, dalla quale Preve si era allontanato in seguito ai dissidi con il filosofo Massimo Bontempelli; e sempre lui a curarne la pubblicazione dei testi più recenti nella collana di cui è tuttora responsabile, «il Giogo», della casa editrice Petite Plaisance di Pistoia.
Grecchi ci dà poi un’idea del Preve insegnante, dal momento che Costanzo parlava spesso della sua quarantennale esperienza di professore di liceo, restituendoci l’immagine di un uomo profondamente consapevole dell’importanza del ruolo di educatore, pieno di energia, di entusiasmo, e coinvolgente come solo chi ha forte passione per ciò che insegna sa essere.
Del resto, Preve viveva la filosofia come prassi quotidiana, con l’atteggiamento di chi preferisce l’agorà all’accademia, poiché è lì che si fa davvero filosofia.

 

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Su questo, forse anche grazie a quelle mattinate alessandrine spese a fare esperienza filosofica insieme a Costanzo, sarà lo stesso Grecchi a scrivere un libro che già nel titolo – Perché, nelle aule universitarie di filosofia, non si fa (quasi) più filosofia – allude alle difficoltà che si riscontrano oggi a praticare autenticamente la filosofia all’interno delle facoltà universitarie, dove spesso e volentieri è la conoscenza specialistica e non la ricerca della verità e del bene a finire al centro.

Fra l’altro, questo breve saggio uscirà in libreria proprio nel 2013, anno della morte di Preve.

In quegli ultimi mesi, i contatti fra i due filosofi erano soprattutto telefonici a causa delle condizioni di salute di Costanzo, come chiarisce Grecchi già nel bellissimo ricordo pubblicato sul sito di Petite Plaisance, alcuni giorni dopo la morte dell’amico.

 

Luca Grecchi,
Per l’amico Costanzo Preve. Un ricordo personale

 

Alle chiacchierate qui nella nostra città, dove era quasi sempre Preve a tener banco attraverso aneddoti e preziosi spunti di riflessione, si sostituiva così la dimensione del colloquio, lungo i fili che collegano Torino e Milano. Tuttavia, la memoria di quelle ore trascorse insieme è ancora assai viva in chi rimane oggi a testimoniare ciò che Costanzo Preve era nel profondo: uno strenuo e appassionato cercatore della verità, oltre che una persona buona e un caro amico.
Ma qual è l’eredità di Costanzo Preve? Grecchi non ha dubbi circa l’importante lascito di questo pensatore nato proprio qui nella nostra provincia. Un’eredità data dagli spunti disseminati un po’ ovunque nei suoi numerosi libri, ancora tutti da approfondire, e in modo particolare dall’originalissima interpretazione di Marx e di Hegel che il filosofo valenzano (ci piace pensarlo valenzano, anche se crescerà a Torino) ha elaborato nel corso di una vita votata alla filosofia.
Frequentatore e amico di tanti fini intellettuali come Norberto Bobbio, Gianfranco La Grassa e Alain De Benoist, solo per citarne alcuni, questo signore laureato in scienze politiche a Torino, perfezionatosi in filosofia a Parigi – dove studiò con filosofi del calibro di Sartre e Althusser – e in ellenistica ad Atene, che si esprimeva correttamente in sei lingue e che ha scritto più di cinquanta libri, nondimeno possedeva l’umiltà indispensabile a sottoporre a critica severa per primo se stesso e le proprie idee. Non era raro sentirlo ammettere i propri sbagli, come quando si definì un “ragazzo presuntuoso” ricordando il giorno in cui durante un confronto a casa di Jean-Paul Sartre, insieme ad altri studenti della Sorbona, Preve lo contraddisse bruscamente e quasi lo insultò, salvo poi rendersi conto tempo dopo di aver detto delle sciocchezze dettate dall’inesperienza e dalla foga della gioventù. «Non posso ricordare con piacere questo colloquio, poiché mostrai semplicemente la mia arroganza di giovane estremista ventenne». Così il Preve maturo si esprimerà riguardo quella giornata, dandoci una lezione preziosa con l’implicito invito a vivere autenticamente, e quindi a riconoscere i nostri errori per migliorarci e per sgombrare il campo dagli ostacoli sulla via della verità.
Virtù che Grecchi sembra riconoscergli fino in fondo al di là delle parole che utilizza, poiché già dal tono di voce con cui si esprime sull’onda dei ricordi è molto chiaro ciò che prova: gratitudine.
Questa è stata quantomeno la mia impressione. Tanto che solo quando prendiamo a parlare di ciò che sta germogliando dai semi che Preve ha lasciato cadere lungo il suo percorso, Luca – così il professor Grecchi m’invita a rivolgermi a lui fin da subito, considerando anche me in qualche modo un amico di Costanzo – si rabbuia un poco. Ad oggi, di germogli ancora non se ne vedono sbucare. Ma Grecchi è convinto sia solo questione di tempo, poiché le grandi intuizioni necessitano talvolta di molti anni per venir colte ed elaborate.
Il tempo di Costanzo Preve deve dunque ancora venire. Questo il destino di tutti coloro che hanno rappresentato l’avanguardia del pensiero. E questa la convinzione di tutti noi che i suoi libri li abbiamo letti, amati, e anche criticati come lui per primo avrebbe voluto.

 

Andrea Rovere

 

 

 Articolo già pubblicato su:

Alessandria oggiAlessandria oggi

del 29-11-2018


Venturi non immemor aevi

 

Nel pensiero di Costanzo che vivendo ci fu caro,
pensiamo la sua memoria, ma… Venturi non immemor aevi.

 

Il cartiglio sullo stemma di uno del martiri della Rivoluzione napoletana del 1799, Gennaro Serra di Cassano, reca una scritta che, per la sua espressione incipitale (Venturi), sollecita a proporne la lettura (o la rilettura) anche a tutti gli estimatori e amici di Costanzo:

Venturi non immemor aevi

Vi si esprime l’esigenza di saldare il passato al futuro e il futuro al passato. Il futuro che si riverbera così nel passato, come il passato – quasi transitando per il presente – attende, a sua volta, la sua ventura rammemorazione, orientando il futuro stesso. Come se il futuro svernasse nel passato, raccogliendo le aspettative e le speranze sinora inascoltate in vista della loro realizzazione. E dunque, caro Costanzo, “ad multos annos” per i semi che hai lasciato: questo l’augurio, per una nuova “avventura” che occorre desiderare (avventura, l’andare verso le cose future, ad ventura), aspirando e impegnandosi sempre a dare un senso alla propria vita proiettandola nell’altrove della “buona utopia”, che è assoluta negazione dell’indeterminato capitalistico, una concreta “utopia comunitaria” perseguita secondo itinerari da inventare, progettare, non immemor aevi venturi. È questa la sostanza della “passione durevole” che a partire da Lukács hai trasmesso a molti.

Carmine Fiorillo

*[Non immemor, Non immemore / Aevi (genitivo di aevus, aevi; età, vita, epoca, periodo della storia passata, esistenza, speranza o durata della vita umana) / Venturi (genitivo di venturus, venturi; venturo, futuro; come sostantivo neutro venturum, venturi: il futuro)].

 


Costanzo Preve

Storia dell’etica

indicepresentazioneautoresintesi

***

Costanzo Preve

Storia della dialettica

indicepresentazioneautoresintesi

***

Costanzo Preve

Storia del materialismo

indicepresentazioneautoresintesi

 


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.
Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.
Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

 


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Salvatore A. Bravo – Il bisogno di filosofia è un bisogno autentico, in quanto filosofare è proprio dell’essere umano. Nulla è facile, ma tutto diventa più difficile in un mondo senza teoretica.

Salvatore Bravo 029

 

Salvatore A. Bravo

Il bisogno di Filosofia

 

Bisogno ineludibile come l’arte e la religione

 

Filosofia come argine contro le forze della disintegrazione

 

Filosofia come modus vivendi nella prassi della vita quotidiana

 

La dissoluzione comunitaria nella tecnospecializzazione

 

Responsabilità del nuovo clero orante nel declino della filosofia

 

Quantità senza qualità

 

 

Bisogno ineludibile come l’arte e la religione
Il bisogno di filosofia è un bisogno autentico, in quanto filosofare è proprio dell’essere umano. Fin quando l’essere umano esisterà in natura nella forma da noi conosciuta e vissuta, la filosofia sarà parte del suo paesaggio esistenziale: bisogno ineludibile come l’arte e la religione. Non è un caso che la Filosofia dello Spirito Assoluto di Hegel si costituisce in tre momenti: l’arte, la religione, la filosofia. Hegel, attraverso tale manifestazione della verità/totalità su livelli di consapevolezza e chiarezza concettuale crescenti, fino al concetto coincidente con la filosofia, palesa tre aspetti eterni della natura umana che si concretizzano nella Storia: l’arte, la religione, la filosofia.
Arte, religione, filosofia apportano umanità alla condizione umana, poiché sono espressione di pulsioni spirituali interiori che necessitano di risposte che si fenomenizzano per essere trascese in quanto pensate. La consapevolezza, la matariflessione dell’umanità sulle sue eterne manifestazioni, consente non tanto il progresso nel senso positivistico – in quanto concretizzazione di strumenti d’uso e tecnici con cui operare nella contingenza – ma la consapevolezza etica del telos (dal termine greco τέλος, che significa “fine”), senza il quale l’umanità si ritrova determinata dalle contingenze tecnocratiche che fatalmente e passivamente la guidano nell’applicazione, senza che essa possa discernere e discriminare le modalità d’uso. La filosofia è dunque necessaria per pensare progetti sociali ed etici condivisi. Se tale disposizione naturale al pensiero, al bisogno metafisico è ridimensionata o dileggiata a favore della tecnocrazia, siamo innanzi al tentativo di mutare la natura umana e la Storia.

 

Filosofia come argine contro le forze della disintegrazione
La filosofia è un argine contro le forze della disintegrazione, dell’atomismo sociale senza speranza e fine a se stesso. La necessità della filosofia è tanto più urgente tanto più le scienze esatte alleate dell’economia, vivono il trionfo della frammentazione specialistica senza la capacità di pensare la totalità, le conseguenze del proprio operato. La filosofia è il pensiero, il concetto (Begriff) che connette le scissioni per ricostruire l’ordito del complesso con i suoi innumerevoli piani di azione e reazione. La totalità, la complessità – con la dialettica della dimostrazione razionalmente fondata – rende evidente quanto lo stesso elemento assuma declinazioni diverse, se lo si giudica in astratto, separatamente dal tutto o in concreto, collegandolo al tutto.

 

Filosofia come modus vivendi nella prassi della vita quotidiana
La presenza della filosofia, il suo ruolo, è un indicatore della salubrità di una comunità. Se prevale solo l’intelletto (Verstand), regna la scissione, la quale non è da confinare alle sole scienze, ma investe la comunità tutta, rendendola conflittuale, regno della dismisura, della polarizzazione dei diritti come delle ricchezze. La ragione (Vernunft) è la connessione, la complessità, l’unità, da non intendersi come semplice elemento metodologico, ma è un modus vivendi nella prassi della vita quotidiana. La comunità razionale vive di vincoli sociali, etici, relazionali. L’intelletto e la ragione, se non sono in equilibrio intensivo, strutturano comunità disomogenee sempre sul rischio dell’abisso. Hegel ci viene incontro e ci offre con chiarezza le ragioni del bisogno della Filosofia:

«Se consideriamo più da vicino la forma particolare che una filosofia assume, allora la vediamo nascere da un lato dalla vivente originalità dello spirito, che ha in lei ristabilito e autonomamente configurato per mezzo di sé la lacerata armonia, dall’altro dalla forma determinata che assume la scissione da cui il sistema scaturisce. La scissione è la sorgente del bisogno della filosofia, e, in quanto cultura dell’epoca, il lato non libero e dato della figura. Nella cultura ciò che è manifestazione dell’assoluto si è isolato dall’assoluto e fissato come qualcosa di autonomo. Ma allo stesso tempo la manifestazione non può rinnegare la sua origine e deve prefiggersi di costituire in una totalità la molteplicità delle sue limitazioni; la forza del limitare, l’intelletto, intreccia al suo edifico, che pone tra gli uomini e l’assoluto, tutto ciò che per l’uomo ha valore ed è sacro, lo consolida per mezzo di tutte le potenze della natura e dei talenti e lo estende nell’infinità; in esso si trova la totalità completa delle limitazioni, ma non l’assoluto stesso; perduto nelle parti, mentre anela ad estendersi fino all’assoluto, produce infinitamente solo se stesso, e si prende gioco di sé».[1]

La dissoluzione comunitaria nella tecnospecializzazione
L’urgenza della filosofia è oggi sempre più stringente: le scienze moltiplicano con la specializzazione la quantità delle loro conoscenze. Esse – sganciate da ogni paradigma etico e filosofico – hanno un potenziale distruttivo irreversibile. Dinanzi alla poderosità tecnocratica, l’immane potenza del negativo che con la dialettica non solo ricompone unità empiriche, ma specialmente pone tra l’essere umano e l’uso delle tecniche la mediazione della ragione olistica, non è più rimandabile.
La comunità si dissolve in società dei bisogni illimitati ed inautentici, in quanto con la moltiplicazione dei mezzi incentivati da una tecnologia sempre più sganciata dalla scienza (altra scissione!). L’individualizzazione dei soggetti umani impera, per cui – presi dal semplice soddisfacimento dei bisogni – si taglia ogni vincolo con la comunità.
La disintegrazione è dietro l’angolo. Pertanto, l’esponenziale crescita, rende la filosofia tanto più necessaria quanto più alla crescita delle conoscenze specialistiche si accompagna la scissione sociale e culturale:

«Quanto più la cultura progredisce, quanto più molteplice diviene lo sviluppo delle manifestazioni della vita, nelle quali si può intrecciare la scissione, tanto maggiore diviene la potenza della scissione, tanto più fissa la sua sacralità climatica, tanto più estranei alla totalità della cultura e privi di significato gli sforzi della vita di rigenerarsi nell’armonia. Tali tentativi, pochi in rapporto alla totalità, che hanno avuto luogo contro la cultura moderna, e le belle creazioni più significative del passato o della cultura straniera hanno potuto risvegliare solo quell’attenzione che resta possibile quando non può venir inteso il più profondo e serio rapporto all’arte vivente; con l’allontanamento da lei dell’intero sistema delle relazioni di vita è perduto il concetto della sua connessione che tutto comprende, ed è trapassato nel concetto o della superstizione o di un gioco di intrattenimento».[2]

Responsabilità del nuovo clero orante nel declino della filosofia
Il declino della filosofia non avviene in modo fatale, ma trova la causa profonda nella responsabilità degli stessi intellettuali. Coloro che praticano la filosofia non come scelta di vita, ma soltanto come professione, declinano verso le discipline scientifiche, disprezzano i metodi filosofici d’indagine e specialmente reputano la ricerca della verità, in quanto totalità, un sogno adolescenziale da superare in nome dello scientismo ad ogni costo. La filosofia smette di essere un segnalatore di pericolo, un salvavita per tutti – come afferma Costanzo Preve in Storia critica del marxismo[3] – per diventare ideologia, ovvero parte della riproduzione del sistema: diventa anch’essa automatismo, in quanto ha rinunciato alla verità per rifugiarsi tra le braccia rassicuranti dell’esattezza. La filosofia ha le sue responsabilità con cui deve confrontarsi. Il circolo mediatico, il clero orante è sempre in azione:[4] tra di essi si ritrovano specialisti della filosofia per mestiere, non certamente però filosofi, pronti a vendere ‘pericolosamente’ un’intera insostituibile tradizione:

«Il disprezzo verso la ragione si mostra nel modo più forte non nel fatto che essa viene liberamente disdegnata e ingiuriata, ma nel fatto che la limitatezza si gloria di maestria nella filosofia e di amicizia con lei. La filosofia deve respingere l’amicizia con simili falsi tentativi che si gloria no in modo disonesto dell’annientamento delle particolarità, muovono dalla limitazione e applicano la filosofia come un mezzo per salvare e mettere al sicuro tali limitazioni. Nella lotta dell’intelletto con la ragione, quello guadagna una forza solo in quanto questa rinuncia a se stessa; il buon esito della lotta dipende dunque da lei stessa e dell’autenticità del bisogno di ricomposizione della totalità da cui procede. Il bisogno della filosofia può essere espresso come il suo presupposto, se alla filosofia, che comincia con se stessa, deve essere fatta una specie di vestibolo; e nei nostri tempi si è molto parlato di un presupposto assoluto. Ciò che viene chiamato presupposto della filosofia non è altro che il bisogno sopra espresso».[5]

Quantità senza qualità
La scissione imperante ha la sua verità profonda non solo nelle specializzazioni sempre più estreme, ma anche negli ambienti istituzionali della filosofia che hanno abdicato al loro dovere etico (Sollen), in nome del valore di scambio. In questo caso il baratto, qualora si confermi anche nei tempi che verranno, troveranno un’umanità sconfitta, persa tra mercificazione e alienazione. La quantità senza la qualità del senso e delle relazioni non è un compensativo immediato della negazione metafisico-ontologica: presto tale compensazione mostrerà i suoi tragici limiti.
Nulla è facile, ma tutto diventa più difficile in un mondo senza idee, senza teoretica, votato unicamente al valore d’uso e quindi all’autodistruzione. Se il pianeta è in affanno, se i popoli sono solo plebe alla catena dell’economia, ciò accade ed è per l’assenza del pensiero che connette, e supera la morte – presente nella scissione – a favore della vita, la quale è unità, tensione tra diversi piani che si riconoscono nell’unità:

«Allo stesso modo ogni apparenza di un centro, che la filosofia popolare dà al suo principio dell’assoluta non-identità di un finito e di un infinito, vien rigettata dalla filosofia, che mediante l’assoluta identità innalza alla vita la morte degli scissi, e mediante la ragione, che li intreccia entrambi in sé e maternamente li pone come uguali, si sforza di raggiungere la coscienza di questa identità del finito e dell’infinito, cioè il sapere e la verità».[6]

Salvatore A. Bravo

 

 

 

Monumento di Hegel a Jena

Monumento di Hegel a Jena

 

[1] G.W.F. Hegel, Differenza tra il Sistema filosofico fichtiano e scellinghiano, www.ousia.it (http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Hegel/DifferenzaFichteSchelling.pdf), p. 6.

[2] Ibidem, p. 7.

[3] C. Preve, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco, Introduzione di André Tosel, La Città del Sole, Reggio Calabria 2007.

[4] C, Preve, Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi, Petite Plaisance, Pistoia 2017.

[5] G.W.F. Hegel, Differenza tra il Sistema filosofico fichtiano e scellinghiano, op. cit., p. 7.

[6] Ibidem, p. 51.

 

 

 

 


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Koinè – «Per una scuola vera e buona». La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera. La scuola pietrificata di oggi disconosce la questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento. Bene è tutto ciò che si prende cura del fondamento, cioè dell’uomo.

Koinè 2018

Vero è ciò che è conforme al fondamento.
Bene è tutto ciò che del fondamento,
ossia dell’uomo,
si prende cura.

 

 

Per una scuola vera e buona

Per una scuola vera e buona

ISBN 978-88-7588-248-8, 2018, pp. 272,  Euro 25

indicepresentazioneautoresintesi

 

Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona

Locandina Per una scuola vera e buona

 

Logo-Adobe-Acrobat-300x293   Locandina Koinè, Per una scuola vera e buona   Logo-Adobe-Acrobat-300x293

 

Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

 

La scuola per essere buona deve essere prima di tutto vera.

Il libro affronta la questione della scuola pietrificata di oggi che disconosce una questione di fondo: vero è ciò che è conforme al fondamento, bene è tutto ciò che del fondamento, cioè dell’uomo, si prende cura. Qualsiasi approccio a questo tema in chiave riduttivamente economicistica o aziendalistica non consente infatti minimamente di coglierne lo spessore reale.
Né è possibile, sulla base di una concezione dell’umanità dell’uomo come semplice prassi empirica e funzionalismo sociale, capire realmente cosa è in giuoco nella scuola. Il tema della scuola rimanda infatti al significato dell’educazione umana, del rapporto tra le generazioni, della temporalità, della cultura. L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità.

Contributi di:

Eros Barone, Alberto G. Biuso, Salvatore A. Bravo, Giovanni Carosotti, Lucrezia Fava, Arianna Fermani, Carmine Fiorillo, Luca Grecchi, Silvia Gullino, Rossella Latempa, Claudio Lucchini, Romano Luperini, Fernanda Mazzoli, Alessandro Pallassini, Lucio Russo, Franco Toscani, Lorenzo Varaldo.

 

In copertina:
Marc Chagall, L’Acrobata (The Acrobat), 1914.
Per Marc Chagal l’acrobata è utopia che cerca – da una prospettiva inusuale –
un nuovo equilibrio, su un filo teso sull’orlo di un mondo alla rovescia.


 

Carmine Fiorillo – Luca Grecchi

Dalla Nota introduttiva

Luca GrecchiRingraziamo tutti gli studiosi
che a questo numero hanno partecipato,
apportando il proprio prezioso contributo di riflessione su un tema,
quello educativo,
sempre centrale e che,
anche quando non esplicitamente affrontato,Carmine Fiorillo
rimane sempre l‘implicito riferimento
di tutte le pubblicazioni
di Petite Plaisance.

 


Fernanda Mazzoli

La centralità delle conoscenze:
una bussola per uscire dalle secche dell’aziendalismo

 

Fernanda Mazzoli
L’educazione ai tempi del liberismo
La deconcettualizzazione dell’insegnamento
La storia negata
Il maestro negato
Una scuola forte è possibile?
Indicazioni bibliografiche sul tema


Franco Toscani

Sul senso e sul declino della nostra scuola

Scuola e panaziendalismo
L’alienazione scolasticaFranco Toscani
Don Lorenzo Milani
e l’esperienza della “scuola di Barbiana”:
una lotta per la cultura e il linguaggio,
per l’eguaglianza e la dignità delle persone
La testimonianza della ‘Scuola di Barbiana’ e la sua eredità odierna
La scuola e la “mutazione antropologica”
Maestri e allievi. Per una etica della responsabilità
Friedrich Nietzsche e gli interrogativi sull’avvenire delle nostre scuole
La Bildung e il destino della civiltà planetaria

 

 


Lucio Russo

Per una scuola in grado di trasmettere cultura

Per una scuola
in grado di trasmettere cultura,Lucio Russo
è essenziale interrogarsi
su quale cultura
si voglia trasmettere e perché


Claudio Lucchini

La merce a scuola ovvero la scuola della merce

La merce a scuolaClaudio Lucchini
ovvero la scuola della merce:
riflessioni

sulle tendenze
antropologico-sociali
sottese alla pratica scolastica attuale


Alberto Giovanni Biuso

Per la παιδεία

Scuola e politicaAlberto Biuso
Conoscenze e competenze
Socratismo e comportamentismo
Marketing e analfabetismo
Europa e παιδεία


Salvatore A. Bravo

Il freddo, implacabile strangolamento della παιδεία

L’ecolalia pedagogica
Pedagogia senza fondamento
La didattica breve e il neolinguaggio pedagogicoSalvatore Bravo
L’homo oeconomicus
La scuola azienda
Trascendere le classi per strutturare lo sradicamento
Conclusioni


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano
Riflessioni sulla παιδεία in Aristotele

I. Osservazioni preliminari
Originalità e attualità della riflessione aristotelica sull’educazione
II. Primo scenario educativo: l’educazione precede l’etica
II.a L’insegnabilità della virtù: limiti e caratteristiche
II.b L’emotional training e l’educazione “delle” passioniArianna Fermani
II.c Ulteriori articolazioni del modello educativo
III. Secondo scenario educativo: l’educazione è l’etica
III.a Educazione e metodo della ricerca
IV. Riflessioni conclusive


Romano Luperini

Insegnare la letteratura oggi

 

Ogni educazioneRomano Luperini
presuppone

una utopia,
la esige
***
Appendice


Alessandro Pallassini

Note sugli apparati riproduttivi societari, guardando alla scuola

I. Introduzione
II. Produzione e riproduzione societaria.Alessandro Pallassini
Brevi cenni
III. Mutamenti del sistema societario
e mutamenti nell’educazione latamente intesa
IV. Scuola-lavoro: possibili omologie
V. Conclusioni (molto provvisorie)
VI. Bibliografia utilizzata


Eros Barone

La crisi dei saperi socratici: una sfida per l’‘humanitas’

I. Società di mercato e saperi socratici
III. Quale rapporto tra il vero e l’utile nel sapereEros Barone
e nella formazione?
III. I “saperi che servono” fra nichilismo antisocratico
e ideologia del ‘politicamente corretto’
IV. Il riscatto dei saperi socratici: utilità, eredità, identità
IV. Futuro dell’‘humanitas’ e ‘humanitas’ del futuro


Giovanni Carosotti

L’«ideologia» della Buona Scuola

Una didattica autoproclamatasi “innovativa”
Un apparato ideologico per formare nuovi soggetti
Una dimostrazione di dissenso:
dall’Appello per la Scuola pubblica alla sua contestazione
Una critica delle ideologie rivolta al concetto di «competenza»
La scelta impositivaGiovanni Carosotti
Una salutare critica delle ideologie
La pseudo scienza delle competenze
L’azzeramento
della pluralità storiografica ed ermeneutica delle discipline
Una scuola di sorveglianti e sovergliati, misurati e misuratori
Breve riflessione sul quantitativo


Rossella Latempa

L’ossessione valutativa

Il mito dell’oggettivitàRossella Latempa
L’imbracatura ortopedica
della valutazione scolastica
Matematizzazione dell’essere umano


Lorenzo Varaldo

La posta in gioco

 

È in gioco il sapere dell’umanitàLorenzo Varaldo
La nostra Dichiarazione di oggi
***
Dichiarazione finale della Conferenza Nazionale
del 19 maggio 2018 per l’abrogazione della legge 107


Fernanda Mazzoli

Per una seria cultura generale comune

Una proposta di Lucio RussoFernanda Mazzoli
Recensione al libro
Lucio Russo,
Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista


Lucrezia Fava

Λόγος, linguaggio, tempo

Dai seminari heideggerianiLucrezia Fava
di Le Thor
Recensione
al libro
Martin Heidegger, Seminari


 

 

Silvia Gullino

Una appassionata ricostruzione della filosofia aristotelica

Alla ricerca del luogo
in cui la sapienza teoretica si radica nell’umano
Recensione al libro
Claudia Baracchi, L’architettura dell’umano.
Aristotele e l’etica come filosofia prima



Per far memoria

del nostro impegno sul tema della scuola

Metamorfosi della scuola

Metamorfosi della scuola italiana

Anno 2000, pp. 304, Euro 20

indicepresentazioneautoresintesi

 

Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

Contributi di:

Fabio Acerbi – Marino Badiale – Giuseppe Bailone – Fabio Bentivoglio – Piero Bernocchi – Lucio Bontempelli – Massimo Bontempelli – Paolo De Martis – Adolfo Scotto Di Luzio – Federico Dinucci – Giampiero Giampieri – Giulio Ferroni – Emanuele Narducci – Fabrizio Polacco – Costanzo Preve – Lucio Russo – Livio Sichirollo – Roberto Signorini – Lorenzo Varaldo

Sommario

Quale asse culturale per il sistema della scuola italiana?, di Massimo Bontempelli
La scuola sospesa, di Giulio Ferroni
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento, di Lucio Russo
Orwell 2000, di Fabrizio Polacco
Sulle sorti della matematica e della fisica nella scuola superiore, di Fabio Acerbi
L’insegnamento delle discipline scientifiche e la storia della scienza, di Lucio Bontempelli
30 tesi contro la Scuola-Azienda e l’Istruzione-Merce, di Piero Bernocchi
La catena dei perché. Riflessioni sulle radici del “Concorso Berlinguer”, di Costanzo Preve
Autonomia didattica e libertà di insegnamento, di Federico Dinucci
Chi non sa nulla, insegna ad insegnare, di Paolo De Martis
Che buon pro facesse (e faccia) il “Verbo”, di Giampiero Giampieri
“L’agonia della scuola italiana”: un libro controcorrente, di Fabio Bentivoglio
Una lettura critica del libro “L’agonia della scuola italiana”, di Roberto Signorini
Il libro di Antonio La Penna “Sulla scuola”, di Emanuele Narducci
L’insegnante trova le sue parole. Perché un “no” ai salari di merito, di Lorenzo Varaldo
Il libro verde della Pubblica istruzione, di Giuseppe Bailone
Il Liceo classico, di Adolfo Scotto di Luzio
Il resistibile declino dell’università. Ragioni per un titolo, di Livio Sichirollo
Il nome delle libellule. Breve riflessione sulle culture popolari, di Marino Badiale


L'agonia della scuola italiana

Massimo Bontempelli

L’agonia della scuola italiana

Anno 2000, pp. 144, € 10,00

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La scuola italiana nel suo insieme è oggetto, per la prima volta dopo tre quarti di secolo, di una riforma complessiva ed incisiva. Le innovazioni che vi sono introdotte, però, esaminate attentamente nei loro effetti concreti, risultano tutte profondamente negative, sia sul piano della formazione educativa dei giovani, che su quello della professionalità degli insegnanti e della trasmissione di un sapere degno di questo nome. Il carattere pubblico e nazionale del sistema dell’istruzione, e la sua capacità di promuovere lo spirito critico e l’autonomia di giudizio dei giovani, ne risultano gravemente compromessi.
Questo disastro è il prodotto di una cultura dogmatica e ideologizzata dei promotori della riforma, che li rende incapaci di pensare su un piano conoscitivamente alto, ed eticamente valido, il nesso tra scuola e società. Tale cultura è peraltro funzionale alle inconfessate esigenze totalitarie di un determinato sistema di potere.
La scuola italiana, a questo punto, potrà essere salvata soltanto dalla resistenza consapevole degli insegnanti che vogliono continuare ad essere educatori.

Il libro si articola in sette capitoli:
L’innovazione distruttiva
Il didatticismo di regime
L’autonomia aziendalistica
L’educazione negata
La stupidità rivelata
La scuola del totalitarismo neoliberista
Il destino della scuola


Buoni e cattivi maestri

Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri

Anno 2003, pp. 160, Euro 15

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Testata KoinèLogo-Adobe-Acrobat-300x293  L’unione di conoscenza e virtù costituisce la struttura portante di ogni serio modello educativo, rivolto ad una concreta ricerca della verità  Logo-Adobe-Acrobat-300x293

Testata Koinè

Contributi di:

Guido Armellini – Andrea Bagni – Antonia Baraldi Sani – Fabio Bentivoglio – Carlo Bolelli – Massimo Bontempelli – Francesco Borciani – Marcello Cini – Vittorio Cogliati Dezza – Luca Grecchi – Corrado Maceri – Fabiano Minni – Bruno Moretto – Cesare Pianciola – Gianna Tirandola – Marcello Vigli

La scuola e il fondamento, di Luca Grecchi
Visioni di scuola. Buoni e cattivi maestri, di Francesco Borciani
Sapere di polis, di Andrea Bagni
Il quinto postulato, di Fabio Bentivoglio
Quale scuola per quale Stato?, di Marcello Vigli
L’intelligenza del tranviere, di Guido Armellini
Partiamo dalle nuove sfide, di Vittorio Cogliati Dezza
Il cappotto del professore, di Antonia Baraldi Sani
La scuola della Repubblica tra Stato, Regioni e sussidiarietà, di Corrado Mauceri
Evoluzionismo: un ponte tra due culture, di Marcello Cini
Sul sapere critico, di Carlo Bolelli
La convergenza del centrosinistra e del centrodestra
nella distruzione della scuola italiana, di Massimo Bontempelli
Il tutto e le parti, di Guido Armellini
L’esperienza del referendum in Emilia Romagna, di Bruno Moretto
Intervista immaginaria di Ignazio Olloy al Professor E. De Candi, di Fabiano Minni
L’esperienza del referendum in Veneto, di Gianna Tirondola
Lettera aperta ai partiti della sinistra sulla scuola
Venti anni di attività, di Cesare Pianciola


Il sogno di una scuola

Maria Luisa Tornesello

Il sogno di una scuola

Lotte ed esperienze didattiche negli anni Settanta: controscuola, tempo pieno, 150 ore.

Allegato il CD-ROM per Windows con l’audiovisivo Oltre il libro di testo: parole ed esperienze di opposizione nella scuola dell’obbligo degli anni Settanta,
di Maria Luisa Tornesello e Roberto Signorini.

ISBN 978-88-7588-006-4, 2006, pp. 416, Euro 27

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Si manifesta ormai da più parti l’esigenza di considerare con metodo scientifico la storia degli anni Settanta, superando sia l’urgenza della testimonianza personale che la rimozione di un materiale impegnativo e «scomodo». Questo discorso vale in modo particolare per la scuola, in quegli anni al centro dell’attenzione con analisi, pratiche, lotte, che presto e abbastanza superficialmente sono state liquidate o «demonizzate».
In realtà la scuola, e in particolare la scuola dell’obbligo, è il punto d’incontro dei problemi che in quel momento agitano la società italiana. È un vero e proprio laboratorio di idee e progetti vissuti come rivoluzionari: partecipazione democratica, non delega, autonomia e potere dal basso.
Questo libro è una prima ricostruzione di quei fermenti, caotici ma aperti e vitali. Esso si basa su una documentazione inconsueta (prese di posizione politiche e sindacali dei «nuovi insegnanti», lavori degli studenti, materiale didattico delle scuole sperimentali e dei corsi 150 ore, documenti di programmazione didattica, produzione dell’editoria didattica alternativa), in cui è possibile cogliere il profondo cambiamento rispetto al passato, la ricchezza del dibattito e delle proposte didattiche, l’impegno civile.

 

 


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Salvatore Bravo – Il modello Marchionne trasforma gli uomini in soldati dell’efficienza, inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione. Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda.

Sergio Marchionne

 

Il World Class Manufacturing

Il World Class Manufacturing

La globalizzazione ha i suoi imperativi, e la competizione – per essere all’altezza del mercato mondiale – deve trasformare gli uomini in soldati dell’efficienza.

 

Il modello Marchionne inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione.

 

Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda, la sua essenza, come affermava Marx, è un’essenza generale, per cui l’essere umano è un mondo di possibilità che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare, lasciando ai lavoratori gli spazi fisici e temporali per la vita di relazione.

Obama-Marchionne

Trump-Marchionne

Il lavoro all’epoca di Marchionne

 

La morte di Marchionne svela e rileva l’assenza non solo di senso critico da parte del clero orante dei giornalisti uniti in un volgare ed ossessivo “Osanna” del manager, ma specialmente il vuoto dell’opposizione. Il rispetto verso chi non è più tra noi esige un’operazione di verità e delicatezza. Nel caso di un personaggio ad impatto pubblico è necessaria una valutazione che tenga presente tutti i dati e non solo una parte di essi in funzione osannante. L’informazione parziale che occulta e rimuove il prezzo del successo globale, non solo non informa, ma palesa quanto il servizio pubblico sia in realtà privato, schierato ideologicamente, mentre si afferma che le ideologie sono non solo morte, ma sono un impaccio alla produttività: ecco l’unica ideologia innominabile di cui bisogna essere servi, ma senza saperlo. La condizione reificata è una pratica, si concretizza anche nell’essere servi senza saperlo, nel dividere il mondo fatalmente in servi e padroni, come se la linea che separa i due mondi sia determinata fatalmente da forze celesti. La Fenomenologia dello Spirito con la figura “Servo- Padrone” ha descritto la condizione del servo che si sottrae alla lotta, e dunque fatalmente vive nell’alienazione fino alla presa di coscienza di sé. La nostra è un’epoca servile sul lavoro come nell’uso della lingua: l’angloitaliano.

World Class Manufacturing, una disciplina che vi mette in ordine

World Class Manufacturing.

Il World Class Manifacturing, «una disciplina che vi mette in ordine»

Il nome di Marchionne, ed i suoi indubitabili successi globali, è legato ad una modello di produzione: il World Class Manifacturing, modello produttivo di origine giapponese. Tale modello – che ha nel fare il punto cardine (si noti l’ing finale, che evidenzia la prassi empirica) – esige il massimo della produttività con i costi minori, e in particolare un’apparente democrazia aziendale che prescrive l’abolizione del “lei”, l’accorciamento della filiera gerarchica e burocratica, la valorizzazione del merito non certo per nascita, ma spostato sull’asse competenza-impegno. La sostanza di tali “comandamenti” è la competizione.

Marchionne sistem

Nei bilanci aziendali la vita non è sul conto

La globalizzazione ha i suoi imperativi, e la competizione – per essere all’altezza del mercato mondiale – deve trasformare gli uomini in soldati dell’efficienza. La retorica della famiglia-azienda serve per motivare all’impegno, operazione di sottrazione degli spazi di libertà sempre maggiori che sono riempiti dal lavoro senza soste (e non è un’iperbole).
L’era Marchionne ha dato agli operai nuovi ritmi di lavoro per produrre e battere il mercato mondiale. Ben ottocento milioni di euro sono stati investiti per spostare la produzione dalla Polonia a Pomigliano d’Arco. Tale operazione ha sicuramente richiesto sacrifici agli operai tutti, ciò ha salvato il posto di lavoro agli operai di Pomigliano, ma dobbiamo valutare anche i costi sulla carne viva dei lavoratori. Nei bilanci aziendali la vita non è sul conto. I provvedimenti per aumentare la produttività in queste ore vengono taciuti abilmente e miseramente: alla catena di montaggio la riduzione da quaranta a trenta minuti della pausa, lo spostamento della pausa mensa a fine turno, lo scatto salariale legato ai risultati ottenuti dallo stabilimento. Certo, i lavoratori di Pomigliano hanno accettato le nuove condizioni lavorative con un referendum che ha accolto, con il 63 per cento, le nuove realtà lavorative.

 

La competizione orizzontale indotta tra i lavoratori

Marx ci ha insegnato che la libertà formale ha un valore ideologico, operai e padroni in teoria sono egualmente liberi, ma in realtà la condizione operaia spinge ad accettare l’inaccettabile per sopravvivere. Piuttosto che lasciarsi stordire dal rito dei numeri, dal balletto delle celebrazioni, si pensi al clima relazionale che si vive nelle “manifatture della produzione”, tutti contro tutti. Dove ancora c’era un minimo di solidarietà di classe ora si spinge per la competizione orizzontale che, di fatto, sotto il ricatto della chiusura degli stabilimenti, rende la condizione lavorativa disumana, fonte di malessere. Il ricatto con cui gli operai hanno dovuto sottostare ai nuovi ritmi di lavoro e le nuove relazioni sindacali rilevano il volto celato del successo. Si ricordi che la FIOM è stata prima illecitamente esclusa e poi reintegrata: si pesi al caso del licenziamento degli operai Fiom di Melfi reintegrati con sentenza del tribunale di Potenza. Il culto del successo spesso nasconde la polvere degli aiuti di Stato sotto il tappeto, ma è un occultamento difficile, data l’entità dei numeri. La FIAT ha usufruito – secondo uno studio della CGIA di Mestre del 2012 – di ben 7,6 miliardi di euro e ne ha investiti 6,2. La Fiat divenuta Fca ha sede fiscale ad Amsterdam ed il domicilio fiscale a Londra, per cui sarebbe interessante sapere dove versa le tasse…
Certo, è un’operazione diffusa tra le eccellenze mondiali dell’industria, su cui non bisogna sospendere il giudizio etico e politico, malgrado la giurisprudenza consenta questo nel silenzio complice di troppi governi.
Insomma il ribaltamento generale a cui assistiamo è il rappresentare l’astratto: i risultati senza il concreto, le condizioni materiali dei lavoratori. Tale rovesciamento rammenta le critiche di Marx ad Hegel, il quale aveva posto l’idea come essere fondativo della storia e non le condizioni storico materiali. Il silenzio delle opposizioni, e non si tratta solo dei partiti e dei movimenti politici, non permette di teorizzare possibilità operative e produttive alternative alla “manifattura della produzione”.
Il modo in cui ci si stringe ad esaltare il modello Marchionne inibisce ogni discussione sul senso e sulla dignità del lavoro, il cui scopo non è la sopravvivenza biologica, ma l’espressione di sé, della propria identità, la conoscenza di se stessi, come afferma la Costituzione (articoli 1, 28, 35, 36, 37, 38).

 

L’essere umano è un mondo di possibilità
che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare

Il lavoratore è persona, non un servo dell’azienda, la sua essenza, come affermava Marx, è un’essenza generale, per cui l’essere umano è un mondo di possibilità che il lavoro non deve mortificare o comprimere, ma piuttosto valorizzare, lasciando ai lavoratori gli spazi fisici e temporali per la vita di relazione.
Il contesto di questi mutamenti sono da leggere anche all’interno di una cornice nazionale in cui si è eliminato l’articolo 18, e si è introdotto la precarietà e lo sfruttamento disciplinati dai nuovi contratti. Se si opera con una visione d’insieme, l’epoca Marchionne ci parla di noi, delle terribili condizioni globali verso le quali si è assunto lo stesso atteggiamento che si ha verso i fenomeni naturali: le leggi di natura si accettano senza discutere. È il caso invece di ricominciare a dialettizzare i dati, ad essere persone che fanno dell’economia l’oggetto della comunità, e non il soggetto draculesco che vuole sempre più pluslavoro per molti e plusvalore per pochi. Le contraddizioni necessitano di pensiero e parole, che in questo momento sembrano tragicamente silenti. Riportare il concreto nel regno ideologico dell’astratto è il primo passo per uscire dal buio della caverna.

Non ci resta che riflettere sulle tre possibilità enumerate da Costanzo Preve:

«Di fronte a questa situazione, io vedo tre soluzioni possibili, che mi permetto qui di segnalare brevemente. In primo luogo, si può continuare a sostenere la globalizzazione neoliberale, affermando che essa non è stata ancora radicalizzata abbastanza. È la tesi ad esempio di Niall Ferguson (cfr. “La Stampa”, 30-11-09). Secondo Ferguson (cito): “ci vorrebbe un approccio ancora più radicale rispetto agli anni della signora Thatcher e di Reagan”. Questo approccio deve portare (e Ferguson lo dice apertamente) alla integrale fine del Welfare State. Questo programma, che lascia alla sua destra solo Attila e Gengis Khan (scherzo, perché questi due signori erano a mio avviso complessivamente migliori di tutti i Ferguson del mondo), viene giustificato con la constatazione degli altissimi ritmi cinesi di sviluppo. In poche parole: o torniamo al capitalismo selvaggio totale, o la concorrenza asiatica ci distruggerà. Ed il paradosso sta nel fatto che il cannibale Ferguson ha perfettamente ragione, ma ce l’ha solo dando per scontato che la globalizzazione neoliberale sia una divinità da non mettere in discussione, l’unità di Dio e del Diavolo, di Prometeo e di Lucifero.
In secondo luogo, si può continuare a belare contro la globalizzazione evitando di proposito il diabolico richiamo al protezionismo (non importa se forte o leggero, eccetera). Si tratta del ridicolo ed impotente Movimento detto No Global (in acronimo MNG), che personalmente proporrei seriamente di ribattezzare Presa in Giro Planetaria (in acronimo PGP). Questi buffoni, vera e propria pittoresca opposizione mediatica di Sua Maestà (sua maestà è ovviamente la globalizzazione neoliberale), si mobilitano ogniqualvolta i Potenti si incontrano per mettere in scena una commedia dell’arte post-moderna (cassonetti rovesciati, vetrine infrante, pagliacci in trampoli, mangiatori di fuoco, prefiche belanti, eccetera). Qui l’etica e l’estetica di infima qualità si incontrano. L’estetica del cattivo gusto kitsch si unisce trionfalmente con l’etica della ostensione lamentosa ed impotente. Si avanzano con petizioni, e ricevono idranti. I nostri lontani discendenti li ricorderanno così. La sola cosa che questi giullari non chiedono mai è il solo rimedio contro la globalizzazione neoliberale, e cioè il sacrosanto protezionismo. Ci vedono in esso con la saggia proposta di Fichte e poi di List dello stato commerciale chiuso, ma tutti i fantasmi di “destra” che li assillano: lo stato nazionale, il bottegaio leghista, l’intervento comunitario nazionale sulla sovranità assoluta dell’individuo, eccetera. È la rivolta dell’individuo sovrano (senza denaro) contro il suo gemello individuo sovrano (con denaro). Su questo avrei voluto fare lunghe considerazioni filosofiche, ma per ora le risparmio al lettore, perché ho pietà di lui.
In terzo luogo, finalmente, c’è chi ha avuto finalmente il coraggio di prendere il toro per le corna e la padella per il manico, affermando la legittimità del protezionismo, almeno per aree geografiche (un “piccolo protezionismo” a livello di singolo stato nazionale è infatti del tutto impraticabile, anche ove fosse astrattamente auspicabile). La sola risposta alla globalizzazione neoliberale è infatti geopolitica (parola del tutto ignota alla PGP, presa in giro planetaria), e non può che comportare la formazione nel mondo di alcune grandi aree protezionistiche (con quali modalità concrete non tocca a me giudicare, in quanto non economista), in cui il libero commercio (che resta un valore, ma un valore secondario) è subordinato alla sovranità comunitaria nazionale e locale, al ripristino il più possibile del Posto Fisso, al mantenimento ed anzi all’allargamento del Welfare, all’indipendenza dall’Impero USA neoliberale, eccetera. Noto con piacere e soddisfazione che questa è anche l’esplicita proposta di Alain de Benoist e dei suoi collaboratori (cfr. la rivista in lingua francese Elements, numero 133, ottobre-dicembre 2009). Qui per la prima volta si suggerisce un’ipotesi a prima vista incredibile e paradossale (non però per me, che ho sempre saputo che la dialettica si basa sulla unità degli opposti e sulla loro dinamica di trasformazione reciproca), per cui pur di potersi perpetuare il capitalismo potrebbe anche reinventarsi il comunismo. A chi rimanesse a bocca aperta di fronte a questa (apparente) assurdità consiglio di riflettere sul successo universitario mondiale della trilogia di Tony Negri e di Michael Hardt, in cui si lega l’ipotesi comunista con la globalizzazione incontrollata, il libero scambio, la fine dello stato nazionale e l’esaurimento infinito dei desideri dell’individuo sovrano.

Come diceva un tempo il comico pugliese Arbore:
meditate, gente, meditate!».[1]

Salvatore Bravo

[1] Costanzo Preve, in un’intervista di Luigi Tedeschi il 13/1/2010.


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Costanzo Preve (1943-2013) – «Il convitato di pietra». Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza, senza la fatica del concettualizzare

Preve Costanzo 026

Il convitato di pietra

Il convitato di pietra

***

Ieri ero triste.
Pensai:
forse il nostro movimento tramonta
per cento anni, non per sempre, ma
per cento anni sì, ed
è proprio qui che noi viviamo.
Oggi lo so: io
ero triste
soltanto ieri.

Bertolt Brecht

 

Il libro viene reso fruibile gratuitamente in formato PDF cliccando qui.

***

Recensione di Salvatore Bravo

Il nichilismo è una pratica,
è la condizione del quotidiano
senza la mediazione della coscienza,
senza la fatica del concettualizzare

***

L’ospite inquietante, il nichilismo, è raffigurato da Costanzo Preve, nel suo libro Il convitato di pietra. Saggio su marxismo e nichilismo, con la metafora della statua che nel Don Giovanni di Mozart è muta, non risponde, e avvolta nella sua indifferenza non proferisce parola: è un’inquietante presenza che suscita terrore. Nell’opera di Mozart la statua si presenta da don Giovanni: lo invita a confessare i suoi peccati per poi sprofondarlo all’inferno con sé. Il convitato di pietra solo alla fine svela la sua terrifica realtà senza speranza. A giochi fatti, quando ormai il pensiero è arretrato, ogni corrispondenza tra significato e realtà ha lasciato il posto semplicemente al nulla. Parla, ma le sue parole sono inutili, hanno perso valore e realtà: ogni confessione senza la solidità dei significati, è puro virtuosismo lessicale, mera posa interna al silenzio delle domande e delle risposte.

Il nichilismo è una pratica, è la condizione del quotidiano senza la mediazione della coscienza. La fatica del concettualizzare, in questo caso, è la porta stretta attraverso cui è possibile l’uscita senza fuga dalla pratica del nichilismo. La premessa maggiore che ha consentito al nichilismo di radicarsi e radicalizzarsi, di essere parte della carne di tutti, fino a renderci “convitati di pietra” – creature atomizzate e dunque irreali – trova nella caduta di ogni teleologia storica una delle ragioni più profonde ed ultime. “La morte di dio” si ripete e si rafforza con la caduta delle storicistiche verità-certezze. La pratica nichilistica ha la sua profondità nei disincanti che hanno rafforzato il trionfo degli automatismi. La ragione-coscienza, dinanzi alla caduta degli dei, è arretrata a pura dimensione procedurale: al pari di qualsiasi automatismo essa ripete se stessa nel sistema produzione capitalistico ed ex-comunista, per rendere l’essere umano parte dell’ingranaggio senza alcuna difesa. Si diventa di pietra nella pratica del nichilismo e si è estranei al dolore del mondo: ogni responsabilità politica arretra per lasciare spazio all’ingranaggio, ad un mondo disabitato dagli esseri umani, ma abitato dai consumatori nella attuale globalizzazione. Weber ha ben descritto l’automatismo nichilistico, declinabile in modo polimorfo:

«È questo automatismo l’elemento strutturale essenziale per comprendere la nozione weberiana di disincanto, che non è dunque mai una semplice “visione del mondo” fra le altre. Weber scrisse a suo tempo che chi aveva bisogno di visioni del mondo non aveva che andare al cinema, e fu in questo un buon profeta, se pensiamo che oggi l’automatismo televisivo cui è sottoposto per molte ore al giorno l’individuo contemporaneo non ha più lo scopo di veicolare attivamente delle forme di etica sociale conformistiche e repressive (come opinavano ancora i francofortesi), ma semplicemente di autoriprodurre una forma di consumazione passiva dell’immaginario».[1]

L’automatismo nichilistico non conosce sponde ideologiche o steccati, esso è comune alla pluralità dei sistemi vigenti nel Novecento. Non ne era esente il comunismo storico (socialismo cosiddetto “realizzato”) novecentesco con il suo capitalismo di Stato. La forma era differente, ma la sostanza era (ed è) identica in entrambi i sistemi. Per strappare il comunismo dalla caduta nichilistica, è necessario, secondo Preve, far saltare la distinzione tra comunismo e socialismo, in quanto – all’interno di questa dicotomia – il socialismo è il momento piegato all’economicismo mentre il comunismo è rimandato ad un futuro senza tempo, alla falsa e degenerata utopia (distopia invero) di una liberazione-emancipazione oscillante tra messianesimo e scientismo. L’esodo nel cattivo infinito del tempo che verrà, si ripiega su stesso divenendo semplice attualità dell’economicismo burocratico senza speranza:

«Proponiamo dunque di abolire la parola (ed il concetto) di “socialismo”, e di mantenere soltanto la parola “comunismo”, in modo che il termine comunismo possa perdere le connotazioni religiose e nichilistiche che inevitabilmente assumerebbe se fosse impiegato per connotare l’esito messianico e salvifico della storia».[2]

Dinanzi all’inarrestabile deserto che avanza, al nichilismo che come sabbia occupa ogni spazio, anche il più recondito, non si può certo piegarsi alla soluzione heideggeriana: dinanzi all’ineluttabile forza della tecnica, Gestel, non resterebbe che sperare in un impossibile dio che porti la salvezza. L’operazione intellettuale di Preve è invece quella di rivolgersi a Marx per far riemergere aspetti non sufficientemente codificati dal semplicismo della critica filosofica del Novecento. Si tratta di immergersi nei testi per trarne aspetti che sono d’ausilio nel confronto e nella lotta contro l’avanzante deserto del nichilismo. La terra sommersa da far emergere del pensiero di Marx – di ascendenza hegeliana – è il rapporto tra genere ed individuo, nel quale lo stesso Marx era rimasto impigliato:

«La teoria sommersa di Marx rimane dunque tale perché Marx teme da un lato che un’esplicita affermazione della centralità del tema del “genere” possa sembrare troppo filosofica e troppo poco scientifica, e non ha risolto dall’altro il problema della determinazione delle forme di coscienza (che invece Hegel aveva saputo risolvere). Il comunismo diventa allora necessariamente un’utopia, perché tipico della proiezione ideologica utopica è lo spostamento infinito di un futuro che si allontana mano a mano che si avvicina».[3]

Il cattivo infinito è l’effetto dell’assenza di chiarezza tra genere, individuo e, dunque, processo di emancipazione. Il cattivo infinito si ripiega su se stesso – e dunque evita gli effetti collaterali – mediante forme di ontogenesi, rassicuranti ma destinate al fallimento ed a facilitare gli esiti nichilistici. Il genere produce forme di vita sempre nuove (essenza generica dell’essere umano), ma è esposta all’esito nichilistico, perché ogni determinazione rischia di cadere in forme di alienazione, in forme di soddisfazione circoscritte nel presente. Il comunismo, quale condizione emancipata e disalienata, si pone in un tempo indeterminato quale luogo in cui tale processo all’involgarimento è reso impossibile: di qui la necessità di utilizzare categorie scientifiche per ordinare la teleologia materialista. Costanzo Preve – senza cadere in forme tradizionali di umanesimo – fa appello al comunismo della finitudine, il cui centro è la responsabilità attiva della coscienza. Il comunismo della finitudine non fa appello ad ideali baconiani, a prometeiche certezze: esige l’attività della coscienza in relazione alla comunità, non subisce le condizioni storiche, elabora piuttosto modelli di partecipazione storicamente fondati:

«Definiremo questa interpretazione “comunismo della finitudine” (o della “finitezza”, se lo si vuole, ma preferiremmo mantenere questo latinismo), per sottolineare la necessità di liberarsi da ogni concezione titanica e prometeica del “genere umano”, premessa per una ricollocazione dell’orizzonte comunista in un agire che deve essere inevitabilmente singolarizzato per riacquistare un senso non troppo “metafisico”».[4]

Il comunismo a cui guarda Costanza Preve è l’autogoverno dei liberi lavoratori associati, i quali determinano la produzione in funzione dei bisogni reali. La produttività avanzata consente la vigile libertà delle coscienze:

«In secondo luogo, il comunismo è l’autogoverno dei produttori divenuti finalmente capaci di scegliere liberamente e democraticamente dei bisogni sociali da soddisfare, sviluppando nel tempo libero le loro forze umane creatrici. Il “regno della libertà”, in cui la coltivazione delle facoltà umane diventa un “fine in sé”. In questo modo l’intersoggettività dei produttori associati si costituisce in istanza realizzatrice delle possibilità create sulla base “alienata” del modo di produzione capitalistico, ed occupa congiuntamente i ruoli di destinatario e di soggetto della teoria critica rivoluzionaria».[5]

Preve legge Marx attraverso la lezione lucacciana: non è sufficiente che vi siano le condizioni storiche per la rivoluzione, è necessario che la coscienza – in un atto di autoriflessione – diventi il veicolo consapevole e comunitario della Rivoluzione, di un altro modo di esserci e produrre. Il nichilismo nega la mediazione umana, ente tra gli enti. L’irrilevanza comporta il trionfo della tecnica sull’umano, la sua ipostatizzazione. Il comunismo – come categoria ideologica antinichilistica – deve lavorare per l’agere in una prospettiva storica non infetta dal cattivo infinito, ovvero rinunciando ad ogni velleità previsionale di tipo messianico (Bloch) o tipo scientifico (positivismo). Il comunismo della finitudine rinuncia alla previsione introducendo il possibile e con esso la responsabilità umana nel presente. La storia non fluisce fatalmente verso il comunismo con il presunto inevitabile passaggio dal capitalismo al comunismo secondo la inesistente cosiddetta ferrea legge della storia, ma nella storia è presente la variabile umana che sola può pensare e realizzare il rivoluzionario mutamento strutturale.

Salvatore Bravo

 

[1] Costanzo Preve, Il convitato di pietra. Saggio su marxismo e nichilismo, Vangelista, 1991, pp. 110-111.

[2] Ibidem, p. 143

[3] Ibidem, p. 152

[4] Ibidem, p. 220

[5] Ibidem, p. 224


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013

Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.

Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.

Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.

Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez

Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.

Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante

Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione

Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.

Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.

Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica

Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.

Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.



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Costanzo Preve (1943-2013) – Il Sessantotto è una costellazione di eventi eterogenei impropriamente unificati. Il mettere in comune questi eventi eterogenei è un falso storiografico.

Preve Costanzo 025

Coperta 300

Costanzo Preve

L’alba del Sessantotto. Una interpretazione filosofica

[Nuova edizione riveduta e corretta]

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l Sessantotto è diventato un evento simbolico della storia del Novecento, e per comprenderlo adeguatamente bisogna unirne nel pensiero i suoi due aspetti contraddittori. Da un lato, un estremo tentativo di ringiovanimento delle rivoluzioni anticapitalistiche ottocentesche e novecentesche. Dall’altro, una riuscita modernizzazione del costume e delle forme di dominio sociali, rese più flessibili ed informali. Chi si limita ad evidenziare un solo aspetto del problema non coglie la duplicità del fenomeno.

Come estremo tentativo di ringiovanimento delle rivoluzioni sociali della modernità, il Sessantotto ha dato luogo a filosofie di ottimo livello (da Louis Althusser a György Lukàcs), a pratiche politiche specifiche (dall’antifascismo all’operaismo), ed è stato il momento spartiacque fra la conclusione di un lungo dopoguerra e l’inizio di un’irresistibile mutamento di fase storica. Come momento di modernizzazione capitalistico, il Sessantotto è divenuto un mito di fondazione ideologica di una nuova classe dirigente “flessibile”, allora ancora indistinguibile.

L’interpretazione proposta è quella del Sessantotto come passaggio (cioè come condensazione temporale esemplare) di un processo di modernizzazione capitalistica che ha assunto la forma di una rivolta antiborghese, sulla base di una falsa coscienza necessaria basata su di una ideologia del ritorno alle sorgenti rivoluzionarie originali dell’utopia comunista. Il Sessantotto non fu dunque un “gioco”, ma un evento legittimo e per molti aspetti tragico della storia del Novecento.


Costanzo Preve – Recensione a: Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, «Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”», Petite Plaisance, Pistoia, 2013
Costanzo Preve – Introduzione ai «Manoscritti economico-filosofici del 1844» di Karl Marx.
Costanzo Preve – Le avventure della coscienza storica occidentale. Note di ricostruzione alternativa della storia della filosofia e della filosofia della storia.
Costanzo Preve – Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi.
Costanzo Preve – Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità. INTERVISTA A COSTANZO PREVE a cura di Saša Hrnjez
Costanzo Preve – Capitalismo senza classi e società neofeudale. Ipotesi a partire da una interpretazione originale della teoria di Marx.
Costanzo Preve – Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante
Costanzo Preve – Religione Politica Dualista Destra/Sinistra. Considerazioni preliminari sulla genesi storica passata, sulla funzionalità sistemica presente e sulle prospettive future di questa moderna Religione
Costanzo Preve – Invito allo Straniamento 2° • Costanzo Preve marxiano ci invita ad un riorientamento, ad uno “scuotimento” associato a un mutamento radicale di prospettiva, alla trasformazione dello sguardo con cui ci si accosta al mondo.
Costanzo Preve (1943-2013) – Prefazione di Costanzo Preve alla traduzione greca (luglio 2012) de “Il Bombardamento Etico”. Un libro che è ancora più attuale di quando fu scritto, sedici anni or sono.
Costanzo Preve – Marx lettore di Hegel e … Hegel lettore di Marx. Considerazioni sull’idealismo, il materialismo e la dialettica
Costanzo Preve (1943 – 2013) – «Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi». La ricerca della visibilità a tutti i costi è illusoria. L’impegno intellettuale e morale, conoscitivo e pratico, deve essere esercitato direttamente. Saremo giudicati solo dalle nostre opere.


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Koinè – Per un pensiero forte

Per un pensiero forte blog copia

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XIX, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2012, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiDiego Fusaro

Hanno contribuito e reso possibile la pubblicazione di questo numero di Koinè:

Olivia Campana, Francisco Canepa, Gianluca Cavallo, Andrea Cavazzini,
Linda Cesana, Stella Maria Congiu, Valentina Cordero, Lorenzo Dorato,
Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Luca Grecchi,
Michele Marolla, Alessandro Monchietto, Giacomo Pezzano,
Giancarlo Paciello, Costanzo Preve, Ilaria Rabatti, Emilia Savi,
Franco Toscani, Daniele Trematore, Francesco Valagussa, Carmelo Vigna.

 

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

 

Coperta 192

 

Gianluca Cavallo, Andrea Cavazzini, Linda Cesana, Valentina Cordero,
Lorenzo Dorato, Diego Fusaro, Luca Grecchi,  Michele Marolla,
Giacomo Pezzano, Costanzo Preve, Franco Toscani, Daniele Trematore,
Francesco Valagussa, Carmelo Vigna

Per un pensiero forte

indicepresentazioneautoresintesi

 

Questo numero di Koinè, in continuità con i precedenti e, più in generale, con lo spirito della rivista, che nel 2013 festeggerà il suo ventesimo anniversario, è dedicato a un’appassionata difesa del pensiero veritativo. Si tratta, in termini generalissimi, di quel pensiero che ritiene tuttora filosoficamente necessario continuare a porre, come riferimenti onto-assiologici primari, la Verità ed il Bene (scritti con la maiuscola proprio per sottolineare il loro carattere universale). Questi riferimenti sono necessari soprattutto in quanto indicano ciò che l’uomo deve pensare, e deve fare, per vivere realmente da uomo, ossia per esprimere nel modo più compiuto le proprie potenzialità ontologiche; essi sono particolarmente necessari anche in quanto ci troviamo oggi a vivere all’interno di un modo di produzione sociale che nega strutturalmente, nei pensieri e nei fatti, questi contenuti di compiuta umanità. Nichilismo, relativismo e scetticismo formano, infatti, una costellazione unitaria che, nell’attuale congiuntura, maschera il fondamentalismo integralistico del capitale, rendendo impossibile, per chi ne accetti l’ideologia, una critica radicale di ciò che siamo.
La filosofia come sapere forte in grado di proporre fondamenti “altri” del vivere sociale e comunitario, e dunque di sottoporre a critica radicale l’esistente, è sempre più spesso oggetto di derisione ad opera delle nuove formazioni ideologiche affini alla riproduzione simbolica del cosmo a morfologia capitalistica: dal pensiero debole alla filosofia analitica, fino ai realismi vecchi e nuovi, la filosofia come pratica veritativa in grado di conoscere ontologicamente l’intero e di valutarlo assiologicamente è puntualmente squalificata, delegittimata, vuoi anche derisa. Di qui, appunto, la necessità di un ritorno al pensiero forte come sola via per reagire alla crisi – non solo economica – che stiamo attraversando a livello globale.
Il titolo, Per un pensiero forte, richiama dunque, volutamente, la critica maggiore che viene rivolta al pensiero filosofico veritativo, ovvero a quello metafisico, umanistico, classico, o comunque lo si voglia definire: questa critica sarebbe, appunto, quella di una presunta “violenza” che lo stesso albergherebbe. In realtà, la tesi secondo cui ogni pensiero che cerca di porsi con verità, ossia in modo argomentato e fondato, sarebbe per ciò stesso “dogmatico” e “prevaricatore”, è già stata ampiamente mostrata come infondata, per non dire risibile.
È semmai, al contrario, ogni pensiero che afferma di non porsi con verità, e che dunque non fonda in modo argomentato le proprie affermazioni, ad essere pericoloso: esso lascia essere le cose come sono, e dunque scoraggia preventivamente ogni critica e ogni prassi diretta contro il regno animale dello spirito di cui siamo oggi abitatori. Un simile pensiero è tanto più pericoloso, quanto più le sue affermazioni sono basate sulla effettualità, ossia su ciò che costoro ritengono essere “i fatti”, e che sovente altro non sono se non il semplice “senso comune”, oggi appunto antimetafisico ed antiumanistico proprio in quanto la metafisica e l’umanesimo costituiscono i due maggiori supporti teorici di ogni progettualità alternativa sulla totalità sociale. La “forza” di un pensiero filosofico “forte”, sta dunque solo nel carattere fondatamente veritativo ed umanistico di tale pensiero. Tanto più che solo un pensiero forte, nel senso appena delineato, può permettere una critica radicale del mondo storico in cui siamo proiettati, mostrandone le contraddizioni e la falsità.
Come è consuetudine della rivista negli ultimi anni, accanto a una serie di saggi (sostanzialmente i primi, presenti in numero maggiore) in cui questa tesi è in vario modo sostenuta, vi è un’altra serie di saggi (sostanzialmente i secondi, presenti in numero minore) in cui questa tesi, se non propriamente contestata, è comunque problematizzata; questo a riprova della “non chiusura” praticata anche da chi ritiene necessario un “pensiero forte”, il quale appunto si rivela “forte” proprio resistendo dialetticamente alle argomentazioni avversarie. Il pensiero forte, anima della filosofia, è tale perché mira alla verità e, insieme, si regge sull’idea che la sola via per raggiungerla sia quella del dialogo, del confronto socratico delle posizioni più diverse.
La resistenza maggiore da porre in campo, oggi, è quella contro l’attuale totalità sociale, che nega sempre più nella vita, alle persone, la possibilità di realizzare la propria umanità, costringendole ad abitare uno spazio sociale ridotto alla sola dimensione alienata della produzione e dello scambio delle merci. L’odierna congiuntura segna, di conseguenza, il massimo allontanamento dalla realizzazione delle potenzialità ontologiche del genere umano: essa è, pertanto, l’apice dell’alienazione, e come tale dev’essere connotata, criticata e trasformata a partire da un pensiero che non abbia paura a riconoscersi come “forte”.
Questa “resistenza”, sul piano culturale, è ciò che caratterizza da sempre lo spirito di fondo della rivista Koinè.

Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Luca Grecchi, Giancarlo Paciello

 

 

I testi

 

Lorenzo Dorato,
Verità, ontologia umana e capitalismo

Costanzo Preve,
Questioni di filosofia, di verità, di storia, di comunità

Luca Grecchi,
Ancora sul pensiero di Emanuele Severino

Diego Fusaro,
Il realismo, fase suprema del postmodernismo?
Note su «New Realism», postmodernità e idealismo

Giacomo Pezzano,
Per un’antropologia del «metron». Brevi considerazioni preliminari

Gianluca Cavallo,
Potere e natura umana. Paradigmi a confronto

Linda Cesana,
Karel Kosík- Praxis e verità. «L’uomo si realizza, cioè si umanizza nella storia»

Michele Marolla,
Ratzinger- fasi e natura del relativismo contemporaneo

Franco Toscani,
L’anima e la morte nel Fedone di Platone. Sugli inizi della metafisica occidentale

Daniele Trematore,
Un parricidio postmoderno

Valentina Cordero,
La metafisica è ancora viva

Francesco Valagussa,
Nietzsche. Il Senso come “poiesi” del Pensiero. «Sostenersi senza appoggio»

Giacomo Pezzano,
Note critiche intorno a Gianluigi Pasquale, La ragione della storia. Per una filosofia della storia come scienza

Andrea Cavazzini,
Note critiche intorno a Cristian Lo Iacono, Althusser in Italia. Saggio bibliografico (1959-2009)

Michele Marolla,
Note critiche intorno a Calogero Caltagirone, La misura dell’uomo. La questione veritativa dell’antropologia

Giacomo Pezzano,
Note critiche intorno a Claudio Lucchini,
Il bene come processo possibile concreto. Natura umana e ontologia sociale

Costanzo Preve,
Nel labirinto delle scuole filosofiche contemporanee. A partire dalla bussola di Luca Grecchi

Carmelo Vigna,
Sull’Europa

***

 

 

 


Immagine in evidenza:
V. Kandinsky, Accento in rosa, 1926. Parigi, Musée national d’Art moderne.



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Koinè – Senso e valore della filosofia. Tre domande, alcune risposte

Senso e valore della filosofia_blog copia

Una rivista ha bisogno di tempo per nascere e per crescere. Ha bisogno soprattutto di un particolare complesso di elementi spirituali, culturali, sociali nel cui seno l’idea stessa possa germinare e trovare alimento per il suo sviluppo.


Koinè, Periodico culturale, Anno XX, NN° 1-4, Gennaio-Dicembre 2013, Reg. Trib. di Pistoia n° 2/93 del 16/2/93. Direttore responsabile: Carmine Fiorillo.

Direttori: Luca GrecchiDiego Fusaro

Hanno contribuito e reso possibile la pubblicazione di questo numero di Koinè:

Alberto Giovanni Biuso, Olivia Campana, Francisco Canepa, Augusto Cavadi,  Stella Maria Congiu, Lorenzo Dorato, Carmine Fiorillo, Diego Fusaro, Luca Grecchi, Alessandro Monchietto, Giacomo Pezzano,  Giancarlo Paciello, Costanzo Preve, Ilaria Rabatti, Emilia Savi, Franco Toscani.

 

Ci rivolgiamo a lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo,
che dunque vogliano pure pensare da sé.

Karl Marx

 

Coperta 210

Costanzo Preve, Luca Grecchi, Lorenzo Dorato, Giovanni Stelli, Augusto Cavadi, Franco Toscani, Alberto Giovanni Biuso, Giacomo Pezzano

Senso e valore della filosofia.
Tre domande, alcune risposte

indicepresentazioneautoresintesi

 

In questo numero di Koinè abbiamo deciso di porre tre domande rilevanti circa il senso ed il valore della attività filosofica, che è attività non solo di comprensione dell’intero, ma anche di valutazione della totalità sociale; dunque, se necessario, anche di progettualità alternativa. La filosofia, in Grecia, nacque infatti politica.  La proposta è stata rivolta ad un discreto numero di studiosi i quali, pur accettando inizialmente l’invito ed apprezzando la rilevanza della proposta, si sono poi in ultimo ritirati. Crediamo che questa serie di defezioni sia stata dovuta non solo ai numerosi impegni, che pure sappiamo essere molti, quanto ad una reale difficoltà, presente nella maggior parte degli accademici, ad attribuire un senso ed un valore generale alla propria attività filosofica; oggi infatti, in università, l’attività filosofica è svolta in modo specialistico, spesso con un eccessivo riferimento a singole tematiche, sicché la filosofia ha progressivamente smarrito la propria capacità di rivolgersi direttamente all’intero, alla progettualità, alla fondazione onto-assiologica. Di questo ci rammarichiamo, ma tentiamo, nei limiti delle nostre possibilità, di portare la riflessione proprio su questi temi.  Koinè desidera ringraziare, oltre a tutti coloro che hanno partecipato alla definizione di questo volume, anche i giovani studiosi che, pur non sentendosi ancora pronti per rispondere a queste domande, le hanno comunque incoraggiate e sentite proprie. Un ringraziamento particolare spetta infine a Costanzo Preve che, nonostante le sue gravi condizioni di salute, poche settimane prima della sua scomparsa (avvenuta il 23 novembre 2013), volle comunque contribuire a questo numero rispondendo a voce alle tre domande, per non fare mancare la propria vicinanza a noi ed a Koinè. Anche per questo il numero inizia riportando le sue parole.

Le tre domande

Ritiene che la attività filosofica consista, nella sua essenza, in una attribuzione di senso e di valore alla vita umana nell’intero (o, in alternativa, in cosa ritiene consista l‘attività filosofica)?

In quale modo ritiene che la Sua attività filosofica abbia contribuito alla comprensione ed al conseguente miglioramento della realtà (o, in alternativa, quali descriverebbe essere i fini della Sua attività filosofica)?

Quali sono i contenuti di critica della attuale totalità sociale che ritiene più rilevanti, e soprattutto quali progetti di miglioramento della stessa ritiene più opportuno porre in essere (o, in alternativa, per quale motivo ritiene più opportuno non trattare della totalità sociale, o non porre ad essa delle critiche)?

Alcune risposte

Risponde Costanzo Preve
Risponde Luca Grecchi
Risponde Lorenzo Dorato
Risponde Giovanni Stelli
Risponde Augusto Cavadi
Risponde Franco Toscani
Risponde Alberto Giovanni Biuso
***
Costanzo Preve,
Recensione a Carmine Fiorillo – Luca Grecchi, Il necessario fondamento umanistico del “comunismo”

Immagine in evidenza:
Jacques-Louis David, La morte di Socrate, 1786-1787.
New York, The Metropolitan Museum of Art.



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