Fabio Acerbi – Concetto ed uso dei modelli nella scienza greca antica

Fabio Acerbi 01

302 ISBN

Fabio Acerbi, Concetto e uso dei modelli nella scienza greca antica.

ISBN 978-88-7588-214-3, 2018, pp. 92, formato 140×210 mm. [liberamente scaricabile in PDF] – Collana “Il giogo” [90]. In copertina: Particolare di un manoscritto del X Secolo; pagina dell’opera di Aristarco di Samo Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna.

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Concetto ed uso dei modelli hanno avuto un ruolo centrale nell’indagine scientifica dell’ultimo secolo, non solo nelle scienze esatte e nelle loro applicazioni immediate, ma anche nei campi medico-biologico e delle discipline economiche o sociali. Se l’àmbito di ricerca in cui viene praticato l’approccio modellistico varia in maniera non indifferente, resta però immutata la sua caratteristica essenziale, il costruire cioè all’interno dell’universo matematico immagini semplificate di classi di eventi appartenenti all’universo fenomenico. C’è di più: accade spesso che a tale scopo specifiche discipline utilizzino in maniera peculiare strumenti matematici ben determinati, e questo fatto ha spesso contribuito in maniera decisiva a definire con maggiore nettezza i confini e quindi lo scopo delle discipline in gioco, a volte arrivando a dotarle di un’aura di scientificità che per altri versi risultava e risulta quantomeno discutibile accordare loro.
Alla luce delle incertezze contemporanee è importante cercare di capire le origini storiche del concetto di modello, analizzando in particolare se e come fossero già presenti in origine tali gravi confusioni tra quest’ultimo ed il fenomeno che era inteso modellizzare. Il presente contributo intende fornire i risultati di una prima ricognizione nel campo della scienza greca antica.


Euclide. Tutte le opere

Euclide. Tutte le opere

Euclide. Tutte le opere. Testo greco a fronte, curatore Fabio Acerbi, pp. 2713, Bompiani, 2007

Quarta di copertina

Le opere in greco di Euclide sono il fondamento della geometria occidentale, e pertanto l’elaborazione dei teoremi matematici qui proposta sta anche alla base dell’impresa scientifica dell’Europa. Questo corpus di colossale importanza nacque nell’ambiente filosofico dell’Accademia platonica, grazie a quei pensatori come Teeteto che, accogliendo e rilanciando le istanze del Pitagorismo antico, avevano posto l’aritmetica e la geometria al centro della conoscenza. Gli “Elementi”, in particolare, costituirono il manuale di matematica dell’antichità classica e del Medioevo.


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Fabio Acerbi,
Riflessi condizionali

 


Il silenzio delle sirene. La matematica greca antica

 

Fabio Acerbi,
Il silenzio delle sirene. La matematica greca antica, Carocci, 2010.

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Quarta di copertina

La matematica greca antica è raramente presentata al lettore come oggetto di attenzioni storiche o filologiche. L’autore di questo volume, invece, si propone di farlo, descrivendo i metodi di analisi dei testi matematici antichi, conducendo il lettore dietro le quinte delle mode storiografiche e sfatandone alcuni miti, offrendo un quadro dettagliato della tradizione testuale delle opere principali. Il “contenuto matematico” delle ricerche antiche è adeguatamente contestualizzato, ed esposto per grandi linee tematiche privilegiando le tecniche dimostrative e il linguaggio utilizzato nella loro elaborazione. Viene dato spazio a domìni di ricerca solitamente trascurati come i fondamenti e la teoria dei numeri. Ne risulta un quadro organico, ricco di informazioni, forse spiazzante per la messa in prospettiva decisamente inusuale.

Indice

Fonti di uso frequente e loro sigle

Nota liminare

  1. Metodi

Che cos’è la matematica greca: una mappa per sottogeneri/Come è scritta la matematica greca/Come venne diffusa la matematica greca/Come muore la matematica greca/Come ci è giunta la matematica greca: la trasmissione diretta/Come ci è giunta la matematica greca: le fonti greche indirette/La collocazione cronologica dei matematici antichi

  1. Problemi

Contesto e interpretazione/Miti storiografici/Tecniche/La classificazione delle linee irrazionali e dei poliedri regolari/Le quadrature e il cosiddetto «metodo di esaustione»/Elementi di teoria delle sezioni coniche; le proprietà caratteristiche; il metodo di «applicazione delle aree»; il luogo a 3 e 4 linee/Curve speciali; la classificazione dei problemi e dei luoghi/Sistemi numerici, algoritmi e tradizione metrica/Teoria dei numeri/Trigonometria e geometria sferica

Appendice. La tradizione manoscritta

A1. Le opere principali

A1.1. Un solo manoscritto, conservato, a capo di tutta la tradizione: Collectio di Pappo, Coniche di Apollonio, Metrica di Erone / A1.2. Due recensioni differenti per varianti marginali: Elementi e Data di Euclide / A1.3. Due recensioni antiche radicalmente differenti: Ottica e Fenomeni di Euclide / A1.4. Una recensione (tardo)-

antica e una bizantina: i Commentari di Pappo e Teone all’Almagesto e di Teone alle Tavole facili di Tolomeo; gli anonimi Prolegomena all’Almagesto / A1.5. Tradizione antica a più rami: Almagesto di Tolomeo e corpus archimedeo / A1.6. Tradizione bizantina e bipartita: Arithmetica di Diofanto / A1.7. Mostri filologici: Geometrica e Stereometrica inclusi nel corpus eroniano / A1.8. Palinsesti

A2. La formazione di corpora settoriali

A2.1. Il corpus astronomico minore / A2.2. Il corpus analitico / A2.3. Un corpus astronomico-matematico tardo-bizantino / A2.4. I corpora scoliastici

A3. Traduzioni arabe e arabo-latine

Onomasticon

Bibliografia

Indice dei manoscritti e dei papiri

Indice dei nomi

Indice dei nomi geografici e astronomici

Indice dei passi citati da autori non matematici

Indice analitico

 

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Recensione al libro

Alberto Cappi, Giornale di Astronomia, 01-01-2013

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Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico

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Mario Vegetti

 


Mario Vegetti:
un ricordo personale e filosofico

di Luca Grecchi


Il mio rapporto con Mario Vegetti risale al 2004. Da studioso della filosofia antica mi sono infatti formato, come molti altri, sui suoi testi, che ho sempre apprezzato in maniera particolare (insieme a quelli di Enrico Berti). Decisi per questo, pur non avendolo mai incontrato di persona, di chiedergli una introduzione ad un libro che avevo appena concluso (Conoscenza della felicità). In maniera inattesa, anche in quanto Mario era ancora alle prese con l’insegnamento accademico, egli lesse velocemente il manoscritto di quel giovane sconosciuto che allora ero per lui, e ne realizzò una generosa introduzione, che iniziava con queste parole: «Luca Grecchi è un pensatore, a suo modo, classico…». Inutile dire la gioia che provai quando la ricevetti.
Nel tempo i nostri rapporti, soprattutto epistolari, sono continuati, ma si sono molto intensificati nell’ultimo anno, quando Mario mi rivelò di essere malato. Questi rapporti si sono intensificati soprattutto per motivi editoriali, che ora accennerò, ma il tema che li ha caratterizzati è sempre stato la costante ironia di Mario, la quale costituisce il tratto della sua personalità che rammento con maggiore affetto. Ricordo, a solo titolo di esempio, che quando all’inizio dello scorso anno gli telefonai per chiedergli alcuni consigli, in quanto ero stato incaricato di realizzare il volume Natura nella collana Questioni di filosofia antica per la casa editrice Unicopli (un lavoro assai impegnativo, richiedente una vasta trattazione di questo ambito – insieme filosofico, scientifico e letterario – su oltre dieci secoli), mi disse testualmente queste parole: «Tu sei l’unico matto che poteva accettare un lavoro del genere. Ma chi te lo fa fare?». L’ironia di Mario era meravigliosa, in quanto esprimeva sempre in forma iperbolica una idea che lui realmente sentiva, e che aveva il suo fondamento. Come quando, anni prima, invitato ad una conferenza con Giovanni Reale sul tema fede/ateismo, mi disse che gli era stato richiesto di “fare la parte del non credente„, anche se poi appunto affermava di credere pure lui ad alcune cose, e di non sapere bene a che cosa non credesse.
I ricordi sono molti, ma penso sia più utile qui soffermarmi sui lavori di questi ultimi tempi di Mario, cui egli teneva in maniera particolare. Gli ultimi mesi si sono infatti svolti a stretto contatto epistolare con me e la casa editrice Petite Plaisance di Pistoia (nella figura del carissimo amico Carmine Fiorillo), in quanto abbiamo insieme deciso di ripubblicare, nella collana filosofica da me diretta, alcuni testi di Mario oramai introvabili. In particolare, dopo avere ripubblicato qualche anno fa Cuore, sangue e cervello, che Mario scrisse negli anni Settanta con Paola Manuli, e soprattutto dopo avere edito Scritti con la mano sinistra (una raccolta di suoi scritti di carattere in senso ampio “politico„), sono appena stati ristampati, appunto da Petite Plaisance, altri due libri di Mario, Tra Edipo e Euclide ed Il coltello e lo stilo.
Con specifico riferimento a Scritti con la mano sinistra – un testo che mi permetto davvero di consigliare a chi non lo avesse ancora letto –, mi torna alla mente un altro piccolo aneddoto, che mi consente di svolgere qualche considerazione più filosofica sul suo lavoro. Mi disse infatti, quando gli feci la proposta di raccogliere i suoi testi più politici: “Vorrei sapere perché ci tieni così tanto che siano ripubblicati i miei articoli, che tranne l’Inter e il comunismo non la pensiamo mai allo stesso modo„. Condividevamo, in effetti, le stesse “fedi laiche„ calcistiche e politiche, sebbene di ambedue negli ultimi tempi, per motivi contingenti (noti agli appassionati), parlassimo poco. Mario tuttavia aveva ragione sul fatto che non sempre noi si concordasse. In effetti, negli anni, a più riprese gli feci presente che, a mio modestissimo avviso, erano un poco eccessive le sue considerazioni critiche sul carattere “agonale„ della civiltà omerica, sul carattere poco democratico dell’epoca classica, così come il suo insistere su alcuni aspetti a mio avviso minori del pensiero di Aristotele (le donne, gli schiavi, ecc.). Mi sembrava, insomma, che egli mettesse in evidenza gli aspetti più oscuri in quelle civiltà ed in quei pensieri, in questo modo riducendo la visibilità degli aspetti migliori. Ma, naturalmente, lui faceva bene a proseguire la sua strada, la quale ha in effetti consentito di problematizzare ed eliminare molti desueti luoghi comuni sulla cultura classica, oltre che di tracciare alcuni importanti sentieri scientifici prima di lui inesistenti.
Ci divideva anche un altro contenuto, come emerse in una conferenza che si tenne a Milano nel 2009 con me, lui, Carmelo Vigna ed Enrico Berti (che a dire il vero arrivò fino in stazione Centrale, si infortunò ad un piede scendendo dal treno, e tornò a Padova senza purtroppo poter partecipare). Mario non riteneva infatti che il pensiero antico potesse essere considerato un pensiero dotato di contenuti onto-assiologici veritativi, tali cioè da costituire stabili riferimenti di senso e di valore validi anche per il nostro tempo. Da antichista puro – per quanto aperto al pensiero filosofico moderno e contemporaneo –, egli sosteneva in effetti la necessità di collocare sempre gli antichi nel loro contesto, senza potere trarre da essi messaggi sovrastorici. Questa era la sua impostazione filosofica, che io scherzando gli dicevo essere quella del vecchio “storicismo marxista„; lui mi ripagava dicendo che io ero un “metafisico classico„, per il mio insistere sempre sulla verità e sul bene, e così eravamo pari. In ogni caso, come prova il suo ampio commento alla Repubblica di Platone edito da Bibliopolis, emergeva anche dalla sua opera, sebbene talvolta egli lo velasse, un afflato utopico-progettuale davvero importante, derivante proprio dal sostrato filosofico greco.
Per ritornare ai suoi testi, quelli che egli teneva maggiormente a ripubblicare erano le due raccolte, Scritti di medicina ippocratica (uscita purtroppo il giorno dopo la sua morte) e Scritti di medicina galenica (in uscita a breve), che compattano materiale di studio sulla medicina antica redatto da Mario in oltre cinquanta anni di lavoro. Sono davvero felice di avergli potuto fare questa proposta, manifestandogli al contempo la dovuta gratitudine per il grande valore della sua opera, esso sì realmente sovrastorico. L’ultimo plico che ha spedito, una settimana circa prima di morire, credo lo abbia mandato proprio a Petite Plaisance, con il suo generoso apprezzamento per la qualità editoriale dei volumi appena ristampati. Anche nella correzione degli impaginati non è peraltro mai mancata la sua ironia: “Mi stai facendo lavorare come un matto, sai che in questo periodo non sono in grado di effettuare grandi performance lavorative…„, mi scriveva in una sua email prenatalizia.
Eravamo rimasti in accordo che avrebbe partecipato con un saggio ad un volume collettaneo che sto curando, che si intitolerà Teoria e prassi in Aristotele, in uscita in autunno. Conoscevo che le sue condizioni di salute erano in peggioramento (per la presentazione dei volumi galenico ed ippocratico, in corso di organizzazione sia alla Casa della Cultura di Milano che in Università, sapeva che non avrebbe comunque potuto partecipare), ma non pensavo che ci avrebbe lasciati così in fretta. Ha fatto in tempo a sapere – è il contenuto dell’ultima sua email che ho ricevuto, dell‘8 marzo – della morte dell’amico e collega di una vita, Diego Lanza, avvenuta il 7 marzo.
Ho appreso della sua morte, come molti, lunedì 12 marzo sfogliando Il corriere della sera, che gli ha dedicato, come doveroso, una bella pagina. Perdiamo con lui, sicuramente, un pensatore originale ed un grande antichista, animato – come erano stati, prima di lui, Rodolfo Mondolfo ed il suo amico Gabriele Giannantoni – da una rigorosa passione politica, sempre attenta ai problemi di chi è più in difficoltà. Concludo ricordando che Mario, pur nella consueta riservatezza, era massimamente orgoglioso del suo ruolo di nonno, padre e marito: alla famiglia, pertanto, va il mio pensiero più caro, ben conoscendo il valore dell‘uomo che hanno avuto accanto.

Luca Grecchi


LOgo Società di psicanalisi

Il testo è già stato pubblicato anche sul sito della Società di Psicoanalisi Crritica (29-03-2018) con questa nota di accompagnamento: “Pubblichiamo di seguito un ricordo di Mario Vegetti, notissimo studioso e docente di Storia della Filosofia antica e intellettuale rigoroso, amico personale di alcuni di noi e della Società di Psicoanalisi Critica”.


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ADDIO A MARIO VEGETTI

Ricordano l’amico e il protagonista della Casa della Cultura: Ferruccio Capelli, Mauro Bonazzi, Fulvio Papi, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Salvatore Veca


Ricordo di Mario Vegetti – Rai Filosofia

 Addio a Mario Vegetti, l’utopia di Platone e i suoi chiaroscuri – La Stampa

Mario Vegetti,  filosofo studioso di Platone – Corriere della Sera

289 ISBN

Mario Vegetti, Il coltello e lo stilo. Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica.

ISBN 978-88-7588-228-0, 2018, pp. 192, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [82]. In copertina: Affresco raffigurante gli Istrumenta sciptoria. In quarta: bassorilievo del tempio di Esculapio di Atene.

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Premessa alla nuova edizione del 2018

Il coltello e lo stilo fu pubblicato nella primavera del 1979. Fin dalla sua comparsa, suscitò un vivace interesse, non solo, e non tanto, fra gli specialisti di antichistica, quanto presso un pubblico composito di lettori che frequentavano i territori che allora si chiamavano “cultura critica”: epistemologia, antropologia, psicoanalisi, ed eventualmente movimenti come quello femminista e animalista. Ne uscirono naturalmente diverse interpretazioni del senso e degli intenti del libro (dalla critica irrazionalistica ai fondamenti “violenti” della scienza, a una rivisitazione moderata di Foucault). Nell’introduzione all’edizione del 1996, riprodotta in questo volume, ho tentato di delineare le coordinate culturali entro le quali Il coltello e lo stilo era stato concepito, e di indicare un punto di vista d’autore sulla collocazione del libro. Ha fatto però bene l’editore a ristampare qui la prima edizione, quella del 1979. Da un lato, questo restituisce ai primi lettori la possibilità di un rinnovato incontro con il testo; dall’altro, e soprattutto, consente a nuovi lettori l’accesso alla forma originale del libro ormai da gran tempo esaurita. Non è immotivato pensare che questa ristampa possa apparire a qualcuno come una riscoperta, e ridestare almeno in parte l’interesse e la discussione così vivaci tanti anni or sono. Se così fosse, potremmo augurare “bentornato” al Coltello e lo stilo, e renderne il merito che gli spetta al generoso editore, Carmine Fiorillo di “Petite Plaisance”.

Mario Vegetti

Febbraio 2018


291 ISBN

Mario Vegetti, Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico.

ISBN 978-88-7588-227-3, 2018, pp. 208, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “Il giogo” [84]. In copertina: Frammento di cratere a calice a figure rosse [scena dell’Edipo Re di Sofocle] (330-320 a.C.) e Papiro de Oxirrinco [frammento degli Elementi di Euclide].

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Premessa alla nuova edizione del 2018

Edipo e Euclide rappresentano simbolicamente i due limiti estremi della razionalità greca. Il primo – nell’interpretazione che offre dell’Edipo re sofocleo il primo dei saggi qui raccolti – impersona una forma di razionalità indagatrice, che procede per indizi e per segni, e ha di mira la “scoperta”: una scoperta legata sempre alla circostanza particolare, al kairòs, all’individuo. Una razionalità, dunque, nella quale si riflettono l’indagine diagnostica e prognostica sia della medicina ippocratica sia della storiografia tucididea (che si presenta esplicitamente come una ricerca dia­gnostica sulla crisi di Atene).

All’estremo opposto si colloca la forma della razionalità che può andare sotto il nome di Euclide. La sua geometria costituiva già per gli antichi, e costituisce tuttora, un modello di pensiero astrattivo e dimostrativo, il luogo elettivo di un’idea forte della verità come acquisizione universalmente valida, incontrovertibile e immutabile. Come mostra l’ultimo dei saggi raccolti nel volume, la razionalità euclidea è l’asse teorico su cui si impernia gran parte della scienza ellenistica (sia pure con qualche eccezione).

Fu Galeno a tentare una sintesi di questi due stili di razionalità nel suo progetto di ricostruzione epistemologica della medicina, come indicano i due saggi che qui gli sono dedicati. Da un lato, egli continuava a ritenere che la medicina dovesse essere una techne di stile ippocratico, capace di diagnosticare e pronosticare le vicende individuali della malattia grazie a un’indagine semiologica di modello “edipico”. Dall’altro però era convinto che la medicina dovesse dotarsi di un robusto impianto teorico di tipo universalizzante e dimostrativo, alla maniera delle scienze forti di modello “euclideo”, sfidando le tensioni che questa doppia esigenza epistemologica veniva producendo nel suo pensiero.

Anche per il rigoroso razionalismo stoico conciliare la teoria di un’anima costituita dal solo logos con l’evidenza dell’insorgere nel soggetto umano di pulsioni irrazionali come le passioni costituiva un serio problema. Il capitolo IV del libro mostra come una delle spiegazioni stoiche abbia individuato nel condizionamento sociale ed educativo subito fin dalla primissima infanzia la matrice delle deviazioni passionali: la natura mette al mondo neonati buoni, ma i successivi processi di allevamento e di socializzazione lo predispongono a cedere all’irrazionalità delle passioni.

I saperi antichi vengono naturalmente forgiati da forme di razionalità intermedie od oblique rispetto agli estremi che ne abbiamo indicati. C’è il potente ricorso a modelli metaforici che rendono possibile e persuasivo il discorso scientifico intorno a fenomeni difficilmente accessibili o comprensibili. Così la metafora della politica agevola per i medici la comprensione dei processi somatici interni (cap. II), e quella derivata da un’esperienza tanto diffusa nella società romana come lo spettacolo circense orienta la costruzione del sapere di Plinio intorno al mondo animale (cap. V). La scimmia, infine, con il suo corpo troppo simile a quello umano, mette suo malgrado in contatto due mondi così lontani come quello leggero del gioco e dello spettacolo, da un lato, e dall’altro quello dell’anatomia e della vivisezione, con la sua razionalità scientifica “dura” (cap. III).

Nell’ambito dei miei studi, queste ricerche svolgono un ruolo di transizione. Da lato, continuano e sviluppano temi trattati ne Il coltello e lo stilo (1979), dall’altro anticipano quelli sull’etica antica e sulla medicina ellenistica e galenica, che avrebbero occupato i decenni successivi. Il comune orientamento metodologico di questo campo di studi è definito nel testo sulla Questione dei metodi, con il quale si apre il volume; i saggi raccolti possono venire letti come esempi e verifiche delle indicazioni che vi vengono discusse.

In questo doppio carattere, di lavori di ricerca e di esercizi di metodo, credo possa consistere il perdurante interesse dei saggi raccolti, e per questo mi è giunta benvenuta l’idea di riproporli al lettore per i tipi di Petite Plaisance.

Mario Vegetti

 Dicembre 2017


 

ISBN Ippocrate

Mario Vegetti, Scritti sulla medicina ippocratica.

ISBN 978-88-7588-225-9, 2018, pp. 416, formato 140×210 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [86]. In copertina: Rilievo dal santuario di Anfiarao a Oropo, 400-350 a.C., Atene, Museo Archeologico Nazionale.

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Prefazione

Ho esitato ad accettare la proposta dell’editore Carmine Fiorillo e dell’amico collega Luca Grecchi di raccogliere in volume i miei scritti sulla medicina ippocratica. Per la gran parte, infatti, essi risalgono a quasi cinquant’anni or sono, ed era evidentemente fuori questione tentarne un aggiornamento, che avrebbe equivalso a riscrivere larga parte della ricerca ippocratica del Novecento: in effetti, questi scritti avevano un carattere pioneristico, e non solo in Italia. Erano allora rari gli studi d’insieme sulla medicina greca di epoca classica, le edizioni commentate di singoli testi ippocratici, e naturalmente non si parlava ancora di Colloqui ippocratici internazionali, la cui serie iniziò nel 1972 dando luogo ad incontri via via più affollati di studiosi e di specialisti. Ma è stata poi proprio la precocità di questa stagione di studi, nell’ambito della vicenda mia personale e in quello della ricerca ippocratica in Italia, a convincermi infine ad accettare la proposta.
Si respirava in quegli scritti un’aria di scoperta: l’emozione per l’incontro con un episodio fondativo alle origini della tradizione medica e del pensiero scientifico in Occidente, l’entusiasmo per l’esplorazione del più vasto continente di sapere scientifico che la cultura greca ci abbia lasciato prima di Aristotele e della geometria euclidea. Si trattava per giunta di una techne razionale – fra le prime a varcare la soglia della scrittura durante il V secolo a.C. – che offriva il modello di un sapere capace di coniugare conoscenza ed efficacia. Essa si collocava più sul versante semiotico, indivi­dualizzante della scienza che su quello dimostrativo-astrattivo, e costituiva quindi un suggestivo modello intellettuale per le scienze dell’uomo allora in corso di formazione, dalla storia alla politica, come mostrò precocemente Jaeger e come del resto aveva già intuito Platone.
Nei saggi qui raccolti venivano seguiti due approcci principali nell’accostarsi a questo ricco ambito del sapere antico, entrambi del resto consoni all’atmosfera intellettuale degli anni Sessanta del secolo scorso. Il primo, e di gran lunga prevalente, era l’interesse per il metodo, concepito come il terreno di incontro cognitivo fra ragione ed esperienza, configurate così come i due poli del processo della conoscenza. Si trattava di un approccio orientato da una epistemologia di ispirazione kantiana, com’è facile vedere, ma che risultava adatto a mettere in luce la nascente sensibilità metodologica in cui consisteva uno dei tratti di originalità teorica del pensiero medico nel V secolo. Esso sembrava infatti proporre, in forme più o meno esplicite, una funzione della ragione come strumento di comprensione e di organizzazione significativa del materiale di esperienza, e dell’esperienza stessa come territorio disponibile al controllo cognitivo e anche operativo della ragione, che da esso comunque non poteva prescindere.
Con questa idea di “metodo”, la medicina ippocratica sembrava trovare una sua via – la via propria di una techne – tra le due opposte “sostanzializzazioni”, della ragione e dell’esperienza. La prima veniva concepita dagli Eleati non in rapporto ma in opposi­zione all’esperienza, e costituiva dunque non solo uno strumento della verità, ma il suo unico contenuto. L’esperienza dei processi naturali veniva per contro concepita dagli Ionici come autoesplicativa, perché bastava la scelta di uno o più elementi della natura per spiegarne tutto il resto, senza l’impegno a costruire un discor­so capace di darsi regole e giustificazioni metodiche eterogenee rispetto al mondo naturale.
Il secondo approccio, più vicino questo a un’ispirazione marxista, comportava invece un’attenzione, allora non molto diffusa, all’ambiente sociale che aveva favorito lo sviluppo della medicina e del suo peculiare profilo intellettuale. Si trattava della polis democratica, teatro della crescita delle technai profane e secolarizzate, legate all’ambiente sociale dell’agorà, e della parallela crisi dei saperi tradizionali di matrice sacerdotale: il luogo culturale, dunque, dove il medico laico di affiliazione ippocratica poteva sfidare i sacerdoti guaritori dei templi di Apollo e di Asclepio, i purificatori, i maghi e gli indovini della tradizione. Sul piano filosofico, questo stesso ambiente della medicina era condiviso da un filosofo come Anassagora, il che contribuisce a spiegarne la particolare rilevanza per l’ippocratismo, come si insiste a più riprese nei lavori qui raccolti.
A tanta distanza di anni, e dopo così rilevanti sviluppi nella ricerca, i loro limiti emergono con chiarezza: in parte possono venir considerati inevitabili visto l’entusiasmo pioneristico che li animava, in parte possono esser fatti risalire alle concezioni diffuse nella cultura del tempo, oltre che a inclinazioni proprie dell’autore.
Quanto a queste ultime, credo si possa definire alquanto eccessiva l’enfasi posta sul rapporto, in positivo e in negativo, tra filosofia e medicina. È indubbio che le grandi correnti filosofiche abbiano influito, o tentato di influire, sulla formazione della concettualità medica: dopo tutto, è in Antica medicina che si trova la più antica citazione (polemica) di Empedocle e della sua “filosofia”; ed è altamente probabile che il nascente pensiero “ippocratico” possa aver rivolto la sua attenzione al magistero anassagoreo. D’altra parte, è ben nota la profonda impressione che la medicina destò in tutto l’arco del pensiero di Platone, sia nel suo versante metodico (come testimoniano il Fedro e il Carmide), sia nella sua esemplarità etico-politica, a più riprese sottolineata dal Gorgia alla Repubblica, dal Politico alle Leggi. Ma è prudente non immaginare un’intensa circolazione di libri e dottrine fra due aree così intellettualmente e anche professionalmente e socialmente lontane come la filosofia e la medicina delle origini, e fra ambiti geografici distanti come la Magna Grecia e la costa ionica dell’Asia minore. La stessa pur rilevante elaborazione metodologica prodotta dai medici del V secolo non avrà probabilmente avuto quella piena consapevolezza teorica e filosofica che tendevo ad attribuirle, quasi si trattasse non di Ippocrate ma – seicento anni più tardi – di Galeno.
Tipico del tempo in cui prese forma la mia ricerca è invece un certo eccessivo ottimismo nella possibilità di risolvere la “questione ippocratica”, identificando le opere autenticamente attribuibili alla figura storica di Ippocrate, e persino tentando di leggerne l’evoluzione interna. Ero allora convinto che il “vero” Ippocrate fosse riconoscibile nelle opere tradotte nelle prime due sezioni del mio Ippocrate del 1964, che Ludovico Geymonat volle accogliere nella sua storica collana di “Classici della scienza”: L’antica me­dicina, Le arie le acque i luoghi, Il prognostico, Il regime nelle malattie acute, Male sacro, Le epidemie (libri I e III), Le ferite nella testa, Fratture e articolazioni; e che, di conseguenza, queste opere contenessero una dottrina medica coerente e unitaria. Continuo a pensare che, se ha senso cercare un nucleo “ippocratico” del Corpus, esso andrà più o meno cercato nel perimetro indicato, e che sia tanto difficile escluderne Antica medicina quanto includervi Il regime, come molti studiosi hanno sostenuto. Ma già nell’Introduzione del 1973 alla seconda edizione dell’Ippocrate manifestavo una giusta cautela sulla possibilità di raggiungere conclusioni definitive in proposito, e anche un certo scetticismo sull’utilità della modalità filologico-attribuzionistica della ricerca ippocratica, che rischiava di mettere in secondo piano la cosa più importante, cioè la comprensione storico-critica di opere e gruppi di opere, quale che ne fosse la presunzione di “autenticità” ippocratica.
Più interessante mi sembra segnalare ora un abbaglio, o un equivoco, in cui incorrevano sia la mia ricerca sia gran parte della storiografia dell’epoca. Ne era motivo il pregiudizio classicistico, che assegnava un maggior valore culturale e sociale alle forme politiche e intellettuali appunto dell’età detta “classica” (V e IV secolo a.C.), e conseguentemente considerava epoche di decadenza quelle posteriori, a partire dall’ellenismo (un pregiudizio tenace che risaliva a Hegel ed è resistito fino a pochi decenni orsono). Aleggiava dunque la convinzione che la grande età della medicina greca fosse appunto quella ippocratica, e che la medicina posteriore, per quanto tecnicamente evoluta – dagli anatomisti alessandrini a Galeno – avesse perduto la carica innovativa e l’apertura intellettuale dei fondatori. Parallelo a quello epistemico, c’era il pregiudizio storico secondo il quale la grande età della storia greca era stata quella “periclea”, insomma l’età della polis matura, e che la successiva storia dei regni ellenistici fosse a sua volta una storia di decadenza politico-sociale.
Non c’è bisogno di dire che gli sviluppi della ricerca, e la critica del classicismo, hanno fatto giustizia di entrambi questi pregiudizi. La medicina ellenistica e imperiale è stata riconosciuta come uno straordinario edificio di sapere teorico e di competenza tecnica, dai vasti orizzonti intellettuali e dal forte prestigio sociale (nella mia storia personale, questa svolta ha avuto luogo nel 1978, con l’avvio degli studi su Galeno, anch’essi stimolati da Ludovico Geymonat). Quanto al mondo dei regni ellenistici, ne sono stati generalmente riconosciuti i meriti nella promozione della cultura letteraria e scientifica, i successi tecnologici ed economici, lo spirito di tolleranza nei riguardi delle religioni e delle culture che facevano parte dei loro domini. Veniva certo meno l’intensa partecipazione dei cittadini alla vita politica comune, che era stata propria della polis; ma veniva anche meno la chiusura etnica e sociale di questa comunità di “autoctoni” di fronte agli stranieri, cui essa non riconosceva alcun diritto. È almeno discutibile che le scienze e le tecniche abbiano trovato nella polis un ambiente più favorevole al loro sviluppo rispetto ai regni ellenistici: la fondazione del Museo e della Biblioteca di Alessandria, oltre che di simili istituzioni nelle altre capitali ellenistiche, sembra dare decisamente un’indicazione contraria, anche se certo in questi casi si tratta di mecenatismo regio e non di deliberazione democratica.
Una rilettura di questi testi, ricollocati così nelle coordinate culturali in cui videro la luce, ritengo possa mantenere un suo valore e una sua utilità per tutti i lettori interessati a comprendere lo sviluppo storico e le strutture intellettuali della medicina greca di epoca ippocratica – cioè dell’episodio fondativo dell’intera tradizione medica occidentale.
Gli scritti sono presentati in ordine cronologico, ad eccezione delle due introduzioni del 1964 e del 1973, che sono poste al termine del volume per il loro carattere di trattazione complessiva. Non sono stati inclusi in questa raccolta scritti già comparsi nei volumi La medicina in Platone, Il Cardo, Venezia 1995, e Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico, Il Saggiatore, Milano 1983.
Non posso concludere questa premessa senza rivolgere il mio più caloroso ringraziamento all’editore Carmine Fiorillo, per lo straordinario impegno profuso nell’allestimento di questo volume.

Febbraio 2018

Mario Vegetti


Coperta 148

Paola Manuli – Mario Vegetti

Cuore, sangue e cervello

indicepresentazioneautoresintesi

Paola Manuli – Mario Vegetti, Cuore, sangue e cervello. Biologia e antropologia nel pensiero antico. In Appendice: Galeno e l’antropologia platonica.

ISBN 978-88-7588-028-6, 2009, pp. 288, formato 140×210 mm., Euro 25. Collana “Il giogo” [22]. In copertina: Asclepio cura un malato, rilievo in marmo, V secolo a.C.

 

Prefazione alla nuova edizione

Questo libro è esaurito da molti anni, e non è stato possibile ristamparlo perché la casa editrice Episteme, che l’aveva pubblicato nel 1977, ha nel frattempo cessato la sua attività. Mi è spesso accaduto di ascoltare il rammarico di studiosi che ne lamentavano l’irreperibilità, considerandolo ancora un utile strumento di lavoro.
Quando l’editore CARMINE FIORILLO mi ha espresso la sua generosa disponibilità ad una riedizione del volume, ho tuttavia provato qualche incertezza. Provvedere a un aggiornamento risultava impossibile per due ragioni. La prima era la dolorosa e prematura scomparsa di PAOLA MANULI, autrice della parte sostanziale del lavoro (a me era spettato soltanto, oltre al progetto complessivo, la stesura dell’introduzione). La seconda consisteva nell’immensa mole di lavori scientifici comparsi nei trent’anni intercorsi dalla pubblicazione del libro: per limitarmi a qualche esempio, ricorderò solo gli atti dei numerosi colloqui ippocratici e galenici, le opere collettive sulla biologia di ARISTOTELE edite da GOTTHELF, LENNOX, PELLEGRIN e KULLMANN, il libro della DUMINIL sul sangue e il cuore nel Corpus Hippocraticum (1983), il volume della ANRW su GALENO (II 37.2, 1994), gli studi di G.E.R. LLOYD; e citerò da ultimo tre recentissime e importanti ricerche in lingua italiana, quella di D. QUARANTOTTO sul finalismo nella scienza aristotelica (2005), quella di R. LO PRESTI sull’encefalocentrismo ippocratico (2008), e quella di T. MANZONI sul cervello in ARISTOTELE (2007).
Una rilettura del libro mi ha tuttavia convinto che nonostante tutto esso conservi ancora motivi di attualità tali da renderne opportuna e motivata una riedizione.
Vorrei indicarli schematicamente in quattro punti.

Asclepio cura, b e n

1. L’opera non si limita ad una ricostruzione degli atteggiamenti del pensiero scientifico antico in merito al problema di individuare la parte egemonica del complesso psico-somatico. C’è inoltre uno sforzo intelligente e sistematico di integrare questi atteggiamenti all’interno di una serie di veri e propri paradigmi epistemologici, che mette in chiaro come le opzioni intorno a questo problema si inseriscano in un quadro complesso di posizioni gnoseologiche e di scelte filosofiche, come risultino solidali rispetto a tutta una costellazione di conoscenze scientifiche, di pratiche tecniche e anche di pregiudizi ideologici, che in ultima istanza risultano riferibili a concezioni rivali circa il rapporto fra uomo e natura.
In questo senso, il libro presenta ancora a mio avviso un rilevante interesse di ordine metodico, come saggio di un’interpretazione della scienza antica che non si limita a un repertorio di “progressi” e di “errori”, ma si sforza di comprendere l’insieme delle ragioni che motivano (non certo meccanicamente) sviluppi, regressi, aporie, innovazioni e contraddizioni.

2. Il libro presenta inoltre una sostanziale novità storiografica, che non mi risulta sia stata superata dalla letteratura critica più recente, e di cui anzi forse non sono ancora state pienamente sviluppate tutte le potenzialità euristiche. Si tratta della distinzione (nel campo degli avversari dell’encefalocentrismo) fra un paradigma cardiocentrico, ben noto grazie ad ARISTOTELE, e un paradigma emocentrico, che spesso, ma erroneamente, viene identificato con il cardiocentrismo. PAOLA MANULI non solo ha identificato con chiarezza questo secondo paradigma, che risale a EMPEDOCLE, ma soprattutto ne ha seguito la persistenza, spesso meno evidente ma non per questo meno efficace, dal Timeo platonico allo stesso ARISTOTELE e persino in GALENO, dove residui emocentrici appaiono tanto insuperati quanto latori ci contraddizioni e difficoltà di ricomposizione sistematica. Si tratta a mio avviso di un contributo tuttora prezioso per una comprensione non frettolosa e schematica dell’intera storia del pensiero biologico antico.

3. Il commento al peri kardies, nonostante che le opinioni sulla cronologia tendano oggi ad una datazione più bassa, resta di grande utilità per precisione di analisi e ricchezza di informazioni critiche, che offrono un quadro problematico ancora indispensabile all’interpretazione di quest’opera per molti aspetti enigmatica.

4. L’appendice su GALENO, infine, costituisce un pionieristico repertorio critico dei problemi relativi all’anatomo-fisiologia, alla psicologia e all’antropologia galeniche – problemi che sono tuttora al centro delle ricerche in questo settore – nonché una indagine penetrante intorno alle strategie con le quali GALENO affronta la tradizione da cui dipende, operando a volte un sapiente montaggio delle sue actoritates (in primo luogo IPPOCRATE, PLATONE, ARISTOTELE), a volte invece contrapponendole per finalità polemiche (come ad esempio IPPOCRATE e PLATONE contro ARISTOTELE e gli stoici sul tema del cardiocentrismo).

Mi sono sembrate, queste ed altre, buone ragioni per accettare volentieri e con gratitudine la proposta dell’editore di ripubblicare Cuore sangue e cervello, che viene in questa nuova veste corredato da un indice delle opere e degli autori citati. Spero che l’opera risulti utile e ben accetta agli studiosi; per quanto mi riguarda, considero questa nuova edizione anche come una rinnovata testimonianza del ricordo di PAOLA MANULI, la cui persona e il cui lavoro sono tuttora ben presenti nella memoria della comunità scientifica.

MARIO VEGETTI


coperta 110

indicepresentazioneautoresintesi

 

Mario Vegetti, Scritti con la mano sinistra.

ISBN 88-7588-014-X, 2007, pp. 160, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “Il giogo” [18]. In copertina: Kouros, IV secolo a. C. Atene, Museo Archeologico Nazionale.

Prefazione

1. Non avrei mai pensato di raccogliere questi scritti, se non fosse stato per la cortese e generosa insistenza dell’amico Luca Grecchi e dell’editore Carmine Fiorillo. A loro va dunque, nel bene e nel male, la responsabilità dell’esistenza di questo piccolo volume. A me spetta tuttavia di giustificare – nei limiti del possibile – l’accoglimento della loro proposta.
Quello che mi ha colpito, nel rileggere questi testi dispersi in sedi molto diverse lungo l’arco di più di un quarto di secolo, è stata in primo luogo la loro coerenza. Devo dire subito che non ritengo che la coerenza sia necessariamente una virtù: essa può significare in effetti testardaggine cocciuta, miopia e sordità nei confronti di ciò che di nuovo accade nelle cose e nelle idee, insomma anelasticità intellettuale.
Ci può tuttavia essere qualcosa di virtuoso nella coerenza. Si tratta – per prelevare due parole dal lessico caro a Franco Fortini – dei suoi aspetti di insistenza e resistenza. Insistenza, nel senso non di ribadire tesi e dogmi, ma di continuare tenacemente a porre, e a pormi, problemi e domande, senza variare disinvoltamente il punto di vista da cui l’interrogazione viene posta, e accettando invece l’apertura e la variabilità della gamma delle risposte cercate. E anche nel senso di rifiutare la convinzione secondo la quale sconfitte storiche sono di per sé la prova di errori nella teoria: convincersi di “aver sbagliato” perché si è perduto rappresenta secondo me il residuo di una concezione teologica (il nemico è uno strumento divino per punirci delle nostre colpe). Qualche volta può essere così, ma più spesso l’avversario vince semplicemente perché è più forte sul terreno.
E resistenza: che significa accettare i mutamenti imposti dalla riflessione e dalle cose stesse su cui ci si interroga, ma invece rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”; restare fedeli, insomma, a ciò che di noi hanno fatto la nostra storia intellettuale e morale, da un lato, la nostra collocazione in un mondo, dall’altro (insomma, in lettere minuscole, il nostro destino). Almeno in questo senso, la coerenza può forse risultare una virtù, e questa è stata la prima ragione che mi ha indotto ad accettare la proposta di raccogliere questi scritti, affidandoli volentieri a un piccolo ma coraggioso editore.
Scritti con la mano sinistra, appunto. Ovviamente nel doppio senso che si tratta, da un lato, di scritti marginali, parerga, rispetto al mio impegno professionale di studioso della filosofia antica; dall’altro, di scritti che rispecchiano più direttamente la mia collocazione politica, la mia presa di partito (questa espressione non ha naturalmente a che fare con appartenenze di “tessera”, ma con una decisione di fondo, la scelta “da che parte stare”). “A sinistra”, dunque. Una posizione alla quale mi consegnano la mia tradizione familiare, il mio percorso intellettuale e morale, la mia convinzione di un futuro possibile alternativo alla barbarie che attraversa il nostro tempo e ne minaccia l’orizzonte. Un futuro comunista, anche: con la necessaria precisazione che per “comunismo” non intendo un’identità ereditata e conclusa, in qualche misura “anagrafica” o certificata da un’iscrizione, ma appunto un orizzonte di ricerca e di azione, una prospettiva di liberazione e di giustizia, che si situa all’intersezione fra la parzialità della “presa di partito” e l’universalità che appartiene ai valori. Un’utopia, forse, della quale non nego l’ascendenza platonica oltre che giacobina e marxiana, che tuttavia, se vuole essere presa sul serio, deve poter individuare i suoi vettori storici di realizzabilità, le sue condizioni di possibilità, i livelli concreti di attuazione parziale e approssimata.
È appena il caso di aggiungere che in questi scritti non devono venire cercati né la chiave di lettura né il senso “segreto” dei miei lavori professionali di ricerca nel campo della storia della filosofia antica. Come ogni indagine disciplinare e a suo modo “scientifica”, essi contengono in se stessi, cioè nella relazione interpretativa che istituiscono con i testi e gli autori, e negli strumenti di metodo dichiaratamente messi in opera, le condizioni per la propria validità, e presentano il proprio specifico ambito di significazione. Stabilita questa necessaria clausola di salvaguardia, sarebbe tuttavia ingenuo, e anche a mio avviso metodicamente erroneo, assumere una perfetta “neutralità” dell’osservatore di fronte ai suoi oggetti di indagine, o una totale immunità di questa indagine dalla posizione extra-scientifica dello studioso. Ingenuo, erroneo e dal mio punto di vista anche inammissibile: credo infatti che la stessa tensione razionale, lo stesso sforzo di comprensione e argomentazione, ispirino e sorveglino (o almeno dovrebbero sorvegliare) sia il lavoro di ricerca sia la “presa di partito” che coinvolge l’uomo prima che il ricercatore.
Può darsi, dunque, che questi “scritti con la mano sinistra”, dichiarando esplicitamente la seconda senza riguardo per la finzione di “neutralità” del primo, contribuiscano a definire più chiaramente gli interessi intellettuali, i punti di vista da cui vengono formulate le domande di senso messe in questione nell’indagine storica. Anzi, l’esser consapevoli della propria parzialità può evitare di cadere in una tentazione, di commettere un errore storiografico in cui spesso si incorre, più o meno ingenuamente: quelli di “piantare le proprie bandierine” sul campo di indagine, cioè di riconoscere nel passato “precursori” delle idee in cui si crede (che siano il comunismo o il socialismo o il liberalismo o il cristianesimo: quanto spesso xe “Platone”Platone è stato arruolato sotto queste insegne?). Si tratta di un errore particolarmente funesto, perché lo studio del passato non serve allora a conoscere il passato stesso e per suo tramite a comprendere meglio noi stessi, bensì soltanto, narcisisticamente, a specchiarsi nel passato per riconoscervisi: il che non porta ad alcun incremento di comprensione né da una parte né dall’altra.

2. Questo libro è diviso in tre parti. La prima, Tra filosofia e politica, comprende scritti che discutono alcune problematiche filosofiche rilevanti dal punto di vista di interrogazioni che vengono, in senso lato, dalla politica. Che cosa significa la “crisi della ragione” e delle sue pretese universalistiche, tematizzata nel dibattito filosofico dell’ultimo scorcio del Novecento, dal punto di vista dei conflitti sociali e valoriali? Qual è il rilievo dell’esaurimento teorico della filosofia storicistico-dialettica dello “sviluppo”, e la sfida che esso propone a un pensiero non evoluzionistico della rivoluzione come progetto di emancipazione? Quale autonomia e quale ruolo restano all’intellettuale, e in particolare al filosofo, di fronte al dominio dei poteri sociali di conformazione della soggettività? Infine: c’è ancora uno spazio possibile per una prospettiva etica come orizzonte di senso della politica? Intorno a queste domande insistenti si articola la riflessione sviluppata – certo in modo solo incoativo – in questo primo gruppo di scritti.
La seconda sezione si intitola, per contro, Tra politica e filosofia. Qui l’oggetto di indagine sono le prospettive della politica considerate da un punto di vista filosofico. Un primo nodo problematico è costituito dalle condizioni di possibilità di una soggettività collettiva antagonista (il “partito dei comunisti”) nell’epoca del tardo-capitalismo in cui si è prodotto il progressivo logoramento delle grandi strutture di formazione di identità sociale (la fabbrica, il sindacato, l’esercito), in altre epoche capaci di esprimere una propria guida e rappresentanza politica. Emerge qui l’urgenza di pratiche collettive intese primariamente a “fare società”, cioè a creare legami sociali e progettualità collettive di cui la politica possa farsi interprete e strumento. E ancora una volta la questione dell’etica si profila come decisiva per costruire forme nuove di aggregazione sociale.
Un compito imprescindibile in questa prospettiva è quello di comprendere le ragioni della crisi dei modelli di stato e di società storicamente sperimentati dal movimento operaio e dai suoi partiti nel corso nel Novecento, e in primo luogo delle forme del cosiddetto “socialismo reale”. Ma altrettanto importante è riflettere – al di fuori delle semplificazioni propagandistiche e delle deformazioni ideologiche – sui temi della guerra e della “violenza”, tanto nelle loro dimensioni antropologiche quanto nelle implicazioni politiche che vi sono connesse.
Infine, e soprattutto, c’è l’esigenza imprescindibile di immaginare un futuro possibile, come orientamento della prassi quotidiana e anche come presupposto di un recupero valoriale della tradizione, ai fini della ricostruzione di una soggettività progettuale, di una nuova presa di coscienza della storicità capace di uscire dalle secche del “pensiero unico” e dalla minaccia della “fine della storia”. Al pari della società, la storicità non è un dato di fatto che si possa considerare acquisito, ma un obiettivo da costruire, un compito da perseguire, insomma una possibilità che non è garantita ma deve venir prodotta nell’azione collettiva di comprensione e di trasformazione.
La terza sezione, Fra gli antichi e noi, torna ad una riflessione sulla società e il pensiero dell’antichità dal punto di vista delle prospettive filosofico-politiche che si sono venute fin qui delineando. Da un lato si discutono le possibilità e i limiti di un’impiego delle categorie marxiane per l’interpretazione delle forme sociali e culturali del mondo antico: si tratta ancor oggi di uno strumento euristico indispensabile, anche per rettificare vedute dell’antico ingenue o ideologiche che ne oscurino il carattere profondamente conflittuale; uno strumento che va però maneggiato con cautela metodica e consapevolezza critica, vista la differenza che intercorre fra il sistema sociale del capitalismo moderno, in cui quelle categorie si sono formate, e la struttura delle “forme economiche pre-capitalistiche” su cui ci interroghiamo. Dall’altro lato sono in questione importanti episodi di reinterpretazione dell’antico da parte del pensiero contemporaneo, come le recenti indagini di M. Foucault sull’etica e l’antropologia antiche, e la vicenda novecentesca delle interpretazioni del pensiero politico di Platone, con i suoi abusi ideologici. Questo stesso pensiero viene infine indagato in due direzioni: l’utopia della comunità “giusta”, da un lato, e la critica – non disgiunta da un’inquietante attrazione – per una forma di potere politico assoluto ed efficace quale fu rappresentata nel IV secolo dalla tirannide: il circolo in questo modo si chiude, perché l’utopia della comunità giusta e la prospettiva del potere tirannico come strumento di trasformazione sociale ci riportano prepotentemente a questioni centrali della riflessione politica contemporanea.

3. Grandi interrogativi, dunque, per piccoli scritti. Che non aspirano davvero a fornire risposte, e neppure, in molti casi, a formulare le domande in modo filosoficamente adeguato. Ma che possono, forse, rivendicare a proprio merito lo sforzo di tenere aperto lo spazio dell’incertezza, di riproporre l’urgenza della riflessione, resistendo sia al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero, sia alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Non si tratta di un compito esclusivo del filosofo, e tanto meno dell’antichista, perché esso coinvolge la responsabilità morale e intellettuale di ognuno. Ma se sarà riuscito a riproporre, con la sua insistenza, un richiamo a questa responsabilità, a suscitare qualche consenso e naturalmente molti dissensi intorno al suo modo (certo controvertibile) di porre questioni e di condurre il ragionamento, questo piccolo libro non avrà del tutto deluso la fiducia di coloro cui si deve il progetto della sua realizzazione, e le speranze del suo autore.

Mario Vegetti


Tra i tanti altri lavori di Mario Vegetti

 

Marxismo e società antica, Feltrinelli, 1977

Marxismo e società antica, Feltrinelli

Opere di Ippocrate, UTET

Opere di Ippocrate, UTET

Ippocrate, Antica Medicina, Rusconi, 1998

Ippocrate, Antica Medicina, Rusconi

Introduzione alle culture antiche. Vol 2. Il sapetre degli antichi, Bollati Boringhieri 1992

Introduzione alle culture antiche. Il sapetre degli antichi, Bollati Boringhieri

Introduzione alle culture antiche. Vol. 3. L'esperienza religiosa antica, Bollati Borinchieri 1992

Introduzione alle culture antiche. L’esperienza religiosa antica, Bollati Boringhieri

Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis

Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis

Platone, La Repubbluca, Bibliopolis

Platone, La Repubblica, Bibliopolis

La Rapubblica di Platone nella tradizione antica, Bibliopolis

La Rapubblica di Platone nella tradizione antica, Bibliopolis

Galeno, Nuovi scritti autobiografici, Carocci

Galeno, Nuovi scritti autobiografici, Carocci

Dialoghi con gli antichi, Academia

Dialoghi con gli antichi, Academia

Platone, La Repubblica (Libri V-VI-VIII), Radar, 1969

Platone, La Repubblica (Libri V-VI-VIII), Radar

Platone, La repubblica, Rizzoli

Platone, La Repubblica, Rizzoli

Platone, Reoubblica, Libro 11, Lettera XIV. Socrate incontra Marx. Lo straniero di Treviri, Guida 2004

Platone, Reoubblica, Libro 11, Lettera XIV. Socrate incontra Marx. Lo straniero di Treviri, Guida

Platone. Las Repubblica, Laterza 2007

Platone. La Repubblica, Laterza

Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico, Il Saggiatore

Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico, Il Saggiatore

Polis e economia nella Grecia antica, Zanichelli

Polis e economia nella Grecia antica, Zanichelli

L'uomo e gli dei, Kindle Edition

L’uomo e gli dei, Kindle Edition

Guida alla lettura della Repubblica di Platone,Laterza, 2007

Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Laterza

Quindici lezioni su Platone, Einaudi 2003

Quindici lezioni su Platone, Einaudi

Libertà e democrazia. La lezione degli antichi e la sua attualità, Ed. Casa della Cultura

Libertà e democrazia. La lezione degli antichi e la sua attualità, Ed. Casa della Cultura

Aristotele. Metafisica. Antologia, La Nuova Italia, 2001

Aristotele. Metafisica. Antologia, La Nuova Italia

Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi 2016

Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi

L'etica degli antichi, Laterza, 2010

L’etica degli antichi, Laterza

«Un paradigma in cielo». Platone politico da Aristotele al Novecento, Carocci 2016

«Un paradigma in cielo». Platone politico da Aristotele al Novecento, Carocci

Chi comanda nella città. I greci e il potere, Carocci 2017

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Lucio Russo – Sfatare alcuni miti della storia della scienza. Da «La Rivoluzione dimenticata» … a «La bottega dello scienziato», passando per «Stelle, atomi e velieri» con il forte riferimento a «Euclide».

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Anassimandro

 

«Il primo mito consiste nell’idea diffusa che la scienza nasca essenzialmente nel XVII secolo, come se i suoi precedenti nella cultura antica fossero trascurabili. Poiché la scienza rinacque in epoca moderna dallo studio degli antichi trattati recuperati, ignorare il rapporto tra gli scienziati della prima età moderna e le loro fonti ellenistiche impedisce di cogliere l’origine delle idee degli scienziati moderni, che appaiono misteriose e immotivate. Il secondo mito attribuisce gli sviluppi della scienza a una disinteressata ricerca della “Verità”, recidendo il rapporto, che è stato quasi sempre essenziale, tra gli sviluppi teorici e l’esigenza di risolvere problemi di interesse pratico. Il terzo consiste nell’attribuire a pochi geni isolati quasi tutti i risultati scientifici, che il più delle volte sono invece dovuti a un complesso lavoro collettivo. Da alcuni decenni è spesso citata una legge (attribuita a vari autori) secondo la quale, quando una scoperta scientifica è citata con il nome di uno scienziato, l’unica cosa certa è che non si tratta del vero scopritore».

Lucio Russo, intervista pubblicata in  Math is in the air, 4 settembre, 2016.

 


I LIBRI DI LUCIO RUSSO
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La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, 1996.

La scienza moderna non nasce con Galileo e Newton. Le sue origini vanno retrodatate di almeno 2000 anni, alla fine del IV sec. a.C. La Rivoluzione scientifica del XVIII sec. riscopre la Rivoluzione ellenistica di figure come Euclide, Archimede, Erarstotene, Aristarco di Samo e di tanti altri raffinati scienziati. Lo studio della “rivoluzione scientifica”, cioè della nascita dello sviluppo scientifico, è indispensabile per la comprensione della “civiltà classica”. Inoltre, l’esame del ruolo svolto dalla scienza nella civiltà ellenistica è essenziale per la valutazione di alcune questioni di capitale importanza per la storiografia, dal ruolo di Roma alla decadenza tecnologica medievale alla “rinascita scientifica” moderna.

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Segmenti e bastoncini, Feltrinelli, 1998, 2000.

Agli insegnanti che sentono il loro ruolo fondamentale per la formazione di futuri cittadini liberi, ai genitori che sperano che i propri figli acquisiscano delle competenze nel lavoro scolastico, va detto chiaro e netto che la scuola come continua a essere immaginata nella riforma scolastica oggi in corso va in tutt’altra direzione. La riforma, secondo Lucio Russo, allinea la scuola italiana agli standard americani, abbassa i livelli di competenza reale, esclude la trasmissione degli strumenti essenziali alla creazione di nuovo sapere, rende l’insegnamento sempre più generico. Segmenti e bastoncini ha suscitato polemiche, consensi e condanne, ma soprattutto un largo dibattito che dalla stampa si è esteso nella scuola, ed è destinato a continuare.

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Scienza, cultura, filosofia, CRT, 2002.

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Flussi e riflussi: indagine sull’origine di una teoria scientifica, Feltrinelli, 2003.

Questo piccolo libro ricostruisce per la prima volta nella sua interezza la storia della scoperta della teoria astronomica delle maree. Si tratta di un caso esemplare di mancata trasmissione delle conoscenze, dovuto in gran parte a una comunità scientifica – quella romana e medievale – che, sotto l’influsso di una cultura dominante avversa, aveva finito col perdere le capacità di padroneggiare certi risultati scientifici. Oggi nei manuali standard la prima formulazione della teoria viene attribuita a Newton, il quale ne diede la versione completa nei Principia mathematica, unitamente alle leggi sulla gravitazione universale. Questa attribuzione però è errata, come dimostra Lucio Russo, non solo perché a essa avevano contribuito molti altri studiosi, che avevano preceduto Newton, ma soprattutto perché, già nella Grecia ellenistica, Eratostene e Seleuco, basandosi su una serie di osservazioni rese possibili dall’espandersi delle esplorazioni navali, ne avevano dato una descrizione completa e “moderna”. Ci troviamo dunque in presenza di una vicenda ricca di spunti di riflessione. Paradigmatico è il modo in cui la teoria greca era caduta nell’oblio, sopravvivendo in maniera frammentaria e dispersa. Paradigmatico il modo in cui da questi frammenti sparsi fu poi possibile rigenerarla. Paradigmatico il modo in cui più personalità vi lavorarono, aggiungendo tassello a tassello fino ad arrivare a quell’uno – Newton appunto – che poté apporre la sua firma alla scoperta. La ricostruzione di Russo è condotta attraverso l’esame di documenti originali e indiziari, incrociando testimonianze provenienti da ambiti diversi, con un metodo quasi “poliziesco” che partendo dal diciassettesimo secolo ripercorre a ritroso la vicenda fino alle sue lontante origini nel secondo e terzo secolo a.C.

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La cultura componibile. Dalla frammentazione alla disgregazione del sapere, Liguori, 2008.

l libretto contiene una riflessione, basata anche su ricordi personali relativi a un complesso itinerario culturale, sulla necessità di superare lo specialismo per tentare di costruire un generalismo che eviti la superficialità e, allo stesso tempo, sulle difficoltà incontrate da chi si pone oggi un tale obiettivo. Il superamento dei confini disciplinari, che è spesso essenziale anche per risolvere problemi sorti all’interno di singoli settori ed è inevitabile da parte di chi svolge un lavoro intellettuale con passione, richiede infatti non solo l’impiego di molte energie intellettuali, ma anche il superamento di ostacoli, oggettivi e soggettivi, creati dalle attuali strutture teoriche e organizzative del mondo della conoscenza. Il problema è illustrato descrivendo i rapporti, essenziali ma difficili, tra fisici e matematici, matematici puri e matematici applicati, storici della scienza e scienziati, filologi classici e storici della scienza antica. Ci si sofferma in particolare sui danni prodotti dalla crescente divaricazione tra scienza pura e applicata e dall’indebolimento della memoria storica degli scienziati. Si argomenta contro la pseudo-soluzione, sempre riproposta, di creare nuove specializzazioni negli interstizi di quelle esistenti. Il superamento di un angusto specialismo è reso sempre più arduo non solo dalla crescita esponenziale delle informazioni disponibili non accompagnata da una crescita altrettanto veloce di nuove sintesi, ma anche dall’evoluzione del sistema educativo occidentale che, spostando la serietà degli studi a livelli sempre più elevati di età e di specializzazione, ha prodotto un continuo indebolimento della cultura generale condivisa. I problemi precedenti assumono particolari connotazioni (per lo più, ma non esclusivamente, negative) nella situazione italiana.

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Archimede. Massimo genio dell’umanità, Canguro, 2009.

 La collana “Gli iniziatori” è stata ideata per presentare i principali protagonisti della scienza a un pubblico di giovani lettori attraverso un appassionante racconto, nel quale s’intrecciano aspetti biografici, storici, letterari e autentici contenuti scientifici. Un modo semplice e accessibile a tutti per ripercorrere le principali tappe del progresso scientifico e comprendere la genesi di teorie innovative, destinate a cambiare per sempre la storia dell’umanità. Protagonista di questo volume è il genio poliedrico di Archimede, scienziato e inventore siracusano. Età di lettura: da 6 anni.

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Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia, con E. Santoni, Feltrinelli, 2010.

Una sintesi dello sviluppo scientifico in Italia dal 1200 a oggi che propone tesi interpretative di carattere generale. La tradizione che a lungo ha emarginato la scienza da importanti settori della cultura italiana è bene esemplificata dall’epiteto “ingegni minuti”, attribuito ai cultori della scienza esatta da Giambattista Vico in un brano fatto proprio da Benedetto Croce. Quali sono le radici di questa tradizione e quali sono state le realtà culturali di diverso segno presenti nel paese? Qual è stato il contributo del Rinascimento italiano al sorgere della scienza europea? Perché, dopo i successi della scuola galileiana, la ricerca italiana entrò rapidamente in una profonda crisi? L’esame dei risultati degli scienziati risorgimentali può modificare, e come, il giudizio storico sul Risorgimento? Quali sono le cause della crisi in cui versa la ricerca scientifica italiana dagli anni ’70 del secolo scorso? La globalizzazione lascia spazio a politiche scientifiche nazionali o europee? Ecco alcune delle domande cui questo libro tenta di rispondere, intrecciando gli sviluppi scientifici con la storia economica e politica, oltre che culturale. È infatti convinzione degli autori non solo che la storia della scienza possa essere compresa solo esaminando i contesti che forniscono alle comunità scientifiche i problemi concreti da affrontare e le risorse, culturali e materiali, per risolverli, ma anche che la storia di un paese non possa prescindere dalla storia della sua ricerca scientifica.

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L’America dimenticata. I rapporti tra le civiltà e un errore di Tolomeo, Mondadori, 2013.

La quasi totalità degli studiosi ha finora negato l’esistenza di antichi contatti tra l’America e il Vecchio Mondo, ma in questo libro, indagando su una questione apparentemente secondaria di storia della geografia (l’origine di un grossolano errore di Tolomeo), si dimostra che le fonti ellenistiche dell’antico geografo conoscevano latitudini e longitudini di località dell’America centrale. Questa scoperta costringe a rivedere sotto una nuova luce molti aspetti della storia. Da una parte mostra come il crollo delle conoscenze che investì il mondo mediterraneo all’atto della conquista romana sia stato ben più profondo di quanto in genere si creda. Dall’altra apre nuovi possibili scenari di lungo periodo, lasciando intravedere la possibilità di sostituire all’idea oggi dominante dell’evoluzione indipendente e parallela delle civiltà un’unica storia, connessa sin dalla remota antichità.

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Stelle, atomi e velieri. Percorsi di storia della scienza, Mondadori, 2015.

La scienza è spesso vista come un metodo di indagine dei fenomeni naturali sviluppato per puri fini conoscitivi e tipico della modernità. In questo libro, ricostruendo la storia di lungo periodo di alcune idee scientifiche, si mostra come la storia della scienza sia comprensibile solo mettendo a fuoco la continuità tra scienza antica e moderna, e indagando il rapporto, spesso indiretto ma quasi sempre determinante, tra la ricerca “teorica” e l’esigenza di risolvere problemi concreti. Lo studio delle storie parallele di idee scientifiche di varia origine mostra non solo connessioni profonde e spesso sorprendenti, ma anche la ricorrenza di fenomeni tipici, come la periodica perdita di conoscenze e il sorgere di “miti di fondazione” che attribuiscono a singoli geni l’esito di complessi percorsi collettivi.

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La bottega dello scienziato. Introduzione al metodo scientifico, con A. Della Corte, il Mulino, 2016.

Nel senso comune i risultati delle scoperte scientifiche suscitano stupore e meraviglia non meno che incomprensione, mentre verso gli scienziati che li hanno ottenuti si nutre una sorta di ammirata reverenza. Fuori dal mito, come lavorano gli scienziati? Qual è il loro metodo? È quanto ci fa capire il libro che, dopo aver introdotto il concetto di teoria scientifica attraverso pochi semplici esempi (uno fra tutti: la teoria eliocentrica), ci accompagna nella bottega dello scienziato, descrivendo non il suo prodotto finito, ma alcuni degli strumenti usati per costruirlo.

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Euclide: il I libro degli Elementi, con E. Salciccia, G. Pirro, Carocci Editore 2017.

Gli Elementi di Euclide hanno costituito per più di due millenni il testo base dell’insegnamento scientifico. Già il titolo mostra come l’autore intendesse esporre conoscenze basilari, fornendo gli strumenti utili per raggiungere risultati più avanzati. La geometria – il principale argomento dell’opera – era infatti la base di tutta la scienza esatta dell’epoca e i problemi di astronomia, ottica, meccanica, idrostatica, geografia matematica, topografia e così via venivano risolti disegnandone la soluzione. Il i libro degli Elementi è qui ricostruito eliminandone alcuni brani, individuati come spuri per la loro incongruenza logica/con il contesto. Ne è risultato un teéto più coerente e didatticamente efficace di quello trasmesso dalla tradizione manoscritta, il cui studio può fornire ancora oggi una preziosa guida metodologica.

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LE COPERTINE

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La rivoluzione dimenticata

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La rivoluzione dimenticata

La rivoluzione dimenticata 02

La rivoluzione dimenticata

Segmenti e bastoncini 02

Segmenti e bastoncini

Segmenti e bastoncini 05

Segmenti e bastoncini

Segmenti e bastoncini04

Segmenti e bastoncini

Fluissi e riflussi

Flussi e riflussi

La cultura componibile, dalla frammentazione alla disgregazione del sapere

La cultura componibile

Archimede. Massimo genio dell'umanità,

Archimede

Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia

Ingegni minuti. Una storia della scienza in Italia

L'America dimenticata

L’America dimenticata

Stelle, atomi e velieri

Stelle, atomi e velieri

La bottega dello scienziato

La bottega dello scienziato

Euclide, il primo libro degli Elementi

Euclide, il I libro degli Elementi

 


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Stelle, atomi e velieri: intervista al prof. Lucio Russo [parte 1] | Math is …
Stelle, atomi e velieri, intervista al prof. Lucio Russo [parte 2] | Math is …
Intervista telematica al prof. Lucio Russo – Edscuola
Incontro con Lucio Russo al dipartimento di Filosofia
Cosa sta accadendo alla scienza? Un articolo di Lucio Russo

 


 Vedi anche:

Lucio Russo – Cosa sta accadendo alla scienza?

 

 

Lucio Russo
Alcune osservazioni sui contenuti dell’insegnamento
[Pubblicato su Koinè (Metamorfosi della scuola italiana), Anno VII, NN° 1-2 – Gennaio/Giugno 2000], pp. 20.
indicepresentazioneautoresintesi

«Se esiste un’idea guida nell’attuale processo di riforma della scuola italiana essa sembra consistere nella tendenza ad “alleggerire”, se non eliminare, i contenuti dell’insegnamento, riducendo le funzioni delle istituzioni scolastiche a quelle di accogliere i giovani, favorirne la socializzazione e guidarli nelle scelte di consumo. Una scuola ridotta a luogo di socializzazione e di assuefazione all’uso di prodotti rischia di produrre cittadini di seconda classe, privi di qualsiasi strumento critico verso il mondo che li circonda. Anche se forze potenti, cui sembra difficile opporsi, spingono in questa direzione, credo che sia essenziale salvare almeno spazi di riflessione e discussione critica che, se ben difficilmente possono sperare oggi di invertire la tendenza, potrebbero divenire essenziali domani. La situazione in cui ci troviamo oggi è infatti in larga misura conseguenza di un grave deficit culturale accumulato nell’arco di molti decenni. Non voglio certo negare le responsabilità dell’attuale governo nel perseguire l’obiettivo della distruzione di una scuola pubblica di qualità (anche se sono propenso a credere che si tratti di un obiettivo in larga misura inconsapevole), ma si sbaglierebbe individuando nell’attuale classe politica italiana l’origine, o anche solo un fattore rilevante, della crisi dell’istituzione scolastica e in particolare dei suoi contenuti disciplinari. Si tratta in realtà di una tendenza molto forte in tutto il mondo occidentale, anche se in Italia si presenta con varie aggravanti, tra le quali è certamente presente il provincialismo e l’insipienza. Credo che all’origine della crisi della scuola pubblica europea vi sia la convergenza di fattori di diversa natura, che comprendono fenomeni economici e politici, come la concentrazione produttiva e la globalizzazione, e allo stesso tempo importanti processi culturali che hanno posto in crisi i contenuti disciplinari tradizionali. Questo articolo contiene soprattutto alcune osservazioni su quest’ultimo punto. Una prima osservazione, completamente ovvia, è quella che l’attuale parcellizzazione del sapere è all’origine di due tendenze didattiche apparentemente opposte, ma in realtà convergenti. Da una parte si rivendica l’esigenza di un insegnamento che, variamente definito come “interdisciplinare”, “multidisciplinare” o in altri modi simili, è caratterizzato dall’evitare l’acquisizione di efficaci strumenti concettuali, privilegiando quel continuo vagare da un argomento all’altro a un livello di costante superficialità, che ha nella “navigazione” casuale e senza meta in Internet il suo principale strumento e il suo modello. Dall’altra si moltiplicano le proposte di inserire nella scuola discipline nuove: dall’ecologia alla psicologia, dall’economia alla storia del cinema, dall’antropologia alla sociologia. Entrambe le tendenze, insieme a una serie di fenomeni che riguardano le singole discipline, alcuni dei quali saranno accennati nel séguito, favoriscono l’abbandono di qualsiasi obiettivo formativo (necessariamente basato sull’individuazione di alcune discipline cardine), sostituendo allo studio la raccolta casuale di informazioni sparse (o, preferibilmente, qualche altra attività più gratificante)».

Lucio Russo


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