Salvatore Bravo – La meritocrazia è il nichilismo nella forma della competizione. Non vi sono più valori universali, non resta che la forza del censo a guidare l’atomistica delle solitudini. La tirannia del merito uccide la democrazia. La meritorietà è altro rispetto alla meritocrazia.

Salvatore Bravo

La meritocrazia è il nichilismo nella forma della competizione

Non vi sono più valori universali, per cui non resta che la forza del censo a guidare l’atomistica delle solitudini. La tirannia del merito sta uccidendo la democrazia. Già nel 1958 Michael Young inventava questa parola nel suo romanzo distopico Rise of the Meritocracy [L’avvento della meritocrazia] in opposizione all’’esaltazione ideologica del principio del merito.

 

Meritocrazia

La parola “meritocrazia” è una delle parole più abusate e meno pensate nel sistema attuale. Il neoliberismo usa le parole come feticci, divengono dei catalizzatori di consenso non mediati dalla pubblica discussione. Il nuovo dogmatismo con le sue “prescrizioni religiose” è intessuto di parole che parlano attraverso gli ignari sudditi. Le parole disegnano mondi, organizzano le geometrie degli incontri e, specialmente, inscrivono confini tra inclusi ed esclusi o tra vincenti e perdenti. L’ordine del discorso costruisce gabbie invisibili nelle quali i soggetti sono gerarchizzati. Il loro consenso è strappato mediante la ripetizione continua delle parole-mantra e con l’oscuramento del pensiero critico. Le parole sono gli anelli che costruiscono e forgiano un’invisibile catena.

Il termine “meritocrazia” è uno dei termini più antidemocratici che il sistema liberista utilizza. Il merito (dal latino mereor: guadagnare) è associato al potere (crazia: kratos). Il singolo che raggiunge taluni risultati socialmente riconosciuti con la sua volontà e con il suo impegno è premiato col potere.

L’individualismo più spinto e astratto occulta che il merito dell’individuo è sempre legato alle istituzioni, al gruppo sociale di appartenenza e alla famiglia di provenienza. Il successo del singolo è il risultato di una cornice di relazioni positive, la meritocrazia è il mezzo con cui eliminare la società in nome del solo atomismo sociale. Il soggetto si autocrea al punto da meritare il potere.

La meritocrazia giustifica la gerarchia sociale, i più meritevoli ricevono l’investitura feudale, possono gestire personalmente il potere, sono i dirigenti del sistema indiscussi e indiscutibili, poiché nel campo di battaglia della competizione sono stati duri e competenti al punto da sbaragliare i contendenti.

La meritocrazia è negazione della democrazia sociale e reale.

La democrazia è potere collettivo e comunitario. Il potere, stile leader, invece, consegnato al singolo diviene antidemocratico, poiché è riposto in un singolo dal quale tutto dipende, i sudditi devono obbedire ed eseguire. Si esclude, quindi, dalla condivisione e dal controllo l’esercizio del potere che diviene dominio e gerarchia.

La linea è tracciata: nell’Empireo vi sono i nuovi signori e padroni, in basso i servi della gleba colpevoli di non essere resilienti. La gerarchizzazione si struttura con un processo linguistico non mediato dall’uso della pubblica ragione. In una democrazia un singolo non ha potere, si mette al servizio della comunità nel pubblico e nel privato come prevede la nostra Costituzione. La democrazia è una sinfonia a più voci, in cui il merito non interrompe la sinfonia, ma affina la corale musicalità, la meritorietà lavora per innalzare il livello medio della consapevolezza e della partecipazione, la meritocrazia introduce il razzismo senza razza, consegna i perdenti nel limbo della passività. La meritocrazia è cacofonica, è rottura dell’armonia, l’individuo canta a voce sola, silenzia le altre voci, è violenza legalizzata. Essa i principi costituzionali per diffondere il disprezzo e la paura per i perdenti-poveri. L’aporofobia, la paura dei poveri, e la violenza che ne consegue è il risultato della meritocrazia: potere ai meritocratici, l’abisso della precarietà ai perdenti.

L’astratto non consente di comprendere che la povertà è l’effetto della cattiva distribuzione della ricchezza, quest’ultima non è da intendersi solo in senso materiale, ma come opportunità formative sempre più legate al censo e meno al merito reale.

 

Meritorietà

La meritorietà è altro rispetto alla meritocrazia, è il premio senza il potere-dominio. È il riconoscimento sociale di una differenza, ma all’interno della cultura del servizio. I meriti personali non devono assediare le istituzioni democratiche e l’uguaglianza giuridica. Meritorietà è cultura dell’opportunità, è libertà di mettere in discussione il sistema. La meritocrazia è investitura con concorsi e selezione del personale nel quale chi vince la selezione è organicamente orientato a riprodurre il potere e il sistema sociale. Dinanzi a coloro che per “merito” sono i selezionatori sono vocati a dimostrare le loro competenze e a rassicurare di riprodurre il dominio.

La meritorietà spogliata del potere consente la libertà e l’uso pubblico della ragione: coloro che occupano posizioni di vertice, se detengono un potere minimo non possono impedire la ragione critica che innova il sistema, svela le contraddizioni e orienta verso il nuovo. L’uomo e la donna soli al comando sono l’immagine e la verità di un sistema che ha scelto il dominio e ha rinunciato alla democrazia.

Alla parola meritocrazia dobbiamo sostituire la parola meritorietà, in quanto in una democrazia il potere spetta non ai singoli, ma alle istituzioni etiche governate, vissute e pensate dalla comunità.

Il Ministero dell’istruzione ribattezzato Ministero dell’istruzione e del merito dovrebbe preoccupare tutta la comunità democratica. La meritocrazia nella scuola può tradursi, nel clima presente, in esclusione degli alunni socialmente deboli, e un’ulteriore spinta verso la verticalizzazione della scuola, la quale da istituzione etica e comunitaria rischia di diventare luogo anonimo in cui si sperimenta il neofeudalesimo e si abituano alunni e personale alla normalità del dominio dei dirigenti.

La meritocrazia è il nichilismo nella forma della competizione. Non vi sono più  valori universali, per cui non resta che la forza del censo a guidare l’atomistica delle solitudini. Il potere come dominio è ciò che resta dopo l’abbattimento violento di ogni metafisica e di ogni verità.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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