Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Il termine «mio» poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che alcuni chiamano «sentimento» di proprietà, o diritto di proprietà. Le parole che essi ritengono assai importanti sono: mio, mia, miei.

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Quando più tardi ampliai l’orizzonte delle mie osservazioni, mi convinsi che il termine mio non si riferisce soltanto a noi cavalli, ma in generale poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che essi chiamano sentimento di proprietà o diritto di proprietà.

 

storia di un cavallo

Lev Tolstòj, Cholstomer. Storia di un cavallo

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L’io narrante è un cavallo, che dice:

Quello che dicevano della flagellazione e del cristianesimo io capivo assai bene; a quel tempo però mi era ancora completamente oscuro il significato delle parole Il suo cavallo, dalle quali mi sembrava di intuire che, secondo l’opinione degli uomini, tra me e il padrone della scuderia dovesse esistere una qualche relazione. In che cosa consistesse questa relazione, allora non lo potevo comprendere. Solo molto più tardi, quando fui separato dagli altri cavalli, capii che cosa significasse quella espressione.

Ma allora io non potevo comprendere che cosa volesse dire in concreto la mia attribuzione in proprietà ad un uomo.

L’espressione Il mio cavallo si riferiva a me, un cavallo vivo, e mi appariva strana come le parole: la mia terra, la mia aria, la mia acqua.

Ad ogni modo queste parole mi facevano una grande impressione e ci rimuginavo su costantemente.

Il significato che gli uomini davano ad esse lo capii solo molto più tardi, quando ebbi fatto con loro le più svariate esperienze.

Questo significato è il seguente: nella vita umana l’essenziale non sono i fatti, ma le parole. Agli uomini non importa tanto la possibilità di fare o non fare qualcosa quanto la possibilità di parlare di qualsiasi oggetto usando determinate parole convenzionali.

Queste parole, che essi ritengono assai importanti, sono: mio, mia, miei; e si riferiscono alle cose più diverse; a esseri, a oggetti, persino alla terra, a uomini, a cavalli.

Gli uomini hanno stabilito che può essere soltanto uno di loro a chiamare mia una determinata cosa. E chi, in questo gioco che hanno inventato, riesce a chiamare mio il maggior numero di oggetti, viene considerato il più felice. Io non so perché le cose stiano così, ma in effetti stanno realmente così. Un tempo ho cercato di spiegarmele pensando che a questo riconoscimento fosse legato un qualche diretto vantaggio, ma questa supposizione si è rivelata erronea.

Ad esempio: molti tra gli uomini che mi definivano il loro cavallo, non mi cavalcavano; a cavalcarmi era tutt’altra gente. Neppure mi davano il foraggio; anche questo erano altri a farlo. Del bene me lo fecero non quelli che mi chiamavano Il mio cavallo, ma vetturini, veterinari o comunque persone estranee.

Quando più tardi ampliai l’orizzonte delle mie osservazioni, mi convinsi che il termine mio non si riferisce soltanto a noi cavalli, ma in generale poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che essi chiamano sentimento di proprietà o diritto di proprietà.

L’uomo dice: La mia casa anche se non vi abita mai, anche se si occupa soltanto della sua costruzione e della sua manutenzione.

Il commerciante dice: Il mio negozio; ad esempio: Il mio negozio di stoffe, ma non si fa confezionare i suoi abiti neppure con le migliori stoffe che vi tiene.

Vi sono uomini che chiamano loro un pezzo di terra e non hanno mai visto questa terra né vi hanno mai messo piede.

Vi sono uomini che dicono mio a proposito di altri uomini pure senza averli mai visti e sebbene l’unico rapporto con loro consista nel farli soffrire.

Vi sono uomini che dicono La mia donna, anche se questa vive con altri. E nella vita questi uomini non tendono a fare ciò che ritengono buono e giusto ma a definire come loro il maggior numero possibile di cose.

Io sono convinto adesso che la differenza sostanziale tra noi e gli uomini sta proprio qui. Già per questo semplice fatto – e anche trascurando tutti gli altri vantaggi che abbiamo rispetto a loro – abbiamo il diritto di affermare che, nella gerarchia degli esseri viventi, noi stiamo un gradino più su degli uomini. L’attività degli uomini, almeno di tutti quelli con cui io ho avuto a che fare, è determinata dalle parole, non dai fatti».

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Lev Tolstòj, Cholstomer. Storia di un cavallo, in Id., Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Vol. II (testo, nella traduzione di Serena Prina), Vol. II, pp. 1408-1410, Commento e note ai testi, I Meridiani, V ed., maggio 2005.


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