Salvatore A. Bravo – La pedagogia del coding. Pensare come una macchina. L’efficienza è l’obiettivo finale. L’obbiettivo e disellenizzare. Il coding è costruzionismo attivistico. Al coding si può opporre la cultura classica.

Coding

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Salvatore A. Bravo

La pedagogia del coding

 

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Gli oratores sono al capezzale del capitalismo assoluto: la pedagogia ed i pedagogisti sono parte essenziale della sovrastruttura che contribuisce ad eternizzare il capitale. Il pensiero computazionale è l’ultima strategia per introdurre l’intelligenza di Stato attraverso una serie di pratiche metodologiche. Si vuole orientare l’intelligenza, che notoriamente è al plurale nelle sue forme, verso un modello organico al capitalismo. Il pensiero computazionale è molto più che una procedura di analisi, esso struttura, standardizza la personalità, la quale deve procedere e muoversi nel quotidiano secondo le procedure algoritmiche. L’introduzione-imposizione è organizzata con un artificio ideologico, ovvero si afferma di voler affinare la creatività, che il pensiero computazionale è imprescindibile per rivoluzionare in senso creativo la didattica e le personalità. Naturalmente è il cavallo di Troia, con cui riaffermare le pratiche del mercato all’interno della scuola e ridimensionare, fino a rendere complementare la formazione dell’essere umano: in sua vece vi è l’addestramento al mercato. Se fosse stato autentico l’intento di sollecitare la creatività, la scuola per tradizione ha innumerevoli potenzialità già in atto in tal senso: la lettura del classici, la traduzione, il dialogo quale buona pratica, le discipline artistiche.

Pensare come una macchina
Le macchine informatiche per risolvere problemi scompongono, analizzano le varie fasi, per individuare la soluzione finale. Si tratta di problemi empirici che presuppongono un orientamento lineare. L’azione della scomposizione, astrazione, generalizzazione sostanzializzano la logica del problem solving, per cui il soggetto macchina è interno alla realtà empirica, il suo l’orizzonte deve limitarsi ad una gittata limitata, deve agire all’interno di un cono poietico. L’essere e la macchina si avvicinano, la differenza qualitativa si assottiglia in favore della differenza quantitativa sempre più limitata. La scuola, in questa prospettiva, sin dalla più tenera età deve formare non la persona, ma il programmatore, deve in tal maniera canalizzare l’intelligenza con le sue innumerevoli sfumature e potenzialità verso un modello unico: l’uomo seriale da laboratorio diviene il fine di tale operazione. In un contesto in cui arretra il pensiero metafisico-teoretico a favore degli automatismi procedurali, nel quale ogni problema etico o politico è esemplificato, qualora si ponga il problema, l’introduzione obbligatoria con la legge 107 del pensiero computazionale, assume in tale contesto una valenza regressiva. In presenza di una formazione finalizzata all’uomo ed al cittadino, allo sviluppo delle intelligenze plurali, il pensiero computazionale avrebbe un’altra valenza, ma in un contesto di scientismo, di riduzione di tutto alla sola categoria della quantità, il pensiero computazionale assume un’inquietante presenza: il fine non è il pensiero critico, il quale necessita del pensiero complesso e della metariflessione finalizzata a pensare contenuti e metodologie di indagine, ma formare individui pronti all’uso per il sistema, e che pensano secondo procedure stabilite dal sistema. Tale operazione è da mettere in pratica sin dagli anni della scuola primaria, per plasmare le menti del cittadino-suddito futuro ad immagine e somiglianza del sistema capitale. La formazione della persona necessita dello sviluppo delle capacità linguistiche-relazionali, nel caso del pensiero computazionale la lingua (inglese) è solo una strumento positivistico per raccogliere dati, selezionarli, elaborarli in vista di problemi puramente empirici. Immaginiamo un contesto di svantaggio culturale sempre più diffuso, la vera urgenza sarebbe potenziale la formazione linguistica e relazionale: pertanto non si vuole rispondere alle reali esigenze educative degli alunni, ma semplicemente si vuole imporre dall’alto un sistema scolastico che soddisfa i bisogni del mercato.

Coding: la definizione degli esperti
Jeannette Wing in un articolo del 2006, Computational Thinking, ha definito il pensiero computazionale: «È quel processo mentale che sta alla base della formulazione dei problemi e delle loro soluzioni così che le soluzioni siano rappresentate in una forma che può essere implementata in maniera efficace da un elaboratore di informazioni sia esso umano o artificiale».
Nella guida per gli insegnanti Computing At School [3, p. 6] si definisce il pensiero computazionale come un «processo cognitivo e di pensiero che coinvolge logiche e ragionamenti attraverso i quali i problemi sono risolti e gli artefatti, le procedure e i sistemi compresi». Le abilità di riflessione computazionale devono diventare la struttura della personalità, infatti: «si riferiscono a capacità di pensare e risolvere problemi in tutto il curriculum e nella vita in generale. Il pensiero computazionale può essere applicato a una vasta gamma di manufatti».

 

Il principio di prestazione
Si tratta dunque di un pensiero e di una percezione dell’empirico finalizzata alla soluzione di problemi empirici per superare ostacoli organizzativi e produttivi. Il fine educativo è la prestazione. Con il pensiero computazionale si vuole non solo inibire l’intelligenza non organica al sistema, ma specialmente esso è la precondizione per la competizione globale. Nella lotta darwiniana per il pensiero computazionale è la riserva aurea che forma all’atomismo sociale, in quanto anche quando presuppone la collaborazione, essa non è un valore in sé, non si trasforma in solidarietà, ma è la giustapposizione di individui che devono risolvere un problema in funzione di un obiettivo legato alle sole logiche della produttività: la formazione all’imprenditore si integra con il pensiero computazionale. La razionalità strumentale è il presupposto del pensiero computazionale. Naturalmente una volta che l’obiettivo è stato raggiunto il gruppo si disfa. Ci si trova dinanzi a una nuova forma di repressione disciplinare. Il capitale necessita che il suddito consumatore trovi sempre nuove strategie di vendita, produca nuovi prodotti senza mai mettere in epochè la procedura. L’attore e lo spettatore sono così speculari, immediatamente biunivoci, per cui ogni dialettica concettuale è rimossa. L’efficienza è l’obiettivo finale, se il soggetto in tale contesto sia protagonista o oggetto è un dettaglio. Il potere non usa il terrore, ma la formazione per canalizzare i soggetti verso le necessita attuali del modo della produzione:

«Questa repressione, così differente da quella che caratterizzava gli stadi precedenti, meno sviluppati, della nostra società, opera oggi non da una posizione di immaturità naturale e tecnica, ma piuttosto da una posizione di forza. Le capacità (intellettuali e materiali) della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata. La nostra società si distingue in quanto sa domare le forze sociali centrifughe a mezzo della Tecnologia piuttosto che a mezzo del Terrore, sulla duplice base di una efficienza schiacciante e di un più elevato livello di vita. Indagare quali sono le radici di questo sviluppo ed esaminare le loro alternative storiche rientra negli scopi di una teoria critica della società contemporanea, teoria che analizza la società alla luce delle capacità che essa usa o non usa, o di cui abusa, per migliorare la condizione umana. Ma quali sono i criteri di una critica del genere?». [1]

 

Il coding come dispositivo
Il coding diviene l’introiezione della macchina informatica (Gestell/dispositivo): attraverso di essa il potere diventa biopotere, poiché il soggetto pensa come una macchina, domina le contingenze con l’ausilio di strumenti tecnologici che comprende, anche perché ragiona e procede in modo simile, l’automazione è nella carne, l’ordine da dare al mondo ha trovato un protocollo universale:

«L’Io diventa precondizionato a dominare l’azione e la produttività, anche prima che si presenti un’occasione specifica che renda necessario questo atteggiamento. Max Scheler ha rilevato che “l’impulso o la volontà di potenza, consci e inconsci, che tendono a dominare la natura, sono il primum movens” nella relazione dell’individuo moderno con l’esistenza; essi strutturalmente precedono la scienza e la tecnica moderna – un precedente “pre- e a-logico” rispetto al pensiero e all’intuizione scientifica. La natura viene esperita a priori da un organismo teso alla dominazione, e quindi intesa come passibile di dominio e controllo. E il lavoro è quindi potenza e provocazione aprioristiche nella lotta con la natura; è superamento di resistenza. In un simile atteggiamento, le immagini del mondo oggettivo appaiono come “simboli di punti di aggressione”; l’azione appare come dominio, e la realtà in sé come “resistenza”. Scheler chiama questo modo di pensare “conoscenza attrezzata per il dominio e la realizzazione” e vede in esso il modo specifico di conoscere che ha improntato lo sviluppo della civiltà moderna».[2]

La rivoluzione reazionaria del coding
Il coding ha un fine sottilmente reazionario: eternizzare il presente espellendo le procedure disfunzionali alla produzione ed al consumo. La forza del nuovo sistema formativo “coding” è nel silenzio di ogni opposizione, non si pone il problema se esso sia funzionale ai bisogni del cittadino o del mercato, poiché “in ogni parte politica” si sovrappone politica ed economia, anzi l’economicismo, il martello dell’economia, come afferma Latousche guida tutti, per cui la cittadinanza è nella sola forma del mercato, non più cittadini dello Stato, ma del mercato:

«La società contemporanea sembra capace di contenere il mutamento sociale, inteso come mutamento qualitativo che porterebbe a stabilire istituzioni essenzialmente diverse, imprimerebbe una nuova direzione al processo produttivo e introdurrebbe nuovi modi di esistenza per l’uomo. Questa capacità di contenere il mutamento sociale è forse il successo più caratteristico della società industriale avanzata; l’accettazione generale dello scopo nazionale, le misure politiche avallate da tutti i partiti, il declino del pluralismo, la connivenza del mondo degli affari e dei sindacati entro lo stato forte, sono altrettante testimonianze di quell’integrazione degli opposti che è al tempo stesso il risultato, non meno che il requisito, di tale successo».[3]

 

Disellenizzare
Il coding è una modalità per ridurre ulteriormente la formazione ellenica, la quale invece come ben rappresentano i dialoghi platonici è al plurale: essi sono una rappresentazione spaziale del pensiero, ovvero il confronto dialogico è incontro tra prospettive teoretiche differenti su diverse tematiche. Nel dialogo il logos esplora i fondamenti dell’empirico, in questo passaggio il soggetto passa da una conoscenza oscura, in cui rischia di naufragare ad una conoscenza teoretica che lo rende attivo rispetto all’esperienza sensoriale e storica. La cultura umanistica di per sé procede già alla scomposizione, ricomposizione, astrazione e generalizzazione, ma ha il fine di capire se stessa, di autofondarsi in modo universale per favorire lo sviluppo della virtù di ciascuno. Lo scopo non è semplicemente il risultato empirico, ma la conoscenza di sé e del mondo. La riflessione collettiva su dati e procedure è pensiero critico capace di fondare modelli politici, ma anche di ritornare all’empirico rigenerati dall’esperienza del teoretico.

Seymour Papert il maggiore assertore della pedagogia del coding così descrive la finalità di tale pratica pedagogica:

«Quale è la Sua opinione sull’uso delle nuove tecnologie nella didattica?
Risposta
Quando parliamo di nuove tecnologie nella scuola è importante chiarire se si parla di una prospettiva a lungo termine – cosa succederà tra dieci o venti anni – o se si parla di cosa accadrà domani. Usiamo questa metafora: immaginiamo delle persone dell’Ottocento che abbiano viaggiato nel tempo per vedere come si fanno le cose al giorno d’oggi. Tra loro c’è un chirurgo, e immaginiamo il chirurgo dell’Ottocento in una moderna sala operatoria: egli sarebbe del tutto disorientato, non avrebbe la più pallida idea di che cosa stia succedendo, con tutti quegli strumenti elettronici che suonano. Penserebbe che il paziente è morto, non saprebbe nulla dell’anestesia. Questo è quello che io chiamo un ‘mega-cambiamento’: noi assisteremo ad un mega-cambiamento nell’educazione; e cambierà tanto quanto sono cambiati i trasporti o le telecomunicazioni. Ci inganniamo se crediamo che ci saranno solo pochi, piccoli, cambiamenti. Quali sono i grandi cambiamenti? Io penso che la scuola si fondi sul modello di una linea di produzione in cui si mettono delle conoscenze nella testa delle persone. Si comincia con la prima fase e poi si passa alla seconda fase e si distribuisce un poco di conoscenza alla volta. Si passa dalla prima alla seconda alla terza, e tutto questo è necessario perché si pensa che gli insegnanti debbano insegnare un po’ per volta. Adesso i ragazzi non hanno più bisogno di acquisire nozioni in questo modo, e con la moderna tecnologia dell’informazione possono imparare molto di più facendo, possono imparare facendo ricerca da soli, scoprendo da soli. Il ruolo dell’insegnante non è quello di fornire tutte le parti della conoscenza ma di fare da guida, di gestire le situazioni molto difficili, di stimolare il ragazzo, forse, di dare consigli. Ma questa è un’immagine della scuola del tutto diversa. Io penso che il vero problema sia come agiamo oggi avendo in mente questa prospettiva a lungo termine, perché non possiamo cambiare la scuola dall’oggi al domani, non si può realizzare un megacambiamento dall’oggi al domani; si possono solo fare piccoli cambiamenti. Ma dobbiamo smettere di pensare che questi piccoli cambiamenti facciano fare pochi progressi al sistema così come lo conosciamo. Bisogna pensare ai piccoli cambiamenti come passi verso il grande cambiamento che avverrà».[4]

Il coding è costruzionismo attivistico
Il coding è costruzionismo attivistico. Dovrebbe correggere le cattive impostazioni della scuola, in cui gli alunni sono oggetto di modalità educative che li rendono passivi. Molto probabilmente il pedagogista generalizza e non conosce i casi specifici nazionali, o giudica l’esperienza nazionale ormai superata, poiché l’attività critica è il fondamento della cultura liceale italiana, la quale non teme di confrontarsi con il coding e la sua lingua, ma il pericolo è la marginalità della tradizione classica dinanzi alla capillare pervasività delle nuove e buone pratiche della buona scuola. Dinanzi a tali pericoli è necessario vagliare le nuove disposizioni ministeriali per limitarne gli effetti e dare ad esse un equilibrato peso didattico, per cui spetterà ai docenti, ancora una volta, difendere la cittadinanza dall’intelligenza ad una dimensione e specialmente cogliere che il coding è una pratica antifilosofica, poiché essa nega la riflessione sui fondamenti ultimi, per rafforzare l’attività del problem solving il quale è una delle possibilità del pensiero, ma non la sola.

Al coding si può opporre la cultura classica
Al coding si può opporre l’eros platonico che insegna non solo la conoscenza di sé, ma specialmente l’apertura all’universale, allo spazio pubblico contro ogni chiusura acquisitiva: in un momento della nostra storia nel quale la produttività fine a se stessa è un’utopia che si è ribaltata in distopia minacciando la vita del pianeta, necessitiamo della cultura classica e non solo, per pensare e rigenerare il mondo, per modificare paradigmi e visioni ormai obsolete.
La cultura classica disseminata può ancora parlarci del nostro futuro, poiché è portatrice di verità eterne.

Salvatore A. Bravo

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[1] H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1955, pag. 42.

[2] H. Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino 1955, pag. 22.

[3] Ibidem, pag. 43.

[4] Fonte: http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=259&tab=bio

 

 

 


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