Marwan Barghouti – «L’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace». – Onore, Rispetto e Libertà per Marwan Barghouti, prigioniero da 14 anni di Israele

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Onore, Rispetto

e Libertà

per

Marwan Barghouti

prigioniero da 14 anni di Israele

 

Libertà per i palestinesi prigionieri politici di Israele

Libertà per il popolo palestinese

 



Oggi, 6 giugno 2016, un grande combattente per la causa palestinese, Marwan Barghouti, compie 57 anni. È sequestrato nelle carceri degli occupanti israeliani proprio in quanto dirigente della opposizione alla Conquista della Palestina perpetrata da Israele, e con lui sono prigionieri moltissimi altri militanti palestinesi. Vogliamo ricordarlo, e ricordarli, in questo giorno, rinnovando il nostro impegno con cui da quasi cinquanta anni cerchiamo di essere vicini alla legittima lotta del popolo palestinese.

Giancarlo Paciello e Carmine Fiorillo



«Mi sono unito alla lotta per l’indipendenza palestinese 40 anni fa e sono stato imprigionato per la prima volta a 15 anni. Questo non mi ha impedito di adoperarmi per una pace basata sulla legge internazionale e sulle risoluzioni dell’Onu. Ma ho visto Israele, la potenza occupante, distruggere metodicamente questa prospettiva un anno dopo l’altro. Ho trascorso 20 anni della mia vita, tra cui gli ultimi 13, nelle prigioni di Israele e tutti questi anni mi hanno reso ancora più convinto di questa immutabile verità: l’ultimo giorno dell’occupazione sarà il primo giorno della pace. Coloro che cercano quest’ultima devono agire, e agire subito, perché si realizzi la prima condizione».

Marwan Barghouti, da il manifesto, 12-10-2015: Il «Mandela palestinese» accusa

 


Barghouti

Il testo che segue rappresenta il capitolo “Il giudizio e la condanna” pp. 55-74 del libro Barghouti il Mandela palestinese di Paolo Barbieri e Maurizio Musolino, DATANEWS Editrice, Roma 2005

Risvolto di copertina

l testo parla della figura politica di Maruan Barghouti, membro del Consiglio legislativo palestinese e segretario di Al-Fatah per la Cisgiordania. Imprigionato nel 1978, per sette anni, nelle carceri israeliane, nel 1987 è stato costretto a lasciare la Palestina per la Giordania e vi è tornato solo nel 1994 dopo gli accordi di Oslo. Il 15 aprile 2002 è stato rapito a Ramallah dall’esercito israeliano e sottoposto a processo per terrorismo e altri gravi crimini; nel 2004 è stato condannato all’ergastolo. Dopo la morte di Arafat, Barghouti rappresenta il possibile leader alla guida della Palestina, soprattutto in seguito alla sua inaspettata candidatura alle presidenza dell’Anp in aperta sfida a Abu Mazen.


 

Marwan Hassib Hussein Barghouti nasce il 6 giugno 1959 a Kobar, un villaggio poco a nord di Ramallah, in Cisgiordania. E il terzo di sei fratelli. I primi anni della sua vita Marwan li trascorre in un lembo di terra amministrato dal regno giordano e in questo contesto inizia a frequentare la scuola primaria. La sua è una delle famiglie più influenti e conosciute dell’area (un Barghouti fu tra i fondatori del Partito comunista palestinese, un Barghouti, Mustafa per la precisione, è stato il principale antagonista di Abu Mazen alle elezioni presidenziali del gennaio 2005; Hafez Barghouti è uno dei giornalisti più affermati nel Medio Oriente; Mourid Barghouti è un apprezzato poeta; e sempre una Barghouti, Fathiya, è una delle poche donne elette “sindaco” nelle elezioni amministrative del dicembre 2004 in Palestina: l’elenco potrebbe continuare a lungo, anche se non tutti i Barghouti più noti sono direttamente imparentati con Marwan) e la sua prima infanzia si svolge in modo abbastanza sereno. Ma questa tranquillità non durerà a lungo. Finirà il 6 giugno 1967, proprio il giorno in cui il giovane Marwan festeggia il suo ottavo compleanno. Quel 6 giugno le truppe israeliane lanciano la Guerra dei Sei giorni, occupano quel che resta del territorio della Palestina originariamente affidata al mandato inglese, invadono il Sinai egiziano e il Golan siriano.

 

Il prigioniero politico

Marwan Barghouti é un uomo piccolo, tarchiato, non ha l’aria solenne del leader ma l’aspetto, si direbbe, di un uomo qualunque. A prima vista potrebbe essere un avvocato di provincia, ma le misure di sicurezza e la tensione che si respira nell’aula della Corte distrettuale di Tel Aviv, tradiscono la verità: è un imputato e non un imputato qualunque. Manette ai polsi, le mani alzate simbolo del suo rifiuto di arrendersi, «la pace sarà raggiunta – grida da dietro le sbarre in arabo, inglese ed ebraico – solo con la fine dell’occupazione». È il 14 agosto del 2002, è il giorno della formalizzazione delle accuse nel processo per terrorismo a carico del segretario generale di al Fatah, il movimento nazionalista anima storica della lotta per l’autodeterminazione del popolo palestinese.

Quando è apparso chiaro che l’Intifada non si sarebbe fermata nonostante le rappresaglie indiscriminate, i bombardamenti sui civili, i rastrellamenti, le punizioni collettive, il governo israeliano ha deciso di prenderlo di mira, come massimo responsabile della rivolta. Per ben tre volte le truppe israeliane compiono provocatorie, sprezzanti intimidazioni occupando militarmente la sua casa nel paese natale di Kobar, nei pressi di Ramallah: nel dicembre del 2001, a gennaio e a fine marzo del 2002, l’ultima volta prendendo in ostaggio («arrestando», nel gergo ufficiale) sua moglie e i suoi figli. Il 14 aprile del 2002, finalmente lo trovano in casa di Ziad Abu ‘Eyn, un vecchio compagno di lotta, accusato di un attentato vent’anni prima e quindi schedato dagli israeliani come «terrorista». Accade ancora una volta a Ramallah.

Sono passati quattro mesi dal suo arresto, quando il procuratore dello Stato Devorah Chen legge i capi d’imputazione a suo carico. Quattro mesi in cui ha avuto pochissimi contatti con l’esterno, e, secondo una prassi purtroppo consolidata, è stato praticamente sempre a disposizione degli agenti dei servizi segreti di Tel Aviv. «Marwan – racconta Fadwa, la moglie – ha sofferto 100 giorni successivi di interrogatori intensi e di torture impietose da parte dei suoi carcerieri israeliani. Durante gli interrogatori, hanno usato vari mezzi di crudeltà fisici e psicologici. Lo hanno privato del sonno e gli hanno inflitto un tipo di tortura chiamato shabeh. Ciò vuol dire che è stato costretto a sedere su una sedia bassa con le mani dietro la schiena per lunghe ore». Ma quando prende la parola durante le udienze del procedimento voluto fortemente dal governo Sharon, con la sua requisitoria contro la politica israeliana Barghouti ribalta la scena, rimette al centro del processo la storia, la politica, la rivolta palestinese e le sue ragioni ormai antiche. [Leggi tutto nelle dieci pagine in formato PDF]

Onore, Rispetto e Libertà per Marwan Barghouti,
prigioniero da 14 anni di Israele

 

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