Albert Einstein (1879-1955) – Al primo posto lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e a giudicare indipendentemente.

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Pensieri degli anni difficili

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«Solo una vita vissuta per gli altri
è una vita degna di essere vissuta».
Albert Einstein

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«La scuola dovrebbe sempre avere come suo fine che i giovani ne escano con personalità armoniosa, non ridotti a specialisti. Questo, secondo me, è vero in certa misura anche per le scuole tecniche, i cui studenti si dedicheranno a una ben determinata professione.
Lo sviluppo dell’attitudine generale a pensare e a giudicare indipendentemente, dovrebbe sempre essere al primo posto, e non l’acquisizione di conoscenze specializzate».

Albert Einstein, Pensieri degli anni difficili,
prefazione di Carlo Castagnoli,
Bollati Boringhieri, 2014, pp. 83-84.

Risvolto di copertina

Pubblicato nel 1950 e uscito per la prima volta in Italia nel 1965, Pensieri degli anni difficili raccoglie le riflessioni di Albert Einstein che si snodano dal 1933 al 1950. Al centro di questi scritti, pensati per un pubblico di formazione non scientifica, sono i temi più cari al premio Nobel per la Fisica: l’amore per la scienza, la difesa delle libertà fondamentali e il rispetto per il disaccordo e l’indipendenza intellettuale. Accanto a riflessioni di carattere scientifico, sulla relatività o sull’atomo, con le sue applicazioni e conseguenze, Einstein prende posizione anche su temi sociali, politici ed etici, la concezione del mondo e dell’uomo, dimostrando una indiscussa autorevolezza ben al di là del ristretto ambito della fisica. La sua è la voce di un grande saggio, preoccupato per il destino dell’umanità, che vede nella scienza un’opportunità decisiva di riscatto.

 

 


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Stefan Zweig (1881-1942) – Soltanto il libro esercitava un potere su di lui, mai il denaro.

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«Poter tenere fra le mani un libro prezioso significava infatti per Mendel quel che per altri è l’incontro con una donna. Quei momenti erano erano le sue notti d’amor platonico.
Soltanto il libro esercitava un potere su di lui, mai il denaro. Perciò inutilmente grandi collezionisti […] cercarono di aggiudicarselo per la loro biblioteca come consigliere […]: Jakob Mendel rifiutò sempre».

Stefan Zweig, Mendel dei libri,
Adelphi, 2013, pp. 26-27.

Risvolto di copertina

La storia di un uomo che forse non ha letto tutti i libri, ma che tutti li conosce. Il sovrano di un mondo parallelo – un mondo di carta.

 

 


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Marguerite Yourcenar (1903-1987) – Ho sempre avuto fortissimo l’orrore del possesso, l’orrore dell’acquisizione, dell’avidità, della logica per cui la riuscita consiste nell’accumulare denaro.

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Ad occhi aperti

Ad occhi aperti

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Il vero luogo natio è quello
dove per la prima volta si è posato
uno sguardo consapevole su se stessi:
La mia prima patria sono stati i libri.

Marguerite Yourcenar

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«Quella che considero una forma di schiavitù è la preoccupazione del poveraccio (che sia pagato centocinquantamila dollari all’anno come dirigente. o diecimila come impiegato, la cosa non cambia) che trema all’idea di lasciare la fabbrica, benché avvelenata dall’inquinamento, o produttrice di oggetti dannosi o stupidamente inutili, perché ha paura di perdere benefici e pensione. Questa è schiavitù, perché quell’uomo non oserà mai protestare, qualunque cosa avvenga. E non potrà neppure protestare per ragioni
impersonali, politiche o sociali : è schiavo di una “situazione”.

Per quello che mi riguarda, di fronte alla scelta fra la sicurezza e la libertà, ho sempre optato nel senso della libertà.

E poi, in fondo, ho sempre avuto fortissimo l’orrore del possesso, l’orrore dell’acquisizione, dell’avidità, della logica per cui la riuscita consiste nell’accumulare denaro.

Durante i primi anni del mio soggiorno negli Stati Uniti – abbiamo sempre i nostri momenti
di ingenuità – dicevo a me stessa : “Ho comunque bisogno di una riserva finanziaria in caso di necessità”. E, con quel po’ di denaro che mi cresceva, ho comperato delle azioni qualunque, così, a casaccio. Poi, un bel giorno, ho visto su un giornale la fotografia di una fabbrica che vomitava torrenti di fumo nero : l’ho incollata sulla mia brava cartella di azioni e ho capito che l’episodio era chiuso, che non ne avrei acquistate mai più.
Noti che, in un modo o nell’altro, non si esce da quella logica perché, anche se si mettono dei soldi in banca su di un semplice libretto di risparmio, la banca dispone del vostro denaro e lo investe in affari ai quali non vorreste affatto partecipare»

Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti. Conversazioni con Matthieu Galey, Bompiani, 1988, p. 73

 

Risvolto di copertina

“Quando si varca la soglia di Petite-Plaisance, sotto la veranda da cui pendono spighe di granturco, simbolo locale di prosperità… si ha la sensazione di penetrare direttamente in un luogo dove l’aria è diversa. Lo sguardo di Marguerite Yourcenar si posa sul visitatore, lo valuta, lo giudica, lontano e al tempo stesso gentile, con una vaga sfumatura di ironia. Poi lei, comincia a parlare, con la sicurezza di chi crede in ciò che dice…” Così scrive Matthieu Galey nella presentazione di Ad occhi aperti, il testo in cui nel 1980 ha raccolto una serie di colloqui con la scrittrice. Con interventi brevi e puntuali, spesso ridotti a battute di rilancio, il critico ha dato modo alla Yourcenar di spaziare in tutta libertà tra ricordi personali, sentimenti, questioni letterarie, etiche, universali, e questi dialoghi risultano intensi e lineari come un’opera narrativa.

 


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Elena Irrera – Figure del bello nella filosofia di Aristotele.

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Elena Irrera

Figure del bello nella filosofia di Aristotele
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Coperta 258

Osservando con sguardo sinottico la vasta produzione di logoi aristotelici a noi pervenuti, è possibile riscontrare la presenza di nozioni che, essendo impiegate in una nutrita varietà di ambiti disciplinari, possono essere a buon diritto qualificate come “trans-contestuali”. Aristotele sembra idealmente invitare i suoi lettori non solo ad individuare tali nozioni e a riflettere sul ruolo da esse svolto all’interno di specifici settori conoscitivi, ma anche a profilare degli spazi virtuali di collegamento e interazione tra settori di indagine differenti alla luce della loro comune presenza in ciascuno di essi. La constatazione che un dato termine (e, di conseguenza, anche lo spettro di temi e significati da esso evocati) ricorra in tipi differenti di indagine filosofica suggerisce la possibilità che lo stesso Aristotele abbia intenzionalmente congegnato vari aspetti della sua riflessione in maniera tale da rendere le specifiche argomentazioni impiegate e i loro rispettivi domíni di afferenza “permeabili” ad un gioco di reciproci rimandi.
In questo senso, è ragionevole assumere che, attraverso l’individuazione di alcuni elementi lessicali e concettuali comuni a settori disparati, i vari aspetti della riflessione aristotelica sulla realtà e i suoi princìpi si prestino ad essere colti dal lettore in una visione d’insieme, ovvero ad essere osservati come componenti di una struttura complessa di soggetti interconnessi che trascende le singole specificità disciplinari. Nel presente contributo tenterò di offrire alcuni spunti di analisi su un concetto che ricorre in una pluralità di aree di ricerca, tra le quali la metafisica, la fisica, la biologia, l’etica e la politica: quello di tò kalón. L’espressione che designa il concetto in questione è stata variamente tradotta dagli studiosi. Nella sua versione della Metafisica, Reale opta per la traduzione “il bello”; nelle sue traduzioni dell’Etica Eudemia, dell’Etica Nicomachea e della Grande Etica Fermani adotta le espressioni “il bello” e “il bello morale”. L’idea che tò kalón esprima una nobiltà di natura morale emerge ad esempio in alcune traduzioni angloamericane, come quella di Rowe, che utilizza “the fine”, e una nutrita schiera di studiosi che rendono l’espressione in esame con “the noble” (Rackham, Ross, Ostwald, Crisp, Bartelett e Collins, Reeve).
È opinione generalmente condivisa che l’ideale del tò kalón, nella cultura greca classica, non indichi soltanto proprietà e valori prettamente “estetici”, ossia pertinenti alla sfera di una bellezza puramente fisica che sia oggetto di un’esperienza sensoriale (visiva e/o uditiva) fine a se stessa. Al contrario, come avremo modo di osservare, l’ideale in questione appare in grado di innescare e orientare percorsi umani di conoscenza e di azione virtuosa che trascendono il piano di un confronto con il mondo esterno non mediato dalla riflessione o dall’educazione.
Aristotele introduce la questione della bellezza in numerose occasioni e contesti di indagine differenti, ossia ambiti di discussione non immediatamente accostabili gli uni agli altri né in termini di finalità, né in termini degli argomenti trattati. Il bello è ad esempio menzionato come proprietà riscontrabile in oggetti fisici e sostanze naturali, in azioni umane e perfino in forme di organizzazione del potere politico. Esso può essere associato alla perfezione formale degli enti o al senso di piacevolezza e/o di desiderabilità intrinseca che una simile proprietà stimola negli esseri umani che la rilevano. A volte, esso è indicato spesso come motivazione per un comportamento individuale autenticamente virtuoso, e come ideale che il buon legislatore è chiamato ad imprimere tanto nelle leggi quanto nelle proprie azioni. Lo stesso Aristotele sembra sostenere che uno degli scopi dell’educazione sia quello di fornire orientamenti di crescita e di evoluzione che portino gli individui ad essere “amanti del bello” e, di conseguenza, più inclini di altri a comprendere i ragionamenti sulla natura della virtù e sulla necessità di acquisirla in vista del conseguimento del bene umano.
Tratto comune a tali approcci è l’idea che il bello sia oggetto di un’esperienza distintamente umana, ovvero una esperienza capace di stimolare attivamente un corretto esercizio di quelle facoltà deputate alla realizzazione delle possibilità di perfezionamento della natura razionale degli individui, tanto nella sfera del pensiero teorico quanto in quella dell’agire pratico. Indagare il ruolo che il bello ricopre nella vita umana, pertanto, permetterà di delineare una prospettiva di osservazione particolare delle dinamiche attraverso cui tale perfezionamento può avvenire.
L’ipotesi di lavoro che orienterà la presente discussione è rappresen­tata dall’idea che la nozione di tò kalón, in virtù della sua caratteristica trans-contestualità, consenta di mettere in rilievo alcuni tipi di collega­mento tra settori di indagine dotati di autonomo statuto disciplinare. In particolar modo, si tenterà di osservare come la nozione in esame funga da fil rouge tra i cosiddetti étikoì lògoi, ossia quelli che costituiscono l’intelaiatura argomentativa dell’Etica Nicomachea, dell’Etica Eudemia e della Grande Etica, e il contenuto della Politica. Alla luce della funzione svolta dal bello nelle riflessioni condotte da Aristotele nei testi in questione, i discorsi sui princìpi pratici discussi nelle Etiche e quelli relativi alla natura della polis, del cittadino, del governante e delle costituzioni, appariranno come espressioni di un’area unitaria di indagine, quella volta alla ricerca del bene umano e della molteplicità delle sue espressioni (giustizia, amicizia, singole virtù etiche ed intellettuali, il piacere) nella dimensione politica.

Elena Irrera

 


Elena Irrera
Il bello come causalità metafisica in Aristotele,
Mimesis Edizioni, 2011.

 

 

IL bello come

Risvolto di copertina

Può la ricerca della bellezza orientare la strutturale tensione dell’uomo verso la conoscenza? Può la bellezza stessa offrire una via d’accesso alla struttura e alla comprensione umana del bene? Il presente studio si propone di rispondere a tali quesiti offrendo un parziale tentativo di ricostruzione del ruolo giocato dal bello (tò kalòn) nella metafisica e cosmologia aristoteliche. Viene inoltre presentato un caso particolare che, a giudizio dell’autrice, rende particolarmente visibile l’applicazione della nozione del “bello” (concepita come vera e propria forma di “causalità”), ad una sfera di carattere squisitamente pratico: quella dell’azione legislativa virtuosa descritta in alcuni frammenti del Protreptico. Scopo del libro è quello di mostrare che il bello, anziché costiuire una statica proprietà degli oggetti, si rivela un fattore attivamente operante in natura, prefigurando per di più la possibilità di un agire pratico umano improntato alla contemplazione intellettuale dei princípi di bellezza.


Elena Irrera,
Sulla bellezza della vita buona.
Fini e criteri dell’agire umano in Aristotele
Carabba Editrice, 2012.

 

Sulla bellezza della vita buona

 

Risvolto di copertina

Che la ricerca umana della bellezza possa configurarsi come un tema-chiave nella riflessione aristotelica sui fini e i metodi della razionalità pratica non costituisce certamente una novità. È infatti generalmente riconosciuto che il bello, anziché essere relegato da Aristotele a valore puramente estetico, sia in più occasioni introdotto come oggetto di indagine morale e come fine che l’uomo virtuoso si propone di raggiungere.


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