Salvatore Bravo – Rodolfo Mondolfo tra K. Marx e G.B. Vico.

Rodolfo Mondolfo, Sulle orme di Marx.

ISBN 978-88-7588-359-1, 2022, pp. 416, formato 170×240 mm., Euro 35 .


Salvatore A. Bravo

Rodolfo Mondolfo tra K. Marx e G.B. Vico

L’Umanesimo marxiano ha i suoi eroi. Rodolfo Mondolfo1 nella sua lunga vita ha lottato contro il totalitarismo fascista, ma la democrazia non gli ha donato giustizia. Pensatore fuori da schemi e da correnti politiche ha vissuto la sua lunga parabola culturale all’ombra della società dello spettacolo, e ciò gli ha consentito di sviluppare una visione di Marx e del comunismo divergente e originale. Sin da subito espresse dubbi sulla dittatura del proletariato in Unione Sovietica, constatando che tale “configurazione politica” avrebbe eroso il comunismo dall’interno. Fu critico verso i crollisti e i deterministi, in quanto riducevano l’essere umano e la storia e semplice effetto delle leggi economiche, in tal modo il semplicismo fatalistico si sostituiva alla storia degli uomini e delle donne.

L’Umanesimo marxiano è la via della complessità e della correlazione nella quale l’essere umano non è il semplice prodotto di forze superiori, ma è coscienza che risponde e si forma nella realtà materiale. Si tratta di una relazione olistica nella quale il soggetto pensa il proprio tempo e la propria condizione al fine di porre in atto ciò che è in potenza. Marx dunque fu hegeliano e vichiano, in quanto la storia è il “mondo degli esseri umani”, e in essa gli esseri umani, pur condizionati, pensano la propria condizione per poterla trasformare. Decodificare Marx è un’operazione ermeneutica che ci deve condurre sulle sue “orme” attraverso una difficile ricostruzione per approssimazione del “cantiere Marx”. Prassi e materialismo storico sono dunque i nuclei irrinunciabili, nella lettura di Rodolfo Mondolfo per accostarsi a Marx e smentire coloro che ne fecero “un positivista”.

La storia è processo vitale e concettuale, in cui l’umanità si modifica qualitativamente. La storia è il luogo e il tempo in cui la speranza del ribaltamento dialettico è progettualità politica, in quanto la trasformazione sociale non è mai atto e gesto solo individuale ma corale e di classe. La storia è nell’interiorità dell’essere umano, è pensata, è concettualizzata, pertanto senza tali processi nulla è possibile, non vi è storia, ma solo attesa alienante. La storia è la dimensione dell’uomo nella quale l’essere umano conosce se stesso e pone significati. La prassi è questo processo di liberazione dai condizionamenti che sussistono senza determinismo. La fatica del concetto è l’apertura all’orizzonte del “possibile”. La liberà prende forma gradualmente attraverso il superamento del dato immediato:

La mentalità rivoluzionaria pertanto, secondo Marx, è la sola capace di affermare e possedere il vero concetto storico (che è poi per Marx l’unico vero concetto della realtà) in quanto contro ogni Selbstentfremdung dell’umano torna alla raffermazione dell’interiorità di esso; e può così sostituire alla separazione degli elementi la concezione della loro unità, alla interruzione dei momenti successivi la visione della loro continuità2”.

L’interpretazione di Marx coglie un aspetto, spesso poco noto e poco studiato nella ricostruzione genetica del pensiero di Marx, ovvero la “presenza risemantizzata” di G. B. Vico nella concezione della storia e della prassi nel pensatore di Treviri.

Marx idealista, dunque, poiché la prassi è categoria della filosofia idealista. La prassi in Vico è la storia posta dagli esseri umani, non è “vuoto ciarlare” o “attivismo dell’insensato”, in quanto è la traduzione del vero nella realtà e tale operazione spetta unicamente agli esseri umani. Nulla accade senza l’intervento consapevole e fattuale di essi, anzi è il “fare concettualizzato” che determina il progresso. Marx vichiano, dunque, malgrado i cedimenti al positivismo e all’economicismo. Rodolfo Mondolfo individua nella prassi il filo rosso senza il quale Marx diviene filosofo non compreso nella sua struttura portante. Marx è “il filosofo della libertà” mediante la prassi:

Marx riprende il principio di Vico: il vero si converte col fatto; la realtà è nella praxis3”.

 

 

Prassi e storia

Ancor più chiaramente Rodolfo Mondolfo definisce il concetto di prassi, esso è un processo interiore che si esplica nella storia. I bisogni e le condizioni storiche devono attraversare un lungo viaggio interiore per diventare concetto. L’immediatezza è l’astratto, mentre il concreto è la coscienza che risemantizza i dati, li configura in concetti per porli nella storia. In tal modo l’individualità si eleva dal particolare all’universale e dall’ideologia alla filosofia. Tale viaggio è la libertà degli esseri umani. Interiorità ed esteriorità sono una unità inscindibile, ogni divisione è artificiale ed astratta; la storia è processo interale:

La praxis è sviluppo, è storia che nasce dall’impulso perenne del bisogno; e le condizioni che stimolano il bisogno, siano date dalla natura o siano costituite dai risultati, della attività umana precedente, non sono esteriori all’umanità, in quanto o debbono entrare nella vita del suo spirito per rimuoverla e darle l’impulso alla sua attività, o di questa vita ed attività espressione e prodotto: un prodotto che è anche produttore, creatura e creatore insieme nel processo indefinito della unwälzende Praxis4”.

Vico “insegna” a Marx l’eccellenza dell’essere umano. Gli animali non umani si sviluppano mediante l’evoluzione degli organi, come Darwin ha dimostrato, ma la specificità umana è il concetto e la conoscenza della verità che si svelano e rilevano nella storia. La verità consente il discernimento, di conoscersi e progettare il futuro a misura di essere umano. L’esperienza storica è resa viva nel pensiero e da essa si astrae l’eterno, ovvero la verità, in un lungo processo che conosce contraddizioni, lotte e avanzamenti:

In questa applicazione, pertanto, come della stessa teoria naturalistica, dalla quale ora Marx viene a prende le mosse, due caratteri appaiono essenziali: la concezione economica del processo di sviluppo, inteso nella sua rispondenza ai bisogni vitali; e la interpretazione attivistica di esso, come risultante della continuità della prassi. Ma se il primo carattere nella storia umana non appare con maggior rilievo che in quella delle specie di animali, il secondo al contrario si accentua per la consapevolezza, che Marx trae da G.B. Vico, che noi possiamo aver scienza solo di ciò che facciamo, e che ciò vale precisamente per la storia, in quanto essa è opera nostra5”.

La storia è l’unica scienza concreta, perché è dell’uomo, ne è la sostanza dinamica che non lo imprigiona in strutture inviolabili o in gabbie d’acciaio che diventano il letale sepolcro dell’essere umano, ma la storia è esperienza di libertà, è esodo dalle oppressioni e dal fatalismo in tutte le sue formule evidenti e criptiche:

E la scienza dell’uomo parimenti può essere concreta, cioè storica, quando concentri, sì, la sua attenzione soprattutto sulla storia degli organi produttivi, ma non dimentichi, per coglierla il suo farsi, e, così, veramente intenderla e conoscerla, che, secondo quanto insegnava G. B. Vico, siamo noi, noi uomini a fare tutta la storia della società umana6”.

Libertà e prassi

La libertà marxiana è nei produttori associati che gestiscono dal basso le attività economiche e sociali. La libertà solidale comunista non è solo condizione materiale, ma è prima di tutto atto interiore e della coscienza nella storia materiale senza il quale nulla è possibile. La coscienza di classe è consapevolezza, è l’in sé per sé realizzato, e dunque la coscienza di classe è agire che ringiovanisce la storia, in quanto le dona senso e finalità oggettiva. La speranza non è nelle leggi della storia, ma nell’uomo che pensa, lotta e realizza il progetto comunista. In questo processo i servi diventano soggetti della storia e compiono la Rivoluzione, la quale se non è, in primis condizione interiore (concetto) ricade su se stessa e riapre le porte alla reazione conservatrice:

Sicché la coscienza della condizione presente del proletariato, ossia la sua coscienza di classe, implica questa concezione di una società di liberi produttori, organizzata non per il profitto individuale, ma per la produzione sociale in vista dei bisogni sociali: coscienza della realtà attuale ed aspirazione ad un diverso ideale si implicano a vicenda; e per ciò la coscienza di classe, viene ad unificarsi con l’azione7”.

Rodolfo Mondolfo compie dunque una operazione di critica oggettiva, poiché compara il comunismo sovietico con il pensiero marxiano, dopo aver individuato il nucleo vivente e sostanziale del pensiero di Marx: la prassi. Da tale indagine filosofica si deduce in modo manifesto che l’esperienza sovietica è altro rispetto alle autentiche finalità marxiane. La dittatura del proletariato è capitalismo di Stato che ha reso i proletari sudditi e dunque sottoproletari oggetto del dominio dell’oligarchia rossa al potere. Il comunismo, in quanto filosofia della prassi, è forza emancipatrice dalle catene che gravano con le loro miserie sugli ultimi. Il comunismo reale non ha corrispondenza col pensiero marxiano:

Oggi invece nel concetto di dittatura del proletariato (che del resto lo stesso Manifesto dei comunisti affermava) sembra talora quasi volersi esprimere piuttosto un nuovo dominio di classe, che una abolizione delle classi stesse; e c’è chi l’interpreta nel senso che si voglia la riduzione della classe oggi a una specie di Lumpenproletariat, condannato all’abiezione e alla servitù peggiore8”.

Rileggere Rodolfo Mondolfo nel nostro tempo segnato dal fatalismo tecnocratico è esercizio paideutico di libertà. In “Lui” ricerca, libertà e testimonianza biografica sono coincidenti e, probabilmente, nel tempo della “servitù volontaria e della disperazione”, la sua libertà non gli è stata perdonata. Il dominio agisce per censure mediante forme di ostracismo e rimozioni che dobbiamo imparare ad attraversare per ritrovarci nel concetto con filosofi e autori trasgressivi rispetto all’ordine vigente. Ritrovarsi per riprendere con il dialogo il sentiero della libertà e dell’esodo, oggi poco battuto, ma di cui si sente il vuoto depressivo e acefalo e che rischia di essere l’Apocalisse incompresa del nostro tormentatissimo presente, è urgenza etica non più procrastinabile. Riappropriarsi della storia e rientrare in essa significa effettuare l’esodo da forme di pessimismo e di fatalismo che nel nostro tempo, come allora, sono gli strumenti più efficaci della reazione conservatrice:

Un programma di azione storica di un partito rivoluzionario deve dunque, se vuol tradursi nella realtà concreta, superare l’oscillazione incoerente fra volontarismo e determinismo, e poggiare sopra una concezione critico-pratica della storia9”.

Il proletariato necessita della prassi marxiana per emanciparsi dalla sussunzione formale e materiale e di questo Rodolfo Mondolfo fu assertore in tutta la sua produzione culturale e politica. Il materialismo storico10 afferma che l’essere umano è il fattore della storia ed insegna che ogni scissione è solo astrazione. L’unità olistica e dinamica è la prassi sempre mediata dall’interiorità del soggetto, pertanto Rivoluzione, prassi, umanesimo e materialismo sono il corpo materiale che si concretizza nella storia. La libertà necessita del faticoso lavoro dello spirito nella coscienza di classe. Lo spirito è la storia divenuta concetto nell’interiorità singolare e di classe. Ogni salto non può che tradursi in pericoloso fallimento, pertanto è necessaria una profonda azione paideutica e politica per dare futuro alla rivoluzione.

 

Note

1 Rodolfo Mondolfo (Senigallia, 20 agosto 1877 – Buenos Aires, 16 luglio 1976) è stato un filosofo italiano. Fu esule durante il fascismo perché ebreo. In Argentina visse l’esperienza tragica della dittatura militare. Si interessò della Grecia antica e dell’Umanesimo marxiano. Rilevanti sono gli studi su Engels nei quali mostra il nucleo filosofico di Engels, non più ritenuto dunque “secondo violino” rispetto a Marx.

2 Rodolfo Mondolfo, Spirito rivoluzionario e senso storico in Sulle orme di Marx, Petite Plaisance Pistoia, 2022 pag. 151.

3 Ibidem, pag. 151.

4 Ibidem.

5 Ibidem, Feuerbach e Marx pag. 340.

6 Ibidem, pag. 341.

7 Ibidem, pag. 343.

8 Ibidem, Il problema sociale contemporaneo, pag. 92.

9 Ibidem, pag. 85.

10 Ibidem, Il Materialismo storico, pag. 102.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Mauro Armanino (Niger) – La guerra di cui non si parla. Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Mauro Armanino

La guerra di cui non si parla.
Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento
nella grammatica della vita quotidiana,
sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perchè per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perchè coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perchè abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agiree sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principo responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate (invece che ai servizi sociali) ad armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei 10 Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.

Senza sorpresa, l’Africa subsahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore.

Finchè la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Il nemico peggiore si trova all’interno di ciascuna nazione. Questo mostro a cento teste si chiama imperialismo. La civiltà occidentale consuma i popoli che invade; stermina o annienta le stirpi che ostacolano la sua marcia di conquista. Una civiltà di cannibali che erige idoli mostruosi nei templi dedicati al Guadagno, il dio ch’essa adora.



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Con le riflessioni di Tomaso Montanari e la scultura di Giovanni Pisano anche a Pistoia donne e uomini possono aprire gli occhi sulla “Strage degli innocenti” a Gaza, perpetrata dal nuovo Erode genocida isreaeliano Netanyahu.



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Lucia Palpacelli – La prospettiva inedita e straordinariamente feconda del poderoso studio di Ernesto Crivellato: «La nascita del pensiero anatomico nella cultura greca. I poemi omerici. Gli scritti ippocratici».





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Mauro Armanino – L’omertà dei “buoni” sulle reali motivazioni delle guerre nel mondo

Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barabaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese.

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barabaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.



L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innoqua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.



Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’antietico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.


La produzione di armi nel mondo
è sotto gli occhi di tutti coloro
che vogliano “vedere”, “udire”, “conoscere”:
basta leggere i dati su Wikipedia,
la fonte da cui sono tratte le seguenti tabelle


L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di kilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perchè gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel…’Soldati lo siamo tutti… Intrepidi e sovrani… per la parola e per le armi… col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violeza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i gionalisti non sono altro che… ‘Marionnette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo… Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.

Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025



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Arianna Fermani – Sinfonia danzante del kairos «all’apparir del vero». Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali su pieghe e intrecci di kairos e apparenza.



Arianna Fermani
Sinfonia danzante del καιρός «all’apparir del vero».
Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali
su pieghe e intrecci di καιρός e apparenza
.
ISBN 978-88-7588-433-8, 2025, pp. 72, Euro 10
In copertina:Joan Miró i Ferrà,Dancer, olio su tela, 1925.

In copertina

In copertina:  Joan Miró i Ferrà, Dancer, olio su tela, 1925.

Il dipinto è stato ispirato da un ballerino che Miró ha visto esibirsi a Barcellona in un bar chiamato Eden Concert. La sfera lunare in alto ne raffigura la testa, da cui si diparte la linea del corpo, che procede verso il basso animandosi nel cuore rosso, da cui guizza in movimento danzante una gamba curva verso l’alto, mentre l’altra è tesa verso il basso; i piedi sono raffigurati da note stilizzate, metafora iconica della musica che si diffonde intorno all’altra linea sul lato destro, attraverso i cerchi punteggiati di giallo che dal basso risalgono verso l’alto fino a rendere possibile la metamorfosi della linea, appena vibrante, in una danzante flessuosa e armonica curva sinusoidale.


Ma tu chi sei?

Ma tu, chi sei?
Σὺ δὲ τίς;
Sono il Momento opportuno, signore di ogni cosa.
Καιρὸς, πανδαμάτωρ.
[…]
Perché i capelli sono solo davanti agli occhi?
Ἡ δὲ κόμη τί κατ᾽ὄψιν;
Perché chi viene incontro l’afferri.
Ὑπαντιάσαντι λαβέσθαι.
Non hai capelli dietro, perché?
Τἀξόπιθεν πρὸς τί φαλακρὰ πέλει;
Perché, una volta che io gli sia sfrecciato accanto sugli alati piedi, nessuno, per quanto lo desideri, mi afferra da dietro!
Τὸν γὰρ ἅπαξ πτηνοῖσι παραθρέξαντά με ποσσὶν  οὔτις ἔθ᾽ ἱμείρων δράξεται ἐξόπιθεν».
Antologia Palatina, 16, 275.

Indice

Preludio

«Sono il Momento opportuno, signore di ogni cosa».

Riflessioni iniziali su pieghe e intrecci di καιρός e apparenza

1. Brevi postille su due nozioni (apparentemente) “leggerissime”

2. Perché il καιρός è buono e perché saperlo vedere e attuare fa bene (anche alla salute)

3. Dall’attimo fuggente al luogo giusto: il καιρός che si vede

4. Quando le cose sono come sembrano, ovvero quando la verità è quella che appare: il καιρός come accettazione della sfida del visibile

Sinfonia danzante del καιρός «all’apparir del vero»:
la sfida del visibile, la cattura del bene.

Declinazioni filosofiche e rifrazioni concettuali

1. Riflessioni introduttive

2. Pieghe linguistiche e concettuali del καιρός

3. Il καιρός come “luogo giusto”

4. Il καιρός come “tempo giusto”

4.1. Il καιρός, il suo mancato coglimento

e la responsabilità dell’apparire

5. Riflessioni conclusive

5.1. Il καιρός è nel tempo e fuori dal tempo

5.2. Dinamiche di cattura e di produzioni del καιρός, tra rapidità e lentezza

5.3. Spazi e tempi del καιρός: tra bene, giusta misura e felicità

Indice dei nomi


L’autrice

Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: Aristotele, Il giudizio etico. Imparare a distinguere il bene e il male per vivere felici, a cura di A. Fermani, Morcelliana, Brescia 2023; Virtù, Unicopli, Milano 2021; Aristotele e l’infinità del male. Pa­timenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Morcelliana 2019; Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, prefazione di S. Natoli, Eum 2019; L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Morcelliana 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori (eds.), Academia Verlag 2016. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Bompiani 2008, Giunti 2018, più volte riedito), Topici e Confutazioni Sofistiche (in Organon, Bompiani 2016). Insieme a Maurizio Migliori ha curato il manuale Filosofia antica. Una prospettiva multifocale, Morcelliana Brescia 2020. Con “petite plaisance” ha già pubblicato, tra gli altri, Equità e giustizia dal volto umano. Aristotele tra νόμος e φρόνησις; Economia e felicità. Del buon uso della ricchezza in Aristotele (2023); Concedetemi di diventare bello dentro. Viaggio alato nel Fedro di Platone; Desiderio. Navigazioni filosofiche tra le parole greche di desiderio (2024)

 Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni


Alcuni dei libri di Arianna Fermani


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Lucia Palpacelli – Un libro potente («Disvelare l’inosservabile», di Enrico Crivellato) che riesce a spiegare un’intuizione, quella dell’invisibile, intuizione altrettanto potente e fondamentale per spiegare il nostro mondo e il suo continuo divenire.






M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernanda Mazzoli – François Rabelais, dottore in medicina umanistica e scrittura terapeutica



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Antonio Prete – «La poesia del vivente. Leopardi con noi». Una presenza che sollecita una lettura del mondo non acquietata in una pacificante comprensione, ma disposta, con l’energia di un pensiero immaginativo, all’avventura del dubbio, all’azzardo che si sporge sull’impossibile. Ci sono poeti che continuano, invece, a stare con noi. Camminano con noi. Il suono della loro parola non è reso opaco dalle stagioni sopravvenute. I loro pensieri riguardano il nostro odierno sentire. E danno vigore alle nostre domande. Leopardi appartiene a questa rarissima schiera.

Dovremmo saper vivere in

«una casa pensile in aria sospesa con funi a una stella»,

come ci invita a fare Giacomo Leopardi.

(Zibaldone, 1 ottobre 1820)





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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