Barbara Rossi, «Anna Magnani. Un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood». Presentazione del libro il 10 ottobre 2023 presso la Biblioteca civica “Francesca Calvo” di Alessandria.

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Barbara Rossi, Anna Magnani. Un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood. Contributi di Nuccio Lodato (Magnanima Magnani), di Michele Maranzana (Anna: l’eclisse della persona e la verità della maschera), Enrico Cerasuolo (La passione di Anna Magnani). In Appendice: Pasolini e Mamma Roma – Anna Magnani: un difficile incontro / Mia madre Anna Magnani: dialogo con Luca Magnani.

ISBN 978–88–7588-363-8, 2022, pp. 520, formato 140×210 mm, Euro 30 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [8].

In copertina: Anna Magnani.





M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Sergio Arecco – «Docu doc. La non fiction delle meraviglie». Il lettore vedrà sfilare davanti a sé un centinaio di film e di letture esaustive del genere documentario, con una selezione dei suoi maggiori esponenti di ieri e di oggi.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Barbara Rossi – «Anna Magnani. Un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood». Contributi di Nuccio Lodato, Michele Maranzana, Enrico Cerasuolo). In Appendice: Pasolini e “Mamma Roma” – Anna Magnani: un difficile incontro / Mia madre Anna Magnani: dialogo con Luca Magnani.


Barbara Rossi

Anna Magnani. Un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood

Contributi di:

Nuccio Lodato (Magnanima Magnani),
di Michele Maranzana (Anna: l’eclisse della persona e la verità della maschera),
Enrico Cerasuolo (La passione di Anna Magnani).

In Appendice:

Pasolini e “Mamma Roma” – Anna Magnani: un difficile incontro
Mia madre Anna Magnani: dialogo con Luca Magnani

ISBN 978–88–7588-363-8, 2022, pp. 520, Euro 30

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«Sono trascorsi sette anni dalla prima edizione di questo libro, […] che ha rappresentato non solo la mia prima pubblicazione di critica cinematografica, ma anche un’esperienza di studio, di ricerca e di vita fondamentale, impossibile da dimenticare. Come, del resto, è impossibile scordarsi di lei, la Magnani (Nannarella, per il suo pubblico più affezionato e fedele), protagonista di una stagione neorealistica irripetibile per il nostro cinema e poi anche di una parabola hollywoodiana di breve durata, tra poche luci e moltissime ombre, che il presente volume cerca di raccontare con la maggior dovizia di particolari possibile e, sempre, con enorme stima e ammirazione per una diva riluttante, un’artista completa, portatrice di un’irrimediabile alterità nella declinazione al femminile dell’arte dell’attore».

Barbara Rossi

 

«La recitazione di Anna Magnani non è mai casuale e si esprime al meglio quando può anche essere libera. Una libertà che nasce dal profondo lavoro creativo sul testo e sul personaggio e dalla consapevolezza del racconto e del film nel suo complesso. In que­sto senso è molto interessante l’approfondimento di Barbara Rossi sull’esperienza americana di Anna. Esperienza straordinaria da un lato, che la porta ad essere premiata con un Oscar per la migliore interpretazione femminile in un ruolo recitato in una lingua che non conosceva, l’inglese, unica attrice italiana ad oggi ad esserci riuscita. Esperienza controversa dall’altro, come sottolinea Luca Magnani.

Enrico Cerasuolo

 

Ha anticipato i tempi. Ma li ha anticipati sia fisicamente che nel modo di comportarsi. Fisicamente perché all’epoca andavano di moda tutte queste attrici bionde, platinate, con la boccuccia a cuore, il rossetto. Lei, invece, era molto naturale… […] E poi il suo colore preferito era il nero. Insomma, non andava vestita come – invece – all’epoca, le attricette, ma anche le attrici importanti. […] Mia madre ha anticipato tutto quanto un periodo, forse anche il femminismo, in un certo senso. È una persona che si è fatta tutta da sola, che non si è mai appoggiata a nessuno se non a sé stessa. All’epoca, ma anche dopo, accanto alle attrici c’era sempre il produttore-marito, o il regista-marito. Invece con lei è avvenuto il contrario, ossia sono stati gli uomini ad appoggiarsi a lei.

Luca Magnani


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Federazione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, in prima edizione per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rassegna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz. Nel 2021 Petite Plaisance ha pubblicato il suo Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Di imminente uscita nel 2022 la sua silloge poetica Paesaggi del tempo, Intermedia Edizioni.






Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

 

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

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Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

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Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

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Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

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Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
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Sergio Arecco – Quando il cinema era giovane. I fantasmi dell’opera, i fantasmi all’opera.

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Sergio Arecco

Quando il cinema era giovane. I fantasmi dell’opera, i fantasmi all’opera

ISBN 978–88–7588-287-7, 2021, pp. 232, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [6].

In copertina: Andreij Tarkovskij, Solaris (1972): Kris e il fantasma della moglie Hari. Nel taglio basso di copertina fotogrammi da: Un chien andalou (L. Buñuel) – Big Eyes (T. Burton) – La promessa dell’assassino (D. Cronenberg) – Teresa Venerdì (V. De Sica) – Millennium. Uomini che odiano le donne (D. Fincher) – Les carabiniers (J.-L. Go­dard) – Zatoichi (T. Kitano) – Turner (M. Leigh) – Porcile (P.P. Pasolini) – I racconti di Canterbury (P.P. Pasolini) – Racconto d’inverno (É. Rohmer) – Arca russa (A. Sokurov) – Sacrificio (A. Tarkovskij) – Melancholia (L. von Trier).

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Che cosa è successo? Perché un titolo come il nostro: Quando il cinema era giovane? È successo che è cambiato e sta cambiando tutto quanto, nelle funzionalità del cinema. Intendiamoci. Non è affatto un male. L’ampliamento smisurato della ricezione video e della potenzialità diffusionale della tecnologia digitale ha reso inevitabile un fenomeno di tale portata, la cui entità si misurerà in termini ancor più espansivi nell’immediato futuro, quantomeno in quello prevedibile. La qualità del prodotto è oggi altissima. Sicuramente innovatrice del linguaggio visivo e delle modalità espressive del mezzo – ancora e sempre, nel XXI secolo come un secolo fa, il mezzo è il messaggio. E non è affatto una manifestazione di rincrescimento, la nostra. È una constatazione, elementare e necessaria, di una mutazione epocale. Infatti, quando il cinema era giovane, l’opera passava comunque, in prima istanza, per la sala. Oggi non più, o solo parzialmente. Perché oggi essa arriva perlopiù allo spettatore tramite video o addirittura tramite smartphone. Il che cambia tutto nel rapporto del pubblico, chiamiamolo ancora così, con lo schermo e ciò che questo rappresenta, anche in termini di interlocutore adibito alla ricezione del film. Non solo. Oggi molte opere vengono realizzate a priori in digitale, con un semplice smartphone e tutti gli effetti speciali che si desiderano, nonché una molteplicità di soluzioni e invenzioni finora impensabili. Già tre anni fa, Unsane è stato girato da Steven Soderbergh con un iPhone apposito, e ha richiesto appena una settimana di ‘lavorazione’. Ebbene, Unsane è un gioiello. Meccanico? Sì, meccanico.

Qui si parla di: Un chien andalou (L. Buñuel), Big Eyes (T. Burton), La promessa dell’assassino (D. Cronenberg), Teresa Venerdì (V. De Sica), Millennium. Uomini che odiano le donne (D. Fincher), Les carabiniers (J.-L. Godard), Zatoichi (T. Kitano), Turner (M. Leigh), Porcile (P.P. Pasolini), I racconti di Canterbury (P.P. Pasolini), Racconto d’inverno (É. Rohmer), Arca russa (A. Sokurov), Sacrificio (A. Tarkovskij), Melancholia (L. von Trier), Solaris (A. Tarkovskij).

Sergio Arecco, insegnante e studioso di cinema, collaboratore delle principali riviste del settore, può vantare nel suo curriculum una decina di monografie su registi e attori tra i più diversi – da Pasolini, di cui è stato il primo esegeta, a Ôshima, da Cassavetes a Lucas, da Markopoulos a Bergman, su cui ha discusso la tesi di laurea nel 1968, da Resnais e Bresson a Dietrich e Brando, per editori come Il Castoro, Le Mani, Bulzoni, Ets – e una nutrita serie di volumi a tema, tra cui Il paesaggio del cinema, vincitore del premio “Maurizio Grande”, e Anche il tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia, vincitore del premio “Umberto Barbaro”. Ha inoltre collaborato, tra l’altro, al Dizionario critico del film Treccani e al Dizionario dei registi del cinema mondiale Einaudi. Per la Cineteca di Bologna ha scritto un ampio repertorio del corto sonoro: Il cinema breve. Da Walt Disney a David Bowie, con prefazione di Goffredo Fofi. E per Petite Plaisance ha già pubblicato nel 2019 Fisica e metafisica del cinema. Svolge anche, da più di vent’anni, un’intensa attività di traduttore per le maggiori case editrici: Einaudi, Mondadori, Bompiani, attualmente La nave di Teseo.

Sergio Arecco – La durevole passione per il cinema con i miei libri in questi ultimi cinquanta anni.
Sergio Arecco – Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale

“Ben oui si on filme pas c’est pas du cinéma.”
“Des conneries! Le cinéma c’est bien avant qu’on filme.
Là cette bouteille elle a pas besoin d’être filmée
pour être du cinéma” .

François Bégaudeau, La blessure la vraie, 14 (2011)

***

317 ISBNSergio Arecco

Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, Euro 20
Collana “il pensiero e il suo schermo”

indicepresentazioneautoresintesi

*****

«Nulla può darsi in qualunque situazione bellica senza l’esatta conoscenza dell’elemento di fondo: l’uomo e la sua morale». È quanto scrive lo stratega Ardant du Picq, morto in battaglia (Longeville-lès-Metz, guerra franco-prussiana), nell’incompiuto Études sur le combat, noto come  Battle Studies, ancora oggi testo di riferimento per chiunque intenda misurarsi con il tema del combattimento in pace o in guerra. Sì, anche in pace. Non sempre, infatti, si tratta di guerra guerreggiata, tra opposti eserciti. Leggendo, nel corso del volume, i capitoli su Napoli o Boston o Parigi, alternati con quelli sulla Grande Guerra o il Vietnam o la Cecenia, il lettore viene infatti chiamato a condividere una visuale complessiva – tipica del cinema, che del tema ha fatto uno dei suoi punti di forza – della nozione etica di conflitto in senso lato. Perché la qualità del grande cinema sta appunto nel suo innalzare, in virtù dell’immagine-movimento, un evento fisico come la battaglia a evento metafisico, a proprietà estetica, tale da esaltarne i principi della metafora e della metonimia, del latente e del manifesto, del connubio tra reale e immaginario. In Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale, l’Autore percorre, attraverso l’analisi di film di ogni epoca, da Charlot soldato a Dunkirk, l’evoluzione di un topos narrativo che ha nutrito la storia della settima arte.

*****

Indice

Nota di percorso

Antoine o la guerra degli ultimi
Napoli o la guerra dei vicoli
Westfront o la guerra delle ombre
Dunkirk/Dunkerque o la guerra degli idiomi
London (blitz) o la guerra dei bambini
Northern o la guerra delle identità
Vietnam o la guerra dei mondi
Boston o la guerra dei sobborghi
Caucaso o la guerra dei paesaggi
Cartoonia o la guerra dei simboli
Parigi o la guerra dei simulacri
Pier Paolo o la guerra delle figure

 Appendice:
Alain/Ingmar/Theo/Jean-Luc/Elisabetta/Marco o la guerra delle fedi

 Indice dei nomi e delle opere

***

Sergio Arecco, insegnante e studioso di cinema, collaboratore delle principali riviste del settore, può vantare nel suo curriculum una decina di monografie su registi o attori tra i più diversi – da Pasolini, di cui è stato il primo esegeta, a Oshima, da Cassavetes a Lucas, da Markopoulos a Bergman, su cui ha discusso la tesi di laurea nel 1968, da Resnais e Bresson a Dietrich e Brando, per editori come Il Castoro, Le Mani o Bulzoni – e una nutrita serie di volumi a tema: da Il paesaggio del cinema, vincitore del premio “Maurizio Grande”, a Anche tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia, vincitore del premio “Umberto Barbaro”, da Le città del cinema a Il vampiro nascosto, perlopiù pubblicati da Le Mani. Ha inoltre collaborato al Dizionario critico dei film Treccani e al Dizionario dei registi del cinema mondiale Einaudi. Da ultimo ha pubblicato, per la Cineteca di Bologna, un ampio repertorio del corto sonoro: Il cinema breve. Da Walt Disney a David Bowie. Dizionario del cortometraggio 1928-2015, con la prefazione di Goffredo Fofi.


Il cinema breve

Il cinema breve

Sergio Arecco

Il cinema breve.
Da Walt Disney a David Bowie.
Dizionario del cortometraggio (1928-2015)

Editore Cineteca di Bologna, 2016

Oltre duecento corto e mediometraggi esemplari, selezionati e analizzati dalla perizia critica di Sergio Arecco, compongono nelle pagine di questo libro un’autentica storia parallela del cinema. Una storia che parte dalle origini del sonoro e senza soluzione di continuità arriva fino a noi, una corrente continua di multiformi invenzioni che ci conduce dallo Steamboat Willie di Walt Disney al Blackstar di David Bowie. Film d’avanguardia, film narrativo, film d’animazione, autobiografia, provocazione intellettuale, opera prima e pezzo unico, esordio ed epitaffio, contaminazione estrema e cinema puro. Concentrazione, divagazione, episodio, appunto, colpo d’occhio. Truffaut e Warhol, Antonioni e Park Chan-wook, D.A. Pennebaker e Björk, Shirley Clarke e Dino Risi, Buñuel e Tex Avery, Pasolini e Justin Lin, Mishima e Scorsese, Beckett e Monicelli, Lynch e Miyazaki. Certo, il cinema breve vive spesso di vita segreta. Compaiono nel repertorio anche nomi poco frequentati, titoli misteriosi, e sta forse qui il più forte richiamo di questo dizionario: nel suo proporsi come miniera di scoperte, di film così ben raccontati che avremo voglia di cercarli e di vederli, e che entreranno a far parte del nostro bagaglio cinefilo, della nostra storia personale.


1972_Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini

Sergio Arecco

Pier Paolo Pasolini

Partisan Edizioni , 1972

Dedicato alle opere di Pier Paolo Pasolini. Pubblicato nel 1972 dalla casa editrice romana «Partisan» in una collana che ospitava, tra l’altro, un saggio di Bordiga su Lenin, un libello di Cabral intitolato Guerriglia: il potere delle armi, una monografia su Godard di Moscariello e Dibattito su Rossellini a cura di Gianni Menon. Il volume comprende una Conversazione con Pier Paolo Pasolini a cura di Sergio Arecco.

Indice

In limine
Staticità dei contenuti: un mondo a metà?
La cultura e la sua rivalsa estetica
Vita come pretestualità della morte: la tecnica fondante e globale
«Tutto il mio folle amore…»: l’io epico
La cronaca ideologica e quella filmica
Biofilmografia


Thodoros Anghelopulos0

Thodoros Anghelopulos

Sergio Arecco

Thodoros Anghelopulos

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1978

Storia e mitologia, metafora ed emozione si fondono nell’opera di un grande regista dallo stile rigoroso: La recita (1975), Il volo (1986) e il Leone d’argento Paesaggio nella nebbia (1988).


Nagisa Oshima

Nagisa Oshima

Sergio Arecco

Nagisa Ōshima

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1979

Regista scomodo, non solo in patria, per il radicalismo ideologico ed espressivo. Dei suoi film duri e violenti, i più noti sono La cerimonia (1971) ed Ecco l’impero dei sensi (1976).


John Cassavetes

John Cassavetes

Sergio Arecco

John Cassavetes

Il Castoro Cinema, La Nuova Italia , 1981

John Cassavetes (New York, 1929 – Los Angeles, 1989) ha “inventato” l’idea stessa di cinema indipendente. La sua produzione, così coerente e refrattaria a ogni compromesso, ha rappresentato un’inesauribile fonte d’ispirazione per cineasti di tutto il mondo. Il suo stile asciutto, diretto e nervoso gli ha permesso di scavare meglio di chiunque altro tra le emozioni e i turbamenti dei suoi personaggi.
Tra i suoi film: Ombre (1959), Volti (1968), Una moglie (1975), La sera della prima (1977), Gloria – Una notte d’estate (1980).

John Cassavetes

John Cassavetes

Sergio Arecco

John Cassavetes

Il Castoro Cinema, 2009


George Lucas_b

George Lucas

Sergio Arecco

George Lucas

Il Castoro Cinema, 1995

Nasce a Modesto, California, nel 1944. Regista e produttore di genio. Ha dato vita a una scuola di effetti speciali, divenuta centro di produzione: la Industrial Light and Magic. Con le sue Guerre stellari (1977-1983) la fantascienza ha scoperto nuovi confini.

1995_George Lucas

George Lucas


1997_Alain Resnais

Alain Resnais

Sergio Arecco

Alain Resnais o la persistenza della memoria

Le Mani-Microart’S, 1997, 2014


1998_Rober Bresson

Robert Bresson

Sergio Arecco

Robert Bresson. L’anima e la forma

Le Mani-Microart’S, 1998


2000_Igmar Bergman. Segreti e magie

Igmar Bergman

Sergio Arecco

Igmar Bergman. Segreti e magie

Le Mani-Microart’S, 2000


2002_Il paesaggio del cinema

Il paesaggio del cinema

Sergio Arecco

Il paesaggio del cinema. Dieci studi da Ford ad Almodovar

Le Mani-Microart’S, 2002


2003_Il vampiro nascosto

Il vampiro nascosto

Sergio Arecco

Il vampiro nascosto. Suggestioni e dipendenza nel cinema

Le Mani-Microart’S, 2003, 2014


2004_Anche il tempo sogna

Anche il tempo sogna

Sergio Arecco

Anche il tempo sogna. Quando il cinema racconta la storia

ETS, 2004

Trenta film considerati esemplari del rapporto tra cinema e storia. Dai primi capolavori di Griffith – “Nascita di una nazione” – Ejzenstejn – “Ottobre” o Chaplin – “Il grande dittatore” – il volume traccia un itinerario completo, dal cinema classico al cinema contemporaneo, passando per esperienze anche eccentriche come “Hitler” di Syberberg o “Heimat” di Reitz. L’autore studia le forme e le modalità di realizzazione dei primi kolossal, le loro dinamiche interne, il loro impatto sul pubblico e le loro possibili valenze propagandistiche.


2005_Marlene Dietrich

Marlene Dietrich

Sergio Arecco

Marlene Dietrich. I piaceri dipinti

Le Mani-Microart’S, 2005


2007_Marlon Brando

Marlon Brando

Sergio Arecco

Marlon Brando. Il delitto di invecchiare

Le Mani-Microart’S, 2007


2009_Cinema e paesaggio

Cinema e paesaggio

Sergio Arecco

Cinema e paesaggio. Dizionario critico da “Accattone” a “Volver”

Le Mani-Microart’S, 2009, 2014

Dizionario critico in cento film, dalla A alla Z; dalle origini del cinema a oggi; da Il dottor Mabuse (Fritz Lang, 1922-23) a Gomorra (Matteo Garrone, 2008), passando per Via col vento (Victor Fleming, 1939) o Hiroshima, mon amour (Alain Resnais, 1959). Il filo conduttore del libro è il paesaggio del cinema che non è mai sfondo o contorno illustrativo, ma presenza viva, interlocutore privilegiato e speculare ai personaggi, complemento insostituibile alla loro articolazione narrativa e alla loro storia. Il paesaggio con i suoi punti fermi e i suoi punti di fuga, i suoi margini e i suoi sconfinamenti. Il suo filo più segreto e più intimo, è quello delle frontiere del visibile che si spostano, dei confini che non si lasciano definire, che fanno avanzare sempre un po’ di più i loro margini e le loro soglie. In una parola, è quello dello sconfinamento. Un concetto che, pur traendo ispirazione dal cinema di paesaggio, investe il cinema in sé, la sua dinamica, la sua grammatica e la sua sintassi: il paesaggio come una componente intrinseca, peculiare, del cinema, comparabile, per la sua funzione essenziale, alla recitazione degli attori o alla costruzione delle sequenze o alla dinamica del montaggio, vale a dire a quei fondamentali che fanno, materialmente e idealmente, un film. Qualcosa di più, dunque, di una nozione estetica. Quasi una filosofia (se la parola non fosse troppo grossa). Qualcosa che ha a che fare con la vita, con il suo perenne divenire.


2010_Le città del cinema

Le città del cinema

Sergio Arecco

Le città del cinema. Da Metropolis a Hong Kong

L’Epos, 2010

Metropolis e Hong Kong: due città, due icone, una vera e una immaginaria, che solo il cinema ha reso effettivamente reali; paradigmi del moderno e di sé stesse, reinventate dalla mitologia cinematografica e riplasmate come metropoli “assolute”; città virtualmente invisibili o inesistenti chiamate a vivere e a essere sé stesse solo dall’occhio della telecamera che ne legittima l’esistenza e concede loro uno statuto di visibilità.


2013_Le anatomie dell'invisibile

Le anatomie dell’invisibile

Sergio Arecco

Le anatomie dell’invisibile. Il cinema raccontato con il cinema

Città del silenzio, 2013

Sullo sfondo di un cinema che riflette su se stesso – attraverso i generi, gli interpreti o i registri espressivi – l’autore prende in esame alcuni temi, ricomposti in una struttura unitaria e omogenea: la voce fuori campo, il sogno, la favola, la dimensione urbana contrapposta a quella extraurbana, la sessualità. Con una nota di René de Ceccatty.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Presentazione del volume: «Recitare il tempo. Le voci della “Heimat” di Edgar Reitz». Giovedì 1 luglio, alle ore 21, presso la sede del Museo Etnografico, Piazza della Gambarina 1, Alessandria. Collegatevi oggi al link: https://fb.me/e/12KmGZvvI

Rossi Barbara - Edgar Reitz 01

Qui sotto link di collegamento all’evento on line di presentazione del libro “Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz”, che avrà luogo oggi, 29 giugno, alle ore 18 sulla pagina FB dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema di Torino. Sarà presente Henry Arnold.

Barbara Rossi

https://fb.me/e/12KmGZvvI
Comunicato stampa  

Presentazione del volume
Recitare il tempo.
Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Giovedì 1 luglio, alle ore 21,

l’Associazione di cultura cinematografica e umanistica La Voce della Luna, in collaborazione con il Museo Etnografico “C’era una volta”, il Comune di Alessandria, Alegas e FIC (Federazione Italiana Cineforum), presenta “Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz” (edizioni Petite Plaisance), il nuovo saggio a tema cinematografico di Barbara Rossi, media e film educator, studiosa di cinema e giornalista.
Dopo “Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo” (Bietti, 2019), l’autrice approfondisce alcuni temi già parzialmente affrontati nel volume precedente, dedicato a uno dei più prestigiosi registi del Nuovo Cinema Tedesco degli anni Sessanta, arricchendo e completando la sua prospettiva critica attraverso interviste esclusive con Edgar Reitz e con gli attori protagonisti della saga di “Heimat” (definita da alcuni ‘la madre di tutte le serie’), da Salome Kammer a Henry Arnold a Marita Breuer.
Impreziosiscono il volume la prefazione a cura di Henry Arnold, l’introduzione di Cristina Jandelli, studiosa del divismo cinematografico e docente di cinema all’Università di Firenze, la postfazione di Sergio Arecco, critico cinematografico e traduttore, e un’appendice di Michele Maranzana, docente di filosofia e dirigente scolastico del Liceo “Amaldi” di Novi Ligure.
La presentazione, a ingresso libero previa prenotazione a causa del numero limitato dei posti disponibili, avrà luogo – nel rispetto delle norme sanitarie in vigore – presso la sede del Museo Etnografico, Piazza della Gambarina 1, Alessandria.
Con l’Autrice saranno presenti il prof.  Sergio Arecco e il prof. Michele Maranzana.

Info e prenotazioni: tel. 340/9418376

www.voceluna.altervista.org; www.museodellagambarina.com

Fb:/VoceLuna/; FB:/museogambarina/

Voci sempre più potenti e – a tratti – minacciose si moltiplicano nella Germania e nell’Europa di oggi, solcate da fratture, violenze ed estremismi in chiave nazionalista che sembravano ormai appartenere al passato.

“Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz” risulta, in questa prospettiva, un testo di grande attualità, la cui riflessione si spinge ben oltre la dimensione propriamente cinematografica, per condurre il lettore e, insieme, lo spettatore a inoltrarsi nei meandri del Tempo, della Storia, della memoria, di tutto ciò che – anche in chiave esistenziale e filosofica – ci fonda e viene da noi dotato di senso.

Come sostiene Henry Arnold: «Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. […] È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di “Heimat”, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. […] Il ‘tempo delle prime canzoni’ è ormai passato. […] Il ‘buon tempo antico’ è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

indicepresentazioneautoresintesi

«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

indicepresentazioneautoresintesi

 


Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

indicepresentazioneautoresintesi


Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

indicepresentazioneautoresintesi


Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

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Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

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N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Barbara Rossi – «Recitare il tempo. Le voci della ‘Heimat’ di Edgar Reitz». Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, «Reitz e la macchina del tempo. Appunti per un itinerario filosofico».

Rossi Barbara - Edgar Reitz

Quanto prezioso e irrimediabilmente perduto sia ogni secondo della nostra vita, solo un film ce lo può mettere davanti agli occhi. Solo nel momento in cui qualcuno ci ha raccontato la nostra storia, come la storia del nostro battito del cuore, sappiamo chi siamo. […] Il tempo di solito lavora contro di noi, contrasta i nostri piani, manda a monte i progetti e pone un limite alla felicità di ognuno. L’arte cinematografica è figlia della tecnica e il prodotto di un mondo senza Dio […]: visto che viviamo nel secolo che ci ha regalato la macchina del tempo, allora vogliamo anche utilizzarla per strappare al flusso del tempo pezzi del suo bottino. Proprio in quanto uomini non religiosi, noi registi vogliamo lasciare le nostre tracce nell’universo-tempo, vogliamo conferire durata agli istanti della vita. “Verweile doch, du bist so schön” si dice con struggente desiderio nel Faust di Goethe.

Edgar Reitz, Film e tempo, 2006

Barbara Rossi

Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz

Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli.
Postfazione di Sergio Arecco.

In Appendice:
Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208,  Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5].

In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

indicepresentazioneautoresintesi

«La trilogia di Heimat, il romanzo familiare dal respiro epico e, insieme Bildungsroman, sterminata narrazione dove la ‘cronaca’ si intreccia alla finzione, la microstoria alla macrostoria, le memorie e i destini individuali a quelli collettivi, è anche un ineffabile palinsesto sull’arte di raccontare: quella capacità narrativa definita dal nonno ferroviere – lui non aveva una teoria per la sua arte di narrare e tuttavia era fermo nei suoi principi: i luoghi dell’azione dovevano essere reali […], i protagonisti dei suoi racconti avanzavano la pretesa di essere vissuti davvero – che Edgar Reitz ricorda con affetto, basandola su un principio di verità» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 20).


Barbara Rossi, media educator e studiosa indipendente, è laureata in Storia e Critica del Cinema presso l’Università degli Studi di Torino; presidente dell’Associazione di cultura cinematografica e umanistica “La Voce della Luna” di Alessandria, con la quale propone corsi e rassegne sulla storia e il linguaggio del cinema, è vicepresidente della FIC (Fede­razione Italiana Cineforum). Ha organizzato incontri di formazione riservati ai docenti per il Museo Nazionale del Cinema di Torino e ha collaborato con il gruppo di ricerca “Memofilm, la creatività contro l’Alzheimer”, facente capo alla Cineteca di Bologna.

Giornalista pubblicista, ha curato la rubrica Le lune del cinema per la rivista “Cineforum”, con la quale attualmente collabora. Suoi saggi di argomento cinematografico sono stati pubblicati in diversi volumi antologici: nel 2015 è uscito, per l’editore Le Mani, il volume Anna Magnani, un’attrice dai mille volti tra Roma e Hollywood; nel 2019, all’interno della collana Bietti Heterotopia, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo. Cura annualmente, in collaborazione con l’Associazione Culturale Italo-Tedesca di Alessandria, una rasse­gna che porta sul grande schermo il meglio della produzione cinematografica tedesca contemporanea. Ha organizzato, in collaborazione con l’Università delle Tre Età di Alessandria, la proiezione della trilogia di Heimat di Edgar Reitz.


«Il racconto-fiume seriale di Edgar Reitz impiega personaggi-attori che compongono la Heimat degli spettatori. Una patria di finzione disseminata di figure che si rincorrono nei primi tre cicli e infine, in Heimat-Fragmente: Die Frauen (2006), viene sostituita dalla soggettività della protagonista, Lulu, che incorpora frammenti dell’opera-mondo come atti di memoria filmica riattualizzata. Per comprendere chi sono i principali attori di Heimat e cosa fanno in questo grande ciclo, che abbraccia (e oltrepassa) l’arco cronologico 1919-2000, occorre, come fa Barbara Rossi nel suo saggio introduttivo, ricordare sia la loro formazione che ripercorrerne le biografie artistiche: tutte si definiscono infatti a partire dall’incontro con Edgar Reitz».

Cristina Jandelli


«Il tempo è un fenomeno inspiegabile. Il tempo è vita e la vita è un viaggio verso la fine del tempo. Quello che stiamo vivendo diventa qualcosa che abbiamo vissuto. Tempo si trasforma subito in tempo passato. Gone … Il film ha lo scandaloso privilegio di uscire dal tempo. Per giocarci, accelerarlo o fermarlo, a suo piacimento. Il film è tempo compresso: le lunghe 26 ore di Zweite Heimat corrispondono – in realtà – a 10 anni. Il film salta, omette e scorre in avanti, per fermarsi all’improvviso. In un momento, un attimo “così bello…”; oppure doloroso. E può fare anche di più: rende il tempo ripetibile. Detto in modo diverso, fa fermare completamente il tempo. Il ventenne Hermann Simon è ancora tra di noi. Il film non invecchia. Invecchia solo attraverso noi spettatori. Incontra in noi un‘altra vita e diventa, così, un altro film. Rimane lo stesso e tuttavia emerge sempre di nuovo. Ma deve essere visto. Se il film non viene visto, muoiono anche Maria, Clarissa o Hermann. È il grande merito di questo libro non solo evidenziare e riaccendere un aspetto essenziale della trilogia di Heimat, ma anche mantenere vivo il film. E quindi è stato un onore e un piacere per me far parte di questo libro, oggi, nell’anno 2021. Come mi ero amalgamato con la figura di Hermann Simon 30 anni fa, così sono uno spettatore oggi. Hermann può essere vivo, l’Henry Arnold di allora non esiste più. Il “tempo delle prime canzoni” è ormai passato. […] Il “buon tempo antico” è un’altra chimera. I film di Edgar Reitz, invece – così si spera – rimarranno».

Henry Arnold


Barbara Rossi, profonda studiosa del regista tedesco, nonché sperimentata didatta del linguaggio cinematografico, mette, all’inizio della sua riflessione, e fin già dal bellissimo sottotitolo della sua monografia, Uno sguardo fatto di tempo, immediatamente le carte in tavola. Il lettore deve familiarizzare senza indugi con la materia oggetto d’indagine. E deve riconoscere che un lavoro su Reitz non potrà non essere dedicato, in buona parte, all’opera monstrum della sua filmografia, a quell’Heimat che non solo lo ha fatto scoprire al mondo, ma che ha costituito, con le sue dimensioni abnormi – tre parti rispettivamente di 11, 13, 6 episodi, 15h40’ + 25h32’ + 11h32’, più un prologo, un epilogo con Heimat. Frammenti. Le donne e una quarta parte in funzione di prequel, L’altra Heimat. Cronaca di un sogno, alquanto sui generis –, un’esperienza unica, per l’autore come per lo spettatore, nonché un passaggio decisivo nella storia del cinema contemporaneo.

Sergio Arecco


Una esperienza umana fondamentale, quella del tempo: in fondo, viviamo dentro cicli e mutamenti. Qualcosa torna a noi e si ripete, come le stagioni, qualcosa scorre via in maniera irreversibile, come i giorni della nostra vita. Intuiamo collettivamente qualcosa come eterno e qualcosa come caduco, oscuramente sentendo che siamo contenuti e circondati dal tempo. Siamo impastati di tempo. Un tempo imperioso, che si impone alla nostra maniera di stare al mondo, a tal punto da renderci indispensabile pensarlo e cercare di dominarlo. Facciamo calendari e orologi, sogniamo macchine del tempo e sviluppiamo filosofie e fisiche del tempo. Eppure non riusciamo a sottrarci al suo potere, mentre la stessa sconfitta travolge il pensiero raziocinante e sistematico della filosofia e della scienza, questa medicina teoretica dell’angosciosità fondamentale della condizione umana, che nel suo pensare il tempo si scontra con aporie insanabili, dove soluzioni opposte all’interrogativo su che cosa esso sia si fronteggiano eternamente senza possibilità di vittoria.
Cos’ha a che fare il cinema di Edgar Reitz con questo? Tutto. Lo ha in primo luogo in quanto cinema, quindi in quanto cinema di Reitz, regista di cui è stato detto che ha «un meraviglioso sguardo fatto di tempo, intessuto di memorie private e collettive, di racconti veri o fittizi, di storie e di Storia» (Barbara Rossi, Edgar Reitz. Uno sguardo fatto di tempo, Bietti, Milano 2019, p. 209).

Michele Maranzana


Per diffondere la cultura: cinematografica, letteraria, filosofica, artistica…

A cura di Barbara Rossi

Giancarlo Chiariglione, Le forme informi della frontiera. Lo sguardo del cinema western sulla storia americana.

ISBN 978-88-7588-221-1, 2018, pp. 112, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [1]. In copertina: Il giudice E. Cotton Winchell sulla cima del monte californiano a cui diede il suo nome nel 1888: incarnazione dell’autentico “uomo del Wild West”.

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Alessandro Alfieri, Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino.

ISBN 978-88-7588-218-1, 2018, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 13 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [2]. In copertina: Il volto di Django Freeman (Jamie Foxx) in una scena del film Django Unchained, 2012, scritto e diretto da Q. Tarantino.

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Sergio Arecco, Fisica e metafisica del cinema. Il battle study dal muto al digitale.

ISBN 978-88-7588-253-2, 2019, pp. 224, formato 140×210 mm., Euro 20 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [3]. In copertina: Charlie Chaplin, Charlot soldato (Shoulder Arms), 1918, fotogramma.

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Giangiuseppe Pili, Anche Kant amava Arancia meccanica. La filosofia del cinema di Stanley Kubrick.
Prefazione di Silvano Tagliagambe.

ISBN 978-88-7588-230-3, 2019, pp. 128, formato 140×210 mm., Euro 15 – Collana “il pensiero e il suo schermo” [4]. In copertina: Stanley Kubrick sullo sfondo di una sequenza di 2001. Odissea nello spazio, con l’astronauta David Bowman (interpretato da Keir Dullea). In quarta: il monolito nero.

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Barbara Rossi, Recitare il tempo. Le voci della Heimat di Edgar Reitz. Prefazione di Henry Arnold. Introduzione di Cristina Jandelli. Postfazione di Sergio Arecco. In Appendice: Michele Maranzana, Reitz e la macchina del tempo: appunti per un itinerario filosofico.

ISBN 978–88–7588-279-2, 2021, pp. 208, formato 140×210 mm, Euro 20 – Collana “Il pensiero e il suo schermo” [5]. In copertina: Un’immagine emblematica di Edgar Reitz sul set.

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M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Fernando Ezequiel Solanas (1936-2020) – “L’Ora dei forni” è dedicato a Che Guevara e all’esperienza sociale e rivoluzionaria latino-americana in atto alla fine degli Anni Sessanta. Fu realizzato tra il 1966 e il 1968 come un atto di resistenza contro la dittatura del Generale Onganía.

Solanas Fernando Ezequiel 01

L’ora dei forni è un documentario di Octavio Getino e Fernando Solanas, uscito nel 1968, dedicato all’esperienza sociale e rivoluzionaria latino-americana in atto alla fine degli Anni Sessanta, in particolare a Che Guevara. Il lungo documentario è suddiviso in tre parti: Neocolonialismo e violenza, Atto a favore della liberazione, Violenza e liberazione

Nel marzo del 1989, gli autori ripresentarono la prima parte dell’opera (Neocolonialismo e violenza) con alcune modifiche rispetto alla versione del 1968 e con una prefazione all’inizio della nuova edizione: “L’Ora dei forni fu realizzato tra il 1966 e il 1968 come un atto di resistenza contro la dittatura di Generale Onganía – sottolinearono all’epoca i due autori del documentario – e per la sua diffusione nelle organizzazioni sociali e politiche. Le sue idee, le sue informazioni e le sue proposte corrispondono – proseguono i registi – a un periodo segnato dall’autoritarismo, dalla violenza istituzionalizzata e dal divieto dei partiti politici. Sono trascorsi più di 20 anni da allora. Le circostanze che hanno motivato il film sono cambiate, ma molti problemi che abbiamo denunciato in esso continuano o sono peggiorati. L’ora delle forni prosegue tuttora, non solo come testimonianza e documento di un’epoca, ma come riaffermazione della stessa volontà di liberazione, di democrazia e di giustizia sociale“.

Con Octavio Getino, Solanas scrisse il manifesto Verso un Terzo Cinema, un’idea di un cinema politico, “terzo” rispetto al cinema hollywoodiano (il “primo cinema”) ed a quello artistico “d’autore” europeo (il “secondo”), che sostenesse la causa dei paesi vittime del neoliberismo, piuttosto che perseguire il mero profitto economico rendendo lo spettatore un “consumatore dell’ideologia borghese”.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Roberto Mordacci – Il cinema pensa. Ma, se non adottiamo un modo di fruire un film con una postura e uno sguardo filosofico avremo perduto l’occasione di incontrare una verità. La filosofia autentica è pensiero vivo che prova a darsi una forma, a mettersi in gioco, ad immergersi nella vita e ci aiuta a cogliere nel cinema la sua autenticità di riflessione visiva, di pensiero per immagini.

Roberto Mordacci 02

«.[…] Il cinema pensa. […] Tuttavia, se non disponiamo di una chiave di lettura […] per cogliere la densità sotterranea del film, quest’ultimo scorrerà via come un fluido su una superficie impermeabile […]. Avremo così perduto, nientemeno, l’occasione di incontrare una verità, spesso molto semplice quanto profonda, mostrata per via sensibile invece che concettuale. […] Si tratta di coglierne, precisamente come dice Hitchcock, la vicinanza con la vita, il suo non essere mero divertissement (anche quando ci diverte molto),la sua autenticità di riflessione visiva, di pensiero per immagini.
Le forme del pensare sono custodite e tramandate, nella nostra tradizione, soprattutto (anche se, certamente, non solo) dalla filosofia. Quest’ultima, quando è autentica, non è (e non è mai stata) un esercizio privato di pochi “tecnici del pensiero”, un gergo impenetrabile e artificioso, una sequenza di idee autoreferenziali il cui unico scopo è parlare di filosofi ad altri filosofi o aspiranti tali. La filosofia è pensiero vivo che prova a darsi una forma e a mettersi in gioco, che s’immerge nella vita per esaminarla dall’interno, scovandone le contraddizioni e ammirandone la potenza assai più che giudicandola. Ora, che cosa più del cinema offre al pensiero l’esperienza condensata, aumentata e intensificata della vita, già mediata da un pensiero – quello degli autori – che però si affida a un complesso di immagini, suoni, parole, storie e sogni? […] Se si impara a leggere un film con gli “utensili” (concetti, ragionamenti, idee e persino teorie) della filosofia, si accede a un’esperienza più piena, più consapevole ed elevata […]. Acquisire questa capacità di lettura non è un esercizio esoterico, non è imparare una tecnica, ma può ben consistere nell’adottare un modo di fruire un film, una postura e uno sguardo filosofico che è accessibile a chiunque si dia un’occasione per farlo.
È in tal senso che questo libro offre un metodo. Anzi, ne offre quattro. Quattro metodi filosofici per leggere i film […]. Lo spettatore di un film è investito da un flusso di sensazioni che colpiscono tutti i suoi sensi, a eccezione (finora) dell’olfatto […].
La vista, in primo luogo, […]. La filosofia, come suggerisce Andrea Tagliapietra nel saggio dedicato a questo metodo, nasce in un certo senso proprio come teoria dell’immagine (si pensi alla dottrina platonica delle idee), ante litteram rispetto al cinema stesso ma già pronta per esserne l’interprete fin dalle sue origini. […] Tuttavia, la vista ha, nella densità dell’immagine cinematografica, uno spessore quasi tattile. […]. Così, il tatto è in qualche modo, sia pure indiretto, coinvolto nell’esperienza cinematografica. Questo senso indaga, tasta, verifica, mette alla prova ciò che vediamo: […] il tatto pensa e argomenta, saggia le impressioni con i ragionamenti, non potendo realmente esercitarsi su quegli oggetti evanescenti. Questo atteggiamento, che mira a raccogliere le ragioni che sostengono l’immagine, corrisponde al secondo dei metodi qui esposti, quello che ho chiamato filosofia filmica. Un film può essere considerato come un testo argomentativo, cioè come un testo filosofico. […]
Un altro senso fortemente coinvolto nell’esperienza cinematografica è l’udito, almeno dall’avvento del sonoro (ma non dimentichiamo che anche i film muti erano per lo più accompagnati da esecuzioni di musica dal vivo). A questo senso arrivano suoni e rumori, ma soprattutto parole. Il linguaggio verbale, che ovviamente non esaurisce affatto il linguaggio cinematografico, è per noi umani il veicolo più fondamentale della comunicazione. Le storie e i dialoghi, le battute fulminanti e i monologhi insistiti sono spesso ciò che ci rimane più a lungo dopo la visione di un film. Tuttavia, parole e dialoghi sono frequentemente l’occasione per mettere a tema qualcosa che parte dal film ma non si esaurisce in esso. In questi casi, si fa quella che abbiamo chiamato filosofia con il cinema. […]
Infine, vi è un modo di leggere i film che in un certo senso chiama in causa il gusto. Le sensazioni più persistenti sono quelle più elaborate e il gusto è un luogo primario di questa elaborazione: una percezione di guSto richiede tempo, raffinatezza ed è spesso l’eco di una memoria (la madeleine di Proust) o di una tradizione […].
Questo libro si presenta come un manuale, cioè intende fornire gli elementi essenziali di una “disciplina”: […] una disciplina richiede esercizio, non solo teoria […]. Questo esercizio è fondamentale per acquisire la capacità di leggere filosoficamente un film».

 

 

Roberto Mordacci (a cura di), Come fare filosofia con i film, Carocci editore, Roma 2017, pp. 11-17.

Contributi
di

Andrea Tagliapietra, Roberto Mordacci, Claudia Bianchi,
Luca Pes, Maria Russo, Raffaele Ariano, Francesco Valagussa, Antonio Moretti.



Roberto Mordacci – Ritorno a Utopia. Il nucleo originario e tuttora pulsante dell’utopia deve essere in qualche modo riportato alla luce proprio contro le sue distorsioni, che sono divenute prevalenti nel senso comune contemporaneo. La navigazione è data all’ingegno di ognuno e di tutti.

Un tuffo …

… tra alcuni dei  libri di Roberto Mordacci…



 
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Chiara Fiorillo – Fiche du film “Marie-Antoinette” de Sofia Coppola

Marie-Antoinette de Sofia Coppola

Chiara Fiorillo

Fiche du filmMarieAntoinettede Sofia Coppola

 

TITRE: « Marie-Antoinette »

SOCIÉTÉS DE PRODUCTION: Columbia Pictures, American Zoetrope, Tohokushinsha Film Corporation.

DATE DE SORTIE: 24 mai 2006.

METTEUSE EN SCÈNE: Sofia Coppola. Sofia Coppola est née le 14 mai 1971 à New York et elle est la fille du réalisateur Francis Ford Coppola. Elle a étudié au Mills College et puis au California Institute of the Arts. Elle a organisé des séances de photos et elle a créé sa propre ligne de vêtements. Sofia Coppola se fait connaître comme réalisatrice avec ses trois premiers films étant Lick the Star (1996), Virgin Suicides (1999) et Lost in Translation (2003), qui rencontrent les faveurs de la critique et du public. Le film Lost in Translation remporte l’Oscar du meilleur scénario original et trois Golden Globes. En 2006 elle réalise le film biographique Marie-Antoinette basé sur la vie de Marie-Antoinette d’Autriche et obtient beaucoup de succès. Sofia Coppola est considérée comme une icône de la culture populaire par le milieu du rock et du cinéma indépendants.

EPOQUE: XVIIIe siècle,1770-1789.

LIEUX: Château de Versailles, jardins des Versailles, Petit Trianon, chapelle du château de Versailles, Autriche, forêt.

PERSONNAGES: La protagoniste du film est Marie-Antoinette. Les personnages principaux sont Louis XV, Louis XVI, Marie-Thérèse de Habsbourg. Les personnages secondaires sont: la comtesse du Barry (favorite du Roi), l’empereur Joseph de Lorraine (frère de Marie-Antoinette), le compte Fersen (compte suédois et amant de la Reine), la princesse de Lamballe et la duchesse de Polignac, (favorites de la Reine), Marie-Thérèse de France (fille de Louis XVI et Marie Antoinette), l’ambassadeur Mercy, le duc de Choiseul (chef de gouvernement chez Louis XV), le compte Vergennes (secrétaire des affaires étrangères de Louis XVI), la comtesse de Provence.

 INTRIGUE: Fille de François Ier de Lorraine, empereur du Saint-Empire romain germanique, et de Marie-Thérèse de Habsbourg, archiduchesse d’Autriche, Marie-Antoinette apprend, à l’âge de quatorze ans, qu’elle doit se marier à Louis Auguste de Bourbon, le futur Louis XVI, et donc elle quitte la France pour l’Autriche. Marie-Thérèse de Habsbourg utilise le mariage de sa fille pour sa politique diplomatique et donc pour réconcilier les Maisons d’Autriche et de France après des siècles de guerre. À son arrivée à la frontière elle est obligée à se séparer de tout ce qui appartient à l’Autriche, comme sa robe et son petit chien. Puis elle connait le dauphin, son futur mari, et elle est accueillie à la cour de Versailles. La jeune dauphine épouse dans la Chapelle Royale du Château de Versailles Louis Auguste de Bourbon et elle devient la première femme de la cour, mais elle montre des difficultés à se rapporter avec l’aristocratie et à s’adapter aux usages français et de Versailles, comme par exemple le cérémonial du lever. Elle ignore Madame du Barry, la favorite du Roi, et elle n’est pas heureuse au sein de la cour de France, car est considérée comme une étrangère et se sent délaissée par son époux, qui lui préfère aller chasser. Elle reçoit beaucoup de pression pour la consommation du mariage, même par sa mère, qui lui écrit régulièrement et lui rappelle que sa place ne sera assurée qu’après la conception d’un héritier. Louis XV cherche de régler la situation en appelant le docteur pour visiter le jeune couple, mais les nuits se succèdent et il n’arrive rien. Marie-Antoinette est frustrée à cause des rumeurs qui circulent à la cour, donc elle se réfugie dans l’insouciance et les frivolités en compagnie de la princesse de Lamballe et de la duchesse de Polignac. Profitant d’une vie luxueuse, elle s’orne des bijoux et des riches vêtements, elle boit, joue de hasard et participe aux fêtes. Lorsqu’elle se rend à Paris pour un bal masqué, elle fait la connaissance du Compte Fersen, de l’armée suédoise. À leur retour de Paris le dauphin et la dauphine découvrent que le Roi a attrapé la petite vérole. À la mort de Louis XV, son fils Louis Auguste devient Roi de France, et donc Marie-Antoinette Reine. Toutefois le mariage n’a toujours pas été consommé et l’absence d’héritier fragilise la pérennité de la dynastie. Marie-Antoinette continue à dépenser et à faire la fête jusqu’au petit matin, tandis que Louis décide d’aider les américains pour leur révolution sans se rendre compte quel les impôts étouffent son peuple. L’empereur Joseph arrive à Versailles pour rendre visite à sa sœur, envoyé par Marie-Thérèse de Habsbourg craignant pour la survie de l’alliance franco-autrichienne et que sa fille puisse être répudiée. Un an plus tard le couple donne naissance à son première fille Marie-Thérèse Charlotte de France. Ensuite la Reine commence à passer du temps dans le nouveau hameau de la Reine dans le Petit Trianon avec ses amies et ses prétendants, en effet au bal pour les soldats qui ont combattu aux Amériques elle rencontre le Compte Fersen et plus tard ils deviennent amants. Les caisses sont vides et le peuple souffre de la famine; par conséquent on voit s’accumuler des pamphlets contre la Reine, laquelle se dédie à une vie de plaisirs et de somptuosité. Plus tard elle donne naissance au dauphin de France. Les crises successives du régime et la banqueroute du Royaume précipitent les événements révolutionnaires et intensifient la campagne de désacralisation de la Reine. La sécurité du couple royal n’est plus assurée, mais le Roi refuse de s’enfuir de Versailles et la Reine reste à ses côtés. Peu après la foule irrépressible les force à quitter à jamais le château de Versailles.

 THÈMES: Tout d’abord le film illustre la pratique diplomatique du mariage forcé utilisé comme alliance politique et très diffusé à l’époque de l’absolutisme. En effet les souverains épousaient leurs enfants avec ceux d’une autre puissance politique pour sceller des alliances ou se réconcilier.

Le film se déroule à Versailles et donc il a comme toile de fond la vie à la cour. À la cour de Versailles était imposée l’étiquette, c’est-à-dire l’ensemble des règles et des comportements à suivre, organisant la vie de la famille royale, des courtisans et des favoris. En France l’étiquette s’est développée à partir du règne de François I, mais elle a connu son apogée et sa forme plus codifiée à l’époque de Louis XIV. La vie du roi était une cérémonie constante; à l’intérieur du palais presque toutes les chambres étaient ouvertes au public, incluse la chambre à coucher du roi. Au matin il y avait deux cérémonies pour réveiller le roi, le «Petit Lever» et puis le «Grand Lever», où des nobles avaient le privilège d’habiller le roi. À la cérémonie du «Grand Couvert» le roi avait sur la table vingt plats à choisir et il était entouré des courtisans, qui assistaient à la scène. Au moment de se coucher il y avait le même cérémonial qu’au lever. À cette époque, la cour d’Autriche possède une étiquette beaucoup moins stricte que celle de Versailles: les danses y sont moins complexes, le luxe y est moindre et la foule moins nombreuse. Par conséquent Marie-Antoinette montre aussitôt beaucoup de difficultés à s’adapter aux usages français car elle déteste ce code rigide qui envahit son intimité et elle trouve toutes ces cérémonies ridicules. Elle se moque de sa dame d’honneur la comtesse de Noailles, qui se charge de manière stricte aux parfaits accomplissements de l’étiquette.

Les courtisans ont des privilèges et des avantages financiers, mais aussi des devoirs car leur vie quotidienne est réglée par l’étiquette, qui précise la possibilité d’assister à certaines cérémonies, l’ordre et l’horaire d’arrivée dans les pièces, les habits qu’on peut porter… En échange de leur fidélité et docilité, les courtisans reçoivent une pension royale et ils ont beaucoup de divertissements car ils peuvent participer à des fêtes somptueuses, à la chasse, au jeu de hasard, aux concerts, aux représentations de danse et de théâtre, qui ont lieu plusieurs soirs par semaine, mais aussi des manifestations officielles à l’occasion de naissances, mariages ou anniversaires (comme on peut voir dans le film lors du mariage du dauphin et de la dauphine, de l’anniversaire de Marie-Antoinette ou de la naissance de Marie-Thérèse de France). Pour être à l’abri à la cour il fallait toujours se garder fidèles au Roi et cette situation renforçait l’autorité royale qui pouvait ainsi contrôler la noblesse du royaume, aspirant à accroître son pouvoir, et combattre des éventuels complots et conspirations contre elle. Un autre rôle important est celui joué par les favoris et les favorites à la cour, qui étaient des personnes de confiance, des amis intimes, des maîtresses ou amants dans les bonnes grâces du Roi ou de la Reine. Le Roi (aussi bien la Reine) pouvait offrir le statut de favorite à sa maîtresse préférée et cette courtisane bénéficiait d’avantages et de la faveur du souverain, mais elle avait aussi une influence sur les domaines des arts et de la politique (comme on peut voir du personnage de Madame du Barry, favorite de Louis XV, dans le film). Les favorites étaient aussi des amies et confidentes de la souveraine, comme par exemple la princesse de Lamballe et la duchesse de Polignac pour Marie-Antoinette.

Le contexte du film décrit l’absolutisme, le système politique considéré comme le plus parfait à l’époque, où le Roi tient son pouvoir de Dieu, et souligne l’importance des héritiers du trône. Comme les femmes étaient exclues de la succession, la présence d’un héritier direct assurait la continuation de la dynastie royale sans problème. La Reine donc était chargée de donner au Roi et à la France une descendance masculine, un dauphin. Un héritier pouvait être aussi un moyen pour assurer une position et un mariage d’alliance, comme dans le cas de Marie-Antoinette pressée par sa famille autrichienne et par la cour française à la consommation du mariage. Le Roi gère les affaires de l’état entouré et aidé par ses ministres, nommés par lui-même, et parfois exerçants une forte influence sur lui, comme on peut voir de la personnalité timide de Louis XVI dans le film, qui est complètement dirigée par eux. Le Roi subit aussi l’influence de son épouse, laquelle se dédie à un vie de folles dépenses, sans s’occuper de mauvaises conditions du peuple. Le film montre comme la Reine en dépensant sans compter en vêtements, chaussures, perruques, tissus, bijoux, décorations de ses appartements, gâteaux et pâtisseries, devient vite impopulaire et détestée par le peuple, comme le témoignent les rumeurs, les surnoms dévalorisants et les pamphlets contre elle. Tout ce faste et luxe renvoie à l’esthétique baroque du XVIIIe siècle, car il veut souligner la puissance de la royauté, mais il marque l’écart avec le peuple.

Par ailleurs on peut remarquer la forte différence entre classes sociales au XVIIIe en France. La famille royale et les courtisans vivent dans le faste et le luxe de la cour et la noblesse, c’est-à-dire le 2% de la population, et le clergé, l’1% de la population, détiennent tous les privilèges parce qu’ils ne paient pas les impôts et ils prélèvent pour leur compte de lourdes taxes chez les paysans. Par contre le Tiers État, c’est-à-dire tout le reste de la nation, est étouffé par des impôts très élevés et vit dans la misère, la famine, le dénuement. Lorsqu’il y avait des problèmes économiques et le besoin de remplir les caisses de l’état, affaiblies par les guerres, la solution pour le Roi était l’augmentation des impôts et des taxes, en aggravant la tolérance du peuple qui, plus tard, commence à réagir avec des révoltes jusqu’au bouleversement de la monarchie dans la Révolution Française.

À cette époque (1775-1783) la France soutient la guerre d’indépendance américaine, où les treize colonies de l’Amérique du Nord s’opposent au Royaume de Grande-Bretagne. La France s’engage par la fourniture d’aides navales et terrestres aux américains pour s’opposer et s’imposer sur l’Angleterre. Cette guerre coûte très cher et les caisses de l’état se vident.

 COMMENTAIRE: Le film est très intéressant et surtout original à raconter la vie d’un personnage historique et emblématique qui a marqué l’époque du siècle d’or et la fin de l’absolutisme français. La cinéaste a su donner une image différente et originelle de Marie-Antoinette, montrée comme une femme anticonformiste et peu conventionnelle, qui n’aime pas les contraintes de la cour. Le film présente un excellent décor, constitué par le mobilier, les jardins, les parcs et les immenses salles de Versailles, de magnifiques costumes et de remarquables interprétations des acteurs. Le film est caractérisé par des anachronismes très évidentes surtout dans la bande originale du film, qui mêle la musique classique (notamment Vivaldi) et la musique rock et pop. Ce choix de Sofia Coppola est probablement lié au but d’actualiser le film, mais aussi de communiquer la personnalité un peu rebelle de Marie-Antoinette, laquelle ne s’adapte jamais complètement aux usages de la cour française et reste toujours un peu éloignée de ce milieu, car elle est considérée comme une étrangère même par la famille royale.

Selon moi, le film transmet aussi un message important: la richesse ne fait pas nécessairement le bonheur. En effet Marie-Antoinette possède de tout, vit dans le château des rêves et mène une vie luxueuse, mais malgré cela elle n’est pas heureuse et elle regrette son pays (l’Autriche).

J’ai remarqué le choix de la cinéaste d’illustrer dans le film le règne de Marie-Antoinette et Louis XVI en se concentrant seulement sur le palais de Versailles et la vie luxueuse et somptueuse à la cour, mais j’aurais aimé qu’il avait montré aussi de l’autre côté les conditions terribles du peuple français à cause des dépenses royales, pour marquer davantage l’écart entre classes sociales et le faire mieux comprendre au public.

Chiara Fiorillo

Ritratto di Maria Antonietta con la rosa, dipinto di Élisabeth Vigée Le Brun, 1783
Maria Antonietta suona l’arpa, Dipinto di Jean-Baptiste André Gautier-Dagoty (1777)
Maria Antonietta in grand habit de cour in un ritratto di Élisabeth Vigée Le Brun (1778)
Maria Antonietta con un libro. L’ultimo ritratto ufficiale di corte, eseguito da Élisabeth Vigée Le Brun per la regina (1788)
La regina abbigliata in stile rococò, con una pettinatura piramidale e grand habit de cour (1775)
Maria Antonietta condotta alla ghigliottina, dipinto di William Hamilton (Museo della Rivoluzione francese)
Charles-Henri Sanson brandisce la testa di Maria Antonietta alla folla (Museo della Rivoluzione francese)
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Chiara Fiorillo – Fiche du film “La Nuit de Varennes” de Ettore Scola

Ettore Scola, Il mondo nuovo
Chiara Fiorillo

Fiche du film “La Nuit de Varennes” de Ettore Scola

 

 

TITRE: “La Nuit de Varennes”

SOCIÉTÉS DE PRODUCTION: Gaumont (France), FR3 Cinéma (France), Opera Films Produzione (Italie).

DATE DE SORTIE: 12 mai 1982

METTEUR EN SCÈNE: Ettore Scola. Ettore Scola, né le 10 mai 1931 à Trevico, d’abord a étudié droit et puis a travaillé comme dessinateur de presse de 1947 à 1952. Il a débuté dans le cinéma en 1953 come scénariste et coécrivant et en tout il a rédigé une vingtaine de scénarios, notamment pour l’acteur Totò. En 1964 il a réalisé son premier long métrage Parlons femmes et il a commencé à être reconnu avec Drame de la jalousie, pour lequel Marcello Mastroianni a été récompensé au Festival de Cannes 1970. Il a reçu le Prix de la mise en scène au 29e Festival de Cannes avec le film Affreux, sales et méchants et il a obtenu beaucoup de succès en 1977 avec Une journée particulière, interprété par Sophia Loren et Marcello Mastroianni. Ettore Scola a réalisé près de quarante films en quarante ans. Le 19 janvier 2016, Scola est mort à l’âge de 84 ans à Rome.

GENRE: Film historique.

ÉPOQUE: XVIIIe siècle, 1791-1793.

LIEUX: Centre-ville de Paris, Palais des Tuileries, relais de poste des Messageries Royales de Paris, itinéraire entre Paris et Metz, Varennes.

PERSONNAGES: Les protagonistes du film sont l’écrivain français Nicolas Edme Restif de la Bretonne et l’intellectuel vénitien Jacques Casanova. Les personnages principaux sont: la comtesse Sophie de la Borde (amie et dame de compagnie de la Reine Marie-Antoinette), Thomas Paine (intellectuel et écrivain britannique de la Révolution Américaine), Monsieur De Wendel (propriétaire de forges en Basse-Alsace), Virginia Capacelli (cantatrice bolognaise), De Florange (juge hypocrite), Madame Adélaïde Gagnon (noble dame veuve). Les personnages secondaires sont : le Roi Louis XVI et la Reine Marie-Antoinette, Madame Faustine (vieille amie de Restif de la Bretonne et propriétaire d’un lupanar), Monsieur Jacob (coiffeur de la comtesse), Émile Delage (étudiant révolutionnaire), Marie-Madeleine (la servante de Sophie), Agnès (fille de Restif de la Bretonne), Monsieur Sauce (épicier et maire-adjoint de Varennes), Madame Sauce, Nanette Precy et Bayon (commandant de la garde nationale).

INTRIGUE : À Paris l’écrivain libertin Restif de la Bretonne, surnommé « hibou » parce que habitué à se fondre dans les nuits de la ville, rencontre une vielle connaissance, la propriétaire d’un lupanar Madame Faustine, qui l’invite à profiter et à faire la connaissance d’une de ses jeunes et belles filles. À Paris circulent les rumeurs d’un plan d’évasion du palais des Tuileries et d’une imminente fuite de la famille royale et le curieux Nicolas Edme Restif de la Bretonne en est très intéressé, surtout lorsqu’il entend la fille de Faustine, serveuse royale, raconter à sa mère que la Reine avait été vue laisser sa chambre à onze heures et demi. Lorsqu’il rentre à la maison, Rétif apprend de sa fille Agnès que pendant son absence des officiers ont séquestré sa propriété à cause de ses dettes et que l’écrivain britannique de la Révolution Américaine Thomas Paine (pour lequel il doit imprimer un manuscrit mais il n’a pas encore reçu une avance d’argent) va partir le lendemain pour Metz. Rétif donc décide d’aller chercher Paine pour lui demander de l’argent. Rétif, en se promenant autour des Tuileries, assiste au départ en carrosse d’une noble dame avec des mystérieux paquets et de son coiffeur et il commence à avoir le soupçon d’une possible fuite de la famille royale. Le jour suivant au départ des Messageries Royales de Paris il rencontre finalement Thomas Paine qui allait partir pour Metz et qui lui donne un peu d’argent pour les frais d’impression du manuscrit. Peu après Rétif reconnaît la dame de la vielle, avec les mystérieux paquets, monter sur une voiture et sa curiosité et son besoin de connaître la vérité le poussent à prendre part au voyage. L’aventure pour Rétif commence par la diligence ratée pendant qu’il cherchait d’acheter le billet avec l’argent juste reçu. Par conséquent il loue un cheval pour la rejoindre. Cette voiture emmène ses passagers jusqu’à Metz, en passant par la route empruntée quelques heures auparavant par la berline transportant le roi et sa famille. À l’intérieur de la diligence ont donc pris place, au départ de Paris, six passagers, trois femmes et trois hommes, qui confrontent leurs expériences et leurs différents points de vue sur la Révolution française. Il y a la comtesse Sophie de La Borde, amie d’enfance et dame de compagnie de Marie-Antoinette, aristocrate triste qui voyage accompagnée de son coiffeur Monsieur Jacob, partageant le siège du cocher, et de sa jeune servante Marie-Madeleine, assise sur l’impériale aux côtés d’Émile Delage. Puis il y a le juge de Florange, un homme hypocrite qui exprime du mépris à l’égard du peuple, surtout comme « le protagoniste d’œuvres littéraires », accompagnant sa maîtresse Virginia Capacelli, cantatrice qui va avoir un concert à l’Opéra de Metz. Le riche industriel lorrain, Monsieur De Wendel est actif et très ouvert à la discussion, en particulier avec son ami révolutionnaire Thomas Paine. Le sixième passager est une femme de la grande bourgeoisie, Adélaïde Gagnon, veuve triste d’un important producteur de Champagne.

Dans la tentative de rattraper la diligence, Restif est aidé par un aristocrate déchu qui se présente sur le pseudonyme de « Chevalier de Seingalt », mais en réalité il s’agit de Jacques Casanova, voyageant en incognito pour échapper aux sbires du compte Waldstein. Malgré les apparentes différences physiques et de pensée politique, les deux trouvent une forte alliance intellectuelle et une complicité, qui les emmènent à continuer le voyage ensemble sur la « désobligeante » de Casanova. Après avoir rattrapé la diligence, à l’arrêt du relais de poste de Meaux, Rétif découvre d’un homme qu’une grande berline y est passée à six heures du matin, donc ses soupçons augmentent et il se confronte sur le possible plan de fuite royale avec Monsieur Paine. Au moment du départ Rétif peut finalement joindre la diligence, tandis que Casanova repart en désobligeante. Dans la voiture les passagers discutent et parlent des aventures et de la vie du charmant Casanova, lequel peu après est obligé à arrêter son chemin à cause d’une roue cassée du cabriolet. La voiture des Messageries Royales rattrape l’homme et la comtesse de La Borde l’invite à continuer le voyage jusqu’à la prochaine étape dans la diligence. Casanova accepte l’invite, mais Monsieur Jacob est forcé par sa dame à rester surveiller les bagages de l’homme jusqu’à l’arrivée du carrossier. Ainsi la diligence s’anime grâce à Restif de la Bretonne et Casanova, qui mettent leur riche expérience de la vie et du plaisir au service des passagers, avides d’être instruits à l’amour et à la séduction par de tels maîtres. La voiture, trop lourde, doit s’arrêter au pied d’une montée située à l’entrée d’un bois. Les passagers sont invités à descendre et à marcher. Casanova entonne l’air du catalogue en duo avec Virginia, alors que De Florange et De Wendel échangent leurs inquiétudes faces aux révoltes des ouvriers. Ensuite la découverte d’objets abandonnés par la famille royale après un déjeuner sur l’herbe, (en particulier un mouchoir ramassé par Sophie), confirme son passage et sa fuite vers les frontières de l’Est. Puis ils continuent le voyage en carrosse. Plus tard ils descendent de la diligence pour se restaurer dans un relais de poste, et dans une auberge ils rencontrent l’envoyé de l’Assemblée législative Bayon, se reposant de la poursuite de la berline royale et ordonnant l’arrestation du Roi, sur ordre du général La Fayette. Après la nouvelle de la fuite royale et de l’arrestation, les passagers déjeunent dans l’auberge et se confrontent sur cet événement. Monsieur Jacob rejoint les autres aristocrates et donc Casanova peut repartir dans sa «désobligeante» réparée, après avoir refusé la déclaration d’amour de la veuve Gagnon. Au suivant arrêt de la diligence Adélaïde Gagnon termine son voyage, alors que Rétif retrouve son ami Jacques Casanova dans une auberge avec Nanette, la mère de son épouse défunte Zéphire, et ils passent la soirée tous ensemble. Les deux continuent le voyage ensemble jusqu’à l’étape suivante, où Casanova est rattrapé par les hommes de Waldstein et donc doit reprendre la route du château de Dux. Le Roi et la Reine ont été reconnus à Sainte-Menehould par le maître de poste Drouet et puis Monsieur Sauce, maire-adjoint de Varennes-en-Argonne, les a arrêtés et les retient “prisonniers” chez lui en attendant les ordres venus de Paris. Cette nouvelle se répand et le peuple français en colère marche vers Varennes. De plus en plus les paysans, les gardes nationaux et les officiers arrivent à Varenne, chez l’épicier Sauce. Après l’arrestation, le couple est reconduit à Paris suivi par une immense foule.

 

THÈMES : Le film raconte l’épisode de la fuite manquée de la famille royale du Palais des Tuileries vers le nord dans la nuit du 20 au 21 juin 1791. Le plan de la fuite, dont le projet remonte au 5 octobre 1789, consistait à rejoindre le bastion royaliste de Montmédy, au nord-est de la France, et les troupes guidées par le marquis de Bouillé pour lancer une contre-révolution. Le général La Fayette, chargé de la surveillance assidue de la famille royale, au courant du départ, ordonne l’arrestation du Roi, qui se passe plus tard à Varennes. Le contexte historique du film est celui de la Révolution française, où l’idée d’une république commence à faire son chemin.

Dans le film le thème du libertinage est très présente, en effet le XVIIIe siècle en France est marqué par le roman libertin, dont un des auteurs le plus importants est Restif de la Bretonne, et beaucoup de scènes soulignent l’érotisme et le scandale.

Un autre thème très important qui domine le film est celui de la fuite inéluctable du temps identifiable dans les personnages de Restif et Casanova. Au-delà des apparences, les deux personnages sont liés par une forte estime, par leur culture, par la complicité d’un passé mouvementé de grands séducteurs, mais surtout par la difficile acceptation du poids des ans qui leur fait regretter amèrement leur jeunesse. La représentation de Casanova désenchanté, nostalgique et caractérisé par le teint blanc et plâtreux, comme un homme victime du temps et qui a perdu son éclat, en est le majeur témoignage.

La comtesse de La Borde est une aristocrate triste et profondément convaincue de la légitimité de la monarchie absolue et très dévouée à la famille royale. Elle ne peut concevoir que le pouvoir royal et l’amour du peuple pour son souverain puissent être remis en question par la Révolution. Elle croit en son roi comme on croit en un « idéal », en une « religion » et donc elle incarne la dévotion absolue à la royauté: elle ramasse un mouchoir abandonné par les fugitifs royaux après un repas en forêt ; elle garde un précieux écrin à médaillons avec les portraits des membres de la famille royale ; elle transporte les habits de cérémonie du roi (dans les mystérieux paquets qui intriguaient Restif) et s’incline devant le mannequin sur lequel Jacob les dispose, après l’arrestation de Louis XVI. La comtesse soutient l’ordre divin du Roi, en revanche Thomas Paine pense qu’il s’agit d’un stratagème pour transmettre le pouvoir aux fils et continuer la dynastie. De l’autre côté le film propose la représentation du peuple français en colère voulant l’arrestation et, plus tard, l’exécution du couple royale et de la foule déchaînée qui n’accepte plus de subir et de vivre dans la misère.

J’ai remarqué aussi le thème de la précarité des ressources économiques des certains hommes de culture à l’époque, comme on peut voir de la condition de Jacques Casanova réduit au bibliothécaire au service du comte Waldstein, ou celle de Goldoni, cité par Casanova dans le film.

 

COMMENTAIRE : Le film est très intéressant et particulier, car il présente une reconstruction historique d’un des chapitres les plus représentatifs de la Révolution française comme la fuite de la famille royale et son arrestation à Varennes d’une perspective originale. En effet il ne se concentre pas sur les chefs d’état qui prenait les décisions, mais sur les idées des gens modestes qui les subissaient. Il a choisi donc de mettre à l’intérieur d’un carrosse des personnages distincts avec des points de vue différents qui se confrontent sur cet événement. Le Roi et la Reine apparaissent une seule fois à la fin du film, mais on ne voit que leurs jambes.

Le film a comme toile de fond le voyage en carrosse, et est caractérisé par de très bons costumes et de excellentes interprétations des acteurs, notamment celle de Marcello Mastroianni que montre un Casanova fragile, vieilli, victime de la fuite du temps, regrettant sa jeunesse, et représenté en blanc marmoréen comme préfiguration d’une morte prochaine.

Le choix d’Ettore Scola de l’écart sémantique qui sépare le titre français (La Nuit de Varennes), évoquant un épisode important de la Révolution, du titre italien (Il Mondo Nuovo), qui renvoie aux changements et à l’évolution qui entraîne la Révolution dans le contexte politique et social, est très remarquable. Dans le film Il Mondo Nuovo est aussi le nom d’une attraction sur un quai de la Seine, au pied de Notre-Dame, où des saltimbanques vénitiens invitent les passants à monter à bord pour regarder, à travers les lentilles d’un appareil optique, la reconstitution animée de la Révolution française, de la prise de la Bastille à l’exécution de Louis XVI. Cette scène figure une première fois juste au début du film et puis, de nouveau, dans la séquence finale comme pour mettre entre parenthèses le reste du film, avec un flashback qui les réunit, et avec une fonction narrative originale.

Je trouvé très intéressant l’anachronisme de la scène finale du film où on peut voir Rétif gravant, du quai de la Seine, les escaliers qui le ramènent dans le centre-ville parisien de l’époque actuelle, tout en citant un passage de son livre. Il se projette dans le futur pour communiquer et rappeler aux hommes qui critiquent les barbaries de la Révolution dans leur gouvernement politique apparentement solide et pacifique, que l’homme a la propension à répéter ses erreurs et à recommencer la guerre après une période de paix. Dans le film donc le metteur en scène cherche de donner une explication du présent, à travers une relecture du passé.

Par ailleurs dans le film sont mentionnés plusieurs hommes de lettres importants comme Dante, Voltaire et Goldoni.

 

Chiara Fiorillo

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