Salvatore Antonio Bravo – Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile. Ogni resistenza dev’essere svuotata della sua temporalità e colonizzata dalle immagini dello spettacolo globale.
Il tempo consumabile dell’età moderna
La società dello spettacolo di Guy Debord tratteggia il fondamento ontologico del capitalismo assoluto: il tempo naturalizzato, il tempo ciclico del neopagenesimo prono all’idolatria delle merci. La sostanza taciuta alberga in ogni luogo, in ogni individuo reso funzione, nella ripetizione compulsiva del gesto e della scelta programmata dallo spettacolo delle immagini. La mosca è nella bottiglia e non riesce a trovare l’uscita dal collo della bottiglia, direbbe Wittgenstein. Il tempo ciclico è trasparente e tagliente come il vetro di una bottiglia: c’è, costruisce l’ordito delle alienazioni, ma si è ritirato nel silenzio religioso; l’innominabile è il sovrano delle esistenze, precarizza e porta con sé l’oblio della storia. Non più lessicalmente presente, in quanto l’asservimento alla società dello spettacolo regna, gli intellettuali servono, ormai organici alle caverne del potere del tempo ciclico e dell’assenza della storia. Debord evidenzia che il tempo ciclico della produzione, è il tempo artificiale dell’industria, tempo della tecnica, tempo del dispositivo, penetra capillarmente in ogni strato della coscienza per ridurla ad oggetto. Il tempo ciclico dell’industria ha inaugurato una nuova categoria temporale della ripetizione a ritmo di produzione, consumo, distruzione. La trinità pagana del ciclo temporale consente la sopravvivenza al neointegralismo della produzione per il consumo ed è inversamente proporzionale alla vita: il tempo ciclico sottrae vita per permettere la sua espansione illimitata: «Il tempo pseudo-ciclico è quello del consumo della sopravvivenza economica moderna. La sopravvivenza aumentata, in cui il vissuto quotidiano rimane privato di decisione e sottomesso non più all’ordine naturale, ma alla pseudo-natura sviluppata nel lavoro alienato; e questo tempo ritrova dunque del tutto naturalmente il vecchio ritmo ciclico che regolava la sopravvivenza delle società preindustriali».[1]
Il tempo ciclico delle società industriali non sfugge al destino, al fato che occhieggia dall’abisso, ovvero esso stesso fondamento dei vissuti senza decisionalità effettiva, è divorato dal ciclo artificiale del tempo. Crono è tra di noi, divora i suoi figli, ma ha fatto un passo in avanti. Non può sfuggire alla sua legge: «deve divorare se stesso», per cui il tempo ciclico artificiale è il tempo del nulla, del nichilismo realizzato, dell’impensabile che si avvera, tutto è consumo. Il tempo che fonda la ritualità del consumo è divorato dai suoi sudditi. Non vi è spazio per il tempo della decisione, del pensiero riflesso, il sistema sopravvive divorando se stesso ed annichilendo ogni possibile dissenso che vive del tempo: «Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile, che raccoglie tutto ciò che si era precedentemente distinto, durante la fase di dissoluzione della vecchia società unitaria, in vita privata, vita economica, vita politica. Tutto il tempo consumabile della società moderna viene allora ad essere trattato come materia prima di nuovi prodotti diversificati, che s’impongono al mercato come forme di impiego di tempo socialmente organizzato».[2]
Il tempo globale estende la sua rete e le sue caverne su ogni parte del globo, lo spazio dev’essere asservito al tempo artificiale, in tal modo ogni differenza è divorata e sostituita dalle immagini, le reti relazionali sempre più fitte della società dello spettacolo e della comunicazione si dipana in una ripetizione di immagini sempre uguali nei contenuti, apparentemente differenti nelle forme: «La storia universale diviene una realtà, perché il mondo intero è raccolto sotto lo sviluppo di questo tempo. Ma questa storia che dappertutto simultaneamente è la stessa, non è ancora che il rifiuto intrastorico della storia».[3]
Ogni resistenza dev’essere svuotata della sua temporalità e colonizzata dalle immagini dello spettacolo globale. Il tempo irreversibile delle merci è il tempo della quantificazione a cui la coscienza non deve sfuggire. La storia chiude il suo ciclo. Il tempo ciclico vorrebbe divorare la storia e che terminasse con l’energia prometeica della produzione. Nessun delitto è perfetto, per cui la storia assassinata dal tempo artificiale ciclico ha lasciato le sue tracce, le sue contraddizioni, l’ordito per ricostruire nuovi orizzonti nella decodifica collettiva del presente vissuto. Siamo chiamati, vocati al compito di rintracciare i delitti e le categorie che non appaiono, per destrutturarle, perché la storia riprenda il suo soffio vitale, e la corrente calda ci richiami a nuova vita.
Salvatore Antonio Bravo
[1] Guy Debord, La società dello spettacolo [1967], Baldini & Castoldi, 2013, p. 142.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem, p. 137.
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