Salvatore Bravo – Con questo libro sulla «Dolcezza» Luca Grecchi ci dona la possibilità di un riorientamento gestaltico con cui guardare ex novo il mondo nella sua verità. Non basta essere gentili. Senza gratuità e dolcezza non vi è comunità.

Luca Grecchi - Dolcezza - Salvatore Bravo

Salvatore Bravo

Globalizzazione della durezza e necessità della dolcezza

Con questo libro sulla «Dolcezza» Luca Grecchi ci dona la possibilità
di un riorientamento gestaltico con cui guardare ex novo il mondo nella sua verità.
Non basta essere gentili.
Senza gratuità e dolcezza non vi è comunità.

 

L’Occidente globalizzato nel suo tramonto nichilistico si caratterizza per un generale analfabetismo emotivo e sentimentale. L’analfabetismo dei sentimenti a cui si assiste, e di cui quotidianamente ci si scandalizza, può essere compreso solo all’interno della cornice crematistica che impera e regna. Il trionfo della razionalità calcolante e produttiva non ammette limiti al suo imperio. La natura morale universale è giudicata come elemento inibente nello sviluppo delle forze produttive, pertanto si scinde il legame tra teoria e prassi e tra razionalità e sentimento etico. La struttura economica necessita di un’umanità mutila della sua profondità etica nella quale razionalità oggettiva e vita emotiva trovano la loro massima configurazione.
L’antropologia capitalistica ha elaborato una visione dell’essere umano come di un essere devoto allo scambio e che realizza se stesso solo nell’attività mercantile. Il fine è creare un vuoto interiore in ogni essere umano da riempire con la logica dell’utile e dell’accumulo che devono sostituire ogni finalità etica. Il sistema non vuole solo atomizzare, ma deve anche recidere la totalità, fondamento della persona, e affinché questo possa essere deve isolare e spingere alla competizione, per mutilare l’umanità del senso etico.
Ogni mutilazione implica una ferita, la quale palesa l’irrazionalità dolorosa di tale pratica sociale, che vorrebbe fondare l’uomo nuovo, sogno di ogni totalitarismo, ma in realtà, ottiene solo un’umanità sofferente e senza speranza. Le passioni tristi di cui è intessuto il capitalismo nella sua fase neoliberista sono la verità di un sistema patologico ed irrazionale. Negare la natura morale significa consegnare l’umanità al caos della violenza, all’infelicità perenne tra le miserie dell’abbondanza per i privilegiati, ed alla miseria migrante per i nativi degli Stati neocolonizzati e sfruttati dalle logiche imperiali. In entrambi i casi regna l’anomia etica e l’incuria nelle relazioni umane ed ambientali:

Filosofia ed etica
In questo contesto connotato dall’anti-umanesimo la filosofia deve segnare la sua presenza critica e propositiva. Non si tratta della filosofia accademica: non è certo una filosofia all’ombra del potere che può riportare il problema morale alla sua comprensione storica. Solo la filosofia che non ha tradito la sua vocazione teorica e pratica ed ha come fine la buona vita degli esseri umani, può agire, affinché la “cura” della comunità sia il principio di un nuovo inizio a misura di essere umano e non di mercato:

Luca Grecchi procede per definizioni e distinzioni in modo da chiarire il problema, e far emergere dal caos delle parole – travolte dal flusso ininterrotto ed anonimo delle mercificazioni e dall’autopromozione – i significati con cui definire i problemi ed indicare l’alterativa all’anomia vigente. Definire e distinguere è già un atto che implica dolcezza e cura, in quanto riportare i significati alla loro verità è un atto etico con il quale si dona senso e si indica il percorso per ritornare a se stessi dopo la dispersione nichilistica:

Dolcezza e cura
L’economia privatistica ed acquisitiva non ha cura degli esseri umani, li omogeneizza alle merci, li riduce ad enti mossi dal valore di scambio.
La dolcezza è non solo cura, ma espressione del bene, ovvero della buona vita che necessita di relazioni fondate sulla razionalità etica.
La dolcezza è pratica della reciprocità nella cura liberata dal vincolo proprietario-acquisitivo. L’essere umano è, in tal modo, valorizzato per la sua umanità che necessita di essere guardata con lo sguardo della dolcezza, della reciproca e dialettica accoglienza con cui conoscersi nella propria totalità “irripetibile” e non “riproducibile”:

«Pensiamo agli uomini: se trattati con rispetto e cura, tendenzialmente, essi ricambiano con rispetto e cura, dato che le relazioni umane sono solitamente caratterizzate da reciprocità. Se le cose stanno così, rapportandosi agli altri enti con rispetto e cura sarà realizzato anche il nostro bene, poiché essi si rapporteranno a noi con rispetto e cura. La regola generale della reciprocità nelle relazioni etiche è ben esplicitata da quella che, verosimilmente, costituisce la regola etica più universale che sia mai stata formulata, ossia la cosiddetta “regola d’oro”, non a caso presente in molte civiltà antiche».[4]

Cos’è un mondo senza cura e senza dolcezza?
Lo viviamo ogni giorno: il quotidiano è nell’ottica dell’indifferenza. Ciascuno è solo un mezzo per l’altro. Tra l’essere umano e gli enti che normalmente si usano non vi è differenza, e ciò diviene abitudine alle cattive relazioni nelle quali ci si sente perennemente minacciati. La violenza non risparmia nessuno ed inquina, in primis, le parole: per trasmettere la violenza ad ogni elemento dinamico della vita. La normalità del male è codificato mediante le leggi del mercato che divengono leggi bronzee su cui curvare ogni atto e parola:

Definizione di dolcezza
La definizione di dolcezza consente di comprendere il presente mediante la sua assenza. Non si tratta solo di una fenomenologia della dolcezza, ma anche di ricostruire un quadro storico, in cui siamo implicati con le nostre personali responsabilità. La dolcezza definita mediante la medietà aristotelica non è mollezza, non è durezza, ma cura attiva dell’altro, consente un percorso di avvicinamento etico all’alterità nella consapevolezza che essa dev’essere declinata nel rispetto dei contesti e delle contingenze. La dolcezza non è antitetica alla razionalità, ma la presuppone, perché agire con dolcezza significa mediare la cura con le differenti situazioni, circostanze, personalità con cui si è in relazione. La dolcezza non è equivoca, né univoca, ma si declina in molti modi:

Dolcezza e gentilezza
La dolcezza non è gentilezza, perché quest’ultima non comporta la cura, ma si limita ad atti formali. La gentilezza può essere compatibile con il sistema capitalistico, poiché è forma che non esige cura e responsabilità verso l’altro, ma è solo una modalità d’approcciarsi gradevole che, in taluni casi, può essere strategia di mercato o un semplice surrogato di un vuoto emotivo ed esistenziale, pertanto può essere ingannevole, può indurre in un mondo di solitudine a false speranze. Solo se unita alla dolcezza ed alla cura la gentilezza è autentica:

Il male può assumere forme nell’aspetto esteriore gradevoli ma nella sostanza interiore ingannevoli. La gentilezza scissa dalla dolcezza in un sistema acquisitivo finalizzato al profitto è solo un mezzo, perché è il profitto che tutto guida, e pertanto la dolcezza è ripudiata e rimossa. Il sistema, nonostante le declamate affermazioni di facciata è intrinsecamente avverso alla cura comunitaria e pertanto censura la discussione sulle modalità relazionali che lo svelano nella sua essenza storica:

Gratuità e dolcezza
Senza gratuità e dolcezza non vi è comunità, ma solo una caotica giustapposizione di soggetti in lotta tra di loro. La lotta acquisitiva distrae ed allontana – pur senza neutralizzarla – dalla natura etica umana. L’effetto è la “cattiva vita” generalizzata, in cui la tonalità del grigio investe ogni componente della comunità conducendolo verso la depressione emotiva e razionale:



Senza dolcezza non vi è comunità, non vi è possibilità di ascoltare il proprio Daimon, il proprio io profondo nel quale l’universale si scopre nella sua particolarizzazione irripetibile. Luca Grecchi ci dona la possibilità di un riorientamento gestaltico con cui guardare ex novo il mondo nella sua verità. D’altra parte la filosofia è “meraviglia panica” che ci induce a vedere in profondità per capire, in modo da non restare anestetizzati dall’irrazionale con le sue violenze.

Salvatore Bravo

***

[1] Luca Grechi, Dolcezza, Mursia, Milano, 2021 pp. 27-28.
[2] Ibidem, pag. 80.
[3] Ibidem, pag. 33.
[4] Ibidem, pag. 36.
[5] Ibidem, pag. 39.
[6] Ibidem, pag. 46.
[7] Ibidem, pag. 70.
8] Ibidem, pag. 73.
[9] Ibidem, pp. 103-104.

Quarta di copertina

La dolcezza è una virtù fondamentale che rende migliori le relazioni umane, e mai come in questo periodo di grandi incertezze se ne sente il bisogno. Questo saggio di Luca Grecchi analizza dapprima, alla luce della filosofia greca classica, alcuni dei contenuti essenziali per la comprensione della dolcezza, come la verità, il bene, la virtù. In un secondo momento, descrive le principali strutture etiche affini alla dolcezza, ma che dalla stessa si differenziano, costituendone talvolta semplicemente delle componenti: la gentilezza, la tenerezza, l’umiltà, la misericordia, la gratuità, la forza, la semplicità e la finezza. Di queste qualità, che il nostro tempo spesso altera, la dolcezza costituisce il coronamento e la compiuta realizzazione.

Luca Grecchi (Codogno, 1972) insegna per le cattedre di Filosofia Morale e di Storia della Filosofia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Fra i suoi libri più recenti, Leggere i Presocratici (2020) e tre volumi della collana «Questioni di filosofia antica» delle Edizioni Unicopli, ossia Natura, Uomo e Ricchezza (rispettivamente 2018, 2019 e 2021). Ha scritto inoltre Conoscenza della felicità (Petite Plaisance, 2005).

Pagine 170 – Euro 17,00


Indice

Introduzione di Silvia Vegetti Finzi

PRIMO CAPITOLO:
Per introdurre il discorso

La dolcezza come virtù

L’uomo: un ente da definire

Il bene: un concetto da definire

Il rispetto e la cura come relazioni costitutive del bene

Per una definizione della dolcezza

La dolcezza come giusta misura

La dolcezza come virtù filosofica

 

SECONDO CAPITOLO:
Cosa non è e cosa è la dolcezza

La dolcezza non è gentilezza

La dolcezza non è tenerezza

La dolcezza non è umiltà

La dolcezza non è misericordia

La dolcezza è (anche) gratuità

La dolcezza è (anche) forza

La dolcezza è (anche) semplicità

La dolcezza è (anche) finezza

Bibliografia


Luca Grecchi – i suoi libri

Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
 
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.
Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri
Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.
Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.
Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini
Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico
Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.
Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società
Luca Grecchi – i suoi libri (2002-2019)
Luca Grecchi – L’UMANESIMO GRECO CLASSICO DI SPINOZA. Lo scopo della filosofia non è altro che la verità.
Luca Grecchi – «Uomo» – L’uomo è il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.
Luca Grecchi – Insegnare Aristotele nell’Università
Luca Grecchi – L’etica di Aristotele e l’etica di Democrito: un confronto
Maurizio Migliori, Luca Grecchi – Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli
Luca Grecchi – Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale. Occorre porsi con critica consapevolezza progettuale all’interno della totalità sociale.
Luca Grecchi – «Leggere i Presocratici». La cultura presocratica rappresenta tuttora una miniera in buona parte inesplorata.
Luca Grecchi – Questo volume cerca di colmare un vuoto, almeno nella letteratura specialistica in lingua italiana. Mancava infatti, ad oggi, un volume complessivo sul tema della ricchezza nella filosofia antica.
Luca Grecchi – La dolcezza rappresenta una disposizione del carattere volta a configurare in maniera eccellente la propria umanità, nei rapporti con gli altri uomini e con la natura, per favorire la realizzazione di una vita felice.
Luca Grecchi – Intervista sulla «Ricchezza».
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Anna Beltrametti – Philosophical Fear and Tragic Fear: The Memory of Theatre in Plato’s Images and Aristotle’s Theory

Anna Beltrametti - Springer


L’indice del saggio

 

Introduction

The Fear of Tyrants and the Paradox of Tyrants

Fear, Speeches, and Theatre: Aristotelian Stimuli and Anaesthetics

Oresteia: Fear and Authority, Vengeance and Surveillance

The Sophoclean Diptych of Oedipus: Fear, Transgression, Guilt, and Innocence

From Theatre to Philosophy, and Back. Ancient and Modern Fears. Conclusions

References


The aim of the series Studies in the History of Philosophy of Mind is to foster historical research into the nature of thinking and the workings of the mind. The volumes address topics of intellectual history that would nowadays fall into different disciplines like philosophy of mind, philosophical psychology, artificial intelligence, cognitive science, etc. The monographs and collections of articles in the series are historically reliable as well as congenial to the contemporary reader. They provide original insights into central contemporary problems by looking at them in historical contexts, addressing issues like consciousness, representation and intentionality, mind and body, the self and the emotions. In this way, the books open up new perspectives for research on these topics.
This book series is indexed in SCOPUS.
For more information, please contact the publishing editor at christi.lue@33 springer.com

More information about this series at http://www.springer.com/series/6539



Sommario

Anna Beltrametti – C’è anche un pensiero delle donne? Le donne del teatro greco sono laboratori di utopia infiniti. Sono talmente forti in questa loro energia utopica di un mondo da rifondare, da rinnovare, di un mondo possibile, che è la filosofia stessa ad attingere al loro pensiero.
Anna Beltrametti – Il punto più alto che Platone tocca nelle riflessioni sulla paura è proprio il reciproco implicarsi di potere personale e paura. Paura che l’uomo di potere riesce ad incutere ai suoi governati, ma anche paura provata dall’uomo di potere nei confronti di chi è migliore di lui, come pure della paura che ha di tutta la schiera di manutengoli che, dopo averlo lusingato, vogliono essere lusingati e pretendono lusinghe.
Anna Beltrametti – Scritti per onorare la memoria di Diego Lanza e Mario Vegetti
Anna Beltrametti – Populismo: da oggi alla scena originaria, comica e nera di Aristofane. Per contendersi il favore del Popolo, trasformato da soggetto politico in oggetto (in merce), i contendenti si rivelano per quello che sono: strumenti, burattini di un’élite che li manovra e li usa senza apparire.
Anna Beltrametti – «La letteratura greca. Tempi e luoghi, occasioni e forme». L’intento è di contrastare periodizzazioni secche, di mostrare come le forme si modifichino o si conservino non solo nel tempo o in funzione delle occasioni a cui rispondono, ma anche in relazione ai luoghi segnati da cerimonie e rituali specifici, da consuetudini culturali precise.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Ignacio Marcio Cid – La psicoterapia filosófica de Epicuro

Ignacio MARCIO CID 01

Ignacio Marcio Cid

La psicoterapia filosófica de Epicuro

Peter Lang GmbH, Internationaler Verlag der Wissenschaften, Berlin 2000

 

Este libro versa sobre el sentido psicoterapéutico, de gran actualidad, que impregna todo el programa filosófico epicúreo. Estudia y recupera una función aplicada (curativa o sanadora) que ha sido omitida o sólo parcialmente abordada. Analiza, primeramente, los principios constitutivos y regulatorios que penetran la totalidad existente, la φύσις. Asumidos el antinihilismo axiomático, el pluralismo, el materialismo atómico, el movimiento y el clinamen como fundamento de libertad en un universo mecánico, presenta el proceso generativo de los compuestos, que atañen a toda entidad pluriatómica, se interesa por el ser humano, agregado singular, así como por el estatuto ontológico de su cuerpo psicofísico, carne y mente. La ψυχή recibe una atención especial por cuanto, primero, en ella se manifiesta la racionalidad humana y segundo posee formantes que la acomunan con las divinidades epicúreas. Estos dioses devienen objeto de estudio porque, insertos en la continuidad natural, ofrecen una regula uitae ejemplar para la felicidad plena, placentera y libre. Al propio tiempo permiten atisbar la curación o sanación que necesita el hombre. El estudio muestra, en efecto, que ésta no se halla en la eternización de un alma extracorpórea, sino en la supresión del dolor y del miedo. La ética, que aquí es considerada más bien práctica calmante, recibe una lectura eminentemente médica, para cuya recta comprensión se abordan, preliminarmente, los lazos históricos entre filosofía y medicina racional helena. Presentado el vínculo antedicho, el análisis pormenorizado del λόγος y sus derivados en Epicuro contribuye, como requisito, a evidenciar la importancia de la razón, que todo relaciona, la correlación y la analogía tanto en la naturaleza como en el ser humano; permite, además, calibrar la importancia de la palabra plena y significativa en la filosofía del Jardín. Por último, la psicoterapia ocupa el último tramo de la investigación: se expone el doloroso diagnóstico epicúreo pero también se aborda el despliegue medicinal que Epicuro y sus seguidores disponen felizmente. Entre las herramientas psicoterapéuticas, pueden mencionarse la integración racional y vital en la φύσις, la meditación, la confesión, el examen de conciencia, la detención de pensamientos obsesivos e invasivos, la risoterapia, la autogestión emocional de corte cognitivo, así como la socialización amorosa en forma de comunidad, compañía y amistad. Todas estas intervenciones persiguen, como objetivo nuclear, el restablecimiento de quienes sufren el carne o en la mente, doloridos y angustiados. Esa recuperación del bienestar pasa por la ἀναλγησία, que comprende una tanatología frente al malentendido humano de la finitud; incluye igualmente un arte del deseo natural y necesario, o sea, un manejo estratégico- instrumental y prudencial de las capacidades sensoperceptivas y reflexivas humanas, de forma que las aspiraciones no generen frustración o vanas esperanzas. El empeño estudioso finaliza con el estudio del último ingrediente de la terapia epicúrea: el amor al placer, la φιληδονία, acompañada de una discusión que procura esclarecer, contra los tópicos y las lecturas in malam partem, su enraizamiento en el todo natural, su fondo virtuoso, además de la importancia final de la activa paz de espíritu, el gozo catastemático.

***

This book deals with the psychotherapeutic factor that permeates the whole Epicurean philosophical program. It is the aim of this study to research and to rehabilitate its healing function. Since the Garden’s philosophy is a very systematic one, the question about the natural reality, φύσις, had to be addressed firstly. Anti-nihilism, materialism, eternal atoms, infinite void, perpetual movement, clinamen and the plurality worlds are key notions of the axiomatic and scientific Epicurus’ physics. Once we had gained clarity about those core concepts, the central role of human beings in the system was to be discussed. As natural, yet exceptional, atomic compounds, men and women do have flesh and soul and are, therefore, completely mortal. Nevertheless, they possess numerous qualities, originating in their ψυχή, which render them unique : freedom, rationality and even a material community with the gods. According to Epicurus, there is a fourth element constituting the souls of both people and deities, so that a physical continuity and material formation are preserved through the entire nature. Gods are studied from a naturalistic physiologic perspective and at the very same time they act exemplary and, freed from any providential, governing tasks, they provide a regula uitae in order to achieve a pleasant, authentic happiness. In fact, this research tries to demonstrate that complete curation is not to be linked to an eternal extra-corporeal soul, but arises from the removal of pain and fear, aponia and ataraxia. These two are the paramount pleasures, far distant from a gross hedonism. Ethics are, then, presented as a soothing practice, having a nuclear medical purpose. Taking this into account, it was necessary to explore the historical connections between philosophy and rational Hellenic medicine before Epicurus. After that, multiple therapeutic forms conceived or applied by the Samian philosopher were analyzed. The λόγος proved to be the unifying element among them and involved not only human reason but also analogy. Epicurus’ diagnose is very sad: we are in pain. To reverse that, he presented exercises such as meditation, confession, self-examination, laugh therapy, emotional intelligence, intrusive thoughts control, companionship, solidarity and friendship. There are still two additional therapies completing the above mentioned: an Epicurean thanatology, because we miss the point when considering (im)mortality and forget about sensation as the ground of any life; and an ars desidrandi, because we should accept only natural and necessary desires, instead of chasing whimsy dreams with vain hopes. All this will help us regain our primal bodily and mental health and happiness, our essential, frugal and glad wellbeing. By means of prudence and reflection, governing our body and cultivating our mind we will liberate ourselves and taste a durable, profound, stable joy, comparable to that of the gods.




M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Ignacio Marcio Cid – Note e riflessioni sul libro di Enrico Berti, «Scritti su Heidegger»

Ignacio MARCIO CID - Enrico Berti

Scritti su Heidegger

indicepresentazioneautoresintesi




Ignacio Marcio Cid – La psicoterapia filosófica de Epicuro

Este Libro versa sobre el sentido psicoterapéutico, de gran actualidad, que impregna todo el programa filosófico epicúreo. Estudia y recupera una función aplicada (curativa o sanadora) que ha sido omitida o sólo parcialmente abordada. Analiza, primeramente, los principios constitutivos y regulatorios que penetran la totalidad existente, la φύσις. Asumidos el antinihilismo axiomático, el pluralismo, el materialismo atómico, el movimiento y el clinamen como fundamento de libertad en un universo mecánico, presenta el proceso generativo de los compuestos, que atañen a toda entidad pluriatómica, se interesa por el ser humano, agregado singular, así como por el estatuto ontológico de su cuerpo psicofísico, carne y mente. La ψυχή recibe una atención especial por cuanto, primero, en ella se manifiesta la racionalidad humana y segundo posee formantes que la acomunan con las divinidades epicúreas. Estos dioses devienen objeto de estudio porque, insertos en la continuidad natural, ofrecen una regula uitae ejemplar para la felicidad plena, placentera y libre. Al propio tiempo permiten atisbar la curación o sanación que necesita el hombre. El estudio muestra, en efecto, que ésta no se halla en la eternización de un alma extracorpórea, sino en la supresión del dolor y del miedo. La ética, que aquí es considerada más bien práctica calmante, recibe una lectura eminentemente médica, para cuya recta comprensión se abordan, preliminarmente, los lazos históricos entre filosofía y medicina racional helena. Presentado el vínculo antedicho, el análisis pormenorizado del λόγος y sus derivados en Epicuro contribuye, como requisito, a evidenciar la importancia de la razón, que todo relaciona, la correlación y la analogía tanto en la naturaleza como en el ser humano; permite, además, calibrar la importancia de la palabra plena y significativa en la filosofía del Jardín. Por último, la psicoterapia ocupa el último tramo de la investigación: se expone el doloroso diagnóstico epicúreo pero también se aborda el despliegue medicinal que Epicuro y sus seguidores disponen felizmente. Entre las herramientas psicoterapéuticas, pueden mencionarse la integración racional y vital en la φύσις, la meditación, la confesión, el examen de conciencia, la detención de pensamientos obsesivos e invasivos, la risoterapia, la autogestión emocional de corte cognitivo, así como la socialización amorosa en forma de comunidad, compañía y amistad. Todas estas intervenciones persiguen, como objetivo nuclear, el restablecimiento de quienes sufren el carne o en la mente, doloridos y angustiados. Esa recuperación del bienestar pasa por la ἀναλγησία, que comprende una tanatología frente al malentendido humano de la finitud; incluye igualmente un arte del deseo natural y necesario, o sea, un manejo estratégico- instrumental y prudencial de las capacidades sensoperceptivas y reflexivas humanas, de forma que las aspiraciones no generen frustración o vanas esperanzas. El empeño estudioso finaliza con el estudio del último ingrediente de la terapia epicúrea: el amor al placer, la φιληδονία, acompañada de una discusión que procura esclarecer, contra los tópicos y las lecturas in malam partem, su enraizamiento en el todo natural, su fondo virtuoso, además de la importancia final de la activa paz de espíritu, el gozo catastemático.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Angelo Magliocco – il libro di Salvatore Bravo, «L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo».

Salvatore Bravo, L'animalizzazione dell'essere umano nel capiralismo recensione Angelo Magliocco

Angelo Magliocco

Recensione di “L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo” di S.A. Bravo

***

Agli albori del pensiero ritroviamo Aristotele e la sua qualificazione sostanziale dell’uomo come animale politico – ζῷον πολιτικόν (zòon politicòn) – inteso in senso lato come cura di sé e del rapporto con gli altri uomini della πόλις (pòlis). Se tale qualificazione non rispondesse realmente alla sua natura, soggiunge Aristotele, l’uomo decadrebbe a stato di belva solitaria, esclusa dal consorzio umano, o al contrario sarebbe de facto elevato a stato di divinità che, per la sua onnipotenza e autosufficienza, non abbisogna di un consesso comune.

Ebbene, la qualificazione di πολιτικόν è la mira, a giudizio di Salvatore A. Bravo (nel seguito S.B.), autore di questo ottimo saggio, di un attacco congiunto, surrettizio nelle modalità ma fin troppo palese negli effetti, della società della tecnica e del sistema economico capitalistico. La risultante è un imprimatur tecno-capitalistico apposto su un nuovo manuale d’uso dell’uomo contemporaneo. È il tentativo di avviare lo sviluppo della storia su una direzione si direbbe “antropofuga”, e anzi “zoopeta”, che allontani dalla sostanza di tutto ciò che significa “essere umani” e avvicini alla sostanza fisico-naturalistica dell’idea di “essere vivente” tout court, che residua appunto nella nuda caratterizzazione di ζῷον.

Curiosamente la tecnica e il capitale agiscono per additionem, l’una pervadendo la società di strumenti atti a moltiplicarne le capacità espressive, almeno in teoria, l’altro a moltiplicarne le effettive possibilità di porle in atto tramite la ricchezza, ma il risultato complessivo è un uomo diminuito, deumanizzato, un mero ζῷον, un uomo scalato per subtractionem del proprio vero potenziale. Ogni incremento tecnico e capitalistico, in un curioso vortice dialettico, va non ad aumentare ma a detrarre dall’uomo ciò che di più umano c’è nella sua espressione. In questo, S.B. cita giustamente Hegel:

Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni”.

Da questo punto di vista, il saggio di S.B. è una panoramica ad ampio raggio sulle svariate qualità tolte dall’espressione umana, ovvero di caratteri che hanno subito, e continuano a subire, una detrazione in termini di umanità vera.

Partiamo proprio dal vivere sociale, che ad es. la nostra stessa Costituzione (art. 3 comma 2) lega allo sviluppo della persona umana e all’effettiva partecipazione alla società, e quindi intende non già nel senso di un Ego solipsistico, bensì comunitario, ovvero come relazione di quell’Ego all’interno di un contesto relazionale. La matrice trasformativa in cui l’Ego è immerso, in un sistema tecno-capitalismo, è invece esiziale per quello stesso Ego, in quanto riducendolo a monade “senza finestre”, ne abbatte la stessa capacità espressiva in tutto ciò cui tale Ego tiene realmente:

L’essere umano è tale, se si riconosce nell’identità personale e comunitaria. L’identità si genera nelle relazioni comunitarie senza le quali “il riconoscimento di sé” e “dell’altro” è impossibile. In questo intreccio si struttura la personalità che, benché dinamica, ha la sua essenza, si modifica, ma all’interno di un percorso evolutivo tracciato. Gli accidenti del percorso possono essere estemporanei, ma l’identità con il suo nucleo vitale e dinamico non è contrattabile, non può essere sostituito. L’identità è resistenza al potere, è il limite che il soggetto disegna al potere. L’animalizzazione è, invece, l’organizzazione totalitaria del capitalismo assoluto, essa deve privare i soggetti dell’identità stabile inneggiando al mito della flessibilità, delle identità fluide, della sessualità polimorfa. L’identità non è più legata ad una storia, alla ricerca di sé, ma è figlia dell’attimo, della voglia del momento. Senza identità, l’io non è che il contenitore senza fondo degli stimoli del mercato.

E ancora, sull’empatia, non possiamo che concordare con S.B.:

Affinché il sistema possa proliferare e regnare è necessario diseducare all’empatia positiva, alla capacità empatica e duale per sostituirla con l’empatia negativa. Quest’ultima si caratterizza per il corazzamento emotivo, ci si ritira dal flusso empatico positivo per rendersi atomi individuali slegati da ogni vincolo di appartenenza. L’empatia positiva educa alla trascendenza, nel volto dell’altro si legge la traccia dell’infinito e del limite.

S.B. prosegue con un’analisi di stampo più teoretico di questi esiti, introducendo ad esempio la c.d. “perversione di Spinoza”, ovvero il pervertimento degli attributi, le qualità fondamentali della sostanza umana, che virano verso un’uniformità artificiale, atta a garantire unicamente uno scivolamento perpetuo di merci e capitali senza attrito alcuno, perdendo in ciò la loro stessa prerogativa primigenia.

Gli infiniti attributi spinoziani non sono che gli esseri umani, i quali divengono l’epifenomeno dell’unica sostanza spazio-materia. Solo corpi che consumano, sola estensione, solo enti liberi di veleggiare per il pianeta per godere la liturgia del nulla. Godere è rendere l’altro strumento, spazio che divora ed assimila altro spazio. Il turista che girovaga nel mondo, cosa fa se non consumare veloci visioni di paesaggi e monumenti per poi dilettarsi con i cibi del luogo. In media al ritorno è simile al momento del viaggio, poiché il fine era il divertimento, “il divertere-cambiare strada”. Strati su strati di divertissement non costruiscono solo l’economia della dispersione e della gettatezza, ma specialmente formano ed orientano alla fuga dall’impegno, dalla politica.

Invero, cosa c’è di più distruttivo dell’effetto di questo contesto sulle nuove generazioni, sulla loro formazione. Arduo obiettare che il mondo, così come filtrato da una Weltanschauung tecno-capitalista, non sia soggetto per loro a una continua riconfigurazione gestaltica verso il piatto e via dalla complessità, una Gestalt senza figure riconoscibili, dotata unicamente di linee rette infinite e parallele, che non si incontrano mai se non all’infinito (direbbe Euclide), ma in un infinito non in un senso metafisico, quanto piuttosto nel senso di una trabordante ed essudante quantità.

Con il pedagogismo gli esperti della tecnocrazia didattica riducono la formazione a costola del mercato, tra l’istituzione formativa ed il mercato non vi è differenza, non vi sono salti quantici a garantire la formazione dall’asservimento incorporante. Costanzo Preve connota questa fase del capitalismo come assoluto e ne evidenzia l’incorporamento, mediante il quale si costituisce il regno dell’irrilevanza, ovvero ogni valore, ogni differenza tra l’umano ed il non umano salta per portare il tutto sulla linea dell’irrilevanza. Non vi è alto, né basso, non vi sono gerarchizzazione assiologiche, ma solo l’irrilevanza del nichilismo. Capitalismo della sorveglianza è la definizione di Shoshana Zuboff, con cui si palesa il carattere dell’incorporamento della vita mediante le banche dati con le quali allevare un nuovo tipo di essere umano.

Il saggio di S.B. è estremamente interessante per la visione a volo d’angelo di un territorio antropico via via eroso e desertificato, decompresso della sua pienezza umana e fluido come olio motore, lubrificato come un ingranaggio ma sterilizzato e prono a guasti. È un territorio dell’uguale e del conforme, del normale statistico e non emotivo, della confluenza e non dell’unione, della giustapposizione e non dell’incontro.

Egli riesce a individuare e a descrivere con dovizia di particolari e abili agganci teoretici i gesti, le idolatrie e gli idealtipi della società contemporanea: vedansi, ad esempio, il preside manager, lo studente coder già alle elementari, il poliglotta sagace, il politico sinistrorso ma aperto al globale, il professore con picchi di performance, la scuola azienda, il pensiero dell’esatto e non del vero, il politicamente sottratto (o, come pretendono dire, corretto), la burocrazia automatica che si infiltra nei gangli delle relazioni umane. Questo testo costituisce pertanto una visione originale del rapporto tra capitalismo, tecnica e società, nelle sue ricadute culturali e sociali.

Salvatore Bravo
L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo

ISBN 978-88-7588-274-7, 2020, pp. 192, Euro 20

indicepresentazioneautoresintesi

«Ora, una volta liberato dalle sue catene, il gigante infuria, abbattendo tutto ciò che si oppone alla sua corsa. Cosa ci riserverà il futuro? Chi ritiene che il gigante chiamato “capitalismo” distrugga la natura e gli uomini, spera di poter un giorno incatenarlo e ricondurlo nuovamente là da dove esso è fuggito. Ma la sua furia durerà in eterno? Non si esaurirà nella sua corsa? Io credo di sì. Ritengo infatti che, nella stessa natura dello spirito capitalistico, risieda una tendenza che lo corrode dall’interno e lo ucciderà. […] Una volta divenuto cieco, forse il gigante sarà condannato a tirare il carro della civiltà democratica. Forse assisteremo al crepuscolo degli dei. E l’oro sarà restituito al Reno. Chi può saperlo?».

Werner Sombart, 1913

 

 

Disumanizzare è il nuovo imperativo categorico che imperversa nell’Occidente globale. I processi di disumanizzazione si concretizzano con la stabilizzazione del nichilismo economicistico. Il regno dell’ultimo uomo descritto da Nietzsche è ora la realtà vivente dell’Occidente. La disumanizzazione procede e si struttura secondo modalità assolutamente inedite nella storia dell’umanità: biopotere e tecnocrazia sono i mezzi con cui l’economicismo pone in atto la sua rivoluzione antropologica. La sovrastruttura culturale cela la verità del sistema: deve agire per disorientare, per rappresentare il nuovo regno edenico dell’abbondanza come l’unico possibile ed il più inclusivo. L’ideologia imperante dell’inclusione è lo spot orwelliano del neoliberismo. Essa catalizza il consenso, in quanto “sembra dire” che il sistema “non abbandona persona o gruppo alcuno”. L’inclusione è il mezzo con cui la necessità sostituisce i bisogni. La necessità è esterna e meccanica, e pone le condizioni per la dipendenza del soggetto e delle comunità. Il bisogno è sorgente e vita interiore, è il vivente nella pienezza della relazione duale. Il bisogno è autonomia, non crea dipendenze, ma libertà senza solitudine, perché i bisogni interiori sono luci che appaiono nella relazione e si trasformano in una inesauribile prassi. La differenza tra bisogno e necessità è stata già descritta da Aristotele.1 Una civiltà dimentica di tale differenza è preda del caos: organizza scientemente la disintegrazione umana. La necessità implica la dipendenza dall’esterno, il bisogno è spazio vitale interiore, che rompe le barriere della necessità per affermare l’autonomia del soggetto.
Umanizzare significa sostenere la crescita del bisogno primario dell’essere umano: pensare. Senza il logos si è consegnati alla necessità, al caos dell’efficienza che calcola senza porre domande. La religione dell’antico Egitto rappresentava il caos con Apopi,2 il serpente che tutto includeva nel caos. Non possiamo limitarci come gli Egizi a pregare per la sconfitta di Apopi, dobbiamo coniugare teoria e prassi. L’inclusione è la caverna ideologica del neoliberismo. Nel campo pedagogico-educativo, come nel campo del diritto si procede all’inclusione, per cui ogni frizione ed opposizione dialettica è “condannata” alla marginalità. L’inclusione ha l’ambizione di possedere il tempo, di distribuirlo negli spazi, di controllarne e curvarne le parole.
La chiacchiera (Gerede) mediatica ha il fine di tacitare, di silenziare il concetto: essa prolifera non solo in funzione mercantile, ma deve disumanizzare riducendo il tempo della coscienza a presenza confermativa. È l’ininterrotto “Yawl”3 che circola, assimila, omogeneizza nel regno animale dello Spirito (Gesellschaft). L’inclusione, dunque, è una forma di organizzazione assoluta, è la verità evi­dente ed edulcorata del capitalismo donante: includere perché viva il mercato, per animalizzare e derealizzare (Massimo Bontempelli) per lasciare spazio alla sola certezza sensibile (G.W.F. Hegel).
La nuova fase imperiale del capitalismo passa per la porta dei diritti individuali: ogni differenza a cui è concessa la visibilità e la garanzia dell’inclusione è espressione dell’avanzata dell’impero del capitale. Ad esse non si chiede di “render conto” mediante il concetto di se stesse; non si domanda l’emancipazione (autonomia di giudizio e scelta), ma semplicemente si prestabilisce che debbono essere accolte, purché consumino e divengano veicolo di affermazione e diffusione del capitale.

Ogni resistenza dev’essere abbattuta in nome dell’inclusione senza emancipazione. Il capitalismo donante e flessibile si autocelebra come liberatore dai vincoli etici per condurre gradualmente “i liberati” nella gabbia della certezza sensibile. Perché il plusvalore possa essere accolto religiosamente, quale dogma anonimo ed indiscutibile, è necessario derealizzare, per cui si deve rieducare il pensiero all’esodo dalla cultura classica, dalla concretezza filosofica verso la sudditanza al dato immediato.
Il capitale – araldo della liberazione – concede i diritti individuali, purché sottragga il pensiero (Denken), purché il Geist (lo Spirito del mondo-storia) si congeli nella derealizzazione massificante. La disumanizzazione ambisce a necrotizzare la prassi storica per sostituirla con la flessibilità e la dinamicità spaziale. La disumanizzazione si materializza nel nichilismo passivo, il quale è costituito da due movimenti: la superficie è increspata continuamente dal movimento, sotto la superficie non vi è profondità, ma solo irrigidimento anti creativo. Il nuovo nichilismo passivo disumanizza, poiché attrae, come il paese dei balocchi, incanta con i suoi miti, con le sue aspettative, ma non mantiene le promesse.
L’umanità esige profondità, pone gerarchie onto-assiologiche per significare il mondo (Welt), altrimenti l’essere umano diviene parte dell’ambiente (Umwelt). La disumanizzazione ha lo scopo di rendere l’essere umano interno all’ambiente-economia di cui è organico partecipante.
Il presente lavoro ha l’intento di operare un cambio di prospettive, in modo che si possa scorgere e pensare dietro la cortina dell’inclusione la disumanizzazione dei processi in corso. A tal fine bisogna trascendere il linguaggio orwelliano per seguirlo nelle sue tracce – nessun delitto è perfetto –, per far emergere la derealizzazione a cui è associata la disumanizzazione. Si proclama l’inclusione scolastica, ma in realtà si omologano intelligenza ed indole degli alunni; si afferma la liberazione della donna, ma si persegue la riduzione delle donne ad una tragica copia del maschio liberista; si inneggia alle identità per tradurle in prodotti per il libero mercato.
Rispetto all’ultimo uomo descritto da Nietzsche siamo in un orizzonte che il filosofo non aveva immaginato. L’ultimo uomo nietzscheano digrigna i denti, perché non vuole creare, ma solo conservare; l’ultimo uomo del neo-liberismo, non conserva, non ha memoria, è il ricettacolo di appetiti senza memoria. La liberazione dell’ultimo uomo liberista è nella pratica della dimenticanza di sé, della comunità, del mondo.
Alain Badiou ha definito la disumanizzazione «materialismo democratico»; ovvero, le differenze sono tollerate fin quando accettano l’uguaglianza giuridica: nessuna gerarchizzazione etica e nessuna nostalgia per l’universale. Se le differenze appaiono nel gioco dell’irrilevanza sono esaltate, quale successo della democrazia sui totalitarismi, ma se osano porre la ricerca della profondità e dell’eterno sono espulse dal gioco democratico:

«Esso è, inoltre, essenzialmente un materialismo democratico, dal momento che il consenso contemporaneo, riconoscendo la pluralità dei linguaggi, ne presuppone l’uguaglianza giuridica. Ragion per cui, alla riduzione dell’umanità all’animalità si aggiunge l’identificazione dell’animale umano con la diversità delle sue sottospecie e con i diritti democratici inerenti a questa diversità. Il suo rovescio progressista questa volta prende in prestito il suo nome da Deleuze: “minoritarismo”. Comunità e culture, colori e pigmenti, religioni e sacerdozi, usi e costumi, sessualità disparate, intimità pubbliche e pubblicità dell’intimo. Tutto, tutte, tutti meritano di essere riconosciuti protetti dalla legge. Tuttavia, il materialismo democratico ammette un punto di arresto globale alla sua multiforme tolleran­za. Un linguaggio che non riconosca l’universale uguaglianza giuridica e normativa dei linguaggi non merita di beneficiare di tale uguaglianza. Un linguaggio che pretenda di normare tutti gli altri e di governare tutti i corpi, lo si dirà dittatoriale e totalitario. Ciò che si riscontra non è, allora, la tolleranza, ma un “dovere d’ingerenza”, sul piano legale, internazionale, finanche militare, qualora si renda necessario: si faranno pagare ai corpi i loro eccessi di linguaggio».4

Il materialismo democratico è la pratica della disumanizzazione, la sua trasformazione in dispositivo permanente. La conservazione, con “annesso ritiro dell’essere umano” dalla storia, ha il volto del relativismo e della società liquida. La tolleranza è ammessa fin quando la religione dell’economia nella forma della glebalizzazione planetaria non è mediata da processi di emancipazione. L’effetto sdoppiamento, la deviazione dalla condizione attuale, dev’essere rimossa dall’immaginario teoretico del singolo e collettivo.

Il divertissement relativistico diviene la struttura e la verità della Weltanscauung capitale. Il materialismo democratico tollera le differenze solo se sono gra­dualità della res extensa: ogni differenza è eguagliata alle altre nella riduzione a pura estensione consumante. Le differenze devono essere solo di ordine quatitativo:

«Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni. Grandezza significa quantità limitata dal limite qualitativamente indifferente, ripetizione identica di una medesima identità astratta. La matematica è la conoscenza delle relazioni necessarie della grandezza, secondo una necessità puramente tautologica nei suoi gradi più elementari, e secondo la necessità della mediazione sintetica costruita tra diversi elementi di un oggetto quantitativo nei suoi gradi superiori. Essa ha dunque una base obiettiva universale nella logica della quantità, mediante la quale elabora le sue costruzioni. Le scoperte matematiche sono indipendenti dalle contingenze storiche semplicemente perché l’oggetto del lavoro matematico è dato da entità astratte da ogni qualità contingente. La matematica è dunque una scienza. Ma la quantità, nella cui logica essa ha la sua base ontologica, è soltanto una delle sfere logico-ontologiche che il pensiero possiede nella sua interna strutturazione. Essa non può quindi avere in se stessa la misura della propria verità, perché la verità della quantità si compie soltanto nella sua connessione dialettica con tutte le altre sfere della realtà. L’isolamento della sfera logico ontologica della quantità è la ragione per cui la matematica non può fondare se stessa. Negli spazi vuoti delle pure grandezze quantitative tace, scrive Hegel, ogni esigenza che possa ricollegarsi all’individualità vivente: qui sta la mancanza di verità della matematica».5

Il desiderio di segnare una traccia nella storia e nella memoria, al punto da mettere in pericolo la propria vita, è sostituito con l’immediatezza delle pul sioni libere di godere in modo polimorfo. L’animalizzazione è la trasformazione delle differenze a semplice pulsione senza progettualità ed autocoscienza. L’eliminazione dell’autocoscienza, della relazione comunitaria è l’ideale nichilistico del capitalismo assoluto.

Ogni comunità dev’essere sostituita dall’individualismo, dal calcolo soggettivo finalizzato al godimento immediato. Le differenze sono così normalizzate, disciplinate sotto il regno del capitale. Mancando l’autocoscienza e la trascendenza l’essere umano è privato del suo carattere dialettico senza il quale non resta che la sostanza-estensione consumante.

Il capitalismo assoluto ha svelato la verità che la ragione liberale portava in grembo, siamo al punto apicale del nichilismo, e non giunge a noi improvviso, perché è nel fondamento della ragione liberale. Bernard de Mandeville descrive la verità della ragione liberale, essa non ha etica e limite, vive e si espande sull’emulazione dei consumi, non conosce altra legge che il consumo:

«A questa emulazione e a questo continuo sforzo di superarsi a vicenda si deve se dopo tanti cambiamenti di moda, che ne hanno fatte affermare di nuove e riproposte di vecchie, vi è sempre un plus ultra per i più ingegnosi. È questo, o almeno la conseguenza di questo, a dare lavoro ai poveri, a spronare l’industria e a incoraggiare il bravo artigiano a cercare nuovi progressi».6

 

In Mandeville l’eccesso dei consumi aumenta il benessere generale. Il lusso come motore di benessere, oggi, non ha ragion d’essere. Le tecnologie producono e divorano lavoro, il consumo crolla su se stesso, è introvabile una giustificazione razionale del consumo illimitato come fonte di benessere generalizzato. Non si vuol prendere atto che la ragione liberale, per sopravvivere, ora, non può che essere difesa dai gendarmi mediatici e dal totalitarismo del consumo al punto da minacciare la vita nella sua totalità, pur di far sopravvivere il neo-liberismo.
La ragione liberale, con l’economia finanziaria, ha consumato le sue possibilità di espansione. Per sopravvivere deve trasformare la libertà in sregolatezza, deve annientare ogni vincolo etico. È l’anno zero della civiltà. Dopo ogni diluvio si deve rifondare la civiltà ed i suoi fondamenti ontologici senza i quali si vive come fiere nella giungla del mercato globale:

«Ma delle Nazioni di tutto il restante Mondo altrimente dovette andar la bisogna; perocché le razze di Cam, e Giafet dovettero disperdersi per la gran Selva di questa Terra con un’error ferino di dugento anni, e così raminghi e soli dovettero produrre i figliuoli con una ferina educazione nudi d’ogni umano costume, e privi d’ogni umana favella, e sì in uno stato di bruti animali: e tanto tempo appunto vi bisognò correre, che la Terra disseccata dall’umidore dell’Universale diluvio potesse mandar in aria delle esalazioni secche a potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali gli Uomini storditi, e spaventati si abbandonassero alle false religioni di tanti Giovi, che Varrone giunse a noverarne quaranta, e gli Egizj dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico di tutti; e si diedero ad una spezie di Divinazione d’indovinar l’avvenire da’ tuoni, e da’ fulmini, e da’ voli dell’ aquile, che credevano essere uccelli di Giove».7

 

1 Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, Utet, Torino 2008, p. 27.

2 Incarnazione della tenebra, del male e del Caos (Isfet, Asfet nella lingua egizia) e antitesi della dea Maat, che rappresentava l’ordine e la verità.

3 Acronimo di Yet Another Workflow Language: è un linguaggio per il workflow management.

4 A. Badiou, Logiche dei mondi. Vol. II, L’essere e l’evento, Mimesis, Milano 2019, p. 56.

5 M. Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, Petite Plaisance, Pistoia 2006, pp. 5-6.

6 B. de Mandeville, La favola delle api, Laterza, Bari 1987, p. 84.

7 G. Vico, La scienza Nova, Edizione Centro di Umanistica Digitale dell’ISPF-CNR, progetto ISPF “Biblioteca vichiana”, 2007, p. 44.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


 

Salvatore Bravo – L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo.

Salvatore Bravo, L'animalizzazione dell'essere umano nel capiralismo
Salvatore Bravo
L’animalizzazione dell’essere umano nel capitalismo

ISBN 978-88-7588-274-7, 2020, pp. 192, Euro 20

indicepresentazioneautoresintesi

«Ora, una volta liberato dalle sue catene, il gigante infuria, abbattendo tutto ciò che si oppone alla sua corsa. Cosa ci riserverà il futuro? Chi ritiene che il gigante chiamato “capitalismo” distrugga la natura e gli uomini, spera di poter un giorno incatenarlo e ricondurlo nuovamente là da dove esso è fuggito. Ma la sua furia durerà in eterno? Non si esaurirà nella sua corsa? Io credo di sì. Ritengo infatti che, nella stessa natura dello spirito capitalistico, risieda una tendenza che lo corrode dall’interno e lo ucciderà. […] Una volta divenuto cieco, forse il gigante sarà condannato a tirare il carro della civiltà democratica. Forse assisteremo al crepuscolo degli dei. E l’oro sarà restituito al Reno. Chi può saperlo?».

Werner Sombart, 1913

 

 

Disumanizzare è il nuovo imperativo categorico che imperversa nell’Occidente globale. I processi di disumanizzazione si concretizzano con la stabilizzazione del nichilismo economicistico. Il regno dell’ultimo uomo descritto da Nietzsche è ora la realtà vivente dell’Occidente. La disumanizzazione procede e si struttura secondo modalità assolutamente inedite nella storia dell’umanità: biopotere e tecnocrazia sono i mezzi con cui l’economicismo pone in atto la sua rivoluzione antropologica. La sovrastruttura culturale cela la verità del sistema: deve agire per disorientare, per rappresentare il nuovo regno edenico dell’abbondanza come l’unico possibile ed il più inclusivo. L’ideologia imperante dell’inclusione è lo spot orwelliano del neoliberismo. Essa catalizza il consenso, in quanto “sembra dire” che il sistema “non abbandona persona o gruppo alcuno”. L’inclusione è il mezzo con cui la necessità sostituisce i bisogni. La necessità è esterna e meccanica, e pone le condizioni per la dipendenza del soggetto e delle comunità. Il bisogno è sorgente e vita interiore, è il vivente nella pienezza della relazione duale. Il bisogno è autonomia, non crea dipendenze, ma libertà senza solitudine, perché i bisogni interiori sono luci che appaiono nella relazione e si trasformano in una inesauribile prassi. La differenza tra bisogno e necessità è stata già descritta da Aristotele.1 Una civiltà dimentica di tale differenza è preda del caos: organizza scientemente la disintegrazione umana. La necessità implica la dipendenza dall’esterno, il bisogno è spazio vitale interiore, che rompe le barriere della necessità per affermare l’autonomia del soggetto.
Umanizzare significa sostenere la crescita del bisogno primario dell’essere umano: pensare. Senza il logos si è consegnati alla necessità, al caos dell’efficienza che calcola senza porre domande. La religione dell’antico Egitto rappresentava il caos con Apopi,2 il serpente che tutto includeva nel caos. Non possiamo limitarci come gli Egizi a pregare per la sconfitta di Apopi, dobbiamo coniugare teoria e prassi. L’inclusione è la caverna ideologica del neoliberismo. Nel campo pedagogico-educativo, come nel campo del diritto si procede all’inclusione, per cui ogni frizione ed opposizione dialettica è “condannata” alla marginalità. L’inclusione ha l’ambizione di possedere il tempo, di distribuirlo negli spazi, di controllarne e curvarne le parole.
La chiacchiera (Gerede) mediatica ha il fine di tacitare, di silenziare il concetto: essa prolifera non solo in funzione mercantile, ma deve disumanizzare riducendo il tempo della coscienza a presenza confermativa. È l’ininterrotto “Yawl”3 che circola, assimila, omogeneizza nel regno animale dello Spirito (Gesellschaft). L’inclusione, dunque, è una forma di organizzazione assoluta, è la verità evi­dente ed edulcorata del capitalismo donante: includere perché viva il mercato, per animalizzare e derealizzare (Massimo Bontempelli) per lasciare spazio alla sola certezza sensibile (G.W.F. Hegel).
La nuova fase imperiale del capitalismo passa per la porta dei diritti individuali: ogni differenza a cui è concessa la visibilità e la garanzia dell’inclusione è espressione dell’avanzata dell’impero del capitale. Ad esse non si chiede di “render conto” mediante il concetto di se stesse; non si domanda l’emancipazione (autonomia di giudizio e scelta), ma semplicemente si prestabilisce che debbono essere accolte, purché consumino e divengano veicolo di affermazione e diffusione del capitale.

Ogni resistenza dev’essere abbattuta in nome dell’inclusione senza emancipazione. Il capitalismo donante e flessibile si autocelebra come liberatore dai vincoli etici per condurre gradualmente “i liberati” nella gabbia della certezza sensibile. Perché il plusvalore possa essere accolto religiosamente, quale dogma anonimo ed indiscutibile, è necessario derealizzare, per cui si deve rieducare il pensiero all’esodo dalla cultura classica, dalla concretezza filosofica verso la sudditanza al dato immediato.
Il capitale – araldo della liberazione – concede i diritti individuali, purché sottragga il pensiero (Denken), purché il Geist (lo Spirito del mondo-storia) si congeli nella derealizzazione massificante. La disumanizzazione ambisce a necrotizzare la prassi storica per sostituirla con la flessibilità e la dinamicità spaziale. La disumanizzazione si materializza nel nichilismo passivo, il quale è costituito da due movimenti: la superficie è increspata continuamente dal movimento, sotto la superficie non vi è profondità, ma solo irrigidimento anti creativo. Il nuovo nichilismo passivo disumanizza, poiché attrae, come il paese dei balocchi, incanta con i suoi miti, con le sue aspettative, ma non mantiene le promesse.
L’umanità esige profondità, pone gerarchie onto-assiologiche per significare il mondo (Welt), altrimenti l’essere umano diviene parte dell’ambiente (Umwelt). La disumanizzazione ha lo scopo di rendere l’essere umano interno all’ambiente-economia di cui è organico partecipante.
Il presente lavoro ha l’intento di operare un cambio di prospettive, in modo che si possa scorgere e pensare dietro la cortina dell’inclusione la disumanizzazione dei processi in corso. A tal fine bisogna trascendere il linguaggio orwelliano per seguirlo nelle sue tracce – nessun delitto è perfetto –, per far emergere la derealizzazione a cui è associata la disumanizzazione. Si proclama l’inclusione scolastica, ma in realtà si omologano intelligenza ed indole degli alunni; si afferma la liberazione della donna, ma si persegue la riduzione delle donne ad una tragica copia del maschio liberista; si inneggia alle identità per tradurle in prodotti per il libero mercato.
Rispetto all’ultimo uomo descritto da Nietzsche siamo in un orizzonte che il filosofo non aveva immaginato. L’ultimo uomo nietzscheano digrigna i denti, perché non vuole creare, ma solo conservare; l’ultimo uomo del neo-liberismo, non conserva, non ha memoria, è il ricettacolo di appetiti senza memoria. La liberazione dell’ultimo uomo liberista è nella pratica della dimenticanza di sé, della comunità, del mondo.
Alain Badiou ha definito la disumanizzazione «materialismo democratico»; ovvero, le differenze sono tollerate fin quando accettano l’uguaglianza giuridica: nessuna gerarchizzazione etica e nessuna nostalgia per l’universale. Se le differenze appaiono nel gioco dell’irrilevanza sono esaltate, quale successo della democrazia sui totalitarismi, ma se osano porre la ricerca della profondità e dell’eterno sono espulse dal gioco democratico:

«Esso è, inoltre, essenzialmente un materialismo democratico, dal momento che il consenso contemporaneo, riconoscendo la pluralità dei linguaggi, ne presuppone l’uguaglianza giuridica. Ragion per cui, alla riduzione dell’umanità all’animalità si aggiunge l’identificazione dell’animale umano con la diversità delle sue sottospecie e con i diritti democratici inerenti a questa diversità. Il suo rovescio progressista questa volta prende in prestito il suo nome da Deleuze: “minoritarismo”. Comunità e culture, colori e pigmenti, religioni e sacerdozi, usi e costumi, sessualità disparate, intimità pubbliche e pubblicità dell’intimo. Tutto, tutte, tutti meritano di essere riconosciuti protetti dalla legge. Tuttavia, il materialismo democratico ammette un punto di arresto globale alla sua multiforme tolleran­za. Un linguaggio che non riconosca l’universale uguaglianza giuridica e normativa dei linguaggi non merita di beneficiare di tale uguaglianza. Un linguaggio che pretenda di normare tutti gli altri e di governare tutti i corpi, lo si dirà dittatoriale e totalitario. Ciò che si riscontra non è, allora, la tolleranza, ma un “dovere d’ingerenza”, sul piano legale, internazionale, finanche militare, qualora si renda necessario: si faranno pagare ai corpi i loro eccessi di linguaggio».4

Il materialismo democratico è la pratica della disumanizzazione, la sua trasformazione in dispositivo permanente. La conservazione, con “annesso ritiro dell’essere umano” dalla storia, ha il volto del relativismo e della società liquida. La tolleranza è ammessa fin quando la religione dell’economia nella forma della glebalizzazione planetaria non è mediata da processi di emancipazione. L’effetto sdoppiamento, la deviazione dalla condizione attuale, dev’essere rimossa dall’immaginario teoretico del singolo e collettivo.

Il divertissement relativistico diviene la struttura e la verità della Weltanscauung capitale. Il materialismo democratico tollera le differenze solo se sono gra­dualità della res extensa: ogni differenza è eguagliata alle altre nella riduzione a pura estensione consumante. Le differenze devono essere solo di ordine quatitativo:

«Quantità, dice Hegel, significa qualità tolta, ovvero indica l’essere reso indifferente alle sue determinazioni. Grandezza significa quantità limitata dal limite qualitativamente indifferente, ripetizione identica di una medesima identità astratta. La matematica è la conoscenza delle relazioni necessarie della grandezza, secondo una necessità puramente tautologica nei suoi gradi più elementari, e secondo la necessità della mediazione sintetica costruita tra diversi elementi di un oggetto quantitativo nei suoi gradi superiori. Essa ha dunque una base obiettiva universale nella logica della quantità, mediante la quale elabora le sue costruzioni. Le scoperte matematiche sono indipendenti dalle contingenze storiche semplicemente perché l’oggetto del lavoro matematico è dato da entità astratte da ogni qualità contingente. La matematica è dunque una scienza. Ma la quantità, nella cui logica essa ha la sua base ontologica, è soltanto una delle sfere logico-ontologiche che il pensiero possiede nella sua interna strutturazione. Essa non può quindi avere in se stessa la misura della propria verità, perché la verità della quantità si compie soltanto nella sua connessione dialettica con tutte le altre sfere della realtà. L’isolamento della sfera logico ontologica della quantità è la ragione per cui la matematica non può fondare se stessa. Negli spazi vuoti delle pure grandezze quantitative tace, scrive Hegel, ogni esigenza che possa ricollegarsi all’individualità vivente: qui sta la mancanza di verità della matematica».5

Il desiderio di segnare una traccia nella storia e nella memoria, al punto da mettere in pericolo la propria vita, è sostituito con l’immediatezza delle pul sioni libere di godere in modo polimorfo. L’animalizzazione è la trasformazione delle differenze a semplice pulsione senza progettualità ed autocoscienza. L’eliminazione dell’autocoscienza, della relazione comunitaria è l’ideale nichilistico del capitalismo assoluto.

Ogni comunità dev’essere sostituita dall’individualismo, dal calcolo soggettivo finalizzato al godimento immediato. Le differenze sono così normalizzate, disciplinate sotto il regno del capitale. Mancando l’autocoscienza e la trascendenza l’essere umano è privato del suo carattere dialettico senza il quale non resta che la sostanza-estensione consumante.

Il capitalismo assoluto ha svelato la verità che la ragione liberale portava in grembo, siamo al punto apicale del nichilismo, e non giunge a noi improvviso, perché è nel fondamento della ragione liberale. Bernard de Mandeville descrive la verità della ragione liberale, essa non ha etica e limite, vive e si espande sull’emulazione dei consumi, non conosce altra legge che il consumo:

«A questa emulazione e a questo continuo sforzo di superarsi a vicenda si deve se dopo tanti cambiamenti di moda, che ne hanno fatte affermare di nuove e riproposte di vecchie, vi è sempre un plus ultra per i più ingegnosi. È questo, o almeno la conseguenza di questo, a dare lavoro ai poveri, a spronare l’industria e a incoraggiare il bravo artigiano a cercare nuovi progressi».6

 

In Mandeville l’eccesso dei consumi aumenta il benessere generale. Il lusso come motore di benessere, oggi, non ha ragion d’essere. Le tecnologie producono e divorano lavoro, il consumo crolla su se stesso, è introvabile una giustificazione razionale del consumo illimitato come fonte di benessere generalizzato. Non si vuol prendere atto che la ragione liberale, per sopravvivere, ora, non può che essere difesa dai gendarmi mediatici e dal totalitarismo del consumo al punto da minacciare la vita nella sua totalità, pur di far sopravvivere il neo-liberismo.
La ragione liberale, con l’economia finanziaria, ha consumato le sue possibilità di espansione. Per sopravvivere deve trasformare la libertà in sregolatezza, deve annientare ogni vincolo etico. È l’anno zero della civiltà. Dopo ogni diluvio si deve rifondare la civiltà ed i suoi fondamenti ontologici senza i quali si vive come fiere nella giungla del mercato globale:

«Ma delle Nazioni di tutto il restante Mondo altrimente dovette andar la bisogna; perocché le razze di Cam, e Giafet dovettero disperdersi per la gran Selva di questa Terra con un’error ferino di dugento anni, e così raminghi e soli dovettero produrre i figliuoli con una ferina educazione nudi d’ogni umano costume, e privi d’ogni umana favella, e sì in uno stato di bruti animali: e tanto tempo appunto vi bisognò correre, che la Terra disseccata dall’umidore dell’Universale diluvio potesse mandar in aria delle esalazioni secche a potervisi ingenerare de’ fulmini, da’ quali gli Uomini storditi, e spaventati si abbandonassero alle false religioni di tanti Giovi, che Varrone giunse a noverarne quaranta, e gli Egizj dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico di tutti; e si diedero ad una spezie di Divinazione d’indovinar l’avvenire da’ tuoni, e da’ fulmini, e da’ voli dell’ aquile, che credevano essere uccelli di Giove».7

 

1 Aristotele, Protreptico. Esortazione alla filosofia, Utet, Torino 2008, p. 27.

2 Incarnazione della tenebra, del male e del Caos (Isfet, Asfet nella lingua egizia) e antitesi della dea Maat, che rappresentava l’ordine e la verità.

3 Acronimo di Yet Another Workflow Language: è un linguaggio per il workflow management.

4 A. Badiou, Logiche dei mondi. Vol. II, L’essere e l’evento, Mimesis, Milano 2019, p. 56.

5 M. Bontempelli, Il pregiudizio antimetafisico della scienza contemporanea, Petite Plaisance, Pistoia 2006, pp. 5-6.

6 B. de Mandeville, La favola delle api, Laterza, Bari 1987, p. 84.

7 G. Vico, La scienza Nova, Edizione Centro di Umanistica Digitale dell’ISPF-CNR, progetto ISPF “Biblioteca vichiana”, 2007, p. 44.

 


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


 

Louis Desclèves – Il libro di Arianna Fermani «Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato». La speranza “antica”, tra páthos e areté.

Arianna Fermani, speranza
Arianna Fermani
«Senza la speranza è impossibile trovare l’insperato»

La speranza “antica”, tra páthos e areté

ISBN 978-88-7588-258-7, 2020

indicepresentazioneautoresintesi


En unas escasas pero agradables 20 páginas, Arianna Fermani publica su conferencia dada en Como (Italia) en noviembre 2019. El tema de la esperanza, como hace ver la misma profesora, es poco tratado. Distingue entre la esperanza como virtud y aquella que es más bien deseo o pasión. Recuerda los aspectos fundamentales de tal doctrina especialmente en Aristóteles y Platón relacionándolos también con el pensamiento medieval (santo Tomás de Aquino) o moderno (Leopardi).

Quizás lo más valioso consista en su capacidad de vincular la esperanza con todos los grandes aspectos de la vida. Por ella, aspiramos a lo mejor superando las carencias actuales, abriendo la imaginación, venciendo los miedos. Nos atrevemos a correr un riesgo por algo posible que nos gozamos aun sin poseerlo. Aprendemos a reconocer qué es lo que nos supera evitando falsas ilusiones.

La esperanza se presenta así como una de las grandes virtudes de la educación abriendo la persona a la confianza en sus formadores. Con esta lectura, nace el deseo confiado que A. Fermani pueda pronto convertir este esperanzador folleto en un libro formador de esperanza.

Louis Desclèves, L.C.

Ecclesia, XXXV, n. 1, 2021 – pp. 119-128


Questo contributo intende riflettere sulla – antica e, insieme, attualissima – nozione di speranza a partire da una breve indagine etimologico-semantica (a cui si torna, chiudendo il cerchio, al termine del saggio), nella convinzione che la riflessione sulle parole e sulle loro origini possa donare alcune feconde piste al pensiero.

Il breve saggio si snoda lungo due linee direttrici fondamentali: la speranza come páthos, ovvero come passione, sentimento o desiderio, e la speranza come areté, ovvero come “virtù”, nozione che, nel senso greco e, più nello specifico, aristotelico del termine, implica la capacità di amministrare correttamente la passione. In questo secondo caso, inoltre, si assiste alla messa in campo di un “versante attivo della speranza”, che chiama in causa il soggetto agente e volente, che ha il compito di dare forma al suo desiderio. Qui il “sogno ad occhi aperti” diventa prassi, si fa progetto.

L’itinerario si interseca in molti modi ad altre fondamentali nozioni, tra cui, solo per indicarne alcune, quella di paura (che si configura come una passione che dirige il soggetto nella direzione opposta rispetto alla speranza), quella di rischio (a cui la originaria vocazione all’“apertura” prodotta dalla speranza è intimamente connesso e che richiede, a sua volta, un’opera di “saggia amministrazione”) e quella di fiducia (a cui la speranza è costitutivamente intrecciata e che chiama in causa un altro profilo della riflessione, affrontato al termine del saggio, quale quello educativo).


Arianna Fermani – L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristotele
Arianna Fermani – La nostra vita prende forma mediante il processo educativo, con una paideia profondamente attenta alla formazione armonica dell’intera personalità umana per renderla libera e felice.
Arianna Fermani – L’armonia è il punto in cui si incontra e si realizza la meraviglia. Da sempre armonia e bellezza vanno insieme.
Arianna Fermani – VITA FELICE UMANA. In dialogo con Platone e Aristotele. il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permette di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana
Arianna Fermani – Divorati dal pentimento. Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele
Arianna Fermani – Mino Ianne, Quando il vino e l’olio erano doni degli dèi. La filosofia della natura nel mondo antico
Arianna Fermani – Nel coraggio, nella capacità di vincere o di contenere il proprio dolore, l’uomo riacquisisce tutta la propria potenza, la propria forza, la propria dignità di uomo. Senza coraggio l’uomo non può salvarsi, non può garantirsi un’autentica salus.
Arianna Fermani – Fare di se stessi la propria opera significa realizzarsi, dar forma a ciò che si è solo in potenza. attraverso l’energeia, e nell’energeia, l’essere umano si realizza come ergon, si fa opera. Chi ama, nutrendosi di quell’energeia incessante che è l’amore, scrive la sua storia d’amore, realizza il suo ergon, la sua opera. È solo amando che un amore può essere realizzato, esattamente come è solo vivendo bene che la vita buona prende forma
Arianna Fermani – Recensione al volume di Enrico Berti, «Nuovi studi aristotelici. III – Filosofia pratica».
Arianna Fermani – «Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele». Si è felici perché la vita ha acquisito un orientamento, si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice sussistenza. Una vita dotata di senso. Felicità come pienezza, come attingimento pieno del ‘telos’ lungo tutto il tragitto della vita.

«La felicità è la vita stessa quando viene vissuta al meglio: si è felici perché si vive bene, perché la vita ha acquisito un peso, una direzione, un orientamento, perché la vita si è affrancata dalla sua nudità, dalla sua esposizione alla morte, dalla semplice e anonima sussistenza, trasformandosi in una vita dotata di senso, in una individuale e particolarissima consistenza. […] felicità intesa come pienezza, come attingimento pieno del telos. Se il telos è interno all’energeia che lo produce, se il fine è contenuto nell’azione ed è indistinguibile da essa, allora è impossibile pensare ad una felicità che risieda escludivamente nel bersagio e non anche lungo i passi che conducono al suo raggiungimento […] lungo tutto il tragitto della vita».
                                                         Arianna Fermani, Vita felice umana, 2006.

«[…] il problema della vita nel suo complesso a qualcuno di noi può sembrare meno impellente di quanto non sembrasse a Socrate. Epure la sua domanda ci incalza ancora oggi e reclama l’impegno a riflettere sulla nostra vita nel suo complesso, e cioè nella totalità dei suoi aspetti e in tutta la sua profondità».
                                                                                                    Bernard Williams, L’etica e i limiti della filosofia, 1985.

Nel concetto della filosofia come domanda totale, problematicità pura, e perciò metafisica, risiede la classicità del pensiero antico. […] Se la filosofia rinuncia al suo carattere di domanda totale rinuncia al […] senso antico della filosofia, intesa come acquisizione perenne dello spirito, come vero κτῆμα εἰς ε [possesso pe sempre]».
                                                          Enrico Berti, Quale senso ha oggi studiare la filosofia antica, 1965.

 

«ὡς ἡδὺ καὶ μακάριον τὸ κτῆμα» [quanto soave e felice è il possesso della filosofia].
                                                                                                    Platone, Repubblica, 496 c.

«[…] il movimento nel quale è contenuto anche il fine è anche azione. […] Uno che vive bene, ad esempio, ad un tempo ha anche ben vissuto, ed uno che è felice, ad un tempo è stato anche felice».
                                                         Aristotele, Metafisica, IX, 6, 1048 b.

«κτῆμά τε ἐς αἰεὶ μᾶλλον ἢ ἀγώνισμα ἐς τὸ παραχρῆμα ἀκούειν ξύγκειται».
Tucidide, Storie, I, 22.

Note sul testo
Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

Note sull’autore
Arianna Fermani insegna Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Tra le sue pubblicazioni: L’etica di Aristotele. Il mondo della vita umana, Brescia, Morcelliana, 2012; By the Sophists to Aristotle through Plato. The necessity and utility of a Multifocal Approach, a cura di E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori, Sankt Augustin, Academia Verlag, 2016; Aristotele e l’infinità del male. Patimenti, vizi e debolezze degli esseri umani, Brescia, Morcelliana, 2019. Ha tradotto integralmente le Etiche di Aristotele (Aristotele, Le tre Etiche, Milano, Bompiani, 2008; Giunti, 2018) e ha collaborato all’edizione dell’Organon (a cura di M. Migliori, Milano, Bompiani, 2016).
 
Indice
Prefazione di Salvatore Natoli
 
Introduzione
 
Parte prima. Semantica della felicità
 
Capitolo primo. La felicità come domanda originaria
1.1. Domanda “di” felicità
1.2. Domande “sulla” felicità
1.2.1. Felicità: una questione terminologica
1.2.2. Felicità e forme di vita
 
Capitolo secondo. Felicità e dolore
2.1. L’esperienza del dolore
2.1.1. Il dolore come accadimento
2.1.2. Le forme del dolore
2.2. Cicatrizzazione del dolore e cura di sé
2.2.1. Approcci al dolore
2.2.2. Cura del dolore e cura di sé
2.2.3. L’assunzione del dolore
2.3. Concludendo
 
Capitolo terzo. Felicità e piacere
3.1. L’esperienza del piacere
3.2. Fenomenologia del piacere
3.2.1. Il piacere nell’orizzonte della corporeità
3.2.2. Dinamiche piacevoli e dolorose
3.2.3. Il corpo e i desideri: la veemenza di un fiume in piena
3.2.4. Anima e corpo di fronte al piacere
3.2.5. Piaceri e criteri di scelta
3.3. Il ruolo del piacere nella vita felice
 
Capitolo quarto. Felicità e realizzazione di sé
4.1. Profili della virtù: tentativi di un recupero
4.1.1. Virtù come eccellenza
4.1.2. Virtù come forza
4.1.3. Virtù come disposizione
4.1.4. Virtù come giusto mezzo
4.2. La virtù come architettonica della felicità
4.2.1. Vita felice e accordata: la virtù come musica
4.2.2. Vita felice e ordinata: la virtù come misura
4.2.3. La virtù come arte del vivere bene
 
Capitolo quinto. Felicità e beni esteriori
5.1. Primi approcci al problema
5.2. Felicità e fortuna
5.2.1. Lampi di felicità, colpi di fortuna
5.2.2. Fortuna e virtù
5.2.3. Felicità e fortuna: osservazioni conclusive
5.3. Felicità e amministrazione dei beni
5.3.1. Il possesso e l’utilizzo di due beni supremi: la sophia e la phronesis
 
Parte seconda. Prassi di felicità
 
Capitolo primo. Felicità e valorizzazione delle proprie risorse
1.1. Vita felice e buon utilizzo dei propri talenti
1.1.1. Per una eudaimonia nell’orizzonte della physis
1.1.2. Felicità al singolare, felicità al plurale
1.2. Eudaimonia come ritrovamento e buona allocazione del proprio daimon
1.2.1. Felicità come consapevolezza
1.2.2. Percorsi esistenziali e traiettorie di felicità
1.3. Saggezza e sapienza di fronte alla felicità
 
Capitolo secondo. Felicità come conquista di pienezza
2.1. Felicità tra esperienze di pienezza e pienezza di vita
2.1.1. Tentativi di articolazione della nozione di pienezza
2.2. Per una pienezza nell’orizzonte dell’energeia
2.3. La difficoltà di far spuntare le ali: la felicità come conquista
2.3.1. Felicità pienamente consapevole e pienamente umana
2.4. Riflessioni conclusive
 
Conclusioni
1. Per concludere
2. Vita felice umana: appunti di viaggio
 
Bibliografia
1. Dizionari e lessici
2. Testi antichi
3. Testi moderni e contemporanei
4. Letteratura critica e studi generali
 
Indice degli autori antichi e moderni
 
Note
In copertina: immagine di Alessandra Mallamo ©2019
Eudaimonia

«Le ferite non scompaiono mai del tutto, soprattutto se profonde […] tuttavia, anche se non scompaiono, possono cicatrizzare. In questa cicatrice, che è, contemporaneamente, segno del patimento e sintomo di guarigione, si gioca la possibilità, per l’uomo che ha incontrato la morte e il dolore e che di fronte ad essi ha sofferto, di “ricominciare” a vivere», A. Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele.

1341311
 

Tra le molte pubblicazioni di Arianna Fermani


Arianna Fermani

L’educazione come cura e come piena fioritura dell’essere umano. Riflessioni sulla Paideia in Aristote

indicepresentazioneautoresintesi

Sem título-1

 «Non è una differenza da poco il fatto che subito fin dalla nascita veniamo abituati in un modo piuttosto che in un altro ma, al contrario, è importantissimo o, meglio, è tutto» (Etica Nicomachea, II, 1, 1103 b 23-25).

Questo contributo mira a mettere a fuoco il tema dell’educazione di Aristotele, mostrando come tale riflessione risulti essere originale ed attuale. L’indagine prende avvio dall’esame delle occorrenze di alcuni lemmi all’interno del corpus del filosofo particolarmente significativi rispetto al tema della educazione, come ad esempio

paideia

Si intende mostrare come la riflessione aristotelica sulla paideia, oltre ad un utilizzare una specifica metodologia di indagine, si muova all’interno di due fondamentali scenari educativi: nel primo (che a sua volta si articola in una serie di sotto-questioni, come ad esempio il tema dell’insegnabilità della virtù o quello dell’emotional training e dell’educazione delle passioni) l’educazione precede l’etica, mentre nel secondo l’educazione consiste nell’etica, secondo il fondamentale modello teorico dell’energeia.


Arianna Fermani è Professoressa Associata in Storia della Filosofia Antica all’Università di Macerata. Le sue ricerche vertono principalmente sull’etica antica e, più in particolare, aristotelica, e su alcuni snodi del pensiero politico e antropologico di Platone e di Aristotele. È Membro dell’Associazione Internazionale “Collegium Politicum” e dell’ “International Plato Society”. È membro del Consiglio Direttivo Nazionale della SISFA (Società Italiana di Storia della Filosofia Antica), e Direttrice della Scuola Invernale di Filosofia Roccella Scholé: Scuola di Alta Formazione in Filosofia “Mario Alcaro”. È Presidente della Sezione di Macerata della Società Filosofica Italiana. Ecco, cliccando qui, l’elenco delle sue pubblicazioni.


Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele

Arianna Fermani, Vita felice umana. In dialogo con Platone e Aristotele, Editore: eum, 2006 [prima edizione]

Il saggio si propone di riflettere sul modello classico del bios teleios, cioè della felicità della vita nella sua totalità, cercando di mostrare come il dialogo con gli antichi fornisca ancora “utili” schemi concettuali. Più in particolare si cerca di mostrare come il confronto con le riflessioni etiche di Platone e Aristotele permetta di dipanare i numerosi fili che costituiscono la trama di ogni esistenza umana (come i dolori, i piaceri, l’ampia gamma di beni e di risorse che la costituiscono), e di individuare alcuni rilevanti nodi concettuali (tra cui, ad esempio, quello di “misura”) che costituiscono la semantica della nozione di eudaimonia. Il modello antico di eudaimonia come eu prattein, inoltre, cioè come capacità strategica di “giocar bene”, sembra risultare particolarmente fecondo, invitando ad interrogarsi sulle modalità di attuazione della vita felice e sulla gestione di tutto ciò che ad ogni esistenza si offre per una “prassi di felicità”.

***

L'etica di Aristotele
 

Arianna Fermani, L’etica di Aristotele: il mondo della vita umana, Editore: Morcelliana, 2012

Utilizzando tutte e tre le Etiche aristoteliche, Arianna Fermani, con questo volume, offre un’ulteriore prova dell’attualità e utilità dell’etica dello Stagirita e di un pensiero che, esplicitamente e costitutivamente, mostra che ogni realtà “si dice in molti modi”. Gli schemi che l’intelligenza umana elabora devono essere molteplici e vanno tenuti, per quanto possibile, “aperti”. Questo determina la presenza di “figure” concettuali estremamente mobili e intrinsecamente polimorfe, figure che il Filosofo attraversa lasciando che i loro profili, pur nella loro diversità e, talvolta, persino nella loro incompatibilità, convivano.
La verifica di questa metodologia passa attraverso l’approfondimento di alcune nozioni-chiave, dando vita ad un percorso che, con proposte innovative e valorizzazioni di elementi finora sottovalutati dagli studiosi, si snoda lungo tre linee direttrici fondamentali: quelle di vizio e virtù, quella di passione e, infine, quella di vita buona.

Sommario

Ringraziamenti
Premessa
I “Pensiero occidentale” vs “pensiero orientale”: alcune precisazioni
II “Essere” e “dirsi in molti modi”
Introduzione
I. Per un “approccio unitario” ad Aristotele
II. Autenticità delle tre Etiche
III. Obiettivi e struttura del lavoro

PRIMA PARTE Percorsi di attraversamento delle figure di vizio e virtù
Capitolo primo: Giustizia e giustizie
Capitolo secondo: La fierezza
Capitolo terzo: Sui molti modi di dire “amicizia
Capitolo quarto: Lungo i sentieri della continenza e dell’incontinenza
Capitolo quinto: La philautia: tra “egoismo” e “amor proprio”
Capitolo sesto: Modulazioni della nozione di vizio

SECONDA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di passione
Capitolo primo: La passione come nozione “in molti modi polivoca”
Capitolo secondo: Le metamorfosi del piacere
Capitolo terzo: Articolazioni della nozione di pudore

TERZA PARTE: Percorsi di attraversamento della nozione di vita buona
Capitolo primo: Dio, il divino e l’essere umano: sui molti modi di essere virtuosi e felici
Capitolo secondo: La questione dell’autosufficienza
Capitolo terzo: Natura/nature, virtù, felicità
Capitolo quarto: Verso la felicitàlungo le molteplici rotte della phronesis
Capitolo quinto: La felicità si dice in molti modi
Conclusioni
Bibliografia
Indice dei nomi

***

Le tre etiche

Aristotele, Le tre etiche. Testo greco a fronte, Editore: Bompiani, 2008.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

***

Platone e Aristotele

Platone e Aristotele. Dialettica e logica

Curatori: M. Migliori, A. Fermani

Editore:Morcelliana, 2008

Il confronto tra Platone ed Aristotele è stato interpretato, per lo più, come una opposizione tra modelli conoscitivi: da un lato la dialettica, intesa come il culmine del sapere, dall’altro la logica, intesa come l’insieme delle tecniche per ben argomentare, al di là delle pretese platoniche di una supremazia della dialettica. Ma ha ancora un fondamento filologico e storico questa contrapposizione? Un interrogativo che – nei saggi qui raccolti di alcuni dei più autorevoli interpreti del pensiero antico – mette capo a una pluralità di scavi, storiografici e teoretici. Scavi che invitano a una lettura dei testi platonici ed aristotelici nella loro complessità: emergono inaspettati intrecci e molteplici significati dei termini stessi di dialettica e logica in entrambi i pensatori. Non solo la dialettica platonica ha un suo rigore, ma la stessa logica aristotelica ha affinità, pur nelle differenze, con le procedure argomentative della dialettica. Una prospettiva ermeneutica che interessa non solo lo storico della filosofia antica, ma chiunque abbia a cuore le radici greche delle nostra immagine di ragione.

***

Interiorità e animae
 

Maurizio Migliori, Linda M. Napolitano Valditara, Arianna Fermani, Interiorità e anima: la psychè in Platone

Vita e Pensiero, 2007

Il concetto di anima, una delle più grandi “invenzioni” del mondo greco, figura teorica che ha attraversato e segnato la storia dell’intero Occidente, trova in Platone il primo fondamentale inquadramento filosofico. Non si tratta solo di una tematica dal significato metafisico e religioso: nell’approfondire i molteplici temi che questo concetto attiva emergono naturalmente, già nel filosofo ateniese, tutte le questioni connesse alla spiritualità e allo psichismo umano, con le loro conseguenze etiche. In questo senso l’”anima” apre la strada a un infinito processo di approfondimento e di scoperta dell’interiorità del soggetto. Non a caso questo tema compare in molti testi platonici, in particolare nei dialoghi. Da questa prima elaborazione scaturirono luci e ombre, soluzioni di antichi problemi e nuove domande, di non meno difficile soluzione, anzi tanto complesse da essere ancora oggi messe a tema. Sui molteplici aspetti di queste tematiche filosofiche alcuni tra i maggiori studiosi di Platone si confrontano nel presente volume, avanzando proposte spesso assolutamente innovative, anche per quanto riguarda l’utilizzo di testi sottovalutati, o addirittura quasi ignorati dagli studi precedenti, con una dialettica che dà modo al lettore sia di verificare la capacità ermeneutica delle diverse impostazioni, sia di riscoprire la ricchezza del contributo platonico rispetto a problemi con cui lo stesso pensiero contemporaneo torna positivamente a misurarsi.

***

Humanitas

Humanitas (2016). Vol. 1: L’inquietante verità nel pensiero antico.

Curatore: A. Fermani, M. Migliori

Editore: Morcelliana, 2016

Editoriale: I. BertolettI, “Humanitas” 1946-2016. Identità e trasformazioni di un’idea l’inquietante verità. La riflessione anticaa cura di Arianna Fermani e Maurizio Migliori M. Migliori, Presentazione F. Eustacchi, Vero-falso in Protagora e Gorgia. Una posizione aporetica ma non relativista M. Migliori, Platone e la dimensione umana del verol. Palpacelli, Vero e falso si apprendono insieme. Il vero e il falso filosofo nell’Eutidemo di Platonea. Fermani, Aristotele e le verità dell’etica G.A. Lucchetta, Dire il falso per conoscere il vero. Aristotele, Fisica ii 1, 193a7) F. Mié, Truth, Facts, and Demonstration in Aristotle. Revisiting Dialectical Art and Methoda. longo, I paradossi nell’Ippia minore di Platone. La critica di Aristotele, Alessandro di Afrodisia e Asclepioe. Spinelli, Sesto Empirico contro alcuni strumenti dogmatici del vero. Note e rassegne F. De Giorgi, Il dialogo nel pontificato di Paolo VI G. Cittadini, Filippo Neri. Una spiritualità per il nostro tempo.

***

Il Simposio di Platone

J. Rowe, Arianna Fermani, Il ‘simposio’ di Platon

Academia Verlag, 1998

Cinque lezioni sul dialogo con un ulteriore contributo sul ‘Fedone’ e una breve discussione con Maurizio Migliori e Arianna Fermani; 27-29 marzo 1996, Università di Macerata, Dipartimento di filosofia e scienze umane, in collaborazione con l’Istituto Italiano per gli studi filosofici.

***

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

Arianna Fermani, “Brividi di bellezza” e desiderio di verità

“Brividi di bellezza” e desiderio di verità in Bellezza e Verità;
Brescia, Morcelliana, 2017; pp. 195 – 203

***

rivista di

ARISTOTELE E I PROFILI DEL PUDORE

Arianna Fermani

Vita e Pensiero, Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Rivista di Filosofia Neo-Scolastica

Vol. 100, No. 2/3 (Aprile-Settembre 2008), pp. 183-202

***

Studi su ellenismo e filosofia romana

Studi su ellenismo e filosofia romana

Curatori: F. Alesse, A. Fermani, S. Maso

Editore: Storia e Letteratura, 2017

In questo volume vengono raccolti cinque saggi sul pensiero filosofico greco nell’età romana. Le linee di ricerca qui proposte toccano nello specifico questioni attinenti alla filosofia stoica, a quella epicurea, a quella cinico-sofistica e all’aristotelismo di epoca imperiale.

***

Thaumazein cop

Arianna Fermani,
Essere “divorati dal pentimento”.
Sguardi sulla nozione di metameleia in Aristotele

in THAUMÀZEIN; n. 2 (2014); Verona, pp. 225-246


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

Luca Grecchi – Intervista sulla «Ricchezza».

Luca Grecchi Intervista

https://www.letture.org/ricchezza-luca-grecchi

“Ricchezza” di Luca Grecchi


Le prime cinque domande del Dott. Fabrizio Caruso:

***

Lei è autore del libro Ricchezza edito da Unicopli e dedicato al tema della ricchezza nella filosofia antica: qual era la concezione della ricchezza nel pensiero greco antico?

  • Mi preme innanzitutto dire che il libro si colloca in una collana, denominata Questioni di filosofia antica, diretta dal Prof. Marcello Zanatta, in cui ho già realizzato i volumi Natura (2018) e Uomo (2019). La collana è a mio avviso intelligente in quanto analizza, sul piano insieme teorico e storico, i concetti fondamentali della filosofia antica per come variamente trattati dai diversi pensatori, da Omero fino alle soglie del Medioevo. Per questo è difficile rispondere sinteticamente alla sua domanda circa quale sia la concezione della ricchezza nel pensiero antico: questo pensiero è molto articolato, come lei stesso ha colto nelle varie domande che seguono. In una battuta, posso dire solo che la ricchezza era concepita, al contempo, come qualcosa di necessario alla vita e di pericoloso, soprattutto se posta come fine, sia sul piano individuale che sociale.

Cosa rappresentava, in ambito ellenico, il possesso della terra?

  • La terra per gli antichi costituiva una parte importante della loro identità. Esistono miti che riportano che gli Ateniesi – ma non solo – si ritenevano autoctoni, ossia “nati dalla propria terra”, non provenienti da altre parti del mondo. La terra era dunque per loro come una madre, che li aveva fatti nascere, li ospitava e li nutriva. Inoltre, era il luogo in cui erano sepolti gli antenati, su cui sorgevano i templi degli dèi, in cui erano conservati i ricordi, e così via. Per questo della terra, come dei genitori, occorreva, per gli antichi, avere rispetto e cura.l tema della terra risulta come detto strettamente connesso ai temi della natura, del divino e dell’umano, ossia ai contenuti che costituiscono l’intero della realtà per il mondo antico. Questi temi risultano spesso fra loro intrecciati nel primo pensiero greco, come ho scritto anche in un libro recente (Leggere i Presocratici, Morcelliana, 2020). Per ragioni di spazio accenno qui solo a un contenuto, scegliendo quello della natura: si ricorda quando qualche anno fa Papa Francesco disse in una intervista: “Se qualcuno offende la mia mamma, gli do un pugno”? Ecco: dato che la terra era, dagli antichi, paragonata ad una madre, la provocazione vale anche per loro; chi, per brama di ricchezza, non la rispetta, merita, per i Greci e i Latini, di essere adeguatamente sanzionato, non di farla franca come spesso accade oggi. Gli antichi erano lontani dalle nostre dinamiche inquinanti, ma sapevano che della terra occorre avere rispetto e cura, se si desidera che essa ci ricambi in eguale maniera.

Quale concezione aveva del lavoro il mondo greco?

  • La domanda è molto interessante, e mi offre l’occasione per fornire un chiarimento. L’opinione comune ritiene che gli antichi greci odiassero il lavoro tout court. In realtà, avversavano semplicemente il lavoro eterodiretto, ossia quello per cui, a causa di una condizione di bisogno, si è costretti a porsi al servizio di altri, impiegando il limitato tempo della propria vita senza poterne realizzare al meglio le potenzialità. Gli antichi non avversavano, invece, il lavoro autodiretto, ossia quello scelto da ciascuno in quanto conforme alla propria natura, dunque ai fini della propria vita. I Greci e i Latini non consideravano male nemmeno il lavoro manuale. A partire dai poemi omerici, troviamo infatti dèi fabbri (Efesto), principesse al telaio (Penelope), re che arano la terra (Laerte), principi che intagliano il proprio talamo nuziale (Odisseo), e così via. I Greci, dunque, non odiavano il lavoro in sé, ma solo quello che non consentiva loro di realizzare compiutamente la propria esistenza. Non mi sembra una idea così strana: chi è felice di svolgere, solo per bisogno, un lavoro alienante, come è costretta a fare oggi larga parte della popolazione mondiale? Mi sembra un messaggio che soprattutto i giovani, che si trovano nella condizione di poter scegliere – naturalmente entro certi limiti – l’attività della propria vita, dovrebbero meditare bene. Ciò che si fa ogni giorno determina in larga parte, a lungo andare, ciò che si diventa, per cui davvero consiglierei di meditare sul fatto che può valere la pena rinunciare a qualcosa sul piano materiale, se si desidera realizzare nella vita un progetto buono a noi connaturato.

Quale ruolo svolge, nel mondo ellenico, il tema della proprietà?

  • Il tema della proprietà, per come siamo abituati noi moderni a pensarlo, ossia in termini giuridici, non viene specificamente indagato nei testi greci che ci sono rimasti; in epoca romana invece, come noto, inizia ad esserlo maggiormente. Ciò nonostante, nella forma del “possesso”, soprattutto della terra, esso risulta un tema centrale. Poter possedere, utilizzare, godere della terra e dei suoi frutti faceva la differenza, nel mondo antico, fra vivere bene, vivere male o addirittura non poter sopravvivere. Le fondazioni di nuove poleis nel Mar Nero, in Magna Grecia e in Sicilia, che presero corpo soprattutto nell’VIII secolo a.C., furono realizzate principalmente da persone che si trovavano nella impossibilità di poter sussistere, in quanto non proprietarie di terra, oltre che desiderose di realizzare un modo migliore di vita. Il fatto che la proprietà dei “mezzi della produzione sociale” – mi passi questa espressione moderna – dei beni necessari alla vita fosse pubblica, dunque di tutti, o privata, quindi solo di alcuni, faceva una enorme differenza: vi è in merito tutta una tradizione, che parte quanto meno da Solone per giungere fino alla Repubblica di Platone ed oltre, che lo testimonia. L’opposizione centrale, nel pensiero economico greco, è quella fra pubblico e privato: il pubblico era lo spazio dell’interesse generale, il privato lo spazio dell’interesse particolare; il primo, in quei tempi, era sentito come preminente, mentre oggi è sentito preminente il secondo. Con le conseguenze che abbiamo davanti agli occhi.

Come si accompagna a quello della ricchezza il tema del suo limite?

  • Il tema del limite è centrale per comprendere il tema della ricchezza materiale. Se la ricchezza costituisce il fine della vita, individuale e sociale, la sua produzione può solo essere massimizzata, esattamente come accade oggi nel modo di produzione capitalistico. Se la ricchezza, intesa come produzione dei beni e servizi essenziali, è considerata invece solo come un mezzo per condurre una buona vita, ovvero per realizzare in maniera compiuta la propria umanità, essa deve essere limitata, soprattutto all’interno di un mondo limitato. E’ questa la differenza, nel pensiero greco, fra ciò che, con espressione aristotelica, può definirsi “chrematistike” (i chremata erano i beni materiali, e per estensione la merce, il denaro) e la vera e propria “oikonomia”, ovvero la gestione normata dell’oikos, della casa comune, pensata idealmente come una famiglia. Tutto il pensiero greco, dalle prime espressioni sapienziali, si incentra sul tema del limite, della giusta misura: nel possesso, nei rapporti fra le persone, nel consumo dei beni, e così via. La misura giusta di ricchezza, per i Greci, è quella che consente di realizzare nella maniera migliore la propria umanità: quella, insomma, che permette di dedicare la vita al sapere ed alla politica, a sé stessi ed agli altri, senza dover perdere tempo, ed abbrutirsi, nella ricerca di denaro.
 
…. per continuare a leggere clicca qui.

Sommario del volume “Ricchezza”


Luca Grecchi – Quando il più non è meglio. Pochi insegnamenti, ma buoni: avere chiari i fondamenti, ovvero quei contenuti culturali cardinali che faranno dei nostri giovani degli uomini, in grado di avere rispetto e cura di se stessi e del mondo.
Luca Grecchi – A cosa non servono le “riforme” di stampo renziano e qual è la vera riforma da realizzare
Luca Grecchi – Cosa direbbe oggi Aristotele a un elettore (deluso) del PD
Luca Grecchi – Platone e il piacere: la felicità nell’era del consumismo
Luca Grecchi – Un mondo migliore è possibile. Ma per immaginarlo ci vuole filosofia
Luca Grecchi – «L’umanesimo nella cultura medioevale» (IV-XIII secolo) e «L’umanesimo nella cultura rinascimentale» (XIV-XV secolo), Diogene Multimedia.
Luca Grecchi – Il mito del “fare esperienza”: sulla alternanza scuola-lavoro.
Luca Grecchi – In filosofia parlate o scrivete, purché tocchiate l’anima.
Luca Grecchi – L’assoluto di Platone? Sostituito dal mercato e dalle sue leggi.
Luca Grecchi – L’Italia che corre di Renzi, ed il «Motore immobile» di Aristotele
Luca Grecchi – La natura politica della filosofia, tra verità e felicità
Luca Grecchi – Socrate in Tv. Quando il “sapere di non sapere” diventa un alibi per il disimpegno
Luca Grecchi – Scienza, religione (e filosofia) alle scuole elementari.
Luca Grecchi – La virtù è nell’esempio, non nelle parole. Chi ha contenuti filosofici importanti da trasmettere, che potrebbero favorire la realizzazione di buoni progetti comunitari, li rende credibili solo vivendo coerentemente in modo conforme a quei contenuti: ogni scissione tra il “detto” e il “vissuto” pregiudica l’affidabilità della comunicazione e non contribuisce in nulla alla persuasione.
Luca Grecchi – Aristotele: la rivoluzione è nel progetto. La «critica» rinvia alla «decisione» di delineare un progetto di modo di produzione alternativo. Se non conosciamo il fine da raggiungere, dove tiriamo la freccia, ossia dove orientiamo le nostre energie, come organizziamo i nostri strumenti?
Luca Grecchi – Sulla progettualità
Luca Grecchi – Perché la progettualità?
 
Luca Grecchi – «Commenti» [Nel merito dei commenti di Giacomo Pezzano]
Luca Grecchi – Aristotele, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – Platone, la democrazia e la riforma costituzionale.
Luca Grecchi – La metafisica umanistica non vuole limitarsi a descrivere come le cose sono e nemmeno a valutare negativamente l’attuale stato di cose. Deve dire come un modo di produzione sociale ha da strutturarsi per essere conforme al fondamento onto-assiologico.
Luca Grecchi – Scuola “elementare”? Dalla filosofia antica ai giorni nostri
Luca Grecchi – La metafisica umanistica è soprattutto importante nella nostra epoca, la più antiumanistica e filo-crematistica che sia mai esistita.
Luca Grecchi – Logos, pathos, ethos. La “Retorica” di Aristotele e la retorica… di oggi. È credibile solo quel filosofo che si comporta, nella vita, in maniera conforme a quello che argomenta essere il giusto modo di vivere.
Luca Grecchi – Educazione classica: educazione conservatrice? Il fine della formazione classica è dare ai giovani la “forma” della compiuta umanità, ossia aiutarli a realizzare, a porre in atto, le proprie migliori potenzialità, la loro natura di uomini
Luca Grecchi – Mario Vegetti: un ricordo personale e filosofico
Luca Grecchi – «Natura». Ogni mancanza di conoscenza, di rispetto e di cura verso la natura si traduce in una mancanza di rispetto e di cura verso la vita tutta. L’attuale modo di produzione sociale, avente come fine unico il profitto, tratta ogni ente naturale – compreso l’uomo – come mezzo, e dunque in maniera innaturale.
Luca Grecchi – Scritti brevi su politica, scuola e società
Luca Grecchi – i suoi libri (2002-2019)
Luca Grecchi – L’UMANESIMO GRECO CLASSICO DI SPINOZA. Lo scopo della filosofia non è altro che la verità.
Luca Grecchi – «Uomo» – L’uomo è il solo ente immanente in grado di attribuire senso e valore alla realtà e di porsi in rapporto ad essa con rispetto e cura.
Luca Grecchi – Insegnare Aristotele nell’Università
Luca Grecchi – L’etica di Aristotele e l’etica di Democrito: un confronto
Maurizio Migliori, Luca Grecchi – Tra teoria e prassi. Riflessioni su una corsa ad ostacoli
Luca Grecchi – Multifocal approach. Una contestualizzazione storico-sociale. Occorre porsi con critica consapevolezza progettuale all’interno della totalità sociale.
Luca Grecchi – «Leggere i Presocratici». La cultura presocratica rappresenta tuttora una miniera in buona parte inesplorata.
Luca Grecchi – Questo volume cerca di colmare un vuoto, almeno nella letteratura specialistica in lingua italiana. Mancava infatti, ad oggi, un volume complessivo sul tema della ricchezza nella filosofia antica.
Luca Grecchi – La dolcezza rappresenta una disposizione del carattere volta a configurare in maniera eccellente la propria umanità, nei rapporti con gli altri uomini e con la natura, per favorire la realizzazione di una vita felice.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.

 

Vito Mancuso – Tutti vivono, solo alcuni esistono. Vivono ma non esistono, perché in-sistono, perché cioè si collocano dentro, dentro la catena alimentare o di altro tipo, della vita. Alcuni, invece, e-sistono, hanno il coraggio di collocarsi fuori, di esistere nel senso radicale del termine.

Vito Mancuso 01

Tutti vivono, solo alcuni esistono. Vivono ma non esistono, perché in-sistono, perché cioè si collocano dentro, dentro la catena alimentare o di altro tipo, della vita. Alcuni, invece, e-sistono, hanno il coraggio di collocarsi fuori, di esistere nel senso radicale del termine indicato dalla filologia. E così vanno alla ricerca della forza di essere migliori. […] Il verbo esistere esprime quello che indica la sua etimologia. Il verbo latino originario è formato dalla preposizione ex, che in questo caso significa “fuori”, e dal verbo sistere che significa porre, collocare, collocarsi, per cui ex-sistere propriamente significa “venir fuori”.

Vito Mancuso, La forza di essere migliori, Garzanti, Milano 2019, pp. 11-12.


Quarta di copertina

«La qualità della nostra vita interiore, il valore di ciò che siamo dipendono da noi e illuminano il nostro destino.»

Viviamo secondo un modello di sviluppo che adora gli oggetti, non la lettura, la cultura, la partecipazione sociale e politica. Consumiamo, inquiniamo, ma così devastiamo noi stessi e il nostro pianeta. Essere migliori è diventato quindi un’urgenza, e il lavoro etico e spirituale una necessità non rimandabile. Ma come far nascere, in noi, il desiderio di praticare il bene? Dove trovare una motivazione che sappia liberarci dalle catene dell’effimero/della società, una forza motrice che dia impulso al nostro costante bisogno di guarigione e al nostro infinito desiderio di bellezza? Riscoprendo le nostre radici che affondano nella cultura classica e nella tradizione cristiana Vito Mancuso ci accompagna in viaggio lungo il sentiero delle quattro virtù cardinali, e offre una nuova prospettiva di senso per le nostre vite in balìa dei tumultuosi venti dell’esistenza. Perché solo colui che non cerca più di vincere e di prevalere, ma recupera il senso profondo dell’essere forte, saggio e temperante, può infine essere giusto, e fiorire in armonia con il mondo.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


Salvatore Bravo – Una lettura critica del libro di Antonio Damasio, «Alla ricerca di Spinoza, Emozioni sentimenti e cervello».

Antonio Damasio - Spinoza - Neuroscienze

Salvatore Bravo

Una lettura critica del libro di Antonio Damasio

Alla ricerca di Spinoza, Emozioni sentimenti e cervello

 

L’atomocrazia liberista
L’antiumanesimo è la cifra del tempo moderno. Ogni ideologia ha i suoi trombettieri dell’Apocalisse. Le neuroscienze dichiarano la morte dell’uomo, al suo posto vi sarebbe un automa, un immenso meccanismo che risponde alle leggi dello stimolo e della risposta: l’atomocrazia liberista ha trovato, così, una scienza a sua misura ed immagine.
Le scienze, rappresentate come oggettive, sono la nuova testa d’ariete dell’ideologia del capitale. Si autorappresentano come verità libere, perché oggettive, ma in realtà – come la statua di Glauco descritta da Platone nel X libro della Repubblica – sono incrostate di condizionamenti e sedimenti ideologici. Il monismo delle neuroscienze si limita a descrivere i circuiti neuronali, espelle con la dialettica l’esperienza storica e relazionale, dalla genesi del pensiero. Ed esclude l’atto creativo. Si descrive una nuova normalità prodotta in laboratorio, curvata sul fisiologico e quindi trasformabile in dispositivo medico con cui sussumere la popolazione.
L’essere umano – per queste scienze – è abitato soltanto da sostanze chimiche che con le loro leggi ne determinano sentimenti, prassi e motivazioni. L’essere umano è un ente tra gli enti governato da leggi di cui sono depositari scienziati e tecnocrati. Ancora una volta si vuole convincere l’umanità che il pensiero è un atto chimicamente spiegabile, e dunque le scelte politiche ed etiche sono private di ogni valore. La scienza dell’ultimo uomo (der Letzte Mensch) nietzscheano insegna che l’umanità è “natura naturata” senza speranza e libertà. Il pensiero cosciente non risponde agli stessi meccanismi. Pertanto l’essere umano è fatto oggetto – in “qualsiasi stato” si trovi – al fato della biochimica. Ogni mediazione tra lo stimolo e risposta è negata, in modo da ridurre la persona ad un flusso di ormoni e reazioni chimiche ingovernabili dal soggetto, ma molto “governabili” dagli agenti esterni che ne diventano i signori e i padroni. In tale contesto l’umanità perde ogni specificità, ogni grandezza e miseria per diventare ente da gestire sotto l’influsso semi-magico di esperti e professionisti che riducono la mente al solo cervello da manipolare:

«Anche quando la reazione emozionale ha luogo senza una conoscenza consapevole dello stimolo, ciò nondimeno l’emozione esprime il risultato della valutazione della situazione da parte dell’organismo. Non ha importanza che quella stima non sia chiaramente notificata al sé. In qualche modo, il concetto di stima è stato interpretato troppo letteralmente come valutazione cosciente, quasi che la straordinaria impresa di valutare una situazione e reagire a essa automaticamente fosse una conquista biologica di minor rilievo. Uno dei principali aspetti della storia dello sviluppo umano riguarda il modo in cui moltissimi oggetti che costituiscono l’ambiente del nostro cervello hanno acquisito la capacità di innescare, consapevolmente o meno, varie forme di emozione – debole o intensa, positiva o negativa. Alcuni di questi fattori scatenanti sono stabiliti dall’evoluzione, mentre altri hanno finito con l’essere associati dal cervello a stimoli emozionalmente adeguati grazie alle nostre esperienze individuali. Pensate a quella casa dove una volta, da bambini, viveste un’intensa esperienza di paura. Quando vi tornate, può darsi che vi sentiate a disagio; e quel disagio non ha altra causa se non il fatto che molto tempo fa, in quello stesso ambiente, provaste una potente emozione negativa. Potrebbe addirittura accadervi, in un’altra casa per certi versi simile a quella, di provare lo stesso disagio, sebbene stavolta senza ragione alcuna, se si esclude il fatto che in quel luogo rilevate la registrazione cerebrale di un oggetto e di una situazione paragonabili».[1]

 

L’essere umano è dunque – nella prospettiva delle neuroscienze – un animale semplice con reazioni ipoteticamente prevedibili. Il pensiero – con la sua capacità critica ed etica – è ridotto ad una interazione chimica. La storia, in tale ottica, è solo un percorso ormonale ed evolutivo di ordine biologico. Ogni resistenza ed avanzamento etico è solo attività elettrica determinata da specifici stimoli. La capacità di pensare le emozioni, di concettualizzare i sentimenti, di trarre dalla profondità interiore di ciascuno un nuovo mondo è rimossa in nome delle semplici reazioni meccaniche.

 

Cervello astratto
Il pensiero come i sentimenti sono spiegati attraverso le funzioni del cervello e la loro azione organica. Si tende ad eliminare la relazione, la mediazione dialettica che per attivarsi necessita del cervello, ma che non può essere ridotta a tali reazioni. Il cervello, per potersi attivare nelle sue reazioni, deve relazionarsi con il mondo esterno. Reca con sé una verità invisibile che si cela alle analisi di laboratorio, ovvero l’intera attività cerebrale non sarebbe possibile senza l’apertura al mondo. Tale attività relazionale sposta il cervello fuori della sua sede anatomica, o meglio il cervello è nella sua sede anatomica, ma la mente – in quanto cervello vivo – diventa altro dal cervello, è disposta all’esterno, all’incontro che retroagisce sul cervello mediante una lunga serie di passaggi dialettici, che finiscono per istituire una interazione tra mente e cervello. Si è dinanzi ad una realtà-verità plastica, in cui l’anatomia non spiega se stessa, ma ha bisogno di altre categorie e paradigmi per poter decodificare la complessità del rapporto mente cervello. Una forma di dualismo diventa, così, imprescindibile per poter riportare la complessità alla sua razionalità. Le sofferenze dell’individuo non sono semplici impressioni neuronali, ma hanno la loro dinamica nelle relazioni che sono non spiegabili totalmente col cervello. Benché la vitalità delle esperienze critiche segnino il cervello ed il corpo vissuto, le neuroscienze semplicizzano e rassicurano, per cui le idee come i sentimenti sono riportati all’’omeostasi:

«I sentimenti, nell’accezione adottata in questo libro, non insorgono solo dalle emozioni vere e proprie, ma da qualsiasi insieme di reazioni omeostatiche, e traducono nel linguaggio della mente lo stato vitale in cui versa l’organismo. Qui, io suggerisco che esistano «modalità corporee» distinte risultanti da diverse reazioni omeostatiche, dalle più semplici alle più complesse. Esistono anche oggetti induttori distinti, e altrettanto distinti pensieri conseguenti alla reazione, e modalità di pensiero corrispondenti. La tristezza, per esempio, si accompagna a una minor produzione di immagini alle quali viene tuttavia prestata maggiore attenzione: una situazione opposta al rapido susseguirsi di immagini – che peraltro ricevono un’attenzione brevissima – tipico della felicità. I sentimenti sono percezioni, e io propongo che la loro percezione trovi il necessario supporto nelle mappe cerebrali del corpo. Una certa variazione del piacere o del dolore è un contenuto costante di quella percezione che chiamiamo sentimento. Accanto alla percezione del corpo c’è sia quella di pensieri con temi consoni all’emozione, sia quella di una certa modalità di pensiero – uno stile di elaborazione mentale. Come avviene tale percezione? Essa deriva dalla costruzione di meta-rappresentazioni dei processi mentali, un’operazione di livello superiore in cui una parte della mente ne rappresenta un’altra. Questo ci permette di registrare un rallentamento o un’accelerazione dei nostri pensieri, a seconda che prestiamo loro maggiore o minore attenzione o che i pensieri raffigurino oggetti o eventi cogliendoli, a seconda dei casi, da vicino o da lontano. La mia ipotesi, allora, presentata sotto forma di definizione provvisoria, è che un sentimento sia la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti. I sentimenti emergono quando il semplice accumulo dei dettagli registrati nelle mappe raggiunge un certo stadio».[2]

Nuovo realismo
Le neuroscienze negano “la rivoluzione copernicana”: sono interne al realismo che esige un atteggiamento adattivo. Le immagini degli oggetti sono riprodotte sulla retina. Anche in questo caso è esclusa ogni attività intenzionale, creativa e libera del soggetto che riproduce l’oggetto nell’immagine. L’attività intenzionale non è registrabile, poiché è la disposizione del corpo vissuto ad orientarsi verso l’alterità significandola. Le neuroscienze non valutano la concretezza del sistema percettivo, esso avviene in un contesto di senso, il quale contribuisce alla formazione dell’immagine mediante l’attività del soggetto che nell’attribuire significati, nel cogliere aspetti di particolare rilievo per la cultura e la formazione del soggetto percipiente, contribuisce attivamente alla formazione dell’immagine e trascende la semplice risposta sensoriale. La soggettività è sostituita da procedure anatomiche eguali in ogni essere umano:

«Le immagini che abbiamo nella nostra mente, allora, sono il risultato di interazioni che hanno luogo fra ciascuno di noi e gli oggetti che impegnano il nostro organismo, interazioni che vengono riprodotte in configurazioni neurali costruite in base all’architettura dell’organismo. Va sottolineato che questo non nega la realtà dell’oggetto. Gli oggetti sono reali. Né si nega, qui, la realtà delle interazioni fra oggetto e organismo. Inoltre, com’ è ovvio, anche le immagini sono reali. Ciò nondimeno, le immagini che noi sperimentiamo sono costruzioni cerebrali indotte da un oggetto, e non riflessi speculari dell’oggetto stesso. Non c’è un’immagine dell’oggetto che venga trasferita otticamente dalla retina alla corteccia visiva. L’ottica si ferma a livello della retina. Al di là di essa troviamo trasformazioni di natura fisica che hanno luogo in continuità, dalla retina alla corteccia cerebrale. Allo stesso modo, i suoni che sentiamo non sono strombazzati con una sorta di megafono dalla coclea fino alla corteccia uditiva, sebbene, in senso metaforico, fra le due strutture anatomiche abbia effettivamente luogo un passaggio di trasformazioni fisiche. Esiste una serie di corrispondenze, affermatasi nella lunga storia dell’evoluzione, fra le caratteristiche fisiche di oggetti indipendenti da noi, e il menu delle possibili risposte dell’organismo. (La relazione fra le caratteristiche fisiche dell’oggetto esterno e le componenti preesistenti selezionate dal cervello per costruire una rappresentazione è un tema importante, che andrà esplorato in futuro). La configurazione neurale attribuita a un determinato oggetto viene costruita in base al menu di corrispondenze, scegliendo e combinando i simboli appropriati. D’altra parte, noi esseri umani siamo talmente simili dal punto di vista biologico che, riferendoci allo stesso oggetto, finiamo per costruire configurazioni neurali simili. Non dovrebbe sorprendere, se da quelle configurazioni neurali simili emergono poi immagini anch’esse simili. E per questo che possiamo accettare, senza proteste, l’idea convenzionale secondo la quale ciascuno di noi formerebbe nella propria mente l’immagine riflessa di un particolare oggetto».[3]

 

Relazioni tra ordini diversi
In tale riduzionismo, si evita volutamente di porre il problema del “perché” i soggetti provino particolari sentimenti di avversione verso ingiustizie sociali o atti cruenti. Dalla profondità dell’anatomia appare la ragione etica che, sicuramente, necessita delle funzioni del cervello, ma il motivo che spinge taluni ad impegnarsi per la comunità o a disimpegnarsi resta tra i segreti non svelati delle neuroscienze. La mente sfugge all’indagine sul cervello, poiché è di altra natura, o di un altro piano:

«La nostra ipotesi è che qualsiasi cosa noi sentiamo debba basarsi sulla forma dell’attività delle regioni cerebrali somato-sensitive. Se esse non fossero disponibili, noi non sentiremmo nulla, proprio come non vedremmo nulla se fossimo privati delle fondamentali aree visive del nostro cervello. Noi sperimentiamo dunque i sentimenti per gentile concessione delle regioni somato-sensitive. Può darsi che questo suoni un po’ ovvio, ma devo ricordare che, fino a pochissimo tempo fa, la scienza evitava accuratamente di assegnare i sentimenti a qualsiasi sistema cerebrale; si limitava a collocarli in qualche luogo evanescente nel cervello – o attorno a esso. Ed ecco una possibile obiezione, che è ragionevole e pertanto meritevole di attenzione, ma che in realtà è infondata. In generale, le regioni somato-sensitive producono una mappa precisa di quanto ha luogo nel corpo in quel momento; in alcuni casi, tuttavia, non è così, per la semplice ragione che l’attività delle regioni impegnate nella produzione della mappa, o i segnali afferenti a esse, possono essere stati in qualche maniera modificati».[4]

Le neuroscienze devono essere comprese all’interno della storia dell’attuale fase del capitalismo. Esse sono l’espressione più avanzata della rappresentazione dell’essere umano come mappa neuronale su cui si può agire per determinare scelte e sentimenti, e nel contempo hanno l’ambizioso progetto di eliminare la variabile coscienza, e l’annessa libertà. Divengono lo strumento ideologico per educare l’umanità ad un modello pedagogico fortemente “adattivo”. La filosofia ha il compito di smascherare tali derive riportando la concretezza critica dove regna l’incanto distopico del semplicismo ideologico.

 

Segnali emozionali
Le scienze – al pari di ogni altra attività umana – “avvengono” nella storia e senza una riflessione sulla propria “azione storica” tendono a trasformarsi nell’onnipotenza astratta del nuovo capitalismo che le finanzia al fine di governare sui popoli da trasformare in greggi di automi che sperano nella magia delle sostanze chimiche per risolvere i loro problemi. Esse sono parte del dispositivo di passività generale. Il logos ed il linguaggio diventano secondari rispetto ai segnali emozionali che stabiliscono finalità da raggiungere:

«Il segnale emozionale non è un sostituto del ragionamento vero e proprio, ma ha semplicemente un ruolo ausiliario, giacché ne aumenta l’efficienza e lo velocizza. In qualche caso, può renderlo quasi superfluo, come accade, per esempio, quando respingiamo immediatamente un’opzione che condurrebbe a un disastro sicuro o, viceversa, cogliamo al volo una buona opportunità in base alla sua elevata probabilità di successo. In alcuni casi il segnale emozionale può essere molto forte, e condurre alla parziale riattivazione di emozioni come la paura o la felicità, seguite dal sentimento cosciente appropriato di quella particolare emozione. E questo il presunto meccanismo della percezione viscerale, che utilizza quello che ho definito circuito corporeo. D’altra parte, i segnali emozionali possono funzionare anche in modo più sottile, e presumibilmente, nella maggior parte dei casi, è così che svolgono la loro funzione. In primo luogo è possibile produrre percezioni viscerali senza usare davvero il corpo, ma attingendo dal circuito «come se» discusso nel capitolo precedente. In secondo luogo, poi, c’è un fatto più importante, e cioè che il segnale emozionale può operare interamente al riparo dal radar della coscienza».[5]

 

Spinoza, immunologo delle passioni
Per salvare il logos e la progettualità politica bisogna mettere al riparo l’umanità da derive irrazionaliste che la schiacciano sulle sole azioni-reazioni neuronali senza linguaggio e capacità di meta-riflessione. Nella lettura di Antonio Damasio (Lisbona, 25 febbraio 1944) Spinoza è «un immunologo delle cattive passioni»:

«La soluzione di Spinoza richiede anche che l’individuo tenti di interrompere il processo che porta dagli stimoli emozionalmente adeguati potenziali induttori di emozioni negative – passioni come la paura, la rabbia, la gelosia, la tristezza – ai meccanismi che le eseguono. L’individuo dovrebbe invece sostituirli con altri stimoli, in grado di indurre emozioni positive, dalle quali trarre forza e nutrimento. Per facilitare questo obiettivo Spinoza raccomanda di tornare più volte a contemplare mentalmente gli stimoli negativi così da sviluppare una qualche tolleranza nei confronti delle emozioni negative e da acquisire gradualmente una certa dimestichezza nel generare quelle positive. Questo Spinoza è, a tutti gli effetti, un immunologo della mente che sta sviluppando un vaccino per creare anticorpi contro le passioni».[6]

 

Spinoza è un pensatore che difende “le buone pratiche comunitarie” e che persegue l’universale concreto in una società democratica rispettosa delle individualità con l’obiettivo politico di favorire la letizia comunitaria contro la tristezza del potere e della marginalità sociale. Spinoza non è un individualista, ma il suo senso sociale lo porta a progettare una comunità di individui che coltivano le passioni positive per poter ben vivere nella comunità che come «la visione intellettuale di dio» è un’unità in cui le parti si integrano, creando pratiche politiche rispettose della dignità umana. Il conatus sese conservandi non ha come fine la conservazione individuale, ma la liberazione dalle tristezze che condizionano le vite dei singoli, le quali sono in perenne tensione dialettica e politica.

Salvatore Bravo

***

[1] Antonio Damasio, Alla ricerca di Spinoza, Emozioni sentimenti e cervello, Adelphi, Milano 2007, pag. 58.

[2] Ibidem, pag. 85.

[3] Ibidem, pp. 175 176.

[4] Ibidem, pag. 106.

[5] Ibidem, pag. 134.

[6] Ibidem, pag. 235.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

Petite Plaisance – Pubblicazioni recenti

E-Books gratuiti

N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio.
Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:

info@petiteplaisance.it,

e saranno immediatamente rimossi.


1 19 20 21 22 23 109