Fabrizio Marchi – Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta. Il capitalismo in quanto nichilista è flessibile, si adatta ad ogni contesto pur di sopravvivere

Fabrizio Marchi
Il capitalismo in quanto nichilista è flessibile,
si adatta ad ogni contesto pur di sopravvivere

di S. Bravo

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Il testo di Fabrizio Marchi, Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta, scompagina stereotipi e dogmatismi del nostro tempo. Il progresso e l’illuminismo sono la religione non riconosciuta dell’Occidente. Lo scientismo laicista, epifenomeno dell’illuminismo, ha fondato la religione della merce, poiché ha eroso ogni fondamento veritativo fino al trionfo del capitalismo e della mercificazione assoluta. Affinché la merce possa capillarmente diffondersi è necessario rimuovere ogni limite, per cui dietro la retorica dei diritti civili non si cela che il cannoneggiamento del capitale che rimuove ogni comunità, ogni identità e tradizione. Il capitalismo laicistizzato[1] ha raggiunto l’apogeo della sua espansione e della colonizzazione delle menti. La mercificazione totale necessita di essere puntellata da miti (femminismo, teoria gender, laicismo, diritti civili senza diritti sociali) che risultano essere i dogmi della liturgia del capitale. Non vi è nel testo di Fabrizio Marchi nostalgia per il passato, ma la passione per la verità che necessita di sottoporre a critica costruttiva i dogmi di una società che proclama la libertà e l’emancipazione e nello stesso tempo impedisce la dialettica e la discussione su se stessa. Discutere dei miti dell’Occidente, oggi, è praticamente impossibile; l’Occidente proclama la morte delle ideologie per nascondere il trionfo dell’ideologia della merce: con tale operazione il capitale si ritrae da ogni confronto dialettico. Il progresso è tale se non si trasforma in mito fondativo, per cui tra le pieghe delle merci riemergono nuovi fascismi[2], in forme che bisogna imparare a riconoscere. Il fascismo non ha più la forma del ventennio e del franchismo, ma ricompare e si struttura nel dogma dell’emancipazione, nell’eliminazione e rimozione del maschile, in quanto archetipo del limite, nel disprezzo verso la famiglia tradizionale, la quale è realmente, malgrado i suoi umani limiti, un baluardo contro la mercificazione. Non si tratta di essere ostili alle “famiglie plurali”, ma se si concentra l’attenzione e si inneggia solo alle famiglie liquide o non tradizionali, è palese che le famiglie arcobaleno sono la testa d’ariete con cui il capitale attacca ogni spazio sociale ed affettivo liberato dai processi di mercificazione. Le relazioni liquide ed instabili educano al consumo[3], allo scambio veloce, ed oggi tali rapporti sono additati come esempio di massima ed indiscutibile libertà, perché confermano il valore di scambio. Il progresso deregolamentato giustifica l’utero in affitto come conquista rivoluzionaria, esso in realtà è l’espressione massima della mercificazione della vita e della negazione all’identità. Fabrizio Marchi porta il lettore a considerare il punto di vista del bambino: si immagini i sentimenti ed il dramma di un bimbo che sa di essere stato il prodotto di un contratto tra venditrice e compratore[4].

Un nuovo sguardo sul mondo
Lo sguardo noetico e noematico sul mondo ci deve invece indurre a stimare positivamente le resistenze al capitale. Si può essere atei, come afferma di essere Fabrizio Marchi, e ciò malgrado avere stima della religione e della spiritualità, poiché ad esse Marchi riconosce il merito di porre al centro la comunità e specialmente ci si può ritrovare sulle domande profonde sulla vita, pur non condividendo le risposte. Non ci si può approcciare alla religione secondo schemi marxiani, in quanto è mutato il contesto, per cui bisogna imparare a giudicare in modo critico, non applicando formule stantie, ma valutando i mutamenti strutturali e sovrastrutturali. Anche la libertà erotica è un dogma dell’Occidente, le donne liberate dal giogo maschile in realtà, non vivono una sessualità liberata, ma mercificata, le donne appaiono libere e disinibite, ma in realtà usano il loro corpo per sedurre e fare carriera. E’ una sessualità legata all’utile, per cui anche dietro questo mito vi è l’azione alienante del capitale[5]. Il femminismo ha la sua genetica all’interno del capitale, esso prepara la liberazione colpevolizzando il maschio al fine di scardinare ogni limite alla circolazione della merce. La sessualità divenuta merce di scambio, simbolo della libertà, insegna il cinismo dell’utile e l’atomismo sociale. La sessualità liberata, invece, dev’essere emancipata da carrierismi, narcisismo e logoramento dell’utile. Per poter rifondare una nuova sinistra comunista è indispensabile passare attraverso dogmi e recinti ideologici, in cui la sinistra si è chiusa con l’effetto di essere diventata organica al sistema capitale. Quest’ultimo è colto da Fabrizio Marchi nella sua verità, ovvero il capitalismo in quanto nichilista è flessibile, si adatta ad ogni contesto pur di sopravvivere[6]:

“Se la storia ci ha dimostrato qualcosa, è che il capitalismo è un sistema (rapporto di produzione) e un’ideologia (accumulazione illimitata del capitale e forma merce elevata a feticcio e oggi “assolutizzata”, cioè capace di occupare ogni spazio non solo dell’agire umano ma dell’umano stesso) estremamente flessibile, in grado di coniugarsi, come dicevo, con qualsiasi contesto storico e culturale”.

Su queste parole dovremmo riflettere, per imparare a decodificare le metamorfosi del capitalismo. Si deve aumentare notevolmente la capacità qualitativa di filtraggio delle metamorfosi del capitale per congedarci da esso ed il testo di Marchi, in tal senso, è un valido ausilio critico.

Salvatore Bravo

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[1] Fabrizio Marchi, Contromano. Critica dell’ideologia politicamente corretta, Zambon, 2018, pag. 155.
[2] Ibidem, pag. 143.
[3] Ibidem, pag. 168.
[4] Ibidem, pag. 172.
[5] Ibidem, pag. 226.
[6] Ibidem, pag. 147.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.