Giacomo Leopardi (1798-1837) – Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione
«Io vivo, dunque spero […]. Noi speriamo sempre e in ciascun momento della nostra vita. Ogni momento è un pensiero, e così ogni momento è in un certo modo un atto di desiderio, e altresì un atto di speranza, atto che benché si possa sempre distinguere logicamente, nondimeno in pratica è ordinariamente un tutt’uno, quasi, con l’atto del desiderio, e la speranza è una quasi stessa, o certo inseparabil, cosa col desiderio».
Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri [con il numero di pagina dell’autografo leopardiano e la data di stesura del testo citato], p. 4145, 18 ottobre 1825.
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«[…] allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario».
Ibidem, p. 170, 12-13 luglio 1820.
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«Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione».
Ibidem, p. 4418, 30 novembre 1828.
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«Qualunque cosa ci richiama l’idea dell’infinito è piacevole per questo, quando anche non per altro. Così un filare o un viale d’alberi di cui non arriviamo a scoprire il fine. Questo effetto è come quello della grandezza, ma tanto maggiore quanto questa è determinata, e quella si può considerare come una grandezza incircoscritta».
Ibidem, p. 185, 25 luglio 1820.
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