Viktor Borisovič Šklovskij (1893-1984) – Se la vita passa inconsciamente allora è come se non ci fosse mai stata: scompare trasformandosi in nulla. Per restiuire il senso della vita esiste ciò che si chiama arte.

Šklovskij Viktor Borisovič

Todorov_Russi_Einaudi


«Se tutta la complessa vita di molti passa inconsciamente,

allora è come se non ci fosse mai stata».

Lev Tolstoj, Appunti dal diario, in Diario di Leone Tostoi (1895-99), Milano 1924, p. 90.


 

Ed ecco come Viktor Borisovič Šklovskij, commenta queste parole di Tolstoj:

«Così la vita scompare trasformandosi in nulla.

L’automatizzazione si mangia gli oggetti, il vestito, il mobile, la moglie e la paura della guerra. […] Per restiuire il senso della vita, per “sentire” gli oggetti, per far sì che la pietra sia pietra, esiste ciò che si chiama arte. Scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto, come “visione” e non come “riconoscimento”; procedimento dell’arte è il procedimento dello “straniamento” degli oggetti e il procedimento della forma oscura che aumenta la difficoltà e la durata della percezione, dal momento che il processo percettivo, nell’arte, è fine a se stesso e deve essere prolungato; l’arte è una maniera di “sentire” il divenire dell’oggetto, mentre il “già compiuto” non ha importanza per l’arte».

Viktor Sklovskij, L’arte come procedimento, in I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico, a cura di Tzvetan Todorov, Einaudi, 1968, p. 82.


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Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Il termine «mio» poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che alcuni chiamano «sentimento» di proprietà, o diritto di proprietà. Le parole che essi ritengono assai importanti sono: mio, mia, miei.

Tolstoj Lev 28

 

Quando più tardi ampliai l’orizzonte delle mie osservazioni, mi convinsi che il termine mio non si riferisce soltanto a noi cavalli, ma in generale poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che essi chiamano sentimento di proprietà o diritto di proprietà.

 

storia di un cavallo

Lev Tolstòj, Cholstomer. Storia di un cavallo

***

L’io narrante è un cavallo, che dice:

Quello che dicevano della flagellazione e del cristianesimo io capivo assai bene; a quel tempo però mi era ancora completamente oscuro il significato delle parole Il suo cavallo, dalle quali mi sembrava di intuire che, secondo l’opinione degli uomini, tra me e il padrone della scuderia dovesse esistere una qualche relazione. In che cosa consistesse questa relazione, allora non lo potevo comprendere. Solo molto più tardi, quando fui separato dagli altri cavalli, capii che cosa significasse quella espressione.

Ma allora io non potevo comprendere che cosa volesse dire in concreto la mia attribuzione in proprietà ad un uomo.

L’espressione Il mio cavallo si riferiva a me, un cavallo vivo, e mi appariva strana come le parole: la mia terra, la mia aria, la mia acqua.

Ad ogni modo queste parole mi facevano una grande impressione e ci rimuginavo su costantemente.

Il significato che gli uomini davano ad esse lo capii solo molto più tardi, quando ebbi fatto con loro le più svariate esperienze.

Questo significato è il seguente: nella vita umana l’essenziale non sono i fatti, ma le parole. Agli uomini non importa tanto la possibilità di fare o non fare qualcosa quanto la possibilità di parlare di qualsiasi oggetto usando determinate parole convenzionali.

Queste parole, che essi ritengono assai importanti, sono: mio, mia, miei; e si riferiscono alle cose più diverse; a esseri, a oggetti, persino alla terra, a uomini, a cavalli.

Gli uomini hanno stabilito che può essere soltanto uno di loro a chiamare mia una determinata cosa. E chi, in questo gioco che hanno inventato, riesce a chiamare mio il maggior numero di oggetti, viene considerato il più felice. Io non so perché le cose stiano così, ma in effetti stanno realmente così. Un tempo ho cercato di spiegarmele pensando che a questo riconoscimento fosse legato un qualche diretto vantaggio, ma questa supposizione si è rivelata erronea.

Ad esempio: molti tra gli uomini che mi definivano il loro cavallo, non mi cavalcavano; a cavalcarmi era tutt’altra gente. Neppure mi davano il foraggio; anche questo erano altri a farlo. Del bene me lo fecero non quelli che mi chiamavano Il mio cavallo, ma vetturini, veterinari o comunque persone estranee.

Quando più tardi ampliai l’orizzonte delle mie osservazioni, mi convinsi che il termine mio non si riferisce soltanto a noi cavalli, ma in generale poggia unicamente su un basso, animalesco istinto degli uomini, istinto che essi chiamano sentimento di proprietà o diritto di proprietà.

L’uomo dice: La mia casa anche se non vi abita mai, anche se si occupa soltanto della sua costruzione e della sua manutenzione.

Il commerciante dice: Il mio negozio; ad esempio: Il mio negozio di stoffe, ma non si fa confezionare i suoi abiti neppure con le migliori stoffe che vi tiene.

Vi sono uomini che chiamano loro un pezzo di terra e non hanno mai visto questa terra né vi hanno mai messo piede.

Vi sono uomini che dicono mio a proposito di altri uomini pure senza averli mai visti e sebbene l’unico rapporto con loro consista nel farli soffrire.

Vi sono uomini che dicono La mia donna, anche se questa vive con altri. E nella vita questi uomini non tendono a fare ciò che ritengono buono e giusto ma a definire come loro il maggior numero possibile di cose.

Io sono convinto adesso che la differenza sostanziale tra noi e gli uomini sta proprio qui. Già per questo semplice fatto – e anche trascurando tutti gli altri vantaggi che abbiamo rispetto a loro – abbiamo il diritto di affermare che, nella gerarchia degli esseri viventi, noi stiamo un gradino più su degli uomini. L’attività degli uomini, almeno di tutti quelli con cui io ho avuto a che fare, è determinata dalle parole, non dai fatti».

imeridiani_tolstoj1

Lev Tolstòj, Cholstomer. Storia di un cavallo, in Id., Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Vol. II (testo, nella traduzione di Serena Prina), Vol. II, pp. 1408-1410, Commento e note ai testi, I Meridiani, V ed., maggio 2005.


Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Tutti i grandi cambiamenti cominciano e si compiono nel pensiero
Lev Tolstoj (1828-1910) – L’elevazione del lavoro a virtù è altrettanto assurda come l’innalzamento del nutrirsi dell’uomo a dignità e a virtù. nella nostra società falsamente ordinata, esso è per lo più un mezzo che uccide la sensibilità morale …
Lev Tolstoj – Che cos’è l’arte: L’arte incomincia là, dove incomincia l’appena appena
Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – In una società dove esiste, sotto qualunque forma, lo sfruttamento o la violenza, il denaro non può assolutamente rappresentare il lavoro. La semplicità è la principale condizione della bellezza morale.
Lev Nikolàevič Tolstòj (1828-1910) – Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso.
Lev Nicolaevič Tolstoj (1828-1910) – Non appena ho compreso l’essenza della ricchezza e del denaro, mi si è chiarito quanto in realtà sapevo già da molto.
Lev Nikolàevič Tolstòj (1828 – 1910) – «Se lascio la vita con la coscienza d’aver sciupato tutto quanto mi fu dato e che ormai non c’è più nulla da fare, allora che sarà?». Ivan Il’ič è il personaggio dell’esteriorità. La sua è un’interiorità priva di ricerca, priva di interrogazione.

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Fernanda Mazzoli – Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo, oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista.

Fernanda Mazzoli

«Intorno alla scuola si gioca una partita decisiva che è quella della società futura che abbiamo in mente. La scuola può riservarsi un ruolo attivo […] oppure scegliere la capitolazione di fronte al modello sociale neoliberista». Fermanda Mazzoli

 

 

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FERNANDA MAZZOLI

SCUOLA LIQUIDA

LA LIQUIDAZIONE DELLA SCUOLA PUBBLICA

La Legge 107 varata nel luglio 2015, la cosiddetta “buona scuola”, è il tentativo più recente di dare profilo istituzionale alla deriva aziendalistica e consumista dell’istruzione voluta dalle oligarchie cui non sfugge l’alterità della conoscenza e del pensiero critico rispetto alla logica del profitto. Scuola azienda, dove impianto verticistico e addestramento alle competenze specifiche si combinano a formare lavoratori poco qualificati, destinati a precariato e sfruttamento, in ossequio alle politiche neoliberiste. Scuola supermercato, dove allo studente-cliente si apre il ventaglio di un’offerta abbondante, allettante e intercambiabile, indirizzata a un consumatore onnivoro. Scuola leggera, fortemente impoverita nella sua dimensione formativa e culturale, subordinata alle esigenze immediate del mercato, obbediente al pensiero unico del totalitarismo digitale e tecnologico. Ecco i muri portanti per collocare l’istruzione pubblica nel poderoso edificio ideologico che fa da supporto alla gigantesca controffensiva proprietaria scatenata negli ultimi decenni. Ambizioso progetto di controllo sociale che mira alla privatizzazione della scuola pubblica e passa per una ridefinizione del docente che la nuova pedagogia di Stato svuota della sua identità culturale e trasforma in animatore, organizzatore, compilatore di schede. Diventa necessario, allora, rovesciare il paradigma di subordinazione culturale al mercato, individuando proprio nella scuola il terreno fertile per un’apertura verso una visione diversa della società e della vita.

Fernanda Mazzoli si è occupata di letteratura orale e processi di stregoneria in area centro-europea, collaborando a diverse riviste. Insegna francese in un Liceo linguistico.

Sensibili alle foglie, 2016

ISBN 978-88-98963-55-3

p. 120


 

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Premessa


Indice

 

LA ROTTAMAZIONE DELLA SCUOLA
A buona scuola cattivi maestri – Gli inadeguati… – … si adeguano …

DALLA SCUOLA ALL’AZIENDA
Cucito o spremitura delle olive? – TreLLLe in cattedra –Ma in presidenza c’è l’Europa – Competenze per competere – Fondata sul lavoro – Il totalitarismo digitale – Alfabetizzazioni – Dalla “buona scuola” alla Legge 107 – Un silenzio assordante – Buona scuola e cattiva lingua

INSEGNANTI SENZA SEGNO
Quantificare – Valorizzare – Controllo qualità – Valutare – La gestione manageriale – Autonomia … da che cosa? – Uno, nessuno, centomila

IL PROGETTIFICIO
Autonomia dall’insegnamento – Animare e facilitare – Dacci oggi la nostra animazione quotidiana – La scuola supermercato – Cosa metto nel carrello? – Docenti a consumo e docenti consumati – Prove di arrembaggio – La dismissione

UNA SCUOLA ALTRA
Lasciateci lavorare – La resistenza culturale – Per una scuola forte – Aperture – Dalla nuova religione digitale… – … Alla Lectio – Non di solo digitale – Elogio della difficoltà – Scommessa per il futuro


Scuola liquida. Fernanda Mazzoli – YouTube


La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale

La Strega nella tradizione ugro-finnica e in quella occidentale


Su questo argomento:

 

067G

Massimo Bontempelli
L’agonia della scuola italiana

ISBN 88-87296-79-0, 2000, pp. 144,  € 10,00.

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Ernst Bloch (1885-1977) – L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà. L’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione.

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«Anche se la speranza non fa altro che sormontare l’orizzonte, mentre solo la conoscenza del reale tramite la prassi lo sposta in avanti saldamente, è pur sempre essa e soltanto essa che fa conquistare l’incoraggiante e consolante comprensione del mondo, a cui essa conduce, come la più salda ed insieme la più tendenzialmente concreta. […] L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. […] Contro l’aspettare è d’aiuto lo sperare. Ma non ci si deve solo nutrire di speranza, bisogna anche trovare in essa qualcosa da cucinare. […] L’utopia concreta sta all’orizzonte di ogni realtà; la possibilità reale circonda fino alla fine le tendenze-latenze dialettiche aperte, l’utopia non è fuga nell’irreale, è scavo per la messa in luce delle possibilità oggettive insite nel reale e lotta per la loro realizzazione».

Ernst Bloch, Il principio speranza, 3 vol., Garzanti, 1994, vol. I, pp. 262-263.


Ernst Bloch (1885 – 1977) – Chi è scialbo si colora come se ardesse. La via esteriore è la più facile. Apparire più che essere: questo il suo motto.
Ernst Bloch (1885-1977) – Tutto ciò che vive ha un orizzonte. Dove l’orizzonte prospettico è tralasciato, la realtà si manifesta soltanto come divenuta, come realtà morta, e sono i morti, cioè i naturalisti e gli empiristi, che qui seppelliscono i loro morti.
Ernst Bloch (1885-1977) – È la filosofia la scienza in cui è viva, ha da esser viva, la consapevolezza del tutto. La filosofia ha a cuore soprattutto l’unità del sapere. La filosofia sta sul fronte.

 


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Adriana Zarri (1919-2010) – Cosa ci stai a fare nel mondo, se non hai occhi, se non hai mani per toccare la vita? Ciò che ci manca sono gli occhi, l’incantamento, lo stupore per un mondo sempre diverso, per una vita sempre nuova.

Adriana Zarri
Un eremo non è un guscio di lumaca

Un eremo non è un guscio di lumaca

«Come? Non hai visto la diversità e la ricchezza della vita? Le albe sempre diverse, i tramonti con rossi e viola che cambiano ogni sera, e le foglie che cadono, dorate o rosse o rugginose e i fili d’erba che i tuoi piedi calpestano incuranti ma che nascondono miti pratoline dalle ciglia rosate che, la sera, si chiudono quasi per dormire e riaprirsi all’indomani?
Non hai mai visto il cielo, le nubi, la notte, le stelle?

Cosa ci stai a fare nel mondo,
se non hai occhi, se non hai mani per toccare la vita?
[…].

Ciò che ci manca sono gli occhi,
l’incantamento, lo stupore
per un mondo sempre diverso, per una vita sempre nuova
».

Adriana Zarri, Un eremo non è un guscio di lumaca, Einaudi, 2011.

 

 


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Italo Calvino (1923-1985) – Leggere significa affrontare qualcosa che sta proprio cominciando a esistere.

Italo Calvino_Notte d'inverno un viaggiatore

calvino_flaneri1

«Leggere
significa affrontare qualcosa
che sta proprio cominciando a esistere».

 

Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, 1979

Un viaggiatore, una piccola stazione, una valigia da consegnare a una misteriosa persona… Da questa premessa si possono snodare innumerevoli vicende, ma sono dieci quelle che l’autore propone in questo sorprendente e godibilissimo romanzo. “E’ un romanzo sul piacere di leggere romanzi: protagonista è il lettore, che per dieci volte comincia a leggere un libro che per vicissitudini estranee alla sua volontà non riesce a finire. Ho dovuto dunque scrivere l’inizio di dieci romanzi d’autori immaginari, tutti in qualche modo diversi da me e diversi tra loro.” (Italo Calvino)


Italo Calvino (1923-1985) – L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiano stando insieme.
Italo Calvino (1923-1985) – La conoscenza del prossimo ha questo di speciale: passa necessariamente attraverso la conoscenza di se stesso.
Italo Calvino (1923-1985) – Cavalcanti si libera d’un salto “sì come colui che leggerissimo era”. L’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostra che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi appartiene al regno della morte.

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Gustave Flaubert (1821-1880) – Non leggete per divertirvi, né come leggono gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. Si tratta di lavorare, mi avete capito? Leggi per vivere, lavora, appaga il tuo spirito.

Gustave Flaubert 01

«Non leggete come leggono i ragazzi, per divertirvi, né come leggono gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. […] Si tratta di lavorare, mi avete capito?».

È un invito accorato alla cara amica scrittrice e a se stesso:
«Non essere un lettore esteriore, non tralasciare una lettura per superficialità, non abbandonarti a significati e interpretazioni solo apparenti. Leggi per vivere, lavora, appaga il tuo spirito». Giugno 1857.

 

 

Lettres à Mademoiselle Leroyer de Chantepie di Gustave Flaubert

Lettres à Mademoiselle Leroyer de Chantepie di Gustave Flaubert

Les lettres de Flaubert à Marie-Sophie Leroyer de Chantepie sont la première invitation à ce voyage atypique en Littérature. On y voit bien le bourreau de travail, celui qui consacrera plusieurs années de recherches et d’écriture pour chacun de ses ouvrages. On y voit aussi un Flaubert attentif aux plaintes d’une aristocrate provinciale perdue dans ses idéaux, ses scrupules, incapable d’insuffler à sa vie le souffle nécessaire pour son bonheur. Enfin on y voit un Flaubert encourageant, multipliant les tentatives et les conseils, admonestant aussi – par lassitude –, pour offrir à sa correspondante ce supplément d’âme par lequel lui-même, pourtant peu enclin à penser la vie comme une aubaine, s’y est malgré tout battu pour l’oeuvre que l’on sait. On y voit somme toute l’homme devant sa création.

Anno pubblicazione 2008, collana La petite française, a cura di Jean-Baptiste Fabien.

Sophie Leroyer de Chantepie par anonymeMusée du pays de Château-Gonthier

Sophie Leroyer de Chantepie. Musée du pays de Chateau-Gonthier

 


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Walter Benjamin (1892-1940) – Che cos’erano per me i miei primi libri? Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto.

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«Che cos’erano per me i miei primi libri?

 Per ricordarmene dovrei prima cancellare dalla memoria ogni altra cognizione di libri. È certo che tutto ciò che so oggi si basa sulla prontezza con cui allora mi aprii ai libri; ma mentre ora il contenuto, l’argomento, la meteria sono estranei al libro, come oggetto, allora ne erano parte essenziale e intrinseca, come la carta e il numero delle pagine. Il mondo che si rivelava nel libro e il libro stesso erano assolutamente indivisibili. Come il libro, anche il suo contenuto, il suo mondo, era palpabile, si poteva toccare con mano.
E parimenti quel contenuto e quel mondo gtrasfiguravano ogni parte del libro. Vi ardevano dentro, irradiavano da esso; inscritti non solo nella copertina e nelle figure, erano racchiusu nei titoli dei capitoli e nei capilettera, nei paragrafi e nelle colonne.
Io non leggevo un libro, vi entravo, vivevo tra le sue righe; e quando lo riaprivo dopo un’interruzione, ritrovavo me stesso nel punto in cui ero rimasto».
Walter Banjamin

 

 

La mia biblioteca

La mia biblioteca

Walter Benjamin, La mia biblioteca, Elliot, 2016

Quarta di copertina

Nel 1931 un trasloco costrinse Benjamin ad affrontare la mole sterminata dei volumi accumulati nel corso degli anni. Dal mezzogiorno alla mezzanotte, senza essere riuscito a terminare l?impresa, il filosofo tedesco aprì le casse che contenevano la sua biblioteca. Le ore passate tra la polvere e gli scatoloni ispirarono questo saggio. Dalla tensione non risolta tra ordine e disordine, alla presenza massiccia di libri mai letti sugli scaffali, passando per gli acquisti memorabili e le tattiche da adottare nelle aste pubbliche: tutto concorre a delineare la figura del collezionista, il cacciatore di libri, il flâneur che, perdendosi nelle grandi e piccole città, va alla ricerca di una botteguccia antiquaria o di una sperduta cartoleria. Un testo curioso, qui presentato insieme ad altri due scritti, Presso il camino e Come si spiega un grande successo editoriale?, nei quali Benjamin indaga la magia della lettura e le cause che possono rendere un trattato sulle erbe un imprevedibile best seller.


Walter Benjamin sul collezionismo librario: “Disfo la mia biblioteca”


Walter Benjamin (1892-1940) – «Esperienza» . Il giovane farà esperienza dello spirito e quanto più dovrà faticare per raggiungere qualcosa di grande, tanto più incontrerà lo spirito lungo il suo cammino e in tutti gli uomini. Quel giovane da uomo sarà indulgente. Il filisteo è intollerante.
Walter Benjamin (1892-1940) – Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera
Walter Benjamin (1892-1940) – La malinconia tradisce il mondo per amore di sapere. Ma la sua permanente meditazione abbraccia le cose morte nella propria contemplazione, per salvarle.

 


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Jan Patočka (1907-1977) – Chi può rispondere alla domanda se il conflitto di Socrate sia solo un conflitto dei tempi, oppure se si tratti di uno scontro fondamentale irriducibile ed eterno? Socrate non ha una risposta a portata di mano, ma solo una domanda.

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Socrate di Patočka

Socrate di J. Patočka, Rusconi, 1999

«Chi può rispondere in modo soddisfacente alla domanda se il conflitto di Socrate sia solo un conflitto dei tempi, determinato da una specifica situazione storica relativa, oppure se si tratti di uno scontro fondamentale irriducibile ed eterno?». Jan Patočka, Socrate.

«Socrate non ha una risposta a portata di mano, ma solo una domanda. E poi cerca di destare negli altri la stessa domanda. Con questo risveglio della domanda negli altri, però, Socrate cambia gli altri. La domanda sul bene ultimo opera nell’anima una conversione totale. La costringe a tornare in se stessa, a cercare ciò che è il suo fine ultimo e la sua propria vocazione». Jan Patočka, Socrate.

«La specificità di Socrate consiste nel fatto che ha compreso e ha sempre sottolineato che il mero immediato superamento irriflesso dell’individualismo non è ancora un integrale atteggiamento morale, bensì dev’essere preceduto dalla domanda. Perciò la risposta propria di Socrate all’incertezza morale del suo tempo è la domanda morale. Essa è la sua scoperta propria. La domanda, però, esprime sempre il non sapere, i dubbi. Socrate reagisce contro la sicurezza ingenua dell’uomo non desto moralmente. A Socrate, quindi, per questo risveglio dalla certezza alla domanda serve la dialettica raffinata, spesso vertiginosa ed ingannevole. Ciò che, quindi, per Socrate è più importante è il risveglio alla domanda, non la risposta». Jan Patočka, Socrate.

Quarta di copertina

Jan Patočka (1907-1977), allievo di Edmund Husserl e considerato il più importante filosofo ceco, ha mediato la fenomenologia appresa dal maestro con la tradizione classica del socratismo e del platonismo, elaborando un pensiero originale che si sta diffondendo con grande successo in Europa. La sua idea di “vivere nella verità”, pur nella problematicità, lo ha condotto a schierarsi durante gli anni oscuri del regime comunista cecoslovacco a favore degli uomini ingiustamente perseguitati e ad essere il primo firmatario di “Charta 77”, la vivace protesta in difesa dei diritti umani. Per questa ragione fu arrestato e condotto alla morte durante un violento interrogatorio da parte della milizia di stato. Giustamente è stato definito il “Socrate di Praga”. Il suo studio su Socrate, risalente al 1947 e tradotto per la prima volta in una lingua occidentale, è quindi assai significativo per comprendere la radici teoriche del suo operato. Il conflitto di Socrate con l’Atene del tempo, per Patočka, diviene il modello di un conflitto fondamentale eterno. L’idea socratica del non-sapere assume per lui il significato di una presa di coscienza della finitezza dell’uomo, che è fonte di umiltà intellettuale; in questo modo, la problematicità diventa anche il primo passo per la “cura dell’anima”, vale a dire per un’esistenza umana in prossimità e in vista del bene. Secondo Patočka, la cura dell’anima costituisce altresì la base spirituale sulla quale l’Europa è nata e si è sviluppata, e in base alla quale potrebbe anche rigenerarsi in futuro. Il testo è stato curato da Martin Cajthaml e Giuseppe Girgenti, ricercatori del “Platoninstitut” presso l’Accademia Internazionale di Filosofia nel Principato del Liechtenstein, che insieme hanno già tradotto di Patočka Platone e L’Europa (Vita e Pensiero, Milano 1997). Il testo ceco riprodotto a fronte è tratto dalla seguente edizione: Sokratés, Praga 1947, seconda edizione a cura di I. Chvatik e P. Kouba, Praga (SPN) 1991.


Indice del volume Socrate


Recensione di Salvatore Bravo al libro di J. Patočka, Socrate


Che cos'è la fenomenologia?

Che cos’è la fenomenologia?

 

Le monde naturel et le mouvement de l'exsistence humaine

Le monde naturel et le mouvement de l’exsistence humaine

 

Lo spazio e la sua problematica

Lo spazio e la sua problematica

 

Platonismo negativo e altri frammenti

Platonismo negativo e altri frammenti

 

Saggi eretici sulla filosofia della storia

Saggi eretici sulla filosofia della storia


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Paul Valéry (1871-1945) – «Le livres ont le mêmes ennemis que l’homme: le feu, l’umide, les bêtes, le temps; et leur propre contenu». Possiamo tradurre «les bêtes» con «la stupidità».

Paul Valéry 01
Valéry Littérature

P. Valéry, Littérature

 

Le livres ont le mêmes ennemis que l’homme:

le feu, l’umide, les bêtes, le temps;

et leur propre contenu.

 

Paul Valéry, Littérature, Gallimard, 1930.

 

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