Johann Gottfried Herder (1744-1803) – Se la filosofia deve servire agli uomini, deve fare dell’uomo il suo fulcro. Umanità è il carattere della nostra specie. L’educazione all’umanità è un’opera che deve essere continuata incessantemente.

Herder Johann Gottfried 01
Se la filosofia deve servire agli uomini, deve fare dell’uomo il suo fulcro.
Che cosa è rappresentabile attraverso l’uomo?
Tutto. La natura, la società umana, l’umanità.

Johann Gottfried Herder

 

Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità (1774) e, il suo grande capolavoro, le Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-1791).

***

«Il mio cammino è il percorso dell’universo: per questo per me brilla ogni stella, per questo risuona per me, nei concetti spirituali e nelle relazioni, l’armonia degli astri».

Johann G. Herder, Sulla metempsicosi.

***

Il sentimento è la misura della nostra sensibilità; la vera origine del vero, del buono, del bello.

Johann G. Herder, Studi e progetti.

«Tutti quanti siamo uomini, e come tali rechiamo in noi il genere umano, ovvero al genere umano noi apparteniamo. […] Umanità è il carattere della nostra specie; ma esso ci è innato solamente come predisposizione, e propriamente richiede di venir educato. Eppure è necessario ch’esso sia, nel mondo, la meta delle nostre aspirazioni, la somma delle nostre azioni, il nostro valore: non conosciamo infatti nessuna angelicità insita nell’uomo, e se il demone che ci governa non è un demone umano, allora noi diventiamo tormentatori degli uomini. L’elemento divino che c’è nel nostro genere è dunque l’educazione all’umanità. […] Umanità è il patrimonio e il risultato di tutti gli sforzi umani, è per così dire l’arte della nostra specie. L’educazione all’umanità è un’opera che deve essere continuata incessantemente; altrimenti tutti noi, che si appartenga ai ceti superiori o a quelli inferiori, ripiombiamo nella rozza animalità, nella brutalità».

Johann G. Herder, Lettere per il promuovimento dell’umanità

Opere

Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità (1774) e, il suo grande capolavoro, le Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-1791).

  • Ancora una filosofia della storia per l’educazione dell’umanità, Torino, Einaudi, 1971
  • Idee per la filosofia della storia dell’umanità, Bologna, Zanichelli, 1971
  • Giornale di viaggio 1769, Milano, Spirali, 1984
  • La pietra grezza – I dialoghi per massoni di Lessing e Herder, traduzione di Teresina Zemella, Milano, 1984
  • Ernst e Falk Dialoghi per liberi muratori, Milano, Cisalpino Goliardica, 1984
  • Dialogo intorno a una società invisibile-visibile, Milano, Cisalpino Goliardica, 1984
  • Fama Fraternitatis – Sullo scopo della Framassoneria, come essa appare dall’esterno, Milano, 1984
  • L’anello del sigillo di Salomone – Una continuazione del precedente dialogo, Milano, Cisalpino Goliardica, 1984,
  • Dio, Dialoghi sulla filosofia di Spinoza, Milano, Franco Angeli, 1992
  • Metacritica: passi scelti, Roma, Editori Riuniti, 1993
  • Saggio sull’origine del linguaggio, Parma, Pratiche Editrice, 1993
  • Plastica, Palermo, Aesthetica, 1994
  • Dialogo su una società invisibile-visibile, Milano, Bompiani, 2014
  • Massoni, Milano, Bompiani, 2014
  • Fama Fraternitatis o Sullo scopo della Libera Muratoria, come essa appare dall’esterno, Milano, Bompiani, 2014.
  • L’anello con sigillo di Salomone, Milano, Bompiani, 2014
  • Iduna, o il pomo del ringiovanimento, Pisa, ETS, 2019.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.

Aristotele, la prima origine

«Natura di cose altro non è che nascimento di esse».

G.B. Vico, La Scienza nuova,  I, sez. 2, XIV.

«In qualunque campo
si raggiungerebbe la migliore visione della realtà,
se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo
e fin dalla prima origine».

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Arnold Schönberg (1874-1961) – Tendiamo al futuro: ci dev’essere nel nostro futuro una perfezione sovrana. Uno dei compiti più nobili della teoria è di risvegliare l’amore per il passato e di aprire, nello stesso tempo, lo sguardo verso il futuro.

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Manuale di armonia, I

Manuale di armonia, I


Manuale di armonia, II

Manuale di armonia, II

«Credo […] che il nuovo sia quanto di buono e di bello noi bramiamo involontariamente e irresistibilmente con il nostro essere più interiore, così come tendiamo al futuro: ci dev’essere nel nostro futuro una perfezione sovrana, a noi ancora ignota, dal momento che tutto il nostro essere associa ad essa le sue speranze. Forse questo futuro è uno stadio d’evoluzione superiore del nostro genere in cui si adempie quello struggimento che oggi non ci dà pace […]: il futuro reca con sé il nuovo, e per questo il nuovo è per noi così spesso e a ragione identico al bello ed al buono».

Arnold Schönberg, Manuale di armonia, Il Saggiatore, 1963, voI. II, p.302

«L’impulso più nobile, quello della conoscenza, ci impone il dovere della ricerca; e una erronea dottrina che sia frutto di una onesta ricerca sta sempre più in alto della sicurezza contemplativa di chi la rinnega, perché crede di sapere senza aver cercato di persona. È addirittura nostro dovere meditare continuamente sulle cause misteriose di ogni risultato artistico, senza mai stancarci di cominciare da principio, sempre osservando e sempre cercando un nostro ordine […].
Uno dei compiti più nobili della teoria è di risvegliare l’amore per il passato e di aprire, nello stesso tempo, lo sguardo verso il futuro: in tal modo essa può essere storica, stabilendo legami tra ciò che è stato, ciò che è e ciò che presumibilmente sarà. Lo storico può svolgere un compito fecondo quando presenta non delle date ma una concezione della storia, e quando non si limita ad enumerare, ma si adopera a leggere nel passato il futuro. […]
Abbiamo il diritto e l’obbligo di dubitare, ma farsi indipendenti dall’istinto è difficile quanto pericoloso, perché accanto alle cose giuste e sbagliate, accanto alle esperienze e alle osservazioni dei nostri padri, accanto a ciò che noi dobbiamo alla loro e alla nostra tradizione, abbiamo forse nell’istinto una capacità in divenire, che è la conoscenza del futuro; e forse ne possediamo anche altre, di cui l’uomo acquisterà un giorno coscienza, e che oggi può al massimo presentire e intravedere senza poterle però mettere in azione».

Arnold Schönberg, Manuale di armonia, Il Saggiatore, 1980.

Arnold Schönberg, Autoritratto, 1910

A. Schônberg, Autoritratto, 1910

CPG5XE Schoenberg, Arnold 13.9.1874 - 13.6.1951, Austrian composer, half length, writing, at the blackboard, writing notes, male, man,

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Trattato di Armonia

Trattato di Armonia


Funzioni strutturali dell'armonia

Funzioni strutturali dell’armonia



M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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J. W. Goethe (1749-1832) – Possiamo e dobbiamo godere delle vere forze attive della vita terrena. Quanto più siamo aperti a questi godimenti, tanto più ci sentiamo felici. Se non vi partecipiamo, si manifesta la più grande malattia: considerare la vita come un peso nauseante.

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«Ogni piacere della vita è fondato sopra un regolare ritorno delle cose del mondo esterno. L’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni, dei fiori e dei frutti, e di tutto quello che ci si presenta da un’epoca all’altra, perché noi possiamo e dobbiamo goderlo, sono le vere forze attive della vita terrena.
Quanto più siamo aperti a questi godimenti, tanto più ci sentiamo felici; ma se la varietà di questi fenomeni si alterna davanti a noi senza che vi partecipiamo, se non siamo sensibili a tante graziose profferte, allora si manifesta il più grande male, la più grande malattia, si considera la vita come un peso nauseante»

Johann Wolfgang Goethe, Aus meinem Leben. Dichtung und Wahrheit (1808-1831), libro XIII [trad. it. Poesia e verità, in ID., Opere, a cura di L. Mazzucchetti, 5 voll., Sansoni, Firenze 1963, vol. I, p. 1138].

Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Non si può chiedere al fisico di essere filosofo; ma ci si può attendere da esso che abbia sufficiente formazione filosofica
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Qualunque sogno tu possa sognare, comincia ora.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questa è l’ultima conclusione della saggezza: la libertà come la vita si merita soltanto chi ogni giorno la dovrà conquistare.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ma le notti Amore mi vuole intento a opere diverse: vedo con occhio che sente, sento con mano che vede.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Nell’uomo vi è una scintilla più alta, la quale, se non riceve nutrimento, se non è ravvivata, viene coperta dalle ceneri della necessità e dell’indifferenza quotidiana.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Ciascun momento, ciascun attimo è di un valore infinito. Noi esistiamo proprio per rendere eterno ciò che è passeggero.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Per non rinunciare alla nostra personalità, molte cose che sono in nostro sicuro possesso interiore non dobbiamo esteriorizzarle.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – La mente deve essere addestrata, calzata e stretta in stivali spagnoli, perché s’incammini con prudenza sulle vie del pensiero, e non sfavilli come un fuoco fatuo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Questo cuore è sempre costante, turgido come il più giovanile fiore. Io non voglio perderti mai! L’amore rende l’amore più forte. La vita è l’amore, e lo spirito è la vita della vita.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) – Chi è nell’errore vuol supplire con violenza a ciò che gli manca in verità e forza.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Jean Starobinski (1920-2019) – Quando la speranza vira al nero, quando più niente ci porta al futuro, la realtà presente si disloca, i suoi elementi non posseggono più il potere di tenere insieme. Ma l’inchiostro della malinconia ha la possibilità del bagliore, dello splendore fulgido per sempre.

Jean Starobinski 01

Per coloro che hanno il dono della poesia, il sollievo è poesia,
 [e per coloro che hanno il dono della passione per la filosofia,
il sollievo è la filosofia].

J. Starobinski, L’inchiostro della maliconia, p. 33.

«Quando la speranza vira al nero, quando più niente ci porta al futuro, la realtà presente si disloca, i suoi elementi non posseggono più il potere di tenere insieme. Il rondò comincia con l’immagine dell’acqua che si fa salire dal pozzo e termina col movimento inverso che vi fa cadere dentro la pagina lacerata.

[…] L’inchiostro della malinconia, a forza di opacità e di tenebre, perviene a conquistare un meraviglioso potere di barbaglio e scintillanza? Il fondo tenebroso comporta la possibilità del bagliore, se gli si sovrappone del materiale liscio. Shakespeare lo intuisce, evocando il miracolo di un amore che risplende, salvato dalla devastazione universale del Tempo, nell’inchiostro nero della poesia:


Che in nero inchiostro, l’amor mio splenda fulgido per sempre.

That in black ink my love may still shine brighf. [1]


Ma, in quest’ultima trasformazione metaforica, la malinconia divenuta inchiostro, diventa infine la foglia di stagno grazie alla quale l’immagine si irradia. L’oscurità più densa oppone alla luce una superficie da cui essa zampilla, luciferina, come da una seconda sorgente».

Jean Starobinski, L’inchiostro della malinconia, Einaudi, Torino, 2014, p. 533.

[1] W. Shakespeare, sonetto 65, in ID., Sonetti, a cura di G. Melchiori, Einaudi, Torino 19826, p. 133.

Da dove provengono la tristezza profonda, la disperazione, il delirio, il furore, il suicidio? Contro coloro che invocavano una causa sovrannaturale o una punizione divina, il pensiero medico ha fatto prevalere, fin dall’antichità, una causa naturale, quella “bile nera” cui il senso letterale del termine “malinconia” fa riferimento. Per la medicina greca e romana era uno dei quattro umori del corpo dalle cui combinazioni dipendevano gli stati d’animo e il carattere delle persone. Un umore di natura fredda e tenebrosa che era all’origine di sofferenze e disordini, ma che tuttavia poteva stimolare un’intensa sensibilità intellettuale e artistica. Questo volume raccoglie tutti gli scritti che il medico, storico delle idee e critico letterario ginevrino ha consacrato ai diversi aspetti della malinconia, a partire dalla sua celebre tesi di laurea dedicata alla storia dei suoi trattamenti medici. I vari saggi rappresentano un’accurata messa in prospettiva di questo potente sentimento, dalla sua prima apparizione in Omero e Galeno fino alla sua riduzione a semplice patologia psichica. Starobinski incrocia miti antichi, astrologia, medicina, letteratura, filosofia e arte, corroborando ogni argomento con una moltitudine di corrispondenze, tanto impreviste quanto perfette.

La malinconia allo specchio, SE, 2006
 
La malinconia ha un profondo legame con la riflessione e gli specchi. Forse nasce nel punto in cui lo sguardo s’incontra nello specchio, questa “trappola di cristallo”. Baudelaire è stato un mirabile testimone della congiunzione di specchio e malinconia. Un tale motivo, che ha dato vita ad allegorie e a rappresentazioni molteplici, esigeva un ascolto attento. Un ascolto qui consacrato ad alcune poesie, tra cui Le Cygne, autentico capolavoro. A questo si aggiunge, sotto l’influenza di Saturno, tutta la serie di “figure chinate”, di occhi che si abbassano su altri sguardi, su sguardi che si rivolgono alle lontananze della patria assente o del vano riflesso. “Vedo tua madre” si legge in La Lune offensée “che piega la greve massa dei suoi anni verso lo specchio, imbellettando artisticamente il seno che t’ha nutrito!”. Prefazione di Yves Bonnefoy.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Glenn Gould (1932–1982) – Credo che se un artista vuole utilizzare il cervello per un lavoro creativo, ciò che si chiama autodisciplina – che non è altro che un modo per sottrarsi alla società – sia assolutamente indispensabile.

Glenn Gould 02
«Non è che io sia asociale, ma credo che se un artista vuole utilizzare il cervello per un lavoro creativo, ciò che si chiama autodisciplina – che non è altro che un modo per sottrarsi alla società – sia assolutamente indispensabile».
 
Glenn Gould, No, non sono un eccentrico, interviste e montaggio a cura di Bruno Monsaigeon, prefazione di Enzo Restagno, traduzione di Carlo Boschi, EDT edizioni di Torino, 1989.
 
****
 
«Occorre consentire all’artista di operare in segreto, per così dire, senza che egli debba preoccuparsi, o meglio ancora rendersi conto, delle presunte esigenze del mercato, le quali esigenze, se accolte con sufficiente indifferenza da un numero sufficiente di artisti, finirebbero semplicemente con lo scomparire».
 
Glenn Gould, citato in Kevin Bazzana, Mirabilmente singolare (racconto della vita di Glenn Gould), traduzione dall’inglese di Silvia Nono, edizioni e/o, 2004.
Glen Gould (1932-82) – L’arte non diventerà un’ancella del processo scientifico, e sarà capace di esprimere come l’impulso estetico sia privo di età, cioè libero dalle obbedienze che i tempi gli dettano.
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Franco Fortini (1917-1994) – «Reversibilità». Anassagora giunse ad Atene che aveva da poco passato i trent’anni. Era amico d’Euripide e Pericle. Parlava di meteore e arcobaleni. Ne resta memoria nei libri. uomini che furono e che in noi sono fin d’ora?

Franco Fortini 02

Reversibilità

Anassagora giunse ad Atene
che aveva da poco passato i trent’anni.
Era amico d’Euripide e Pericle.
Parlava di meteore e arcobaleni.
Ne resta memoria nei libri.

Si ascolti però quel che ora va detto.
Anche la grandissima Unione Sovietica e la Cina
esistono, o l’Africa; e le radio
ogni notte ne parlano. Ma per noi, per
noi che poco da vivere ci resta,
che cosa sono l’Asia immensa, il tuono
dei popoli e i meravigliosi  nomi
degli eventi, se non figure, simboli
dei desideri immutabili dolorosi? Eppure
– si ascolti ancora – i desideri immutabili
dolorosi che mordono il cuore nei sonni
e del poco da vivere che resta
fanno strazio felice, che cosa sono
se non figure, simboli, voci
dei popoli che mutano e si inseguono
,
degli uomini che furono e che in noi
sono fin d’ora? E così vive ancora,

parlando con Euripide e con Pericle
di arcobaleni e meteore, il filosofo
sparito e una sera d’estate
ansioso fra capre e capanne di schiavi
entra ad Atene Anassagora.

 

Franco Fortini

Franco Fortini, Poesie inedite, Einaudi, Torino 1997

Romano Luperini interpreta questa poesia come segno del rovesciamento della situazione privata in pubblica: «L’educazione insegna la reversibilità delle distanze e delle differenze nel tempo e nello spazio, e dunque un nuovo senso di cittadinanza ed etica planetaria, la possibilità di un nuovo patto fra generazioni e fra popoli». Il messaggio della poesia per Luperini: «[…] L’attività intellettuale che cerca un senso non solo individuale ma pubblico è l’unica risposta laica possibile al nulla della morte e alla ripetitività dei cicli biologici». Per Guido Mazzoni: «Reversibilità ha come tema l’esperienza dei livelli di realtà che trascendono la vita privata». Cfr. Ospite ingrato – Rivista on line Centro Studi Franco Fortini “Per una rilettura delle sette canzonette del Golfo” di F. F.- di Roberto Talamo.

Franco Fortini (1917-1994) – «I confini della poesia», Castelvecchi, 2015: «Misura, ossia senso del limite opportuno ma anche dell’illimitato che sta al di là»
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Theodor L. W. Adorno (1903-1969) – È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.

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Theodor Ludwig Adorno, La crisi dell’individuo, a cura di Italo Testa, Diabasis, 2010.

«La convenzionalizzazione della psicanalisi determina la sua propria castrazione […]. L’ultimo grande teorema dell’autocritica borghese è diventato un mezzo per assolutizzare, nella sua ultima fase, l’alienazione borghese, e per vanificare anche il sospetto dell’antichissima ferita, in cui si cela la speranza di qualcosa di meglio nel futuro».

T.L.W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, 1954.


È fondamentale compiere esperienze personali, non delegate dall’apparato sociale. La felicità si dà soltanto dove c’è il sogno, ed è preclusa a chi non sa più sognare, incapace di concepire scopi.


 

La trasformazione dell’ambiente, di cui abbiamo estrapolato alcuni esempi che tenevano già conto delle rispettive implicazioni psicologiche, rimandano a un nuovo tipo umano in corso di formazione. La si è denominata con espressione felice radio-generation, generazione radiofonica.
È il tipo dell’uomo la cui essenza è definita dall’incapacità di compiere esperienze personali, un uomo che si lascia imbandire le esperienze dall’apparato sociale, fattosi strapotente e impenetrabile, e che proprio per questo non riesce a spingersi fino allo stadio della formazione dell’io, fino alla «persona».
Secondo le teorie della psicanalisi ortodossa un tipo umano che fallisce a tal punto nella formazione dell’io sarebbe da classificare come nevrotico. Il concetto di nevrosi, però, implica determinati conflitti con la realtà. Dal momento che però la generazione radiofonica si priva della possibilità di formarsi un io proprio, adeguandosi passivamente alla realtà, e dal momento che proprio in virtù della mancanza di un «io» essa sembra integrarsi senza alcun conflitto nella realtà, il concetto di nevrosi non può essere applicato senza alcune riserve.
Se tutti costoro sono malati – e ci sono ottimi motivi per crederlo – essi non sono in ogni caso più malati della società in cui vivono. Al tempo stesso è dalla loro conformazione che dobbiamo partire per tentare di cambiare le cose.
Abbiamo ragione di credere che l’atrofizzazione si accompagni alla liberazione di alcune facoltà che mettono queste persone in grado di operate trasformazioni che i vecchi «individui» non avrebbero mai saputo realizzare.
L’apertura di una breccia nella parete monadologica che nell’era liberale imprigionava ogni individuo in se stesso è motivo di grandi speranze. La generazione radiofonica è stata definita «bidimensionale». La mancanza di continuità nell’esperienza rende loro quasi impossibile provare felicità e dolore.

Nessuna felicità, perché essa si dà soltanto dove c’è il sogno, ed essi non sanno più sognare.
Sono pressoché incapaci di concepire scopi che vadano al di là del loro ambito d’azione abituale, e tali da trascendere l’adattamento alle sue condizioni.
Felicità significa per loro adeguarsi, poter fare quello che fanno tutti, fare ancora una volta quello che fanno tutti. […]
Vedono il mondo così com’è, ma a costo di non poterlo più vedere come potrebbe essere. Per questo sono carenti anche dal punto di vista del dolore. Sono «induriti» in senso fisico e psicologico.
La freddezza è uno dei loro tratti più spiccati: sono freddi nei confronti del dolore altrui, ma anche nei confronti di se stessi.
[…] A questa freddezza risponde una complicità segreta con le cose, alle quali si cerca di assimilarsi. […] Il mondo delle cose diventa il sostituto delle immagini. Professano la religione dell’automobile. Il rapporto con i prodotti della tecnologia mette capo a una quanto mai curiosa mescolanza tra capacità di improvvisazione e obbedienza, tra «iniziativa» autonoma (mentalità da truppe di assalto) e rinuncia a un pensiero autonomo, una miscela che racchiude in sé la possibilità di entrambi gli estremi.
[…] Pensare di più, cioè spingersi per mezzo del pensiero al di là delle esigenze immediate poste dall’ambiente circostante, equivale oggi per la maggior parte degli individui a turbare quel processo di adattamento che requisisce la totalità delle loro energie psichiche.
Pensare di più significa ormai di per sé mettere a rischio le proprie chance di carriera, se non addirittura la propria immediata sicurezza.
Al tempo stesso, però, la perdita di ogni illusione intorno alla realtà, la quantificazione dei processi lavorativi che in teoria può consentire a ciascuno di svolgere qualunque mansione, e la relativa immediatezza con la quale le forze della società si affermano fanno sì che proprio il mondo oggettivo delle cose venga incontro a quella conoscenza che esso contemporaneamente reprime.
Quegli stessi uomini che si vietano il pensiero (e comportamenti affini come leggere libri, discutere di problemi teorici, ecc.) si sono fatti «scaltriti» e non si lasciano più abbindolare da nessuno.
Questa contraddizione ci sembra delimitare il problema veramente centrale di un’educazione riflessiva nell’attuale fase storica.

 

Theodor Ludwig Adorno, La crisi dell’individuo, a cura di Italo Testa, Diabasis, 2010.

Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – L’idea di un fare scatenato, di un produrre ininterrotto attinge a quel concetto che è servito sempre a sancire la violenza sociale come immodificabile.
Salvatore Antonio Bravo – Theodor L. Adorno, in «Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa», ci comunica l’urgenza di un nuovo esserci. Chi vuol apprendere la verità sulla vita immediata, deve scrutare la sua forma alienata, le potenze oggettive che determinano l’esistenza individuale fin negli anditi più riposti. Colui che non vede e non ha più nient’altro da amare, finisce per amare le mura e le inferriate. In entrambi i casi trionfa la stessa ignominia dell’adattamento.
Theodor Ludwig Adorno (1903-1969) – Una società emancipata è la realizzazione dell’universale nella conciliazione delle differenze. Una politica a cui questo stesse veramente a cuore dovrebbe richiamare l’attenzione sulla cattiva eguaglianza di oggi […] e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Salvatore Bravo – Tutti promossi, perché la cultura e l’impegno non sono un valore, ma un limite al mercato. La didattica smart non insegna a pensare, ma solo a dare il minimo della preparazione che serve al mercato.

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Con la promozione generalizzata causa covid 19 si conclude un processo di distruzione dei contenuti. Tutti promossi, perché la cultura e l’impegno non sono un valore, ma un limite al mercato.
La didattica smart non insegna a pensare,
ma solo a dare il minimo della preparazione che serve al mercato.


La pubblica istruzione sta vivendo e consumando, sotto lo sguardo di ciascuno di noi, il suo stato di eccezione. La bozza del decreto sul corrente anno scolastico conferma quanto la ridda delle voci ministeriali e non aveva anticipato: tutti promossi. Ad uno sguardo superficiale tale provvedimento sembra inevitabile; in realtà lo è, se ci si colloca, come sta avvenendo, nell’ottica del pensiero unico. Non vi sono discussioni, dialoghi in cui le posizioni alternative si confrontano con la forza e con la debolezza logica di ciascuna proposta, ma vi è solo il chiasso del pensiero unico. Deleuze, in Che cos’è la filosofia, afferma che i dialoghi platonici sono una rappresentazione spaziale delle posizioni che si possono assumere su un dato problema. La realtà non è un dato di fatto, ma si costruisce mediante la capacità di ciascuna prospettiva di far emergere, come direbbe Hegel, un lato del problema. Nulla di questo accade nello stato di eccezione in cui siamo, dove si susseguono interviste e dichiarazioni, ma stranamente tutti concordano sulle posizioni ministeriali: la democrazia non è questione di “quantità vocali”, ma di “qualità verbale”. La pletora di voci è una abile manovra per la rappresentazione scenica della democrazia! In realtà le voci che si susseguono non sono che cloni della matrice unica ministeriale. Tutti devono essere promossi, nessuna bocciatura: nessuno si scandalizza, poiché lo stato di eccezione porta a compimento “il progetto pedagogico” che ha delegittimato in questi decenni la scuola pubblica. Essa ha perso la sua finalità formativa per essere un diplomificio finalizzato all’inclusione illusoria. I titoli elargiti con generosità hanno il fine di includere le nuove generazioni in logiche competitive e mercantilistiche e pertanto la scuola promuove ed accoglie per poter inserire nel mercato lavorativo generazioni di semianalfabeti facilmente manipolabili e, specialmente a “scuola”, si impara il pensiero unico della competizione senza qualità. Non a caso le competenze, il saper fare e vendere le proprie competenze è l’obiettivo primario, per cui: che ciascuno impari il minimo richiesto dal mercato! Questo è l’obiettivo facilmente raggiungibile che ci si propone. I contenuti su cui la scuola pubblica svolgeva la selezione sono stati ridotti ad elementi secondari, devono essere minimi; i contenuti sono giudicati dai pedagogisti di regime un doloroso fardello da schiacciare su minimi livelli, ma in realtà sono il nutrimento per ogni emancipazione. Si temono i contenuti, perché con essi si impara l’arte della concettualizzazione che sospende la produzione, ma rende la vita una vita umana. La scuola, attraverso i contenuti pensati e concettualizzati, dovrebbe insegnare a pensare il mondo diversamente; così la scuola diviene non il motore di conferma del potere, ma l’istituzione che pensa il potere e l’economia per riformarle. Con la promozione generalizzata causa covid 19 si conclude un processo di distruzione dei contenuti e delle differenze per dichiarare pubblicamente che la bocciatura è inutile, poiché i contenuti minimi possono essere recuperati con la didattica veloce, la didattica smart che non insegna a pensare, ma solo a dare il minimo della preparazione che serve al mercato.

La scuola deve formare alla competizione ed all’individualismo: non a caso vi è il PCTO, l’educazione all’imprenditorialità ed al coding esaltati e pubblicizzati dall’azienda scuola, la quale deve stare sul mercato dell’offerta formativa. Non dimentichiamoci del numero notevole di certificazioni linguistiche ed informatiche, organiche a tali obiettivi, che interrompono il processo di formazione. I contenuti sono delegittimati, e lo è ancor più l’attività di studio degli studenti, che resistono con i loro professori e presidi all’eliminazione del sapere-concetto per essere sostituito dalle logiche del fare per vendere. Il pensare è pericoloso per qualsiasi sistema; oggi l’immissione massiccia delle tecnologie ed il mercato globale favoriscono la sostituzione del pensare con il semplice saper fare: vendersi e godere illimitatamente. Pensare deriva da un verbo latino (pendo/penso) che significa “soppesare”, perché chi pensa coglie il valore delle parole, guarda e sperimenta processi dialettici, soppesa il valore qualitativo delle posizioni politiche e delle ideologie, le corrobora, come direbbe Popper. Nulla di questo deve più avvenire: tutti promossi, perché la cultura e l’impegno non sono un valore, ma un limite al mercato.

 

DAD

Se tutti devono essere promossi, qual è la funzione dei docenti che con improvvisate piattaforme cercano di trasmettere contenuti e di rendere viva la scuola? Forse dinanzi all’opinione pubblica educata solo alla quantità, si vuole giustificare lo stipendio dei docenti e nel contempo si usano i docenti come intrattenitori di una generazione stimolata dal mercato al perenne consumo ed ora costretta a stare a casa. Dovremmo chiederci quale messaggio arriva a quegli alunni che si sono impegnati fino a marzo, con due terzi della scuola effettuata, e che adesso si trovano ad essere eguagliati a coloro che in sei mesi nulla hanno fatto. Si pensi al senso di impotenza e di derisione che interiorizzano i discenti che si sono impegnati lungamente, malgrado le innumerevoli interruzioni dell’attività didattica causa “offerta formativa”. Il re è nudo … si comunica la verità, ovvero che lo studio, la ricerca, il merito sono valori in caduta verticale nella nostra nazione (non a caso le carriere accademiche si costruiscono con concorsi opinabili al punto che i nostri ricercatori sono migranti del sapere alla ricerca della loro Itaca); li si lascia andar via, perché il sistema non vuole cambiare, non vuole mettere in pratica processi dialettici di trasformazione profonda. Il merito è solo propaganda, non a caso tutti promossi… e, se ci si è impegnati, ci si deve accontentare e sperare di un voticino in più con cui giustificare il merito. La promozione oggi totale, da decenni generalizzata, rivela un’altra verità: che il lavoro non è distribuito secondo logiche meritocratiche, ma di censo. E’ il denaro a decidere la conferma o la promozione sociale, non la scuola con i suoi titoli e certificazioni. Essa è un diplomificio di illusioni, se non si ha denaro da spendere in corsi qualificanti. In tutto questo si dovrebbe effettuare un’epochè dei pregiudizi sui docenti, e ci si dovrebbe immedesimare in loro: Essi svolgono lo stesso lavoro di Sisifo, con la DAD si sforzano di dare dignità ai contenuti per non giungere a nulla e specialmente arriva il messaggio che i loro sforzi per inseguire gli alunni sono nulli … tanto saranno tutti promossi. Immaginatevi un ragazzino un po’ immaturo: in questo modo si rafforzano in lui il senso di onnipotenza, il disprezzo per l’impegno, la cultura e per i suoi colleghi studiosi. Ancora una volta prevale la logica del condono, per cui i cittadini con senso civico sono messi tacitamente alla berlina. Ma si immagini anche il disincanto degli alunni che hanno sempre svolto il loro dovere con motivazione.

 

Non vi è altra soluzione?

Il buon governo dev’essere capace di essere impopolare, invece si inseguono la calma sociale e l’elettorato con provvedimenti demagogici. Si potrebbero valutare gli alunni sui voti ottenuti fino a marzo, in modo da salvaguardare il merito. Si potrebbe rispondere in questo modo allo stato di eccezione di questi giorni, si può ipotizzare che tale provvedimento potrebbe essere attaccabile, poiché l’anno scolastico non è terminato e non ci sono stati i tempi per il recupere, ma affermare la validità dell’anno, qualora non si rientri, non è egualmente attaccabile a livello giuridico? Si dovrebbe comunicare, per una volta, che i recuperi veloci fatti a fine anno per evitare bocciature e ricorsi sono una vergogna nazionale, ed è ora di cambiare rotta. Tutti i giorni del tempo scuola sono importanti, non solo gli ultimi che consentono recuperi fragili, perché le strutture concettuali si formano con la sedimentazione qualitativa nel tempo. La maturità digitale, qualora si concretizzi l’ipotesi peggiore, con un unico orale – c’è da chiedersi – garantisce l’imparzialità della valutazione, dato che l’alunno dovrebbe collegarsi probabilmente da casa sua? I crediti potrebbero essere utilizzati, in alternativa, come elemento oggettivo, oltre alle valutazioni registrate fino a marzo, per garantire reali differenze tra gli alunni ed i meriti?

Le dichiarazioni continuano a susseguirsi, non vi sono state reazioni dei sindacati, dei partiti di opposizione, dei docenti. Tutto avviene fatalmente. Il silenzio apparente che segue alle innumerevoli indiscrezioni e dichiarazioni rafforza la posizione del ministero e la debolezza del settore pubblico soverchiato da logiche palesi che nessuno denuncia. Ancora una volta il sentimento che prevale è la pubblica mortificazione di coloro che credono e si impegnano. L’effetto lo sconteremo nei prossimi anni con un abbassamento ulteriore della qualità della nostra istruzione, come denunciano i risultati delle prove INVALSI. Si sta verificando una effettiva descolarizzazione della nostra nazione e tale descolarizzazione non è sostituita da nulla a livello comunitario, ma solo dalla legge del più forte che coincide con la legge del denaro. E’ il momento di sollevare dubbi e chiedersi che tipo di comunità umana stiamo costruendo, visto che le scelte di oggi producono effetti già nel presente e pertanto si protrarranno nel futuro. L’avvenire delle nostre scuole è intrecciato con il futuro di tutta la comunità umana. Non possiamo in un momento critico delegare il futuro a nessuno: se tale messaggio passa, ancora una volta abdichiamo alle nostre responsabilità in nome di un dirigismo che mai nella nostra storia è stato garante di democrazia, ma ha sostituito il diritto con il privilegio, il dialogo con le gerarchie.

 

Salvatore Bravo

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.

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Montaigne, Essais, III, 13: De l’experience.

Frontespizio dell’edizione originale 1588, Prima ed. it. 1634
M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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