Salvatore Antonio Bravo – La filosofia è resistenza che magnifica i piani d’immanenza nell’incontro del presente con il passato aprendosi al futuro. Gli pseudofilosofi rendono omaggio, con la loro presenza acclamata, alla commedia mediatica della democrazia: criticano, ma non propongono nulla.
L’opera di Gilles Deleuze – Felix Guattari, Che cos’è la filosofia?, ci invita ad una riflessione sul senso della filosofia e della pratica filosofica. La filosofia è sotto assedio, sembra arretrare, i suoi spazi divengono sempre più limitati e, in taluni casi, il posticcio cerca di occupare lo spazio da essa lasciato libero. Il ripiegamento dei filosofi nella dimensione normo-temperata degli ambienti accademici, l’assenza del logos filosofico nella politica, sta consentendo non solo l’omologazione, ma soprattutto la regressione sociale e, con essa, il riemergere di immagini del mondo in cui la tensione del logos è sostituita dalla dismisura della glebalizzazione–globalizzazione. La Filosofia vive dell’antitesi, la sua apertura diventa riposizionamento verso lo stato presente, è prassi trasformatrice mediante i concetti vissuti. Creare nuovi piani d’immanenza, di pensiero, significa ridisegnare la cartografia dei significati. La Filosofia diventa in tal modo prassi trasformatrice. Deleuze e Guattari denuncino il tentativo di sostituirla con modesti succedanei: sociologia, epistemologia, psicanalisi ecc. al fine di neutralizzarne la carica rivoluzionaria e critica. La si accoglie, la si spettacolarizza per anestetizzare il pensiero divergente: «Più recentemente la filosofia si è imbattuta in molti nuovi rivali. Furono prima le scienze dell’uomo, e in particolare la sociologia, a volerla rimpiazzare. Ma poiché la filosofia aveva trascurato sempre più la sua vocazione a creare concetti per rifugiarsi negli Universali, non si sapeva bene quale fosse la sua funzione» (G. Deleuze – F. Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino, 1996, introduzione p. XVIII) . Nega così la sua vocazione, ovvero: creare concetti, dialettizzarli, ripensare il presente. Ogni concetto ripensato e razionalizzato come l’araba fenice rinasce a nuova vita e diviene volano per nuove prospettive. La filosofia necessita del coraggio del pensiero: pensare significa ridisporsi in uno spazio altro, rompere con il conformismo omologante dei facili successi, accettare il rischio della solitudine come un’opportunità per capire. Creare concetti significa vivere il caos dionisiaco e gioioso della vita e delle sue infinite possibilità per operare in esso il taglio come lo definiscono i due filosofi, ovvero una concettualizzazione, un atto creativo con il quale ridefinire la contingenza e l’immagine del mondo: «Il piano d’immanenza prende in prestito dal caos le determinazioni con cui compone i suoi movimenti infiniti, i suoi tratti diagrammatici. Si può, si deve quindi supporre una molteplicità di piani, poiché nessuno di essi potrebbe da solo abbracciare tutto il caos senza ricadervi; oltretutto, ciascuno ritiene solo i movimenti che si lasciano piegare insieme» (ibidem, p. 40). I piani d’immanenza sono infiniti e stratificati, le possibilità del pensiero sono innumerevoli e nessun taglio potrà mai impedire nuove concettualizzazioni. La filosofia è libera, perché esplora sempre nuovi piani; le sue mani conoscono continuamente l’atto della liberazione dalle catene dell’ignoranza come lo schiavo nella caverna di Platone. Denuncia, con il solo suo esserci, ogni riduzionismo: oggi deve confrontarsi con il capitalismo assoluto, il quale nega la possibilità del pensiero, sostituito dalla sola libertà delle merci e dei corpi. Il sistema capitale, con la dismisura, ipostasi del liberismo, assolutizza solo un piano di immanenza: la mercificazione di tutto, la riduzione a quantità di ogni evento per poterlo controllare; ogni piano d’immanenza altro è marginalizzato, ridotto al silenzio. La filosofia, ciò malgrado, vive. L’epoca delle passioni tristi è l’epoca dell’asfissia della speranza, la pressione mediatica e politica nelle sue forme degenerate verso il ‘’si dice’’ ‘’si pensa’’, e dunque la chiacchiera, mostra la sua fragilità negli effetti depressivi che provoca e specialmente nell’incapacità dell’immanenza del pensiero unico a risolvere le sue innumerevoli contraddizioni.
È la corrente calda che E. Bloch paragonava al rosso caldo contrapposto al rosso freddo della corrente gelida, sterile e portatrice del pensiero verticale. La filosofia emancipa e, come tale, partecipa alla vita, la vivifica con la sua rivoluzione attiva: «Il concetto è il contorno, la configurazione, la costellazione di un evento a venire. I concetti in questo senso appartengono a pieno titolo alla filosofia, perché è essa che li crea e non smette di crearne. Il concetto è evidentemente conoscenza, ma conoscenza di sé: esso conosce il puro evento, che non si confonde con lo stato delle cose nelle quali si incarna. Quando la filosofia crea dei concetti, delle entità, il suo scopo è sempre di cogliere un evento dalle cose e degli esseri. Allestire il nuovo evento delle cose e degli esseri, dare loro sempre un nuovo evento: lo spazio, il tempo, la materia, il pensiero, il possibile come eventi…» (ibidem, pp. 22-23).
La sua processualità, mentre crea, fa riaffiorare il tempo della speranza senza identificarsi con il concetto. Essa, in quanto attività creatrice e critica, non si identifica con lo stato irrigidito delle cose, dei concetti del sistema, ma è sempre oltre, è attività vitale che ripensa il già stato per dargli nuovi significati.
Possiamo comprendere l’ostilità del sistema capitale verso una forma di conoscenza che dalla rinuncia alla verticalità, alla gerarchizzazione passiva, trae la dinamicità plastica per percorsi consapevolezza. La Filosofia, precisano gli autori non è l’arte di criticare i concetti; è molto di più, pone le condizioni per concettualizzazioni alternative, per nuovi piani di pensiero: «Criticare significa soltanto constatare che un concetto svanisce, perde alcune sue componenti o ne acquisisce altre che lo trasformano nel momento in cui viene immerso in un nuovo concetto. Ma coloro che criticano senza creare, che si limitano a difendere ciò che è svanito senza potergli dare le forze per ritornare in vita, costoro sono la piaga della filosofia. Questi polemisti, questi comunicatori sono animati dal risentimento. Non parlano che di se stessi lasciando che si affrontino delle vuote generalità. La filosofia ha orrore delle discussioni, ha sempre altro da fare» (ibidem, p. 19).
I mezzi di comunicazione vorrebbero il requiem della filosofia, quando illustri accademici o pseudofilosofi rendono omaggio, con la loro presenza acclamata, alla commedia della democrazia: criticano, ma non propongono nulla, non trasformano la critica nella speranza che mobilita verso l’uscita della caverna. Sono la piaga della filosofia perché fortificano la retorica democratica con la benedizione della filosofia addomesticata, usata in funzione del potere e dunque ombra della sua autentica finalità.
La filosofia è uno scandalo perché aspira alla conoscenza, e fa della parola motivo d’incontro con sé e con chi è disposto alla ricerca. Il piano d’immanenza è luogo della comunità nel quale le tensioni sono l’apertura al pubblico, alla vita nelle sue dimensioni, che presuppongono l’identità dell’io, sottratto alla liquidità dei nostri tempi: perché nel pensiero si conosce, e dunque scolpisce la sua statua interiore, come affermava Plotino. La filosofia deterritorializza e riterritorializza i concetti, denuncia lo stato presente del capitalismo assoluto in cui i diritti individuali convivono con le violenze più inaudite. La filosofia con la concettualizzazione è la resistenza di cui si sente sempre più nostalgia: «Quantunque la filosofia si riterritorializzi sul concetto, non ne trova la condizione nella forma presente dello Stato democratico o in un cogito di comunicazione ancora più dubbio del cogito di riflessione. Non ci manca certo la comunicazione, anzi ne abbiamo troppa; ci manca la creazione. Ci manca la resistenza al presente. La creazione dei concetti fa appello di per sé a una forma futura, invoca una nuova terra e un popolo che non esiste ancora» (ibidem, p. 101).
La filosofia è resistenza che magnifica i piani d’immanenza nell’incontro del presente con il passato aprendosi al futuro. Deve tornare ad essere cerniera tra le moltitudini ed i movimenti che accolgono le urgenze del presente ma sono privi di un progetto politico alternativo al presente in modo da unire la comunità verso una nuova possibilità, verso un nuovo tempo in cui raccogliersi per pensare.
Salvatore Antonio Bravo
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