Salvatore Antonio Bravo – Le miserie della società dell’abbondanza. La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione.

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La società dei consumi

Le miserie della società dell’abbondanza

La società dell’abbondanza non muove domande sull’abbondanza poiché essa è letta secondo il parametro unico della quantità. L’uso della quantificazione quale linguaggio unico trasforma uno dei possibili linguaggi in linguaggio unico e, come tale, in ipostasi. I numeri perdono la dimensione di strumento – e dunque l’imperfezione legata alla condizione di mezzo – per diventare enti ontologici. La naturalizzazione della quantificazione forma intelligenze computazionali per le quali la domanda che esula la quantificazione è un disporsi verso un possibile impossibile. La filosofia è il luogo dei linguaggi, la sua ricchezza cognitiva è nella pluralità fenomenologica che riporta la complessità nell’orizzonte materiale del quotidiano. Dunque l’abbondanza, se ridotta a pura quantificazione, fa brillare l’occidente nello spettacolo perenne delle sue vetrine mediatiche. Ma se l’abbondanza è letta secondo parametri qualitativi in cui la relazione di fiducia fonda la relazione e la comunità verifichiamo la nostra pericolosa miseria: «Quel che fonda la “fiducia” dei primitivi, e fa che essi vivano nell’abbondanza persino nella fame è alla fin fine la trasparenza e la reciprocità dei rapporti sociali. È il fatto che nessuna manipolazione qualunque essa sia, della natura, del suolo, degli strumenti o dei prodotti del “lavoro”, viene a bloccare gli scambi e a istituire la scarsità».[1]

La scarsità in cui siamo immersi e che non riusciamo a leggere è la sfiducia reciproca che induce a chiudersi in un narcisismo difensivo: l’altro e la comunità sono il pericolo, per cui il naturale bisogno dell’altro si trasforma nella contemplazione di sé, nella scissione dalla comunità, nella fuga dall’impegno e dalla cura dell’altro. Non resta che un’abbondanza di cose mentre la scarsità è obliata dall’operazione di manipolazione continua che si estende, nella dismisura, ad ogni ambito della vita. La società dell’immagine, dei desideri smodati cela la sua contraddizione: “la scarsità” nella relazione, la quale – se riportata su un piano di consapevolezza e pensata – mostra la verità a cui ci si vuole sottrarre.

L’oblio è possibile grazie alla rete mediatica che rafforza l’ordine del consumo e neutralizza il pensiero. L’epoca iper-ideologica dei nostri giorni ritrova nei mezzi di comunicazione uno dei suoi strumenti più aggressivi: «La verità dei media di massa è dunque la seguente: essi hanno per funzione quella di neutralizzare il carattere vissuto, unico, fattuale del mondo, per sostituirvi un universo multiplo di media omogenei gli uni agli altri, i quali significano e si rinviano l’un l’altro. Al limite, essi divengono il contenuto reciproco gli uni degli altri ed è il “messaggio” totalitario di una società dei consumi».[2]

La verità dell’abbondanza è la scarsità dell’individuo, l’offesa perpetua alla natura, all’indole di ciascuno. Ogni azione disfunzionale al sistema è censurata mediante la marginalità a cui la sottopone il linguaggio assoluto della quantificazione: «La verità del consumo è che essa è in funzione non del godimento, bensì della produzione e dunque proprio al pari della produzione materiale è una funzione non individuale, ma immediatamente e totalmente collettiva».[3]

Il godimento della società dell’abbondanza è un fine razionale in cui «si gode per produrre» e dunque il godimento diventa funzione del sistema e del ciclo produttivo in cui è assente la finalità fine a se stessa in cui l’io esprime la pienezza del suo esserci, del suo relazionarsi con “il mondo”.

Solo la filosofia, con il suo carattere epistemico olistico, può rilevare le contraddizioni dell’ideologia imperante perché possano essere pensate e dunque possa la razionalità pensare il reale per renderlo consapevole e trascenderlo. L’assenza dell’idealismo di cui l’occidente è oggi orfano deve riportare al suo centro l’hegeliano: «Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale».

Salvatore Antonio Bravo

[1] Jean Baudrillard, La società dei consumi, il Mulino, 2010 , p. 62.

[2] Ibidem, p. 138

[3] Ibidem, p. 77.


Jean Baudrillard (1929-2007) – La morte è immanente all’economia politica. È per questo che essa si vuole immortale.

 


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