Salvatore Bravo – All’attesa heideggeriana bisogna opporre lo sguardo profondo della civetta filosofica per responsabilizzarsi nella prassi. La critica che si limita ad attendere la svolta, “l’evento”, diventa complice dello stato presente.
– Perchè il nulla dilaga?
– Perché la gente ha rinunciato a sperare e dimentica i propri sogni. Così il nulla dilaga.
– Che cos’è questo nulla?
– È il vuoto che ci circonda, è la disperazione che distrugge il mondo, e io ho fatto in modo di aiutarlo.
– Ma perché?
– Perché è più facile dominare chi non crede in niente, e questo è il modo più sicuro di conquistare il potere.
Il terrifico
Il terrificante è tra di noi e con noi, l’ipertecnologia con le sue promesse edoniche si è ribaltata nel “terrificante”, si è immersi in esso, si è diventati parte di un sistema che nega la natura umana nella sua capacità di cogliere e vivere la percezione olistica del vivere dalla quale trarre il senso profondo dell’esserci. La distanza è la cifra del terrifico, le tecnologie sono l’espressione compiuta della rappresentazione fisica dell’oggetto, che cade nella “distanza” della rappresentazione. L’oggetto è ridotto a poche variabili “esclusivamente quantitative”, è solo ciò che “ci sta innanzi”, pronto all’uso. La vicinanza finalizzata al solo uso è attività di negazione, in quanto l’oggetto non è vissuto, non è colto nei suoi rimandi vitali e di senso, ma è soltanto immediatezza a disposizione. La distanza è divenuta “non distanza”, poiché la “distanza” implica la “vicinanza”, mentre la contemporaneità nega la “vicinanza” per cui “la distanza” non è colta nella sua verità, dato che solo la relazione distanza-vicinanza dà significato ad entrambe. Il pensiero unico annichilisce ogni comprensione che collassa sotto il giogo dell’omologazione. Il terrifico è l’astratto, nega ogni relazione logica, etica ed ontologica. L’astrazione irrompe nel quotidiano, portando il terrifico che l’accompagna. La rappresentazione dell’oggetto è il luogo astratto su cui si agisce per manovrarlo, in questo modo vi è la totale sostituzione dell’atto percettivo vitale con la rete simbolica che matematizza e smaterializza la vita, la riduce a simboli su cui praticare la delirante onnipotenza globale. Il terrificante è il gelo della corrente fredda che pervade ogni relazione con gli oggetti, con l’ambiente fino ad investire le relazioni umane. Queste ultime sono nel segno del calcolo, l’altro come le istituzioni sono mezzo, sono oggetto della razionalità organica al plusvalore nelle sue forme plurali: dal guadagno all’estorsione delle informazioni fino al narcisismo patologico, per cui, mentre aumentano le informazioni analitiche il mondo scompare falcidiato dalla violenza non riconosciuta. Il progresso nella versione liberista è un calcolo terrifico, si determinano i tempi di vita e di morte di ogni ente, si concede la vita fin quando il calcolo ne svela le potenzialità d’uso e di guadagno, esaurite tali potenzialità lo si lascia cadere nella morte. In realtà già nell’uso vi è una dichiarazione di morte, perché la “distanza” è estraneità, solitudine elevata a sistema nel silenzio del linguaggio e della relazione:
«Il terrificante è quello che pone fuori dalla sua essenza precedente tutto ciò che è. Che cos’è questo terrificante? Esso si mostra e si cela nel modo in cui ogni cosa è presente, nel fatto cioè che, malgrado ogni superamento delle distanze, la vicinanza di ciò che è assente».[1]
Distanze senza volto
Il terrificante è l’ovvio della contemporaneità illuministica. Hegel ha insegnato che la filosofia è pensare il proprio tempo, per cui il terrifico, è parte integrante del vissuto quotidiano e come tale non è colto. La filosofia, invece, deve pensare ciò che non è concettualizzato, per cui il mondo necessita dello sguardo e della lingua filosofica. Il terrifico è nella propaganda dei circoli mediatici esposto con indifferenza, in quanto l’unico fondamento del liberismo è il nulla. L’assurdo si coniuga con il nichilismo. La normalità del terrifico emerge nelle cronache ed è accolta con “distanza”. Nelle ultime settimane vi è la proposta, già approvata in Olanda e in alcuni paesi anglosassoni, di liquefare i cadaveri, in quanto smaltimento più efficiente e green. Il corpo del caro estinto è portato in acqua e liscivia a centossessanta gradi, la pressione elevata lo scompone nei suoi elementi chimici, l’acqua è smaltita nelle fogne. Il corpo che è stato abitato dalla vita ed ha una sua storia è ridotto ad ente tra gli enti senza significato. La persona sarà associata alla scomposizione chimica da liberare nelle pubbliche fogne. La morte con i suoi significati, con la pietà che si deve alla cura del corpo è sostituita con lo smaltimento veloce, con un’operazione chimica di nessun significato etico-religioso, per essere solo azione orientata all’efficienza che non riconosce le differenze tra l’umano e il non umano. Il disumano è in questa cecità emotiva e razionale divenuta la regola del vivere nel tempo del capitalismo integrale. La “distanza” non riconosciuta è il pericolo che logora la contemporaneità senza volto:
«Il terrificante si manifesta e si cela nel modo in cui nell’ovvio che giace vicino (das Naheliegende) la vicinanza rimane assente. Che cosa significa ciò? Significa che la cosa non coseggia; la cosa non è presente in quanto cosa. Il mondo non mondeggia».[2]
Silenzio ed irrilevanza
Il nulla è il silenzio del riduzionismo quantitativo. Il nulla ci parla, pertanto il mondo si oblia in un silenzio mortale. L’ipertrofia della razionalità scientifica è incapace di dare un significato al mondo, che quindi tramonta travolto da numeri e cifre. Il soggetto che li utilizza non è capace di significarli nell’ascolto, ma semplicemente costruisce la distanza dal mondo, regredisce allo stato di animale razionale e calcolante. L’irrilevanza diviene la regola del suddito globale: ogni ente è categorizzato in parametri sempre eguali e semplici. La rete simbolico-matematica che determina la “distanza”, mentre offre immense possibilità di uso e di accumulo di cui non è chiaro il fine, pone ogni agire come ogni esistente sul piano dell’irrilevanza, per cui si può scomporre un cadavere per smaltirlo nelle fogne come fosse un rifiuto. Si rimuove l’abisso inquietante della contemporaneità con le giornate in ricordo dell’olocausto per occultare che esso è tra di noi, abbiamo smesso di riconoscerlo e pensarlo. L’irrilevanza è il concetto non pensato e perennemente irriso dal circo mediatico con il suo servidorame:
«Ogni cosa acquista il tratto fondamentale dell’equi-valente (das Gleiche – Gultige), per quanto varie cose possano di quando in quando starci ancora a cuore come frammenti perduti. Il riguardo dell’equivalente è lo strappo in avanti (Fortriβ) nell’indifferente che non va e non sta e non cade né vicino né lontano».[3]
La brocca
Heidegger per pensare la contemporaneità riporta l’esempio della brocca che ha smesso di “coseggiare”. La brocca nella rappresentazione fisico-matematica è solo un oggetto che accoglie il liquido, il quale sostituisce l’aria. La brocca non è vissuta, ma usata come mezzo, definita nei parametri della fisica, si nullifica tra le mani di chi la usa, non ha provenienza, è solo presenza che si dà per essere manipolata, usata e gettata, è la metafora di un mondo disumano senza centro ontologico ed assiologico:
«Non appena però acconsentiamo a indagare scientificamente la brocca reale guardando alla sua realtà, emerge uno stato di cose diverso. Quando versiamo il vino nella brocca, l’aria che già la riempie è solamente scacciata e sostituita da un liquido. Dal punto di vista scientifico, riempire la brocca significa rimpiazzare un contenuto con un altro.
Queste indicazioni della fisica sono corrette. Con esse la scienza rappresenta qualcosa di reale a cui si conforma in termini obiettivi. Ma questo qualcosa di reale è davvero la brocca?».[4]
Heidegger mostra che l’irrilevanza è una forma di annientamento dell’altro. La “distanza” divenuta il principio fondamentale del “vivere sociale” dell’Occidente è una forma non mediata dialetticamente di nullificazione. Prima ancora dell’atomica l’alterità è nullificata dall’utile scientifico, l’atomica è il punto d’arrivo di un processo di smaterializzazione dell’altro in funzione del dominio. L’atomica diviene punto d’arrivo e nuovo snodo per un salto di qualità terrifico con cui si minaccia la vita nella sua totalità e si educa alla morte-distanza. La DAD è il compimento dell’immenso ingranaggio della nullificazione, la sua normalizzazione, un esperimento per saggiare reazioni e specialmente per comprendere se i tempi sono maturi per l’irrilevanza totale: l’altro è solo un’immagine da accendere e spegnere, la relazione è solo un involucro al cui interno vi è il nulla. Solo la macchina è protagonista:
«Il sapere della scienza, cogente nel suo ambito – quello degli oggetti –, ha annientato le cose in quanto cose ben prima che esplodesse la bomba atomica, la cui deflagrazione è solo la più rozza di tutte le rozze conferme di un annientamento della cosa già accaduto da molto tempo, la conferma cioè che la cosa in quanto cosa rimane nulla (nichtig)».[5]
Passività e verità
Per Heidegger il trionfo dell’ontico sull’ontologico è il destino dell’Occidente, e ora che il pericolo è totale, ora che la verità della tecnica è svelata è possibile che giunga a noi la fine della metafisica e l’inizio di una nuova era in cui l’essere umano sia il ritrovato pastore dell’essere. L’analisi di Heidegger è votata alla passività, all’attesa della metamorfosi che pensi e viva i rimandi, per i quali la brocca smette di essere un recipiente oggetto di leggi fisiche per diventare parte del mormorio della vita:
«La riunione del duplice accogliere nell’atto di versare, che solo in quanto insieme costituisce la piena essenza del donare, la chiamiamo “dono” (das Geschenk). Il carattere di brocca della brocca è essenzialmente nel dono di ciò che è versato. Anche la brocca ottiene la sua essenza dal dono, sebbene una brocca vuota non consenta un versare fuori. Questo non consentire, tuttavia, è proprio della brocca e solo della brocca, mentre una falce o un martello sono incapaci di non consentire tale versare. Il dono di ciò che è versato può essere una bevanda.
Vi sono acqua e vino da bere.
Nell’acqua del dono permane la sorgente. Nella sorgente permangono la roccia e ogni oscuro sapore della terra che assorbe la pioggia e la rugiada del cielo. Nell’acqua del cielo permane lo sposalizio di cielo e terra».[6]
La critica che si limita ad attendere la svolta, “l’evento”, rischia di essere complice dello stato presente. Le categorie marxiane possono essere di ausilio per ridefinire nel segno della prassi le critiche heideggeriane nelle quali non è difficile cogliere l’eco di Marx. L’attesa del dono, dell’ascolto, del trascendere la patologia dell’entificazione totale già in Marx assurge ad elemento sostanziale riportato al modo di produzione ed alla storia. L’astoricismo heideggeriano, invece, rischia di essere complice del terrifico, poiché la cultura del dono e dell’emancipazione dal produttivismo è solo attesa, i soggetti devono ridisporsi all’ascolto. Passività ed elezione divengono un connubio che consolida il “terrifico”, mentre il dono rischia di essere esperienza che si svela solo a taluni, un’illuminazione improvvisa che allontana il pericolo senza risolverlo:
«Nel dono di ciò che è versato, che è un bevanda, permangono a modo loro i mortali. Nel dono di ciò che è versato, che è una bevanda, permangono a modo loro i divini, che ricevono il dono del mescere come dono dell’offerta. Nel dono di ciò che è versato permangono in modo ogni volta diverso i mortali e i divini. Nel dono di ciò che è versato permangono la terra e il cielo».[7]
All’attesa heideggeriana bisogna opporre lo sguardo profondo della civetta filosofica che con il suo volo deve pensare per responsabilizzarsi nella prassi, altrimenti il “terrifico” diverrà la “liquidazione” della storia e dell’umano.
Salvatore Bravo
[1] Martin Heidegger, Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi, Milano 2002, pag. 20.
[2] Ibidem, pag. 42.
[3] Ibidem, pag. 47.
[4] Ibidem, pag. 25.
[5] Ibidem, pag. 26.
[6] Ibidem, pag. 28.
[7] Ibidem, pag. 29.