Aldo Manuzio (1449-1515) – Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita all’utile dell’umanità. Questo vogliamo giorno dopo giorno sempre di più, finché vivremo.

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Lettere prefatorie a edizioni greche

Lettere prefatorie a edizioni greche

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Abbiamo deciso di dedicare tutta la vita

all’utile dell’umanità.

Questo vogliamo giorno dopo giorno

sempre di più,

finché vivremo».

Aldo Manunzio, Lettere prefatorie a edizioni greche, a cura di Claudio Bevegni, Adelphi, 2017.

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Risvolto di copertina

Avviare un’impresa editoriale implica, da sempre, una buona dose di coraggio. Ma nel caso di Aldo Manuzio, che nel 1495 si propone di stampare libri greci guardando oltre i ristretti confini dell’Italia, sarebbe senz’altro meglio parlare di temerarietà. Il suo rivoluzionario disegno comportava infatti difficoltà tali da scoraggiare chiunque, giacché esigeva, oltre che un fiuto fuori del comune, collaboratori di prim’ordine e con competenze linguistiche per quell’epoca rare – persino a Venezia, dove pure viveva una florida colonia greca; e manoscritti, non meno rari, su cui fondare le edizioni; e incisori di eccezionale abilità tecnica, capaci di creare tipi che gareggiassero con la grafia dei più eleganti copisti. Senza contare la difficoltà forse maggiore: il numero, inevitabilmente ristretto, dei possibili acquirenti. Ma di fronte a questi scogli Manuzio non arretra di un millimetro: e vara il suo programma editoriale con la grammatica greca di Costantino Lascaris, procuratagli da uno scout d’eccezione, Pietro Bembo. Altre meraviglie seguiranno negli anni: dalla prima, monumentale edizione di Aristotele a Sofocle ‒ proposto nel 1502 nel nuovo formato (i cosiddetti libelli portatiles) con cui ormai da un anno aveva genialmente ampliato il suo pubblico ‒, da Tucidide ed Erodoto a Euripide, Omero e Platone. La sua attività non durerà a lungo: dieci brevi, decisivi anni nel corso dei quali Manuzio riuscirà, caparbiamente e spavaldamente, a imporre non soltanto un modello di editoria guardato con ammirazione in tutta Europa, ma un modo nuovo di accedere ai testi, svolgendo così un ruolo che era stato sino ad allora prerogativa dei grandi maestri della letteratura.

L'Aristotele di Aldo Manuzio

L’Aristotele di Aldo Manuzio

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L’Editore Adelphi ha pubblicato un florilegio di Lettere prefatorie, scritte da Aldo Manuzio (1449-1515), con prefazione di Roberto Calasso, dalla quale si ricava una specie di sua immedesimazione con l’uomo più colto del nostro Rinascimento, colui che trasformò lo stampatore in editore, la cui “Bottega” vantava ben 30 persone, fra lavoranti, familiari, ospiti e servitù, diventata, in breve tempo, un luogo di ricerca, se non una vera e propria Officina, così come lo erano quelle dei pittori, degli incisori, degli scultori. Si lavorava molto, tanto che, secondo Erasmo, non solo gli impiegati disponevano di mezz’ora al giorno per rifocillarsi, ma anche lo stesso Manuzio si sottoponeva alla medesima fatica, vivendo il tormento dell’editore come quello di un artista in cerca di continui confronti con quelli del passato e del presente.
Era fermamente convinto  che la grammatica e la lingua greca fossero indispensabili per gli studiosi del suo tempo. Citando il “Catone” di Cicerone, cercava la conferma della sua tesi, essendo la dottrina di costui dovuta allo “studio delle lettere greche”, studio ripreso dai nostri umanisti che richiedevano continuamente libri di autori greci.
In 20 anni di attività, Manuzio ha pubblicato ben 130 edizioni di opere greche, latine e volgari, famosa la sua edizione della “Commedia” dantesca. Le lettere prefatorie sono la testimonianza di una vera e propria bramosia di sapere, specie dopo il successo editoriale dell’”Organon”  del “divino” Aristotele, che riteneva strumento indispensabile per lo studio di tutte le scienze, così come lo erano, per lo studio della lingua, le Commedie di Aristofane e le Tragedie di Sofocle, con note di commento, che rendevano sempre più laboriose le operazioni. La “Bottega” di Manuzio sosteneva un costo molto elevato, per questo motivo egli dovette ricorrere all’aiuto di mecenati come Alberto Pio, principe di Carpi, e Leone X, al quale dedica l’Opera omnia di Platone. Nella supplica al Sommo Pontefice, nello stile dell’Ariosto e del Tasso, Manuzio scrive qualcosa di profetico: “una lunga esperienza insegna che, quali sono i governanti, tale sarà la cittadinanza”. La foga è talmente alta che, a un certo punto,dà del tu al Pontefice ricordandogli che la scelta di pubblicare le Opere platoniche fosse anche il frutto di una continuità con l’operato di Marsilio Ficino che aveva tradotto in latino i “Dialoghi” platonici, grazie al mecenatismo del padre, Lorenzo dei Medici. Manuzio desiderava far diventare Firenze la nuova Atene, grazie anche alla creazione di una Accademia, concepita come luogo di incontri e scambi di artisti europei.

Andrea Bisicchia

 

 

 

Cartello infisso da Manuzio all'ingresso della tipografia

Cartello infisso da Manuzio all’ingresso della tipografia


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Giovanni Di Falco, «La campagna del Caos». Storia della casa natale di Luigi Pirandello. Con una nota di Andrea Bisicchia.

La casa del Caos

Giovanni Di Falco
La campagna del Caos
Storia della casa natale di Luigi Pirandello

Con una nota introduttiva di Andrea Bisicchia

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Chi, come me, da molti anni indaga l’opera pirandelliana, ne conosce la vasta bibliografia ed i contributi di ogni tipo che riguardano la biografia dello scrittore.
Leggendo La campagna del Caos di Giovanni Di Falco, costruita su documenti demaniali e catastali assolutamente inediti, mi sono appassionato, non tanto e non solo ai natali di Pirandello che ben conosciamo, quanto alla storia di don Stefano e Caterina Ricci Gramitto che l’autore ci fa letteralmente vivere, raccontandoci tutti gli aspetti drammatici che la caratterizzano.
Così, attraverso la loro storia si possono seguire, come in un triller, gli avvenimenti di prima e di dopo che costituiscono un vero e proprio canovaccio circa la proprietà del CAOS.
Giovanni Di Falco avverte subito il lettore, dicendogli che quella casa, con la campagna circostante, non apparteneva, né agli avi materni, né a quelli paterni di Pirandello, e ricostruisce, attraverso fonti d’archivio, le vicissitudini che stavano dietro ogni diritto di enfiteusi, grazie al quale, in circostanze diverse, gli avi pirandelliani acquistavano, perdevano per debiti, e quindi riacquistavano il feudo, sempre per enfiteusi, come avviene con i fratelli don Vincenzo, canonico, e don Innocenzo, chierico, che trattano personalmente col barone Salvatore Ricci.
La storia del feudo, di cui il CAOS faceva parte, risale addirittura all’anno milleseicento. La bibliografia su questo argomento, appartiene ai libri di storia patria, come La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia di De Spucches, o come Della Sicilia nobile del marchese di Villabianca. Grazie a questi incunaboli, veniamo a conoscenza degli atti di concessione, dei patti che gli enfiteuti dovevano osservare, degli atti notarili, degli atti di dismissione, dei passaggi di proprietà.
Come si può intuire, si tratta di una materia, forse, troppo specialistica, se non la trovassimo diluita nelle novelle, nei romanzi e nei testi teatrali.
Scopriremo che il CAOS non solo si trovava nel Feudo del Sonnaro, ma era anche nel casamento di Mangial’uomini, come si può ricavare dalla novella Male di luna, ambientata «in quel pezzo di terra lontano» dove il protagonista Batà, sposo non amato da Sidora, «non si sapeva come vivesse; stava sempre solo, come una bestia in compagnia delle sue bestie, due mule, un’asina e il cane di guardia; e certo aveva un’aria truce e a volte da insensato». Batà soffriva il male di luna, e quando ne veniva colpito, latrava, ululava come un lupo.
Pirandello ambienta molte sue novelle nella campagna circostante di Girgenti; il CAOS era una specie di sole, attorno al quale, giravano i pianeti delle altre contrade. Pirandello vi nacque dopo il matrimonio di Stefano e Caterina, avvenuto il 28 novembre 1863; Giovanni Di Falco pubblica il contratto nuziale quasi interamente e grazie al quale veniamo a conoscenza della dote di 3825 lire, data dallo zio canonico a Caterina, figlia orfana di Giovanni Battista, ed appartenente ad una famiglia di tradizione cattolica.
Le fonti di Di Falco non vogliono essere certo, né di carattere letterario, né drammaturgico, ma proprio perché diverse, gli permettono di accedere, in maniera originale e trasversale al mondo pirandelliano per ricostruire una specie di DNA anche attraverso alberi genealogici non facilmente inquadrabili. È come se il lettore venisse proiettato in un passato che diventerà futuro nelle opere di Pirandello dove, spesso, le cronache archivistiche si frammezzavano con un presente rivisitato dalla fantasia inesauribile dello scrittore.
Possiamo così spiegarci, vista l’educazione religiosa della madre ed il suo accentuato cattolicesimo, il rapporto che Pirandello ebbe con la fede e che ritroviamo, in maniera tormentata, in novelle come, Il Tabernacolo (1903), Dono della Vergine Maria (1899), La fede (1922) o, ancora nella Sagra del Signore della Nave (1925) e nella Storia dell’Angelo Centuno dei Giganti della montagna (1936); per non parlare del tema del sacerdozio, presente in Lazzaro.
Giovanni Di Falco, spulciando sempre negli archivi della cattedrale di Girgenti, ci dà dei ritratti compositi, sia di don Vincenzo Gramitto, morto a 36 anni in odore di santità, che di don Innocenzo a cui rimase in possesso la tenuta del CAOS nel 1849, entrambi fratelli di Giovanni Battista, avvocato, che partecipò ai moti del 1860, dei quali Pirandello si ricorderà ne I vecchi e i giovani, il romanzo che, pur concentrando l’azione tra il 1892-93, attraversa gran parte della storia della famiglia pirandelliana che, da parte di madre, risulta abbastanza numerosa. Gli echi del loro garibaldinismo entrano anche a far parte della novellistica, così come lo sarà l’epidemia di colera che si abbatterà su tutta la Sicilia nel 1867, proprio durante l’anno di nascita di Pirandello, un anno drammatico, non solo per la malattia, ma anche per le traversie che non risparmieranno il padre, sempre in giro con i suoi commerci, e che lo videro colpito di colera, di cui, per fortuna, riuscì a guarire.
Di Falco tralascia le cose note, per attardarsi su quelle meno conosciute; così ci racconta anche dell’eclisse totale di sole, avvenuta nel 1870 e della quale si ritrova testimonianza nelle Memorie storiche agrigentine, di Giuseppe Picone. Ad osservare l’eclissi, erano venuti ad Agrigento (allora Girgenti) il Principe di Lampedusa e l’ex gesuita padre Perrone.
Metà del volume, però, è dedicata al CAOS durante gli anni di infanzia di Luigi, secondo di cinque figli, anni alquanto controversi, anche per la tenuta, dato che il canone enfiteutico non veniva pagato da oltre cinque anni, mettendo a rischio il possesso della casa. Nel 1870, l’Usciere Gatto si recò nella tenuta del CAOS per redigere gli atti e restituirla agli antichi proprietari. Di Falco ricostruisce anche gli atti del verbale, abbastanza lungo e, come si può intuire, molto burocratico, essendo minuzioso nei particolari. Il nuovo canone di 443,57 lire doveva essere pagato entro il 31 agosto 1870, se si intendeva mantenere il possesso del piccolo feudo.
I genitori di Luigi attraversavano, in quegli anni, momenti di grande difficoltà; il terreno di Comitini, gabellato ad uso di zolfara a Libertino Salvo, non rendeva un granché, esso costituiva, per metà, la dote di Caterina; mentre gli affari del padre Stefano subirono un crollo finanziario dopo il fallimento della ditta Genuardi. Furono sequestrati i beni, mentre Stefano dovette patire una spiacevole condanna che causò i turbamenti di Caterina, tanto che il matrimonio visse momenti di crisi, con scenate ricorrenti che turbavano il giovane Luigi.
La campagna del CAOS divenne pertanto il teatro di questa crisi. Pirandello ne risentì anche durante gli studi avvenuti tra Palermo, Roma e Bonn. I dissesti del padre e le vicende giudiziarie si protrarranno persino dopo le nozze con Antonietta Portolano, ma ormai Pirandello era divenuto una celebrità; il CAOS rimarrà nel suo cuore, tanto che vi ritornerà per esservi sepolto.
Di Falco ci accompagna, con una scrittura semplice e gradevole, lungo il viaggio, trattando la biografia con i suoi mezzi, che, come abbiamo detto, attingono a documenti poco noti o addirittura inediti, restituendoci il CAOS non solo come spazio fisico, ma come spazio della mente del grande narratore e drammaturgo.

Andrea Bisicchia

Casa natale di Luigi Pirandello

La sorprendente pace del Caos – Recensioni su Casa …

 

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