Salvatore Bravo – Trasgressione, Filosofia, Vita. Essere felicemente inadeguati al conformismo del politicamente corretto, facendo della vita che ci accomuna un’opera d’arte filosofica

Salvatore Bravo

Trasgressione, Filosofia, Vita

Essere felicemente inadeguati al conformismo del politicamente corretto,

facendo della vita che ci accomuna un’opera d’arte filosofica

 

La filosofia, per sua struttura epistemica ed etica, è trasgressiva. Essa sovente disorienta, in quanto pone in discussione dogmi e verità sclerotizzate che alla luce del logos si svelano “ideologiche”. In ogni tempo è in tensione feconda con le strutture di dominio e, dunque, con l’egemonia di classe che determina linguaggi e visioni della realtà. Filosofare è anche arte politica ed è impegno etico. Ma nel nostro tempo storico – dominato dal monologo culturale fondamentalmente narcisistico –, la filosofia è oggetto di una precisa operazione ideologica finalizzata a renderla irrilevante: per i potentati può e deve essere soltanto mero onanistico compiacimento della propria servile attività, deprivata programmaticamente di ogni possibilità – dialogica e comunitaria – di flusso vitale. Innumerevoli sono i festival della filosofia e gli interventi nei media da parte di cultori, di studiosi, di specialisti di “materia” filosofica, ma lo scopo è sempre il medesimo: rendere la filosofia impotente. Nel migliore dei casi essa è presentata come la disciplina che pone sì domande, ma solo in un circolo di infinite problematizzazioni che non approdano mai alla verità. Disciplina, dunque, che rafforza e affina soltanto le capacità retoriche. Insomma, essa prepara agli artifici linguistici con cui si conquistano posizioni nel mercato del lavoro, nel mercato delle merci e nel migliore posizionamento possibile in una carriera fondata esclusivamente sul merito postulato dai centri di potere. Fin quando la filosofia sarà soltanto ossequioso ospite nei salotti “bene” e sarà soltanto chiacchiera “colta” per signori e signore annoiati, al più potrà essere usata per consolidare le capacità linguistiche dei futuri venditori delle merci globalizzate. Sarà alienata, quindi, da un sistema economico e sociale che ha nella reificazione la sua forza perversa.

In questa cornice di violenza organizzata occorre preparare, nel presente, la critica radicale della autentica filosofia, quale premessa per disegnare e progettare una nuova realtà politica conforme alla natura sociale e comunitaria dell’essere umano. Il dominio avanza, ma il suo potere non è mai totale, poiché vi sono uomini e donne che resistono e pensano il presente storico. Concettualizzare il tempo storico è gesto linguistico con cui si denuncia l’innaturalità del capitalismo e si tenta di aprire brecce verso il futuro. Luca Grecchi è filosofo del nostro tempo, felicemente inadeguato al conformismo del politicamente corretto. Leggere le sue opere significa sospendere le grammatiche conservatrici del capitalismo per riorientarsi verso la verità. La filosofia da salotto può anche formalmente esaltare il filosofare, ma nella sostanza nega alla verità il suo cammino veritativo, proprio benedicendo il politeismo delle opinioni senza fondamento comune. Senza verità nessuna progettualità è possibile. Riportare la filosofia al suo senso profondo non può che condurre ad affermare che la filosofia non è un inutile girovagare di parole: essa si pone di fronte ai problemi per poter cercare le risposte. Se il capitalismo – oltre che le domande – cerca di neutralizzare le risposte che tentano di immaginare modalità di vita diverse da quelle attuali, Luca Grecchi invece pone di nuovo al centro del filosofare le risposte veritative che ne possono scaturire come momento dialettico senza il quale il problematizzare domandante si dissolve nel pulviscolo desertificante del niente:

 

«Col passare degli anni il desiderio di un sapere vero e buono continua in effetti, nel philosophos, a rimanere il fine della propria esistenza, la quale consiste sempre in una ricerca fatta per trovare, ossia per raggiungere un risultato utile per sé e per gli altri».[1]

 

Filosofia e verità

La filosofia non è una eterna ideale aspirazione alla verità, essa è un ricercare per trovare. Nessun filosofo, certo, possiede completamente la verità assoluta, ma proprio il suo lungo e paziente ricercare è approdo alla verità. Egli partecipa in modo comunitario alla definizione della verità. La filosofia che pone problemi ma non dà risposte è coccolata, in quanto è rassicurante. Luca Grecchi ha deviato da tale infruttuoso percorso. Rappresentare la filosofia come una eterna ricerca senza risultato è un abile modo per disinnescarne il potenziale rivoluzionario e gestaltico:

 

«Nella sua opera, Platone afferma più volte che gli anthropoi non possono divenire compiutamente sophoi, in quanto, pur desiderando assimilarsi al divino, per i loro limiti naturali non possono riuscirvi. Malgrado questo, l’anthropine sophia, per quanto non totale, comprende contenuti importanti di verità. […] La sophia ricercata dalla philosophia, infatti, è per Platone questione di gradi, sicchè può, in parte piccola o grande, essere posseduta da tutti, nonché continuamente incrementata».[2]

 

La verità non può che comportare la definizione di “bene”. La filosofia da festival non osa pronunciare ad alta voce la parola “bene”, e men che meno l’espressione “bene comune”, la quale è il più delle volte consegnata alla cultura della cancellazione. Il capitalismo ha convertito il contenuto umanistico di “bene” in calcolo degli interessi privati, e oscurando il “bene” si oscura la “verità”: così più facilmente costoro possono sottrarsi ed eludere il compito e l’impegno derivanti dalla valutazione etica. Con tale procedura ideologica il “bene” è parola misconosciuta dai padroni del discorso. Solo riportando il “bene” al centro del filosofare la filosofia potrà scorrere nell’alveo fecondo del suo corso:

 

«Quando l’episteme caratterizza la philosophia, essa viene a costituire un sapere che comprende, oltre a contenuti ontologici essenziali per la conoscenza del vero, anche contenuti assiologici essenziali per la realizzazione del bene».[3]

 

Il filosofare autentico non è un astratto vagheggiare (non pochi presentano così la filosofia), ma è ricerca inesausta della verità da parte dell’uomo nella sua storia di essere umano che si umanizza. L’arma della calunnia fu usata contro Socrate: oggi è utilizzata contro la struttura veritativa della filosofia. Il sistema le permette di sopravvivere ma solo come esoscheletro spettrale di se stessa, mutila della sua essenza umana e della sua reale finalità. A tal scopo i filosofi sono presentati con l’espressione – usata come denigrante –  di “metafisici”, cioè alla ricerca di impossibili verità astratte che non conducono a nulla. La verità non sarebbe da ricercare, perché non c’è. Si usa la stessa filosofia per dimostrare che l’oggetto della sua ricerca (la verità) è solo una chimera del passato. Luca Grecchi, invece, dimostra e smaschera la falsità di tale postura ideologica.

Sì, la filosofia ricerca la verità, ma ha ben presente che l’essere umano deve soddisfare in primis i bisogni primari, i quali però non gli sono sufficienti per essere “umano”; ecco dunque che deve ricercare la verità della totalità in cui è implicato per potersi umanizzare. La verità, poi, non è un possesso, ma una prassi che rende l’esistenza individuale e comunitaria qualitativamente migliore. Quantità e qualità sono, di conseguenza, in felice connubio:

 

«Dopo aver soddisfatto le necessità materiali della vita, il bisogno di philosophia, per un ente razionale-morale come l’anthropos, che necessita di attribuire un senso ed un valore alla realtà, costituisce appunto l’attività primaria, ossia la più utile. Essa soltanto consente, infatti, di condurre nella maniera migliore la vita, realizzando la sua essenza nel modo più eccellente verso il fine naturale della verità. Per questo la sophia, per Aristotele, deve non solo essere posseduta, ma compiutamente utilizzata. È il fine del raggiungimento in atto della sophia, del resto, a muovere la potenza insita nel philosophein».[4]

 

Filosofia dell’educazione

Il “bene” è pratica, per cui la filosofia è pratica paideutica. Essa insegna il difficile cammino dell’umanizzazione. Il “bene” è prassi sociale ponendo in essere l’eccellenza dell’essere umano: l’indole comunitaria e sociale. Ma senza una adeguata paideutica delle emozioni e dei bisogni la finalità universale è profondamente imperfetta. La filosofia, sin dalle origini, insegna a contenere le spinte irrazionali e crematistiche mediante la chiarezza della verità e del bene, che devono essere testimoniati e vissuti, affinchè portino all’armonia interiore e sociale. Da ciò deduciamo la motivazione dell’avversione del capitalismo alla filosofia. Il capitalismo, per sopravvivere, esige il disordine delle emozioni e l’oblio del logos, quale razionalità etica capace di disciplinare le emozioni e di favorire le buone relazioni comunitarie nel segno del discernimento tra “essenziale ed inessenziale”:

 

«La philosophia, disciplinando le emozioni, risulta utile per orientarsi fra i problemi più rilevanti conducendo verso le soluzioni migliori, svolgendo in tal modo un compito fondamentale per l’essere umano».[5]

 

La filosofia delle Accademie universitarie insegue e si adatta al mondo, frammentandosi così in formalistiche iperspecializzazioni incapaci di cogliere l’approccio olistico che la connota. La filosofia è sapere teoretico concreto. Educa a ricomporre le parcellizzazioni che hanno smarrito il profondo sguardo con cui “mirare” la realtà. Teoria e prassi sono un corpo unico e vivente in perenne osmosi:

 

«La mera conoscenza pratica infatti, per lo Stagirita, non può sostituire la philosophia, che in tutte le sue parti si presenta come una episteme, ossia anche come un sapere teoretico. Per deliberare bene sul piano politico è in effetti necessario un orientemento filosofico, che nemmeno phronimos può trascurare completamente».[6]

 

La filosofia non è, dunque, un vuoto chiacchiericcio: essa ha un carattere epistemico ben saldo e chiaro. La filosofia è ricerca veritativa dell’intero, valutazione assiologica e metodo dialettico. Filosofare è ragionare per martellare la qualità veritativa delle “proposizioni”. La dialettica non è un mero parlare, è la struttura metodologica con la quale si approda alla verità e alla valutazione etica dell’intero:

 

«In base, infatti, a quanto finora argomentato, essendo la philosophia una ricerca dialettica della verità dell’intero avente come fine la buona vita degli esseri umani, tali elementi strutturalmente intrecciati, dunque separabili solo per esigenze didattiche – risultano essere: a) l’orizzonte veritativo dell’intero; b) la finalizzazione della buona vita; c) il metodo dialettico».[7]

 

Filosofia, scienza e religione

La filosofia si differenzia dalla religione, in quanto è sapere veritativo fondato a livello dialettico e argomentativo, ma anche dalla scienza, poiché quest’ultima si astiene dalla valutazione etica, si limita a descrivere i fenomeni e a matematizzarli. L’economicismo scientista è il vero nemico della filosofia. Lo scientismo asservito all’economia e agli affari è una forma di riduzionismo gnoseologico che struttura trasversalmente l’Occidente. Esso è ateo, in quanto rimuove volutamente la verità, in modo da proliferare e depredare l’umanità e l’ambiente:

 

«Come insegnano sia Platone che Aristotele, la prima operazione da compiere, per la definizione di philosophia, è, esattamente come per gli altri enti, la differenziazione della medesima dalle altre “specie” del “genere” comune, ossia del sapere. Erano in effetti presenti già in epoca presocratica molteplici forme di sapere simili alla filosofia, quali in primo luogo, come detto, le religioni e le scienze definite da alcune differenze specifiche. Le religioni, infatti, a differenza della philosophia, non sono caratterizzate né da un approccio veritativo, né da un metodo dialettico […], così come le scienze non sono caratterizzate né da un approccio interale, né da una finalizzazione valoriale […]».[8]

 

La filosofia è “sapere di non sapere”. Il capitalismo estrapola con il consenso del mondo accademico talune frasi e le trasforma in Totem con cui manipola il fine della filosofia. Nella logica “stile baci perugina” Socrate è un eterno ricercatore di verità, è condannato ad un’esistenza accostabile al mito di Sisifo: un lavoro continuo ma senza soddisfazione alcuna. La filosofia, come detto, è invece pacata e razionale soddisfazione del bisogno di verità in una cornice amicale nella quale chi è sconfitto ha fatto un passo in avanti verso la verità:

 

«Il clima dialogico-amicale, unito alle note affermazioni del Socrate storico di “sapere di non sapere” – o meglio, di sapere di non sapere tutta la verità in maniera assoluta, rimanendo dunque sempre aperto alla possibilità della confutazione –, ha dato tuttavia luogo ad alcuni equivoci ermeneutici sul suo pensiero. Frequenti sono tuttora, infatti, gli studiosi che interpretano Socrate come un mero fautore del dialogo, come se fosse impossibile, alla philosophia, trovare il sapere (la sophia), ma fosse possibile solo cercarlo, per amore del medesimo (la philia, appunto)».[9]

 

L’essere umano è comunitario e veritativo per sua natura, ricerca il senso della sua esistenza nella totalità della comunità. Universale e particolare sono inscindibili:

 

«L’essere umano è in effetti, per il prevalente pensiero greco, un ente che si realizza in maniera compiuta cercando di conoscere con verità e di agire bene. Per questo necessita della philosophia per la realizzazione della propria umanità. Nessun altro sapere, infatti, oltre la philosophia, si occupa della verità e del bene».[10]

 

La prassi del bene-verità

Per uscire dal politicamente corretto dobbiamo riconquistare il sapere filosofico e sulle orme dei filosofi dobbiamo reimparare a valutare la totalità sociale nella quale possiamo fiorire o sfiorire. La valutazione è responsabilità politica, in quanto invoca la partecipazione a migliorare qualitativamente la totalità. La filosofia, dunque, è impegno nella comunità e deserta i salotti:

 

«Per lo Stagirita, infatti, per quanto concerne la realtà umana, non basta descrivere le cose per come effettualmente si sono svolte, al fine appunto di conformarsi alla physis dell’essere umano. Si tratta peraltro di un compito in certo senso naturale, dato che per natura quelle modalità, se non impedite tendono a realizzarsi in quanto “le cose vere e giuste sono più forti delle loro contrarie”. Nella considerazione dello Stagirita, infatti non vi è mai opposizione, bensì complementarietà fra fatti e valori, così come fra teoria e prassi, le quali vengono quasi sempre analizzate in connessione. Aristotele parla per questo anche di una “verità pratica”, che si dà quando un ragionamento vero ispira, appunto, una scelta buona».[11]

 

Dobbiamo ricercare i motivi per ricominciare a leggere filosofi ed autori che hanno trasgredito il linguaggio dell’impero e che non usano tale prospettiva come uno strumento di affermazione personale, ma per sollevare domande vissute che “osano dare risposte”. Nel nostro tempo tutto è possibile, tranne essere autenticamente umani con i limiti e le contraddizioni che queste comportano, per cui riprendiamoci la nostra umanità-verità che il sistema ci nega con la sua hybris nichilistica.

La risposta al dramma etico in cui ci troviamo ad essere, Luca Grecchi l’ha elaborata con la Metafisica umanistica. L’essere umano è l’assoluto che pone la storia, ma quest’ultima ritrova il suo senso nella prassi finalizzata al bene e alla verità. Dobbiamo riprenderci la storia che il capitale vuole curvare ai suoi interessi mediante una progressiva opera di cancellazione di essa:

 

«Il fatto che l’Uomo costituisca un Assoluto solo secundum quid, non un Assoluto simpliciter, non deve far dubitare del suo ruolo di Fondamento. L’Uomo non è l’Assoluto simpliciter, dunque non è il Principio, semplicemente in quanto la sua esistenza è sottoposta sul piano fisico ad alcune condizioni, che sono appunto quelle del Principio. Ciò nonostante, l’Uomo è il suo Fondamento sul piano metafisico, poiché è, come ormai più volte ricordato, il solo ente in grado di conferire significato trascendentale alla Realtà».[12]

 

L’Umanesimo filosofico riconduce la storia al suo fondamento, l’essere umano, il capitalismo, invece, pone al centro la merce e il dispositivo tecnocratico. La storia è il luogo e lo spazio dell’impossibile, ma affinchè l’impossibile possa realizzarsi l’essere umano deve riprendersi la storia con la prassi del pensiero.

Salvatore Bravo

 

[1] Luca Grecchi, Il concetto di philosophia dalle origini ad Aristotele, Scholé, Morcelliana, Brescia 2023, p. 30.

[2] Ibidem, p. 89.

[3] Ibidem, p. 106.

[4] Ibidem, p. 184.

[5] Ibidem, p. 191.

[6] Ibidem, p. 223.

[7] Ibidem, p. 35.

[8] Ibidem, p. 82.

[9] Luca Grecchi, Verità, Unicopoli, Milano 2023, p. 103.

[10] Ibidem, p. 23.

[11] Ibidem, pp. 212-213.

[12] Luca Grecchi, Metafisica umanistica, petite plaisance, Pistoia 2023, p. 89.


M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Aristotele (384-322 a.C.) – Moralmente bello significa fare il bene senza mirare al contraccambio. L’uomo moralmente retto ricerca per sé il bello morale e antepone il bello a tutto il resto.

Aristotele - moralmente bello

«Moralmente bello […]
significa fare il bene senza mirare al contraccambio,
mentre utile è ricevere del bene».

Aristotele, Etica Nicomachea,1162 a 36 – 1163 a 1.


«L’uomo moralmente retto, inoltre, è vero che egli compie molte cose per gli amici e la patria, anche se dovesse morire per loro: sacrificherà ricchezze, onori, e in generale i beni che sono oggetto di contesa, riservando per sé il bello morale. Infatti preferirà provare un piacesere sublime per poco tempo, piuttosto che un piacesere debole per molto tempo, e vivere bene un solo anno, piuttosto che tanti anni così come capita, e compiere una sola azione bella e grande, piuttosto che molte e piccole. Questo capita,  certamente, a coloro che sacrificano la propria vita per un ideale e quindi scelgono per sé un agire grande e bello. E potrebbero dar via la loro ricchezza, qualora da ciò derivi un guadagno anche maggiore per gli amici. In questo modo, infatti, l’amico verrebbe ad acquisire ricchezza, ma lui otterrebbe il bello morale; e così si attribuirebbe il bene più grande. Lo stesso vale per gli onori e per le cariche. […] Giustamente, quindi, costui viene giudicato un individuo moralmente retto, in quanto antepone il bello a tutto il resto».

Aristotele, Etica Nicomachea,1169 a 18-32.


Aristotele, Etica Nicomachea, Libro II, 1106 a – 1107 a 9, in Id., Le tre etiche e il trattato sulle virtù e sui vizi, traduzione e cura di Arianna Fermani, introduzione di Maurizio Migliori, Bompiani, Milano 2018, pp. 832-833, pp. 868-869.

In un unico volume e con testo greco a fronte le tre grandi opere morali di Aristotele: l’”Etica niconomachea”, l”Etica eudemia” e la “Grande etica”. Questi tre scritti rappresentano tutta la riflessione etica dell’Occidente, e il punto di partenza di ogni discorso filosofico sul fine della vita umana e sui mezzi per raggiungerlo, sul bene e sul male, sulla libertà e sulla scelta morale, sul significato di virtù e di vizio. La raccolta costituisce un unicum, poichè contiene la prima traduzione in italiano moderno del trattato “Sulle virtù e sui vizi”. Un ampio indice ragionato dei concetti permette di individuare le articolazioni fondamentali delle nozioni e degli snodi più significativi della riflessione etica artistotelica. Tramite la presentazione, contenuta nel seggio introduttivo, dei principali problemi storico-ermeneutici legati alla composizione e alla trasmissione delle quattro opere, e di un quadro sinottico dei contenuti delle opere stesse, è possibile visualizzare la struttura complessiva degli scritti e le loro reciproche connessioni.

Aristotele – Questa è la vita secondo intelletto: vivere secondo la parte più nobile che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – La «crematistica»: la polis e la logica del profitto. Il commercio è un’arte più scaltrita per realizzare un profitto maggiore. Il denaro è l’oggetto del commercio e della crematistica. Ma il denaro è una mera convenzione, priva di valore naturale.
Aristotele (384-322 a.C.) – La mano di Aristotele: più intelligente dev’essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti.
Aristotele (384-322 a.C.) – Da ciascun seme non si forma a caso una creatura qualunque. La nascita viene dal seme.
Aristotele (384-322 a.C.) – In tutte le cose naturali si trova qualcosa di meraviglioso.
Aristotele (384-322 a.C.) – Se l’intelletto costituisce qualcosa di divino rispetto all’essere umano, anche la vita secondo l’intelletto sarà divina rispetto alla vita umana. Per quanto è possibile, ci si deve immortalare e fare di tutto per vivere secondo la parte migliore che è in noi
Aristotele (384-322 a.C.) – Se uno possiede la teoria senza l’esperienza e conosce l’universale ma non conosce il particolare che vi è contenuto, più volte sbaglierà la cura, perché ciò cui è diretta la cura è, appunto, l’individuo particolare.
Aristotele (384-322 a.C.) – Diventiamo giusti facendo ciò che è giusto. Nessuno che vuol diventare buono lo diventerà senza fare cose buone. Il fine deve essere ipotizzato come un inizio perché il fine è l’inizio del pensiero, e il completamento del pensiero è l’inizio di azione. ⇒ Una Trilogia su Aristotele: «Sistema e sistematicità in Aristotele». «Immanenza e trascendenza in Aristotele». «Teoria e prassi in Aristotele».
Aristotele (384-322 a.C.) – Le radici della ‘paideia’ sono amare, ma i frutti sono dolci. Il modello più razionale di ‘paideia’ abbisogna di tre condizioni: natura, apprendimento, esercizio.
Aristotele (384-322 a.C.) – La virtù è uno stato abituale che orienta la scelta, individua il giusto mezzo e lo sceglie. Il male ha la caratteristica dell’illimitato, mentre il bene ha la caratteristica di ciò che è limitato.
Aristotele (384-322 a.C.) – Tutti gli uomini per natura tendono al sapere. L’intelletto è quanto di più elevato si possa pensare, è il «toccare» il vero, rappresenta la realtà più divina ed eccellente che c’è in noi.
Aristotele, La mano è azione: afferra, crea, a volte si direbbe che pensi. La mano ha fatto l’uomo, è l’uomo stesso, è lo strumento degli strumenti. In verità il pensiero si impone come artigianale così come la mano.
Aristotele (384-322 a.C.) – La poesia è qualche cosa di più filosofico e di più elevato della storia. La poesia tende piuttosto a rappresentare l’universale, la storia il particolare
Aristotele (384-322 a.C.) – In qualunque campo si raggiungerebbe la migliore visione della realtà, se si guardassero le cose nel loro processo di sviluppo e fin dalla prima origine.
Aristotele (384-322 a.C.) – Il fatto di vivere è comune anche alle piante. Ciò di cui andiamo in cerca per l’uomo è qualcosa di specifico. Il bene umano risulta essere l’attività dell’anima secondo virtù in una vita umana compiuta, in atto nel senso più proprio. un solo giorno o un breve periodo di tempo non rendono beato e felice nessuno.
Aristotele (384-322 a.C.) – Non si deve nutrire un infantile disgusto verso lo studio dei viventi più umili: in tutte le realtà naturali v’è qualcosa di meraviglioso che offre grandissime gioie a chi sappia comprenderne le cause, cioè sia autenticamente filosofo.

M. Ludovico Dolce, Dialogo nel quale si ragiona del modo di accrescere e conservar memoria, Venezia 1562.
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Marcello Zanatta – Concetto basilare dell’etica, il bene entra, in modo tematico o implicito, nella riflessine di tutte le filosofie dell’antichità e riveste anche una fondamentale dimensione ontologica.

Marcello Zanatta 01

Bene

Bene

 

Concetto basilare dell’etica, il bene entra, in modo tematico o implicito, nella riflessine di tutte le filosofie dell’antichità. La sua rilevanza, tuttavia, non è soltanto di ordine morale, ma in Platone e nei Neoplatonici riveste anche una fondamentale dimensione ontologica, e in Aristotele è oggetto pure di un’indagine metafisica. In questo libro la nozione del bene è presentata in tutte le fasi del pensiero filosofico antico e con tematico riferimento ai loro principali esponenti. Lo si analizza così nel Presocratici, nei Sofisti, in Socrate, in Platone, in Aristotele, in Epicuro, negli Stoici (antichi, del periodo di mezzo e del periodo romano), nei rappresentanti dello scetticismo che più marcatamente ne hanno trattato, nei Neoplatonici. In ognuno di questi filosofi e nel quadro delle corrispondenti linee di pensiero il bene è analizzato altresì nelle valenze che assume in rapporto con altre basilari figure della filosofia, quali il conoscere, la virtù, la fel icità, la prassi e poi la sostanzialità e le sue condizioni. Ne emerge una presentazione ampia e articolata, corredata da una nutrita bibliografia.



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