Fernanda Mazzoli – La ripresa, finalmente! Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19? La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
Fernanda Mazzoli
La ripresa, finalmente!
Ma chi guida la task force incaricata di traghettare il Paese fuori dell’emergenza da Covid 19?
La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione
La fase due dell’emergenza da Covid 19, fatta balenare con insistenza e puntualmente rinviata – come si addice ad un premio promesso a bambini della cui condotta virtuosa non si è ancora pienamente convinti –, potrebbe avere il merito, se non di accompagnare il Paese nella lenta e faticosa ripresa, di fare giustizia di tutto il discorso solidaristico ed umanitario che nella fase uno ha ricoperto con la stagnola dei buoni sentimenti il linguaggio del terrore e della punizione, snocciolato a suon di bollettini di guerra pomeridiani e di immagini di trasporti nella notte di povere salme scortate dai militari.
È naturalmente prematuro entrare nel merito di metodi e contenuti di tale fase, considerato il profluvio quotidiano di dichiarazioni da parte di politici, giornalisti, esperti a vario titolo tanto perentorie quanto prontamente smentite, ma alcuni indizi permettono di avanzare qualche ipotesi e di mettere a fuoco certe dinamiche e linee di forza che disegneranno il contorno del mondo post-emergenza.
Al netto di tutti gli appelli e gli auspici per una società diversa “dove niente sarà come prima”, ritualmente alternati all’elenco delle crude cifre di morti e contagiati, ci sono ragionevoli motivi di ritenere che tutto sarà peggio di prima. Il capitale non mancherà infatti di cogliere le straordinarie opportunità offerte dalla fase emergenziale per riposizionarsi e ridisegnare le proprie strategie, sacrificando alcuni “rami secchi” per colonizzare altri più promettenti ambiti, riconvertendosi in salsa green e sfruttando in profondità il prodigioso giacimento offerto dalle nuove tecnologie.
Che a guidare la task force incaricata di traghettare il Paese verso una graduale uscita dallo stato emergenziale che ne ha congelato la vita politica, sociale, economica e culturale sia Vittorio Colao,[1] uomo legato per formazione ed incarichi ricoperti alle banche d’affari, al settore delle telecomunicazioni, al Bilderberg[2] e alla Round Table of Industrialist[3] è un indizio su possibili futuri scenari che va ben oltre la biografia personale e le competenze individuali del personaggio. Con lui, si è scelto di porre la ricostruzione socio-economica dell’Italia sotto l’egida dei poteri forti, fortissimi che dominano il mondo: finanza e multinazionali.
Attendersi una svolta rispetto alle politiche liberiste degli ultimi anni e alle storture più feroci del capitalismo è mero esercizio per anime belle e forse troppo arduo anche per loro. Il “mondo diverso” di cui traboccano le pagine dei quotidiani e le invocazioni di smemorati politici nostrani e ceto medio riflessivo potrebbe avere le tonalità brutali del massacro greco, piuttosto che i colori di liberté, éaglité, fraternité sventolati da interessati, improbabili e improvvisati amanti dell’umanità.
A meno che, naturalmente, lo choc della realtà non sviluppi una salutare reazione capace di coinvolgere diversi strati della società e di creare forme adeguate di critica sociale, di organizzazione, di mobilitazione sotto il segno di una messa in discussione radicale del modo di produzione capitalistico.
Un altro tassello significativo per comporre il quadro del Paese post-epidemia viene dalla scuola che, in questo periodo, si è conquistata l’attenzione di giornali e televisioni grazie alla didattica a distanza che già da più parti viene indicata come un modello auspicabile di innovazione metodologica. Il Miur, che da oltre vent’anni è prontissimo a recepire e a sostanziare in “riforme” le svariate pressioni provenienti dal mondo dell’economia per orientare il sistema dell’istruzione in funzione del mercato, anche in tanto frangente ha dato prova di tutta la sua sensibilità.
Il ministro Azzolina ha di recente firmato un decreto con il quale ha istituito una commissione di esperti in innovazione didattica e formazione, per preparare non solo e non tanto il rientro a settembre, ma nientedimeno che la scuola del futuro. Non si pensi di trovare fra i prescelti intellettuali ed accademici di chiara fama; a quel che è dato sapere sino ad oggi, i nomi sono quelli di presidi impegnati da tempo nell’introduzione nelle loro scuole di una massiccia digitalizzazione o di strampalati metodi mutuati dall’estero dove sono già stati oggetto di puntuali critiche da parte di studiosi che hanno denunciato il calo delle competenze degli studenti in seguito all’adozione degli stessi.
Il presidente della Commissione Istruzione della Camera in una illuminante e trionfalistica intervista ci tiene a sottolineare che l’attuale fase di sperimentazione forzata ha innescato una vera e propria “miccia di un primo graduale cambiamento”, destinato a sviluppare la coesistenza tra la didattica tradizionale in presenza e quella a distanza messa in atto tramite efficaci piattaforme digitali.
Ora, la digitalizzazione della didattica è questione talmente complessa (sul piano teorico e su quello applicativo) e investe talmente tanti aspetti sovente interdipendenti – cognitivi, culturali, organizzativi, sociali, relazionali, psicologici, contrattuali, lavorativi, giuridici – che non è possibile affrontarli nello spazio di un breve intervento, ma sui quali sarà necessario interrogarsi e costruire analisi e risposte adeguate sul breve-medio termine.
Mi limiterò pertanto a sottolineare un elemento che si ricollega a quel primo indizio fornito dalla composizione della task force deputata a mettere in cantiere la fase due dell’emergenza.
La didattica a distanza richiede l’adozione di piattaforme digitali che vengono fornite dalle grandi imprese che gestiscono la rete. Google, Microsoft e Apple sono gli apripista nella corsa per fornire alle scuole programmi e supporti indispensabili per attivare l’e-learning,[4] con al seguito l’editoria scolastica che desidera ricavarsi la sua parte nel gran banchetto in allestimento.
Il ministero annuncia l’arrivo di altri 80 milioni da fondi strutturali europei per consentire alle scuole di dotarsi dell’attrezzatura indispensabile, mentre l’amministratore delegato di Google, in un empito di encomiabile generosità e di umana empatia, in linea d’altronde con le finalità benefiche della multinazionale dell’informatica che presiede, ha deciso di rendere gratuito fino a luglio Hangouts-meet,[5] uno dei software di videoconferenze più gettonato. Tanto il bello verrà a settembre …
E non concernerà soltanto la scuola, che di per sé rappresenta già una bella fetta di mercato, ma tutto il settore coinvolto nello smart working,[6] altra nuova frontiera promessa all’innovazione in materia di organizzazione del lavoro. E dell’esistenza, in quanto tale modalità “agile” è quanto di più pesantemente invasivo sia dato concepire in termini di sovrapposizione e confusione fra tempi di vita e tempi di lavoro. Per non parlare dell’atomizzazione sociale estrema che essa inevitabilmente comporta e dell’anomalia rappresentata da un lavoratore dipendente che utilizza i propri mezzi di produzione, con notevole pregiudizio per importanti aspetti normati contrattualmente, primo fra tutti la sicurezza.
Eppure, per il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di questo governo presieduto dall’Avvocato del Popolo, il “lavoro agile”, grazie all’assenza di vincoli spaziali e orari e alla sua organizzazione per obiettivi (preconizzata ormai da anni dai teorici del new management),[7] permetterebbe al lavoratore di conciliare tempi di vita e di lavoro e, contemporaneamente, migliorare la sua produttività.
Molti altri elementi legati all’attuale crisi suscitano domande di fondo circa la nostra società e la nostra stessa civiltà e promettono interessanti sviluppi ad una articolata e scrupolosa disamina; i tre punti qui accennati possono, però, bastare da soli a suggerire uno scenario futuro sicuramente all’insegna del cambiamento, ma nella stessa direzione di tutti i cambiamenti invocati e messi a punto fra i cori osannanti di intellettuali e giornalisti di regime negli ultimi decenni: la colonizzazione da parte dell’economia di mercato di settori crescenti della vita sociale ed individuale.
La mitologia del cambiamento e la sua necessaria demistificazione proiettano in primo piano la questione centrale, ineludibile: ogni istanza di miglioramento dell’attuale assetto sociale, ogni anelito di giustizia, ogni aspirazione ad un mondo diverso da questo che ben conosciamo e di cui l’epidemia ha rivelato la sostanziale fragilità, per non ridursi a vana chiacchiera che oscura con orpelli retorici una realtà costruita sulla predazione e l’accaparramento di risorse naturali e lavoro umano in vista della massimizzazione dei profitti, richiede di porsi il problema – teorico ed organizzativo – della fuoriuscita dal capitalismo e dell’elaborazione di un socialismo per la nostra epoca. Compito tanto urgente quanto immane che richiede innanzitutto serietà e umiltà intellettuali: tante, troppe sono le macerie che gravano sulle nostre spalle e le suggestioni cinesi emergenti in questi giorni non contribuiscono certo a liberare la strada dalle rovine, rischiano, al contrario, di bloccarla per lungo tempo ancora.
Una progettualità che non può che accompagnarsi alla consapevolezza della necessità di un rilancio del conflitto sociale, per evitare che a guidare la ripresa siano gli stessi che con le scellerate politiche delle privatizzazioni hanno già depauperato la sanità, la scuola e l’ambiente.
Emergenza contro un qualche nemico esterno (ieri il terrorismo, oggi il virus, domani chissà quale altro morbo) e conseguente appello all’unità nazionale hanno storicamente favorito il rafforzamento di interessi privati assai poco unitari e nazionali, hanno rappresentato uno strumento politico-ideologico di punta in quella “guerra di classe dall’alto” che il capitale ha scatenato contro i ceti popolari dagli anni Ottanta del Novecento e che, per ora, ha vinto.
Fernanda Mazzoli
[1] Vittorio Colao, dirigente d’azienda, amministratore delegato di Vodafone dal 2008 al 2018. Laureato alla Bocconi, ha ottenuto un Master in Business Administration alla Harvard University. Ha iniziato la sua carriera lavorando a Londra presso la banca d’affari Morgan Stanley. Ha lavorato poi per dieci anni negli uffici diMilano della società McKinsey & Company. Nel 1996 divenne direttore di Omnitel Pronto Italia (oggi Vodafone Italia). Nel 1999 è nominato amministratore delegato di Vodafone Omnitel (divisione italiana). Nell’aprile 2020 è designato dal governo italiano per guidare la task force della cosiddetta “Fase 2” per la ricostruzione economica del Paese dopo la pandemia.
[2] Gruppo Bilderberg (detto anche conferenza Bilderberg o club Bilderberg). I partecipanti al gruppo Bilderberg sono capi di Stato, ministri del tesoro e altri politici dell’Unione Europea; prevalentemente i membri sono esponenti di spicco dell’alta finanza europea e anglo-americana.
[3] The European Round Table of Industrialists [Tavola rotonda europea degli industriali], abbreviazione ERT, è un gruppo di patrocinio nell’Unione europea composto da circa 50 leader industriali europei che lavorano per rafforzare la competitività in Europa. Il gruppo lavora sia a livello nazionale che europeo.
[4] Per apprendimento online (noto anche come apprendimento in linea, teleapprendimento, teledidattica. Cfr., V. Eletti (a cura di), Che cos’è l’e-learning, Roma, Carocci, 2002; G. Trentin, La sostenibilità didattico-formativa dell’e-learning: social networking e apprendimento attivo, Milano, Franco Angeli, 2008.
[5] Hangouts è un software di messaggistica istantanea e di VoIP sviluppato da Google. È disponibile per le piattaforme mobili Android e iOS e come estensione per il browser web Google Chrome.
[6] Il lavoro agile o smart-working è stato definito nell’ordinamento italiano [Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana] come: «una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa», LEGGE 22 maggio 2017, n. 81 Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato., su gazzettaufficiale.it, 13 giugno 2017.
[7] Il New Public Management [Nuova Pubblica Amministrazione], conosciuto anche con la sigla NPM, è uno stile di governance (governo d’impresa) che è emerso nei primi anni Ottanta del Novecento nei lavori di alcuni teorici statunitensi. Cfr.: J. Boston, J. Martin, J. Pallot, and P. Walsh, Public Management: The New Zealand Model, Auckland, Oxford University Press, 1996; Patrick Dunleavy, Helen Margetts, New public management is dead: Long live digital era governance, Journal of Public Administration Research and Theory, July 2006; Jan-Erik Lane, New public management, Routledge, 2000; G. Gruening, Origini e basi teoriche del New Public Management, in M. Meneguzzo, Managerialità, Innovazione e Governance: La Pubblica Amministrazione verso il 2000, Aracne; L.L. Jones, F. Thompson, L’implementazione strategica del New Public Management, in Azienda Pubblica, n. 6, 1997; K. Mc Laughlin, S. Osborne, E. Ferlie, New Public Management: Current Trends and Future Prospects, Routledge, London 2002; M. Meneguzzo, Ripensare la modernizzazione amministrativa e il New Public Management. L’esperienza italiana: innovazione dal basso e sviluppo della governance locale, in Azienda Pubblica, n. 6, 1997; A. Di Paolo, L’introduzione del New Public Management e della Balanced Scorecard nel processo di riforma dell’Amministrazione pubblica italiana, in Economia Pubblica, 2007.