L’avvento della kallipolis nella storia è descritto da Platone come un evento possibile nell’infinità della distensione temporale (502 b I: en panti to chrono), ma non necessario né programmaticamente prevedibile, benché certamente intenzionato e atteso. Esso dipende piuttosto da una sorta di arresto della dialettica storica degenerativa, dall’inserzione subitanea di un asse verticale di valore sul movimento orizzontale di questa dialettica.
L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, di arrestare la degenerazione verso la tirannide del tempo storico-umano, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile), e risulterebbe comunque precario, appunto perché si pone in controtendenza rispetto alla dinamica dialettica di questo stesso tempo.
Mario Vegetti
Il volume, che raccoglie saggi composti nel corso di tre decenni, affronta le principali questioni connesse all’interpretazione del pensiero di Platone, a cominciare dal ruolo della scrittura nella costruzione della filosofia. Al centro dell’attenzione vengono posti temi quali lo statuto dell’utopia e la sua funzione nell’ambito del progetto politico platonico, la celebre e misteriosa concezione dell’idea del Buono, il legame tra essere, verità e conoscenza e infine il problema dell’immortalità dell’anima, di cui viene fornita un’interpretazione radicalmente innovativa.
Recensioni
Franco Ferrari, Alias de il Manifesto, 20-05-2018
Alcuni stralci del capitolo 7, dove si parla
di utopia
e di kallipolis
Il tempo, la storia, l’utopia
La struttura compositiva dei libri VIII e IX della Repubblica pone immediatamente un problema: perché la kallipolis – cioè la forma compiuta di una società umana governata secondo giustizia – compaia all’inizio della “storia”, anziché al suo termine, come era accaduto nel primo movimento del dialogo, dal libro II al V. […] perché, dunque, la kallipolis è situata ora all’ inizio e non alla fine dei tempi?» (p. 171).
«[…] per chi attribuisca a Platone la convinzione che il progetto utopico sia in qualche misura praticabile – risulta importante una seconda funzione argomentativa. Nel libro VI Socrate aveva indicato tre possibili dimensioni temporali per l’esistenza della kallipolis: «nell’infinito tempo passato, o anche oggi in qualche regione barbarica […] oppure se accadrà nel futuro» (499C-d). Si trattava ora di proteggere la prima ipotesi – come vedremo tutt’altro che irrilevante – da una possibile obiezione: se la città dell’utopia è esistita nel passato, perché oggi non esiste più? E reciprocamente, la sua attuale inesistenza non è prova che essa non è mai davvero esistita? A questo risponde il libro VIII: se anche fosse esistita nel passato, la kallipolis non avrebbe potuto durare indefinitamente nel tempo, e la sua scomparsa non dimostra quindi la sua impossibilità.
Questo argomento è rilevante perché in 592.a Glaucone avrebbe seccamente respinta la seconda possibilità evocata da Socrate (che la città giusta esista ora in qualche luogo della terra). Quanto alla dimensione futura […] costituisce, come vedremo, uno dei maggiori problemi interpretativi dei nostri due libri.
Torniamo però all’ipotesi di una kallipolis formatasi in un remoto passato, e poi inevitabilmente estinta nel corso del tempo. Essa va situata in un contesto più ampio e trasversale, che riguarda in Platone il tema ricorrente del tempo delle origini» (p. 172).
«Il tempo propriamente umano inizia […] con l’esplosione della crisi, del disordine, del conflitto – insomma, dal punto di vista antropologico, della pleonexia. Solo a partire di qui vengono prodotti i saperi, la filosofia, la politica: insomma le tecniche umane per governare il disordine dopo la catastrofe delle origini. E con esse nascono […] le figure destinate a quesro governo del disordine: appunto il filosofo, il politico, il legislatore.
La kallipolis della Repubblica, in quanto realizzazione compiuta di questo governo del disordine, che consegue finalmente un controllo politico e psicologico sulla pleonexia, appare dunque collocata logicamente non all’inizio ma al termine del processo, come pieno dispiegamenro della condizione storico-umana. Tuttavia, se la si considera dal punto di vista della crisi, essa può anche apparire come un inizio, in quanto questa stessa crisi può venir pensata come un effetto della sua disgregazione, della sua instabilità e del suo fallimento nel compito di governare il disordine. Questo non comporta ancora, almeno per quanto riguarda la Repubblica, una visione ciclica del tempo storico-umano, perché la stessa realizzazione della kallipolis non è che una possibilità bensì latente in questo tempo, ma tutt’altro che necessitata da esso, che potrebbe dunque permanere nel disordine delle sue origini.
Lo spostamento di prospettiva, che disloca la città dell’ordine giusto non alla fine ma all’inizio del tempo umano, diventa invece, nel linguaggio mitico del Timeo, una «verità» (26C7-d I) che colloca senza incertezze una kallipolis, dai tratti simili se pure contraffatti rispetto a quella della Repubblica […] novemila anni prima di Socrate e Crizia (la sua distruzione sarebbe qui stata dovuta a un cataclisma naturale, e non a una instabilità strutturale).
Né l’ambigua collocazione della kallipolis della Repubblica (alla fine ma anche all’inizio del tempo), né la dislocazione mitica di quella del Timeo in un’epoca remota, possono tuttavia fare di entrambe un’imitazione (mimema) del regno di Crono […].
Se mai, c’è un segnale dell’ambiguità della collocazione della kallipolis della Repubblica sul tranquillo crinale che separa precariamente, con il suo controllo etico-politico, due fasi del disordine nella storia umana» (p. 174).
«Nel sorprendente ricongiungimento fra i due estremi del libro VIII, che salda il principio e la fine della “storia” della degenerazione etico-politica, è forse da leggere un’indicazione precisa: il governo del disordine, una volta che sia eventualmente conseguito, reca in sé un fattore di instabilità perché tende a sostituire la tensione “filosofica” verso l’ordine con forme di condizionamento educativo intese certo a favorirne il consolidamento, ma che sono d’altra parte incapaci di riattivarne il senso, e dunque impotenti a controllare il risorgere di quei desideri pleonectici il cui orizzonte compiuto è il massimo disordine della tirannide.
La decisione platonica di collocare la kallipolis nel libro VIII all’inizio del tempo storico-umano ha dunque anche questo significato: di mostrare che la sua eventuale realizzazione, come compimento dello sforzo di governo del disordine, può costituire il fine di questo tempo, ma certamente non la sua fine (non più di quanto un altro operatore d’ordine, il demiurgo del Timeo, possa determinare la fine dell’influenza caotica della “necessità” nel mondo)» (p. 175).
«L’instabilità del governo del disordine è resa inevitabile dal suo stesso inserimento nel continuum spazio-temporale, e la sua deformazione inizia quindi nel momento stesso in cui il progetto utopico – la cui esigenza è d’altronde imposta dallo stesso disordine dei tempi – passa dal piano del logos a quello degli erga. Questo è il senso del discorso delle Muse con cui si apre il libro VIII: un discorso certamente scherzoso, […] ma non per questo privo di due assunti di grande importanza teorica. Il primo è nettamente formulato all’inizio del logos: «è difficile che venga sovvertita una città così costituita, ma poiché per ogni cosa che è nata vi è distruzione, neppure una simile costruzione resisterà per tutta la durata del tempo, ma si dissolverà» (546a).
Il secondo assunto, che chiarisce e giustifica il primo, emerge dal senso complessivo del discorso sul “numero geometrico”: è impossibile imporre alla dimensione spazio-temporale un compiuto controllo perfettamente razionale (quindi matematizzabile), quale invece è possibile per il campo dell’ontologia eidetica (a modello appunto geometrico), il cui ordine ha peraltro una funzione paradigmatica rispetto agli sforzi di governare quella dimensione (cfr. VI 500 c-d).
La deformazione inevitabile […] non riguarda soltanto la qualità etico-politica della società umana, ma anche la stessa qualità “biologica” del suo gruppo dirigente, secondo il nesso circolare di perfettibilità dell’umano che era stato proposto dall’ “eugenetica” del libro V.
Alla luce di questi due assunti generali, il libro VIII descrive in modo più determinato le ragioni che rendono inevitabile la crisi della kallipolis realizzata: una crisi che non può non avere inizio da quella del suo gruppo dirigente, secondo un assioma costante della teoria politica platonica (545d, cfr. III 415c, V 465b). Nonostante la vaghezza del discorso platonico (547a-b) sembra che questa crisi inizi con un conflitto tra il ceto di governo “filosofico” e quello “militare”, o fra elementi degenerati presenti in entrambi. Chiari sono invece i motivi e la soluzione del conflitto: c’è una spinta incoercibile alla riprivatizzazione («spartirsi terra e case privatizzandole»), e all’asservimento del terzo ceto («asservire, riducendoli alla condizione di perieci e di servi, coloro che prima erano da loro difesi come uomini liberi»): il ceto di governo assume dunque il monopolio esclusivo della ricchezza, del potere e della guerra (547c).
Che la crisi della kallipolis assuma questa forma specifica non dipende soltanto dai principi generali formulati nel discorso delle Muse, ma più specificamente […] dalla dinamica logico-genetica della sua formazione. Essa aveva avuto infatti origini violente, fondata com’era sulla rieducazione di un ceto militare comparso nella città della pleonexia; e il suo gruppo dirigente era stato costituito sulla base di un accordo fra l’elemento razionale (logistikon) e quello collerico-aggressivo (thymoeides), la cui fedeltà al primo, nonostante ogni sforzo di condizionamento educativo “indelebile”, non poteva che risultare strutturalmente precaria» (p. 176).
«La tirannide è la forma inevitabile della degenerazione tanto psicologica quanto politica perché essa rappresenta l’espressione limite, la massima potenzialità, di quella pleonexia da cui ha origine la crisi della kallipolis (riappropriazione della proprietà privata, asservimento del terzo ceto, competizione per il potere e la ricchezza). L’orizzonte della tirannide, ancor prima della sua eventuale realizzazione compiuta, è dunque implicito in ogni fase delle costituzioni degenerate, e nei tipi d’uomo loro analoghi, e rappresenta dialetticamente la loro verità, anche se in forma solo incoativa» (p. 180).
«E qual è allora, se non appartiene al ciclo, il tempo proprio dell’utopia? […] Esistono in Platone due distinte concezioni della temporalità, quella cosmica e quella storico-umana, cui se ne aggiunge […] una terza, quella dell’utopia. […] La seconda dimensione è quella del tempo storico-umano, che si instaura a partire dal distacco dalle origini mitiche: è questo il tempo del disordine, della degenerazione (morale, politica e anche biologica), ma al tempo stesso il tempo dell’esigenza dell’ordine, dello sforzo deliberato di ricostruzione. Questa dimensione non è in alcun modo ciclica, ed è strutturata dal movimento dialettico delle contraddizioni latenti nelle forme politiche da un laro, nei tipi psicologici dall’altro.
Cè, infine, il tempo dell’utopia, cioè della realizzazione del progetto d’ordine, della kallipolis attuata. Va sottolinearo che tuesto tempo non appartiene alla seguenza dialettica del tempo storico-umano, né la Repubblica lo presenta come il telos di questa sequenza (se mai soltanto come l’ipotesi di un’origine che la rende comprensibile). L’avvento della kallipolis nella storia è descritto come un evento possibile nell’infinità della distensione temporale (502bI: en panti to chrono), ma non necessario né programmaticamente prevedibile, benché certamente intenzionato e atteso. Esso dipende piuttosto da una sorta di arresto della dialettica storica degenerativa, dall’inserzione subitanea di un asse verticale di valore sul movimento orizzontale di questa dialettica. Una ricognizione attenta del linguaggio platonico relativo alla temporalità dell’utopia lo può indicare chiaramente.
La prima condizione di realizzabilità dell’utopia è, si sa, l’intervento dei filosofi nella politica della città. Ma che la natura filosofica si salvi nelle città della storia è impossibile “a meno che un dio si trovi a soccorrerla” (492a5), grazie insomma a un “favore divino” (493aI). Che poi i filosofi così salvati siano indotti a occuparsi della politica delle città dipende da “una fortuita necessità” (499b5); questo non accadrà, in altri termini, “a meno che non sopravvenga una qualche sorte divina” (592a8: theia tyche). Anche così, la loro azione politica potrà avere successo solo grazie a “circostanze propizie sopravvenute per una sorte divina” (Ep. VII 327e 3-5).
La condizione di possibilità alternativa (la conversione alla filosofia dei potenti o dei loro figli) viene descritta con lo stesso linguaggio. Essa avrà luogo se “per una gualche ispirazione divina sorga […] un vero amore per la filosofia” […]. In altri termini, i potenti possono diventare filosofi “per una sorte divina” (Ep. VII 326br3). […] Che cosa ci dice questo linguaggio ricorrente di tyche, moira, kairos, ananche, theion? Il suo primo significato è senza dubbio che le condizioni di realizzabilità della kallipolis non appartengono al corso normale della storia, che il suo avvento non ne costituisce il telos predeterminato. Esso può soltanto essere dovuto al verificarsi fortuito e istantaneo di circostanze propizie e cogenti, il cui carattere straordinario ed eccezionale (tanto nel senso della rarità quanto in quello del valore) è sottolineato dal ricorso al termine theion (che non può in alcun caso indicare un disegno provvidenziale, una pronoia divina, perché essa non avrebbe evidentemente il carattere fortuito di tyche). L’avvento della kallipolis rappresenta un’esigenza necessaria come intenzione di governare il disordine, di arrestare la degenerazione verso la tirannide del tempo storico-umano, ma esso è improbabile (non però, per le stesse ragioni, impossibile), e risulterebbe comunque precario, appunto perché si pone in controtendenza rispetto alla dinamica dialettica di questo stesso tempo.
Il capitolo Il tempo, la storia, l’utopia di questo libro è già stato pubblicato in Platone, La Repubblica, traduzione e commento a cura di M. Vegetti, vol. II, VI-VII, Bibliopolis, Napoli 2003.
Mario Vegetti
ISBN 978-88-7588-215-0, 2018, pp. 464, Euro 35 .
Il volume raccoglie i principali scritti su Galeno e sul Galenismo composti da Mario Vegetti in circa un cinquantennio di attività. La selezione dei saggi qui pubblicati è stata realizzata dall’Autore negli ultimi mesi della sua vita. A causa della sua morte, avvenuta il giorno 11 marzo 2018, l’Autore non ha potuto rivedere le bozze.
Questo libro, cui l’Autore teneva tanto, ci consente di mantenere vivo il ricordo anche di questa parte della sua opera; ecco dunque il motivo per cui siamo lieti, insieme alla sua famiglia, di offrire ai lettori, soprattutto a quelli più giovani, la presente raccolta. Per la quale, innanzitutto, dobbiamo ringraziare Mario.
Sommario
Nota preliminare di Luca Grecchi
Introduzione a Galeno
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Tradizione e verità. Forme della storiografia filosofico-scientifica
nel De placitis Hippocratis et Platonis di Galeno
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I nervi dell’anima
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Enciclopedia ed antienciclopedia: Galeno e Sesto Empirico
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Galeno e la rifondazione della medicina
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L’épistémologie d’Érasistrate et la technologie hellénistique
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La psicopatologia delle passioni nella medicina antica
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Historiographical strategies in Galen’s physiology
(De usu partium, De naturalibus facultatibus)
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De caelo in terram. Il Timeo in Galeno
(De placitis Hippocratis et Platonis, Quod animi mores corporis temperamenta sequuntur)
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Il confronto degli antichi e dei moderni in Galeno
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Galeno
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Corpo e anima in Galeno
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Corpo, temperamenti e personalità in Galeno
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Galeno, il “divinissimo” Platone e i platonici
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Fra Platone e Galeno: curare il corpo attraverso l’anima, o l’anima attraverso il corpo?
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I nuovi testi di Galeno: tra epistemologia e storia della cultura
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Indice dei nomi
Mario Vegetti
ISBN 978-88-7588-225-9, 2018, pp. 416, uro 30
I saggi raccolti in questo volume ripercorrono gli ultimi cinquant’anni di ricerca ippocratica. Gli entusiasmi iniziali, ben motivati dalla “scoperta” di un grande territorio del sapere scientifico fino ad allora relativamente inesplorato, dei suoi metodi e della sua efficacia terapeutica, hanno via via ceduto in parte il campo a un più equilibrato atteggiamento critico-storico. Nel suo insieme, una lettura di questi testi può continuare ad offrire un panorama intellettuale utile a comprendere le coordinate metodiche e sociali che hanno consentito la comparsa di uno dei fenomeni più rilevanti dell’antica tradizione scientifica dell’Occidente. I saggi sono disposti in ordine cronologico, ad eccezione delle due introduzioni al volume ippocratico (1964 e 1973) che sono poste al termine per il loro carattere riassuntivo.
Sommario
Introduzione
Technai e filosofia nel perì technes pseudoippocratico
Il De Locis in Homine fra Anassagora ed Ippocrate
Teoria ed esperienza nel metodo ippocratico
La medicina ippocratica nella cultura e nella società greca
Nascita dello scienziato
Legge e natura nel De aëre ippocratico
Kompsoi Asklepiades.
La critica di Platone alla medicina nel III libro della Repubblica
Empedocle “medico e sofista”
Saperi terapeutici: medicina e filosofia nell’antichità
Le origini dell’insegnamento medico
Il malato e il suo medico nella medicina antica
Il pensiero ippocratico
La questione ippocratica
Nuovi orizzonti di ricerca
Indice dei nomi
Ricordano l’amico e il protagonista della Casa della Cultura: Ferruccio Capelli, Mauro Bonazzi, Fulvio Papi, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Salvatore Veca
Altri libri
di Mario Vegetti
Mario Vegetti
Animali, schiavi, barbari e donne alle origini della razionalità scientifica
Petite Plaisance, ISBN 978-88-7588-228-0, 2018, pp. 192, Euro 20
«La stagione culturale cui appartiene Il coltello e lo stilo va certo messa in contesto ma non può venire rimossa né esser soggetta ad alcuna damnatio memoriae; può anzi darsi che essa continui a restarci indispensabile, tanto sul piano intellettuale quanto appunto su quello dell’ethos».
Mario Vegetti
Premessa alla nuova edizione del 2018
Il coltello e lo stilo fu pubblicato nella primavera del 1979. Fin dalla sua comparsa, suscitò un vivace interesse, non solo, e non tanto, fra gli specialisti di antichistica, quanto presso un pubblico composito di lettori che frequentavano i territori che allora si chiamavano “cultura critica”: epistemologia, antropologia, psicoanalisi, ed eventualmente movimenti come quello femminista e animalista. Ne uscirono naturalmente diverse interpretazioni del senso e degli intenti del libro (dalla critica irrazionalistica ai fondamenti “violenti” della scienza, a una rivisitazione moderata di Foucault).
Nell’introduzione all’edizione del 1996, riprodotta in questo volume, ho tentato di delineare le coordinate culturali entro le quali Il coltello e lo stilo era stato concepito, e di indicare un punto di vista d’autore sulla collocazione del libro. Ha fatto però bene l’editore a ristampare qui la prima edizione, quella del 1979. Da un lato, questo restituisce ai primi lettori la possibilità di un rinnovato incontro con il testo; dall’altro, e soprattutto, consente a nuovi lettori l’accesso alla forma originale del libro ormai da gran tempo esaurita. Non è immotivato pensare che questa ristampa possa apparire a qualcuno come una riscoperta, e ridestare almeno in parte l’interesse e la discussione così vivaci tanti anni or sono. Se così fosse, potremmo augurare “bentornato” al Coltello e lo stilo.
Mario Vegetti
Febbraio 2018
Quarta di copertina
Il coltello, makhaira: che incide il corpo dell’animale sull’altare del sacrificio, nella bottega del macellaio, sul tavolo dello scienziato anatomista. La conoscenza dell’animale, ottenuta grazie al coltello anatomico, fonda nella scienza greca al tempo stesso una classificazione, a partire da Aristotele, e una medicina razionale, che culmina in Galeno. La ragione scientifica antica segue il trattato della dissezione anatomica: essa è in grado di classificare le varietà dell’umano – la donna, il barbaro, lo schiavo – con la precisione e la verità di cui l’anatomia è modello. Seguendo il percorso della ragione anatomica, questo libro tenta al tempo stesso di ricostruire un’anatomia della ragione, nei modi della sua genesi e della sua crescita: la traccia di una polarità fra homo sapiens e homo necans, fra il coltello dell’anatomo e lo stilo con cui si scrivono i trattati della scienza. Lo stilo, grapheion – cioè la scrittura, il trattato, la scuola: con questi strumenti e in questi luoghi il sapere della zoologia, dell’anatomia, dell’antropologia si organizza, si accumula, si predispone al commento. Il coltello e lo stilo segnano dunque uno del tragitti lungo i quali si è durevolmente snodata la razionalità scientifica europea.
Indice
Premessa alla nuova edizione
Introduzione alla seconda edizione
Nota preliminare
Avvertenza
Capitolo I
Animale, vivo o morto
Classificazione e razionalità scientifica
***
Capitolo II
Neutralizzazioni
Verità dell’anatomia, genesi della teoria
***
Capitolo III
Classificare gli uomini
Che cos’è un uomo
Che cos’è un vero uomo
Razze di uomini
Un animale lunare
***
Mario Vegetti
ISBN 978-88-7588-227-3, 2018, pp. 208, Euro 20
L’Edipo re di Sofocle e gli Elementi di Euclide costituiscono in un certo senso i confini entro i quali si svolge il percorso della razionalità antica. La tragedia del V secolo è anche un conflitto drammatico di saperi: quello profano e indagatore di Edipo, quelli sacri di Apollo e Tiresia, quello critico e sfuggente di Giocasta. All’opposto, il trattato euclideo propone l’idea di una scienza pacificata, senza conflitti e soggettività, tutta affidata al potere della dimostrazione. Tra questi limiti, il libro indaga una costellazione di forme del sapere antico, con i loro valori antropologici: dalle metafore politiche della medicina ippocratica a un oggetto scientificamente disturbante come la scimmia, dal problema del bambino cattivo nell’antropologia stoica alla zoologia immaginaria di Plinio. Il confronto tra l’idealismo di Galeno e la sfida materialistica proposta dalla medicina metodica, e l’indagine sugli stili epistemologici della scienza ellenistica concludono i saggi raccolti nel volume.
Sommario
Introduzione
Premessa
Avvertenza
La questione dei metodi: una nota preliminare
Forme del sapere nell’Edipo re
Metafora politica e immagine del corpo nella medicina greca
L’animale ridicolo
Passioni e bagni caldi. Il problema del bambino cattivo nell’antropologia stoica
Lo spettacolo della natura. Circo, teatro e potere in Plinio
Modelli di medicina in Galeno
Una sfida materialistica. La polemica di Galeno contro la medicina metodica
La scienza ellenistica: problemi di epistemologia storica
Indice dei nomi
Paola Manuli – Mario Vegetti
Cuore, sangue e cervello.
Biologia e antropologia nel pensiero antico. In Appendice:
Galeno e l’antropologia platonica.
La questione del ruolo da assegnare nell’organismo al cuore, al sangue e al cervello, e in particolare di stabilire a quale, o quali, di essi tocchi il rango di principio egemone, la signoria nell’organismo stesso, sta al centro di una delle vicende più tormentate della storia della biologia greca. Il suo interesse va oltre quello della genesi di una teoria biologica, l’encefalocentrismo, che pure avrebbe consegnato al sapere occidentale tutta una serie di certezze durevoli e di importanza fondamentale. Questa vicenda è un caso tipico, metodologicamente esemplare delle questioni connesse alla storia della scienza antica, e più in generale alle fasi di gestazione di una teoria scientifica: in essa elementi e vettori exstrascientifici si compongono in un intreccio indissolubile con i “dati” positivi e pilotano la stessa costruzione della teoria.
Qui ogni decisione presa all’interno del discorso biologico circa il “principio” dell’organismo interagisce con le esigenze di una psicologia e di una antropologia le quali, di norma, si costruiscono al di fuori di quel discorso, e in ogni caso rappresentano istanze ideologiche molto più generali, concezioni complessive sull’uomo, sulla società, sul mondo.
Mario Vegetti
Scritti con la mano sinistra
Questi testi si caratterizzano per la loro coerenza, nei suoi aspetti di insistenza e resistenza. Insistenza, nel senso di continuare tenacemente a porre problemi e domande, senza variare disinvoltamente il punto di vista da cui l’interrogazione viene posta, rifiutando la convinzione secondo la quale sconfitte storiche sono di per sé la prova di errori nella teoria. E resistenza: che significa accettare i mutamenti imposti dalla riflessione e dalle cose stesse su cui ci si interroga, ma invece rifiutare pentitismi compiacenti, cedimenti corrivi alle mode correnti o alle “luci della ribalta”; restare fedeli, insomma, a ciò che di noi hanno fatto la nostra storia intellettuale e morale e la nostra collocazione.
Scritti con la mano sinistra, appunto. Nel doppio senso che si tratta, da un lato, di scritti marginali, parerga, rispetto al mio impegno professionale di studioso della filosofia antica; dall’altro, di scritti che rispecchiano più direttamente la mia collocazione politica, la mia presa di partito (la scelta “da che parte stare”). “A sinistra”, dunque. Una posizione alla quale mi consegnano la mia tradizione familiare, il mio percorso intellettuale e morale, la mia convinzione di un futuro possibile alternativo alla barbarie che attraversa il nostro tempo e ne minaccia l’orizzonte. E la stessa tensione razionale, lo stesso sforzo di comprensione e argomentazione, ispirano e sorvegliano (o almeno dovrebbero sorvegliare) sia il lavoro di ricerca sia la “presa di partito” che coinvolge l’uomo prima che il ricercatore.
Il libro è diviso in tre parti. Nella prima, Tra filosofia e politica, si discutono alcune problematiche filosofiche rilevanti dal punto di vista di interrogazioni che vengono, in senso lato, dalla politica. Nella seconda, Tra politica e filosofia, l’oggetto di indagine sono le prospettive della politica considerate da un punto di vista filosofico. Nella terza, Tra gli antichi e noi, si torna ad una riflessione sulla società e il pensiero dell’antichità dal punto di vista delle prospettive filosofico-politiche delineate.
Grandi interrogativi, dunque, per piccoli scritti, nell’intento di tenere aperto lo spazio dell’incertezza, di riproporre l’urgenza della riflessione, resistendo sia al cedimento di fronte all’omologazione del pensiero, sia alla rassegnazione di fronte all’estrema durezza dell’epoca. Non si tratta di un compito esclusivo del filosofo, e tanto meno dell’antichista, perché esso coinvolge la responsabilità morale e intellettuale di ognuno.
Marxismo e società antica, Feltrinelli
Opere di Ippocrate, UTET
Ippocrate, Antica Medicina, Rusconi
Introduzione alle culture antiche. Il sapetre degli antichi, Bollati Boringhieri
Introduzione alle culture antiche. L’esperienza religiosa antica, Bollati Boringhieri
Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis
Platone, La Repubblica, Bibliopolis
La Rapubblica di Platone nella tradizione antica, Bibliopolis
Galeno, Nuovi scritti autobiografici, Carocci
Dialoghi con gli antichi, Academia
Platone, La Repubblica (Libri V-VI-VIII), Radar
Platone, La Repubblica, Rizzoli
Platone, Reoubblica, Libro 11, Lettera XIV. Socrate incontra Marx. Lo straniero di Treviri, Guida
Platone. La Repubblica, Laterza
Tra Edipo e Euclide. Forme del sapere antico, Il Saggiatore
Polis e economia nella Grecia antica, Zanichelli
L’uomo e gli dei, Kindle Edition
Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Laterza
Quindici lezioni su Platone, Einaudi
Libertà e democrazia. La lezione degli antichi e la sua attualità, Ed. Casa della Cultura
Aristotele. Metafisica. Antologia, La Nuova Italia
Incontro con Aristotele. Quindici lezioni, Einaudi
L’etica degli antichi, Laterza
«Un paradigma in cielo». Platone politico da Aristotele al Novecento, Carocci
Chi comanda nella città. I greci e il potere, Carocci
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