Elena Irrera,
Sulla bellezza della vita buona.
Fini e criteri dell’agire umano in Aristotele
Carabba Editrice, 2012.
«[...] chiunque abbia la possibilità di vivere secondo la propria scelta
stabilisce un qualche scopo della vita felice
sia esso l'onore o la fama o la ricchezza o la cultura,
guardando al quale compirà tutte le sue azioni
(perché appunto
è segno di molta insipienza
non aver indirizzato
la vita a un qualche fine)».
Aristotele, Etica Eudemia I, 2.1214b6-111.
«Che la ricerca umana della bellezza possa configurarsi come un tema-chiave nella riflessione aristotelica sui fini e i metodi della razionalità pratica non costituisce certamente una novità. È infatti generalmente riconosciuto che il bello, anziché essere relegato da Aristotele a valore puramente estetico, sia in più occasioni introdotto come oggetto di indagine morale e come fine che l’uomo virtuoso si propone di raggiungere. Ciò che, invece, ritengo sia stato ingiustamente oggetto di scarso interesse […] è lo studio delle possibili intersezioni tra un senso “contemplativo” del bello ed uno di carattere “pratico”. […] Il presente libro si propone […] di offrire una ricostruzione della visione aristotelica del bello capace di far emergere tale nozione non solo come vero e proprio trati d’union tra le due forme di attività, ma anche come specifico criterio per l’agire umano autenticamente virtuoso. […] il mio contributo ha come principale scopo quello di presentare la possibilità che, attraverso il perseguimento del bello, l’attività pratica sia volta alla massimizzazione dell’ attività contemplativa entro la sfera dell’agire. È quindi mia intenzione mostrare comeil desiderio “intellettuale” del bello, piuttosto che quello della semplice realizzazione pratica di atti virtuosi, possa costituire il motivo fondante del coinvolgimento di un individuo nell’arena pratica.
[…] Da un lato, tenterò di mostrare come il riferimento al bello permetta la comprensione dell’essenza della vita felice e della natura umana stessa; dall’altro, suggerirò che il bello, se inteso come ideale “orientativo” per l’azione umana, riesce a svolgere simultaneamente un doppio ruolo: quello di “promotore” di azioni virtuose e quello di “formazione intellettuale” di individui dotati di intrinseca perfezione morale» (pp. 9-11).
«Ciò premesso, farò notare come il cosiddetto “bene umano” non sia un’entità statica e separata dalla vita umana, e considererò l’eudaimonìa come lo stesso bene, quello sommo, indagato però dalla prospettiva dell’individuo che lo persegue. In questo senso, il tema del bene umano si lega a quello della vita, delle aspirazioni e delle aspettative di chi la vive» (p. 12).
«L’agente morale aristotelico, in quanto dotato di autentica virtù di carattere, sarà dunque concepito come individuo proteso a ricercare, in ultima analisi, una visualizzazione teoretica delle distintive proprietà di ordine, appropriatezza e limite delle belle azioni. Tale visualizzazione si rivelerà fine a se stessa e non strumentale a scopi ulteriori.
Come anticipato nella prefazione, questo libro nasce dall’esigenza di raggiungere una comprensione di tò kalón che consenta di gettare una nuova luce sullo studio della dimensione dell’agire etico e politico, e che mostri l’esistenza di un legame imprescindibile tra vita pratica e vita teoretica» (p. 21).
«L’immagine della vita sommamente desiderabile che mi auguro emerga attraverso la mia discussione è quella che esprime il bene umano come un traguardo da raggiungere e, pertanto, come un oggetto capace di orientare l’uomo stesso verso la più perfetta realizzazione delle proprie potenzialità etiche e intellettuali. In base alla ricostruzione che intendo svolgere, il principale interesse di Aristotele non apparirà quello di fornire una definizione di eudaimonìa funzionale a scopi prettamente teoretico-speculativi, quanto invece quello di mostrare come l’individuo sia in grado di intraprendere, attraverso un’adeguata educazione al bene e al bello, un processo pratico di maturazione e di sviluppo orientato all’acquisizione della propria forma distintiva. La prospettiva del bello, orientando l’attività razionale dell’individuo secondo eccellenza, indicherà al soggetto agente non solo il traguardo più perfetto da raggiungere, ovvero il bene ultimo, ma anche il percorso stesso per conseguirlo.
[…] L’indagine che verrà condotta nel corso di questo testo, pertanto, presenterà il bello come trait d’union tra attività pratica dell’uomo virtuoso e quella teoretica. L’agire “in vista del bello” equivarrà non solo ad esercitare la razionalità pratica umana in prospettiva della contemplazione, ma anche a massimizzare la possibilità di contemplazione contenuta nell’agire» (p. 35).
«Sosterrò dunque che [l’uomo politico autenticamente virtuoso], anziché essere guidato nella propria attività pratica dal semplice desiderio di promuovere concretamente il bene comune, agisce, in ultima analisi, in quanto spinto da un profondo interesse per la contemplazione del valore intrinseco della virtù morale e, pertanto, in vista della soddisfazione di una passione di natura teoretica» (p. 370).
Osservando con sguardo sinottico la vasta produzione di logoi aristotelici a noi pervenuti, è possibile riscontrare la presenza di nozioni che, essendo impiegate in una nutrita varietà di ambiti disciplinari, possono essere a buon diritto qualificate come “trans-contestuali”. Aristotele sembra idealmente invitare i suoi lettori non solo ad individuare tali nozioni e a riflettere sul ruolo da esse svolto all’interno di specifici settori conoscitivi, ma anche a profilare degli spazi virtuali di collegamento e interazione tra settori di indagine differenti alla luce della loro comune presenza in ciascuno di essi. La constatazione che un dato termine (e, di conseguenza, anche lo spettro di temi e significati da esso evocati) ricorra in tipi differenti di indagine filosofica suggerisce la possibilità che lo stesso Aristotele abbia intenzionalmente congegnato vari aspetti della sua riflessione in maniera tale da rendere le specifiche argomentazioni impiegate e i loro rispettivi domíni di afferenza “permeabili” ad un gioco di reciproci rimandi.
In questo senso, è ragionevole assumere che, attraverso l’individuazione di alcuni elementi lessicali e concettuali comuni a settori disparati, i vari aspetti della riflessione aristotelica sulla realtà e i suoi princìpi si prestino ad essere colti dal lettore in una visione d’insieme, ovvero ad essere osservati come componenti di una struttura complessa di soggetti interconnessi che trascende le singole specificità disciplinari. Nel presente contributo tenterò di offrire alcuni spunti di analisi su un concetto che ricorre in una pluralità di aree di ricerca, tra le quali la metafisica, la fisica, la biologia, l’etica e la politica: quello di tò kalón. L’espressione che designa il concetto in questione è stata variamente tradotta dagli studiosi. Nella sua versione della Metafisica, Reale opta per la traduzione “il bello”; nelle sue traduzioni dell’Etica Eudemia, dell’Etica Nicomachea e della Grande Etica Fermani adotta le espressioni “il bello” e “il bello morale”. L’idea che tò kalón esprima una nobiltà di natura morale emerge ad esempio in alcune traduzioni angloamericane, come quella di Rowe, che utilizza “the fine”, e una nutrita schiera di studiosi che rendono l’espressione in esame con “the noble” (Rackham, Ross, Ostwald, Crisp, Bartelett e Collins, Reeve).
È opinione generalmente condivisa che l’ideale del tò kalón, nella cultura greca classica, non indichi soltanto proprietà e valori prettamente “estetici”, ossia pertinenti alla sfera di una bellezza puramente fisica che sia oggetto di un’esperienza sensoriale (visiva e/o uditiva) fine a se stessa. Al contrario, come avremo modo di osservare, l’ideale in questione appare in grado di innescare e orientare percorsi umani di conoscenza e di azione virtuosa che trascendono il piano di un confronto con il mondo esterno non mediato dalla riflessione o dall’educazione.
Aristotele introduce la questione della bellezza in numerose occasioni e contesti di indagine differenti, ossia ambiti di discussione non immediatamente accostabili gli uni agli altri né in termini di finalità, né in termini degli argomenti trattati. Il bello è ad esempio menzionato come proprietà riscontrabile in oggetti fisici e sostanze naturali, in azioni umane e perfino in forme di organizzazione del potere politico. Esso può essere associato alla perfezione formale degli enti o al senso di piacevolezza e/o di desiderabilità intrinseca che una simile proprietà stimola negli esseri umani che la rilevano. A volte, esso è indicato spesso come motivazione per un comportamento individuale autenticamente virtuoso, e come ideale che il buon legislatore è chiamato ad imprimere tanto nelle leggi quanto nelle proprie azioni. Lo stesso Aristotele sembra sostenere che uno degli scopi dell’educazione sia quello di fornire orientamenti di crescita e di evoluzione che portino gli individui ad essere “amanti del bello” e, di conseguenza, più inclini di altri a comprendere i ragionamenti sulla natura della virtù e sulla necessità di acquisirla in vista del conseguimento del bene umano.
Tratto comune a tali approcci è l’idea che il bello sia oggetto di un’esperienza distintamente umana, ovvero una esperienza capace di stimolare attivamente un corretto esercizio di quelle facoltà deputate alla realizzazione delle possibilità di perfezionamento della natura razionale degli individui, tanto nella sfera del pensiero teorico quanto in quella dell’agire pratico. Indagare il ruolo che il bello ricopre nella vita umana, pertanto, permetterà di delineare una prospettiva di osservazione particolare delle dinamiche attraverso cui tale perfezionamento può avvenire.
L’ipotesi di lavoro che orienterà la presente discussione è rappresentata dall’idea che la nozione di tò kalón, in virtù della sua caratteristica trans-contestualità, consenta di mettere in rilievo alcuni tipi di collegamento tra settori di indagine dotati di autonomo statuto disciplinare. In particolar modo, si tenterà di osservare come la nozione in esame funga da fil rouge tra i cosiddetti étikoì lògoi, ossia quelli che costituiscono l’intelaiatura argomentativa dell’Etica Nicomachea, dell’Etica Eudemia e della Grande Etica, e il contenuto della Politica. Alla luce della funzione svolta dal bello nelle riflessioni condotte da Aristotele nei testi in questione, i discorsi sui princìpi pratici discussi nelle Etiche e quelli relativi alla natura della polis, del cittadino, del governante e delle costituzioni, appariranno come espressioni di un’area unitaria di indagine, quella volta alla ricerca del bene umano e della molteplicità delle sue espressioni (giustizia, amicizia, singole virtù etiche ed intellettuali, il piacere) nella dimensione politica.
Elena Irrera
Elena Irrera
Il bello come causalità metafisica in Aristotele,
Mimesis Edizioni, 2011.
Risvolto di copertina
Può la ricerca della bellezza orientare la strutturale tensione dell’uomo verso la conoscenza? Può la bellezza stessa offrire una via d’accesso alla struttura e alla comprensione umana del bene? Il presente studio si propone di rispondere a tali quesiti offrendo un parziale tentativo di ricostruzione del ruolo giocato dal bello (tò kalòn) nella metafisica e cosmologia aristoteliche. Viene inoltre presentato un caso particolare che, a giudizio dell’autrice, rende particolarmente visibile l’applicazione della nozione del “bello” (concepita come vera e propria forma di “causalità”), ad una sfera di carattere squisitamente pratico: quella dell’azione legislativa virtuosa descritta in alcuni frammenti del Protreptico. Scopo del libro è quello di mostrare che il bello, anziché costiuire una statica proprietà degli oggetti, si rivela un fattore attivamente operante in natura, prefigurando per di più la possibilità di un agire pratico umano improntato alla contemplazione intellettuale dei princípi di bellezza.
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