«Chi non spera quello che non sembra sperabile non potrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare, con il suo non sperarlo, qualcosa che non può essere trovato e a cui non porta nessuna strada». Eraclito
N.B. Le immagini e i video sono stati reperiti nel web e quindi considerati di pubblico dominio. Qualora si ritenesse che possano violare diritti di terzi, si prega di scrivere al seguente indirizzo:
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“Platone e le Idee: una storia molto complicata”: è questo il titolo del Seminario organizzato dalla cattedra di Storia della Filosofia Antica dell’Università di Macerata, che ha avuto luogo dal marzo al maggio del 2022, e nell’ambito del quale sono stati presentati molti degli interventi contenuti in questo volume. Lungi da ogni pretesa di completezza, infatti, i vari contributi di tale miscellanea, ciascuno dei quali muove da prospettive concettuali differenti, si interrogano e dibattono intorno ad alcune delle implicazioni teoriche più rilevanti sottese alla dottrina delle Idee formulata da Platone. Per comprendere appieno il senso ultimo di tale dibattito, tuttavia, è opportuno inquadrarlo nello sfondo storico-filosofico che gli è proprio. Nelle pagine che seguono, dunque, seppure necessariamente a grandi linee, sono tratteggiati i passaggi essenziali da cui trae origine tale straordinaria e rivoluzionaria “invenzione” platonica.
[…]
Il volume si apre con un insieme di interventi volti a rintracciare alcune possibili correnti di pensiero che rivestono un ruolo significativo per l’elaborazione della teoria delle Idee, che, tuttavia, nella sua forma più complessa e articolata è e resta una “scoperta” del solo Platone.
Nel suo Gli influssi orfici e pitagorici sulla teoria platonica delle Idee, in controtendenza rispetto a quanto sostenuto da una parte della critica, André Lanoue evidenzia il chiaro retroterra concettuale di carattere orfico-pitagorico entro cui si formano alcune questioni teoriche centrali della filosofia di Platone e in cui, con ogni probabilità, è maturata la stessa dottrina delle Idee. In tal senso, accanto alla teoria pitagorica dei numeri, lo studioso pone anche gli assunti fondamentali dell’Orfismo, i quali presentano un carattere religioso oltre che scientifico. Attraverso una attenta analisi degli Ossicini di Olbia, nonché delle laminette d’oro consacrate a Mnemosyne, Lanoue dimostra che il dualismo “sensibile-illusione /soprasensibile-verità”, l’anamnesi, ma anche l’escatologia, la metempsicosi e l’immortalità dell’anima, ovvero tesi largamente presenti nel pensiero platonico e strutturalmente legate alla sfera eidetica nella sua valenza onto-epistemica, costituiscono già il nucleo delle dottrine orfiche.
Seppure su tutt’altro terreno, si inserisce in questo solco argomentativo anche il saggio di Francesca Eustacchi, Il ruolo dei Sofisti nell’elaborazione della teoria delle Idee platonica, che evidenzia i molteplici contributi teorici offerti dal “rivoluzionario” movimento della Sofistica alla filosofica di Platone. Tra questi, per esempio, spicca la visione dinamica della realtà, intesa come una struttura ordinata di relazioni, che organizza un disordine pervasivo e irriducibile. Paradigmatica è la riflessione di Protagora: pur escludendo una verità assoluta di stampo eleatico, il sofista non approda ad un esisto relativistico, che comporta l’irriducibilità dei giudizi soggettivi, ma relativo-relazionale, tale per cui una data situazione oggettiva, a seconda della prospettiva da cui la si esamina, ammette diverse, ma non infinite, spiegazioni plausibili. Questa postura teorica richiede un “esercizio di pensiero” capace di procedere per progressive distinzioni e unificazioni, che troverà pieno compimento proprio nel metodo dialettico platonico. Tale attitudine relazionale presenta anche importanti risvolti sul piano gnoseologico, come è bene indicato dalla categoria protagorea di homo mensura, che poggia sul nesso conoscitivo tra l’essere umano e gli enti di realtà: nessuno dei due poli merita di essere assolutizzato, ma entrambi sono strutturali, perché il soggetto percepisce in quanto l’oggetto si manifesta. Tra i molteplici contributi della Sofistica, però, Eustacchi ne rintraccia uno che conduce direttamente alle Idee: quello di Socrate e della sua rigorosa tecnica dialogica. Accanto alla pars destruens dell’elenchos, infatti, questa si compone di una pars costruens sublimata nell’interrogativo ti esti, la cui risposta implica la “definizione essenziale” dell’ente indagato, ovvero il coglimento dell’eidos ad esso corrispondente. Per compiere tale “salto qualitativo”, tuttavia, occorre andare con Socrate oltre Socrate, come Platone, con straordinaria abilità argomentativa, indica ai suoi lettori in chiave protrettica.
Le implicazioni teoriche legate al nesso tra le Idee e i processi definitori sono oggetto di altri contributi, tra i quali La ricerca della definizione nel Menone di Dario Zucchello. Ponendosi in un ideale confronto con le tesi di Francesca Eustacchi, lo studioso sottolinea i limiti concettuali più che i contributi tematici del movimento sofistico per la riflessione platonica, che emergono con nettezza proprio nel dialogo da lui preso in esame. Alla domanda “che cos’è la virtù?”, Menone, brillante allievo di Gorgia, sofista celebre per i suoi discorsi pubblici sull’arete, crede di avere la risposta giusta, ma dal confronto con Socrate potrà solo uscire “sconfitto e intorpidito”. Il giovane, infatti, segue un criterio di tipo descrittivo-esemplificativo, perché adduce un elenco di prestazioni virtuose, differenti a seconda dei contesti e dei soggetti coinvolti. A questa dinamica argomentativa, tuttavia, Socrate replica con un significativo slittamento metodologico che passa dall’enumerazione empirica alla ricerca dell’unità concettuale. Per guadagnare la definizione di arete, infatti, occorre indicare quell’unico eidos, identico e stabile, in base al quale diverse prestazioni eccellenti, colte nella loro plurale eterogeneità, sono tutte parimenti virtuose. L’esito è l’Idea di “virtù”, che, per la sua struttura uni-molteplice, organizzata secondo la dialettica intero-parti, sussume in sé realtà differenti, se non opposte, ma che sono accomunate dal fatto di essere “virtù”.
Nel suo La definizione in Platone, Luca Grecchimuove da una specifica proposta ermeneutica: rendere ragione dello iato apparente tra un processo definitorio strutturalmente aperto e la necessità di cogliere l’essenza di ogni ente indagato. Contro ipotesi interpretative scetticheggianti, infatti, lo studioso ribadisce con vigore che per Platone la verità c’è e l’essere umano, pur nei suoi inaggirabili limiti costitutivi, può e deve raggiungerla. In questo senso, a dispetto dell’assenza di una rigorosa tematizzazione della “teoria della definizione”, ovvero della “teoria delle Idee”, Grecchi dimostra su base testuale che tale movenza inerisce la quasi totalità dei dialoghi. Di fronte ad ogni ente del reale, infatti, la postura filosofica si pone il problema di coglierne l’essenza, perché, in caso contrario, non sarebbe possibile alcun discorso compiuto e sensato, ovvero non si potrebbe conoscere la verità, che invece – ed è opportuno ribadirlo – costituisce il fine ultimo della ricerca platonica. Offrono un ottimo esempio di questa dinamica i libri centrali della Repubblica, sui quali lo studioso si sofferma con particolare attenzione: solo attraverso un lungo e faticoso esercizio dialettico, è possibile conoscere il principio primo anipotetico, ovvero la suprema Idea del Bene, raggiunta la quale, tuttavia, il processo intellettivo non si blocca, ma seguita in percorsi “circolari”, ascensivi e discensivi, per ottenerne conoscenza sempre più articolata e approfondita tanto a livello teorico quanto sul piano pratico.
Analogamente, Marianna Angela Nardi, nel suo contributo Il verosimile, le Idee, il dialogo di Platone. Alcune considerazioni, sviluppa il nesso tra le Idee e la definizione da una interessante prospettiva “lessicale”. Il saggio, infatti, si inscrive in una più ampia cornice interpretativa tesa a valorizzare un dato: in Platone la forma letteraria in cui è veicolato il contenuto filosofico si rivela dirimente per la comprensione del contenuto stesso, grazie all’invenzione di un particolarissimo modus scribendi, degno di gareggiare con e superare la tradizionale produzione poetica greca. Nello specifico, l’analisi della studiosa ruota attorno al valore teorico del paradeigma, che, pur nella variazione dei contesti drammaturgici, suggerisce il difficile intreccio tra la mutevole dimensione sensibile e la stabile sfera eidetica. Inquadrando la questione nel Sofista, nel Politico e nella Repubblica, Nardi mostra che, in un senso, avere un modello da imitare sfuma il rigido dualismo tra il fenomenico e l’intellegibile, in un altro, però, apre alla possibilità del falso e dell’inganno, laddove manca una conoscenza adeguata del paradigma. La ricerca della definizione, infatti, deve avere un rapporto con il sapere stabile, distante dallo pseudos e ben ravvisabile, per chi è filosofo, nelle realtà divine e ordinate, ovvero nelle Idee.
Le questioni teoriche incentrate sulle relazioni tra l’ambito fenomenico e il piano eidetico sono approfondite da altri autori come, per esempio, da Annamaria Pacilio che, in Per una teoria platonica del “terzo”. La mediazione delle Idee tra triton genos e metaxy in Resp. VI., indaga la funzione dell’“intermedio” nell’impianto speculativo platonico, intesa in una prospettiva onto-epistemica. Con la dovuta cautela ermeneutica, infatti, la studiosa avanza l’ipotesi che Platone sia un “pensatore del terzo”, in riferimento al compito connettivo assegnato al triton genos e al metaxy. Tra differenze e coincidenze, infatti, entrambi fanno sì che l’empirico e il noetico trovino concordanza secondo una polarità dinamica e non dualistica: in virtù dell’intervento della terzietà, il visibile diventa pensabile e il pensabile visibile. Secondo Pacilio, inoltre, il Bene, presentato nella Repubblica attraverso la metafora del Sole, assurge appieno a tale ruolo del “terzo”, perché si configura come un elemento intermedio e relazionale tra il soggetto che vede e l’oggetto che è visto. Espressione di quell’Agathon epekeina tes ousias, la luce solare non è né oggetto né soggetto della vista, ma la sua condizione di possibilità, che sola può innescare una dinamica di co-appartenenza di vedente e visto.
In questo stesso percorso tematico si inserisce l’intervento di Mino IanneLo sguardo deangolato nell’ascesa al Bello in sé in Symp. 210E-212C. Al centro del contributo vi è il discorso intorno ad eros della sacerdotessa Diotima di Mantinea, che introduce al fondamento della dottrina platonica delle Idee attraverso uno “sguardo deangolato”, che passa dal sensibile al soprasensibile e viceversa. In questa dinamica riveste un ruolo strutturale il Bello in sé che, oltre ad essere l’unica Idea visibile, è legata a doppio titolo con quella del Bene: la “potenza del Bene”, infatti, trova rifugio nella “natura del Bello”. Per quanto conduca ai vertici metafisici del pensiero platonico, la Bellezza trae origine nel mondo fenomenico, perché è solo la percezione del bello, suscitata dall’attrazione erotica per l’amato, a far sì che l’anima “rimetta le ali” e a dare avvio alla scala amoris. Tale processo di risalita, che è di carattere gnoseologico, ontologico e assiologico, non potrà mai condurre all’unità noetica del Bello in sé senza muovere dalle sue molteplici manifestazioni visibili, cioè senza passare dal gradino più basso ma primo, rappresentato proprio dall’amore fisico per un bel corpo. Per tramite di eros, dunque, che funge da autentico metaxy, il filosofo può guadagnare le Idee con un impegnativo sforzo dialettico che scaturisce, di necessità, dalla dimensione corporea dell’umano.
Il complesso intreccio tra le Idee e la dialettica, seppur variamente declinato, costituisce il fil rouge di un ulteriore gruppo di saggi, tra i quali Come sirene dentro un labirinto. Sulla presenza delle Idee nel Teeteto: i koina peri panton di Claudia Luchetti. A dispetto di letture aporetiche del dialogo, l’autrice mostra che nel Teeteto, il cui interrogativo di fondo è ti esti episteme, Platone tratteggia una possibile pista risolutiva attraverso cui guadagnarne una risposta e una definizione adeguata. A partire dall’assunto per cui nel pensiero platonico non si dà mai la conoscenza senza le Idee, anche nel dialogo in esame il disegno filosofico di fondo propende in questo senso, come la studiosa rintraccia opportunamente nelle riflessioni intorno ai koina peri panton, da lei esaminate con profondità analitica. Tuttavia, dato il contesto socratico del Teeteto, la dialettica delle Idee, colta nella strutturale relazione con l’episteme, può essere solo allusa in filigrana, demandando al lettore il compito di cogliere e interpretare i segnali disseminati da Platone nel testo, ma che saranno ripresi e approfonditi in altri dialoghi, in cui la cornice drammaturgica cambia di segno concettuale. Luchetti, infatti, evidenzia il chiaro nesso tra il Teeteto e il Sofista, sebbene solo in quest’ultimo scritto Platone si focalizzi sulla dialettica delle Idee con maggiore ampiezza teorica, come mi propongo di mostrare nel mio La dialettica delle Idee nel Sofista di Platone. Tra ontologia e metodo. Il contributo muove dalla tesi secondo cui in Platone la dialettica è una posizione filosofica che riconosce la costituiva complessità del reale, ovvero che la sfera dell’essere si struttura in un costante gioco di termini che si richiamano per il loro stesso distinguersi e contrapporsi. Di conseguenza, per comprendere tale poliedricità ontologica senza semplificarla, questa scienza adotta un metodo che è esso stesso dialettico, cioè distante dalle maglie strette della logica biunivoca, ma duttile e flessibile, capace di adattarsi alle infinite scanalature della realtà. Il testo, nello specifico, si concentra su un passo del Sofista, 253B-E, in cui trova spazio una delle teorizzazioni più compiute della dialettica dell’intero corpus platonicum. Qui, infatti, le Idee sono presentate come interi composti di parti, incastonati in una fitta e multiforme trama di nessi, attrattivi e repulsivi, che la scienza dialettica ha il compito di ricostruire e qualificare, rintracciando anche le cause di tali dinamiche di mescolanza e repulsione. In queste pagine del dialogo, inoltre, si sottolinea che, a fronte dei limiti dell’umano, il cui sguardo sul mondo è sempre parziale e situato, il dialettico dee perseverare nelle proprie ricerche, tenendo fermo il proprio scopo: rendere intellegibile l’articolata struttura dell’essere, per capire la realtà nella maniera più soddisfacente possibile.
In È del sapiente indagare intorno all’ordine delle cose secondo il quanto e il quale. Osservazioni a partire dal Filebo 16B-17E, Giulia Lombardi valorizza il contributo teorico della coppia di nozioni del “quanto” e del “quale”, intesi come strumenti necessari per rendere ragione dell’“identità dell’uno e dei molti”, ovvero di quella che per Platone rappresenta la caratteristica imperitura di ogni ragionamento, perché è la cifra distintiva della realtà nella sua interezza. La diade poion-posion, in particolare, permette un’indagine che non è una semplice osservazione, ma un attraversamento dell’uno dall’interno, per cogliere la molteplicità di parti che lo sostanziano e riconoscere la logica d’insieme che lo struttura. In questo, occupa un ruolo di primo piano l’arte dialettica, cioè quella via di cui Socrate si dichiara “innamorato da sempre”, ma di cui riconosce le insidie: è facile mostrarla, più difficile seguirla. La studiosa, infatti, si focalizza sulla dialektike techne, ovvero di quella tecnica che è alla base di tutte le scoperte e le invenzioni fatte dall’umanità: per quanto sia un “dono degli dèi”, non è da intendersi come un messaggio in forma oracolare che richiede all’uomo un solo sforzo di decifrazione. Al contrario, quest’arte investe l’intera umanità del triplice compito di “indagare, imparare e insegnare”, da svolgere attraverso un impegno collettivo che le generazioni presenti ereditano dalle passate e trasmettono alle future, perseguendo una ricerca svolta nella costante tensione asintotica alla verità assoluta.
Il volume si chiude con il contributo di Emanuela Giada Capasso, Idee di ogni realtà, o quasi. Esegesi neoplatoniche intorno alla dottrina platonica delle Idee, che esamina alcune questioni teoriche inerenti alla teoria delle Idee, inquadrandola nel vivace dibattito della tarda antichità. Più nello specifico, l’articolo muove dalla definizione delle Idee proposta da Senocrate, ovvero “modelli eterni di ciò che è conforme a natura”, che già il medioplatonico Alcino legge nell’ottica secondo cui non possono esistere Idee di oggetti artificiali, di cose contro natura o di individui particolari, né tantomeno di oggetti ‘volgari’. Posto che per alcune correnti esegetiche non possono esistere Idee di tutti gli enti, la studiosa si interroga intorno all’eventuale statuo dell’Idea del male e traccia una risposta polivoca. Da una parte, per esempio, i neoplatonici Proclo e Asclepio di Tralle sostengono che non esistono Idee degli oggetti artificiali, né dei mali in sé, né delle cose contro natura ma solo delle cose naturali: concludono, dunque, negando esplicitamente l’Idea del male. Questo, infatti, non sussiste in sé, ma possiede una esistenza subalterna al Bene. Dall’altra parte, invece, Simplicio, per quanto non avanzi una posizione del tutto esplicita, si fa portavoce di una tesi interessante, che Capasso esamina da vicino. Pur non ammettendo un male “naturale”, ma solo subalterno al Bene, egli sostiene che nel ciclo di generazioni e corruzioni del mondo sublunare, il corrompersi dei corpi rientra nell’armonia generale del tutto: ciò che ad uno sguardo limitato – come quello umano – può sembrare “male”, in una prospettiva globale risulta “bene”. Le cose che nascono e che muoiono, infatti, sono parti dell’universo sublunare e senza di esse il cosmo risulterebbe incompleto. Per questo il Demiurgo ha introdotto la materia, cioè il sostrato del cambiamento, e la privazione, ovvero la causa del cambiamento, come necessità che contribuiscono alla completezza dell’universo.
Francesca Eustacchi – Maurizio Migliori, Per la rinascita di un pensiero critico contemporaneo. Il contributo degli antichi, Mimesis, 2017.
Francesca Eustacchi, dottoressa di ricerca in Philosophy and Theory of Human Sciences e cultrice della materia in Storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Macerata, autrice di saggi sui sofisti e Platone, con particolare attenzione ai problemi onto-gnoseologici, etici e politici.
Maurizio Migliori, già ordinario di Storia della filosofia antica, studioso di Platone; tra le sue molte pubblicazioni Il disordine ordinato. La filosofia dialettica di Platone, 2 vv., Brescia 2013; By the Sophists to Aristotle through Plato, E. Cattanei, A. Fermani, M. Migliori eds., Sankt Augustin 2016; Platone, Brescia 2017; La bellezza della complessità. Studi su Platone e dintorni, Pistoia, 2019.
C’è oggi nella cultura occidentale un silenzio che urla: quello degli intellettuali che hanno rinunciato al loro ruolo. Il pensiero critico appare appiattito sui luoghi comuni e sul dibattito politico immediato. Sembra scomparsa una riflessione teorica capace di affrontare la complessità dei problemi, di compiere analisi di lungo periodo, di cogliere le potenzialità e i pericoli insiti nell’attuale situazione, in sintesi, di analizzare “razionalmente” le tante questioni da troppo tempo rinviate. Questo volume riafferma la necessità di un pensiero che voglia conoscere criticamente la realtà, mostrando la ricchezza del contributo che gli antichi greci hanno offerto. Si può e si deve utilizzare il sapere antico per riflettere sul mondo contemporaneo. Si tratta di mettere in opera quell’atteggiamento critico che è la cifra della filosofia fin dalle sue origini: essa nasce dalla meraviglia, dalla sorpresa, dalla coscienza dell’instabilità che spinge ad uscire dal recinto del noto per addentrarsi senza esitazioni nell’ignoto, recuperando il valore dell’approccio razionale.
Il problema del relativismo nei sofisti
e le argomentazioni non metafisiche di Platone
«Per chi intraprende cose belle, è bello anche soffrire,
qualsiasi cosa gli tocchi».
(Platone, Fedro, 274A8-B1).
***
«Io dico che bisogna operare seriamente con ciò che è serio,
con ciò che non è serio no.
Dio è per natura degno di seria attenzione,
perché in ciò consiste ogni beatitudine,
mentre l’uomo, come abbiamo detto prima,
è una specie di giocattolo costruito da dio
e il suo valore sta proprio in questo.
Di conseguenza ogni uomo e ogni donna
devono condurre la loro vita
giocando i giochi migliori,
l’opposto di ciò che si pensa oggi».
(Platone, Leggi, 803C2-8).
***
«Vincere se stesso
è la prima e più nobile di tutte le vittorie,
essere sconfitti da se stesso
è la cosa peggiore e insieme la più dannosa».
(Platone, Leggi, 626E2-4).
La conclusione del mio percorso di studi magistrali con una tesi in Storia della Filosofia Antica (Interferenze anima-corpo in Platone) mi aveva lasciato un senso di incompiutezza e il desiderio di approfondire quell’approccio multifocale, che da tempo a Macerata è utilizzato come chiave di lettura dei testi platonici e aristotelici e che avevo avuto modo di verificare nel corso dei miei studi. Questa visione polivoca, tesa a rendere ragione dell’evidente complessità del reale, mi affascinava e mi provocava con varie domande. Una di queste era di fondo e mi impegnava più delle altre: come evitare il relativismo e nel contempo riconoscere la coesistenza di giudizi, di verità e di prospettive diverse, a volte anche tra loro contrastanti, sulla stessa realtà? È possibile individuare una alternativa al binomio assolutismo-relativismo?
Questo interrogativo non mi sembrava lontano dal contesto dei dialoghi platonici, perché in essi il filosofo si confronta con i sofisti, generalmente considerati gli antesignani del relativismo. Da questa costatazione è nata la proposta per la ricerca: inizialmente mi ha mosso solo l’intuizione che questo dibattito del V-IV sec. a.C. poteva costituire un terreno privilegiato di indagine. In particolare, volevo approfondire quelle movenze argomentative che Platone mette in campo a livello gnoseologico, etico e politico, in risposta e contro quelle posizioni, definibili, in modo più o meno corretto, relativistiche; la scelta era quella di tralasciare la più conosciuta contrapposizione radicale basata sulla messa in campo di verità assolute o metafisiche (da qui il “non metafisiche” del titolo).
L’intento non è stato quello di paragonare antistoricamente il dibattito antico con quello contemporaneo sul relativismo, ma quello essenzialmente storico di comprendere meglio il primo. Ciò mi ha permesso poi di evidenziare nel dibattito antico anche quelle movenze teoriche che si ripropongono in quello attuale e che risultano utili per riflettere su quest’ultimo. Ho tenuto, però, presente una radicale diversità di prospettiva: il pensiero antico non è interessato, come quello moderno, a produrre paradigmi a cui il mondo fenomenico può o non può adattarsi, ma al contrario vuole spiegare la realtà, moltiplicando e arricchendo gli schemi, in modo da adattarli ad essa.
La duplice natura, storica e teoretica, della ricerca ha reso necessario un lavoro serrato sui testi, iniziato dal primo anno: i frammenti dei sofisti richiedono molta attenzione, una capacità che ho dovuto affinare, ritornando varie volte sui testi; altrettanta cura ha richiesto il contesto di riferimento (a volte non facilmente individuabile); l’uso, decisivo, della letteratura secondaria deve essere costantemente monitorato, per non correre il rischio di essere fuorviati da abitudini e/o mode interpretative.
Sul piano teoretico, è stato utile delimitare con precisione il tema del relativismo nei suoi molteplici aspetti, gnoseologici, ma anche etici e politici, affrontando alcuni snodi significativi del dibattito contemporaneo (Searle, Rorty Davidson, Kuhn, etc.). Questa indagine, che era stata pensata come operazione di chiarezza terminologica, mi ha permesso di individuare la differenza concettuale determinante, quella tra relativismo e relazione, che costituisce una delle chiavi teoretiche dell’intera ricerca. Grazie ad essa, ho potuto cogliere sia le diverse sfumature della sofistica sia l’elemento che le accomuna: la messa in gioco di molteplici relazioni a diversi livelli. Ciò ha portato a riconsiderare l’attribuzione ai sofisti della classica etichetta di relativisti e a sostenere che la maggior parte di loro non è affatto tale. L’homo mensura protagoreo non va letto, a mio avviso, come un criterio conoscitivo, ma come un anti-criterio, che, opponendosi all’assolutismo eleatico, delinea l’orizzonte umano in cui solo è possibile fare ricerca. Analogamente l’opuscolo gorgiano, Sul non essere, spazza via per autocontraddizione gli asserti dell’eleatismo, per valorizzare il terreno fenomenico.
Certo, la debolezza delle posizioni teoriche dei primi sofisti apre la strada al relativismo come possibile sviluppo, ma non come necessaria degenerazione. Il dibattito interno alla sofistica è infatti molto articolato: non solo ci sono tesi relativiste e non, ma, addirittura, posizioni anti-relativiste, ad esempio, nei Dissoi Logoi dove mai ce le aspetteremmo.
A partire da questa ricostruzione, è stato sorprendente scoprire che Platone tratta tutti i temi messi in campo dai sofisti, in un dialogo a volte esplicito, a volte solo alluso. In questa fase, soprattutto per l’interpretazione del pensiero platonico, è stato fondamentale potermi avvalere del confronto continuo con il prof. Migliori. È emerso così l’atteggiamento polivoco di Platone, che non si contrappone – esclusivamente o soprattutto sul piano metafisico – ai sofisti, ma assume posizioni differenti: critica e confuta i sofisti relativisti e immoralisti; rielabora e/o approfondisce le tesi dei grandi sofisti, a volte senza negarle, in quanto possono risultare, in una diversa contestualizzazione, accettabili.
In questo senso, la sofistica, come fucina di elementi tra loro diversi, ha prodotto molte riflessioni originali, che un filosofo dialettico come Platone ha saputo riconoscere, valutare e mettere a frutto. Il suo approccio è risultato teoreticamente esemplare da due punti di vista:
– perché attesta che al relativismo si può rispondere non tanto con la riaffermazione di posizioni rigide e assolute, quanto piuttosto con una strategia argomentativa molteplice che discute nel merito le questioni;
– perché mostra che è possibile trarre dalla valorizzazione delle strutture relazionali, messe in campo dai sofisti, un guadagno positivo per una migliore comprensione del reale.
In sintesi, questo lavoro mi ha permesso di fare un primo passo su un terreno complesso e ricco che spero di poter continuare ad approfondire negli anni prossimi.
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Guardare il futuro costruendo scenari con nuovi paradigmi
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SABATO 3 / AUDITORIUM UNIMC
Chair: Mauro TULLI
h. 9.00 / Luca GRECCHI, Storia della filosofia, Milano Mulifocal approach: una critica costruttiva ad un paradigma in costruzione
Arianna FERMANI, Storia della filosofia antica, Macerata: Quando il rischio è bello. Strategie operative, gestione della complessità e “decision making” in dialogo con Aristotele
h. 11.00 / Lucia PALPACELLI, Storia della filosofia antica, Macerata Zenone e Platone: due dialettiche a confronto. Da una realtà aporetica a una realtà uni-molteplice.
Selene Iris S. BRUMANA, Storia della filosofia antica, Milano Le uni-molteplicità del danzatore. Aspetti della poikilia orchestica nel pensiero filosofico antico
Discussant: Giampaolo Abbate, Giada Capasso, Maria Teresa Carini, Edvaldo Antonio de Melo, Riccardo Di Stefano, Laura Gherardi, Antonio Governatori, Paola Mauri, Erica Napoletani, Federica Piangerelli, Cristiane Pieterzack, Elena Santilli.
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